12 agosto 2025
5 agosto 2025
Inventario - Fondo “CESARE FAGIANI – GIULIO SIGISMONDI”, Biblioteca comunale “Raffaele Liberatore”, Lanciano.
DESCRIZIONE
Il
versamento del Fondo Fagiani alla Biblioteca comunale, risale ai primi anni
2000, da parte della famiglia Fagiani-Volpe. Il tutto consiste in una decina di
buste d’archivio, contenenti faldoni e cartelle. Questo primo censimento sommario
ha ripartito il tutto in 7 buste d’archivio, con successiva suddivisione in
cartelle e faldoni, utilizzando la numerazione romana. Molti documenti sono
originali, pochi sono fotocopie, mentre si conservano diverse copie di
volantini e libretti.
Il
materiale non è sempre disposto in maniera ordinata, per cui, laddove
possibile, si è proceduto a un riordino delle carte, come per i manoscritti de Un marziano a Lanciano, e Saggio sulla poesia di Luigi Renzetti.
Il
fondo Fagiani-Sigismondi ha una prevalenza di documentazione relativa
l’attività letteraria e giornalistica di Cesare Fagiani, rispetto a quella di
Giulio Sigismondi, di cui il figlio Virgilio (classe 1942), ha incrementato il
patrimonio documentario con la donazione di fotografie, cd, e libretti di
poesie. Si attende, in futuro, un successivo versamento dell’archivio G.
Sigismondi, conservato presso lo stesso erede, alla biblioteca comunale.
Il
materiale attualmente è conservato presso la Biblioteca comunale “Raffaele
Liberatore” di Lanciano, nell’edificio di Villa Marciani, nell’area
dell’Ufficio 3.
23 luglio 2025
Emilio Ambrogio Paterno, Le città marinare d'Abruzzo e Molise, 1957.
22 luglio 2025
Eduardo Di Loreto (1897-1958) inventore di un teatro Frentano – Parte 1 - Dalle origini (1897) al 1929.
Alfredo Bontempi (1893-1983), Pierino Liberati (1893-1963), Eduardo Di Loreto (1897-1958), in una fotografia a Castel Frentano del 1922
di Angelo Iocco
Il piccolo paese di Castelfrentano vanta i natali di tre illustri castellini che furono attivi nel campo poetico, musicale e teatrale, Eduardo Di Loreto, Pierino Liberati e Camillo Di Benedetto. Di Loreto nacque in una modesta casa lungo via Nazionale, poi corso Roma, nel 1897, vicino la chiesa dell’Immacolata Concezione; fu avviato dal padre all’attività medica, dopo il diploma al Liceo classico di Lanciano, studiando a Napoli, dove si laurea nel 1924. Ma la passione del giovane Di Loreto era la poesia e lo spettacolo, non di rado doveva vedere delle brevi farse che si inscenavano al cinematografo del Corso, e poi alla scuola elementare. Castelfrentano all’epoca non aveva un vero e proprio teatro stabile, le recite molto brevi si improvvisavano nei luoghi di fortuna. Così Di Loreto e l’amico inseparabile Pierino Liberati, di qualche anno più anziano di lui, iniziarono, crebbero in questo contesto ancora folkloristico, affascinati soprattutto da varie situazioni paesane, della provincia, e dai tipi castellini, che ispireranno a breve i loro più grandi successi, sapendo con gusto rielaborarli per le loro canzoni e storie. Nel 1917 l’Italia dopo la sconfitta di Caporetto, cercava faticosamente di guadagnarsi un degno rilievo nell’ambito della Grande Guerra, concludendola nel 1918 con la “Vittoria mutilata”, citando d’Annunzio.
15 luglio 2025
Panfilo De Laurentiis, le migliori canzoni abruzzesi.
8 luglio 2025
Padre Donatangelo Lupinetti (1909-2000): frate missionario, etnologo e studioso abruzzese.
Padre Donatangelo Lupinetti
Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano:
28 giugno 2025
Canti, litanie, novene popolari e liturgiche a Castel Frentano.
Contadini di Castel Frentano in abito popolare – lastra archivio Marco Cavacini
CANTI, LITANIE, NOVENE POPOLARI E LITURGICHE A CASTEL FRENTANO
Queste trascrizioni dal lavoro di Giuseppe Di Battista (Canti e racconti popolari di Castel Frentano e dell’area del Sangro-Aventino, postumo, Castel Frentano 2023, sono state eseguite dallo scrivente, ascoltando la voce di Zi’ Clemente Di Battista dalle audio-registrazioni su nastro. Esse sono state conservate dal nipote Aldo Angelucci, cui va il nostro ringraziamento, e attualmente sono state sbobinate e conservate presso l’Archivio Associazione teatrale “Di Loreto-Liberati” di Castel Frentano. Purtroppo i canti non hanno una regolare continuità, a causa delle varie interruzioni durante l’esecuzione, o per dimenticanza, o perché il dicitore passava immediatamente a un altro canto. Purtroppo di alcuni brani siamo riusciti a trascrivere solo qualche verso, a causa dell’audio rovinato o disturbato da alter frequenze e rumori.
1) ME SO’ STATE CARCIARATE
Si tratta di un lamento-serenata, che ha altri riscontri in altre località abruzzesi, nonché napoletane. Inizia con:
Me so state carciarate
Pe’ nu capricce, Mariè!
2) SANT’ANTONIO
Versione di zi’ Clemente Di Battista
Sant’Antonio
‘nnav’ a ccaccia di ciammajiche,
ma lu demonie malandrine
le jettètte ‘mmezz’a
le rettriche!
Sant’Antonie
ze bevé lu vine…
26 giugno 2025
20 giugno 2025
I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo.
I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo
quante
ne séte déntre e fore,
quante
ne séte déntre e avanti,
bona
sére a tutti quanti!
AREA FRENTANA 1 (Lanciano, Ortona, Treglio, San Vito,
Rocca San Giovanni, Castelfrentano contrada Crocetta, Mozzagrogna)
AREA FRENTANA 2 (Orsogna, Sant’Eusanio del Sangro,
Civitaluparella)
AREA FRENTANA – AVENTINO (Archi, Lama dei Peligni,
Colledimacine, Civitella Messer Raimondo, Villa Santa Maria).
Come approfondiremo più avanti, differenti sono le
versioni del Sant’Antonio di paese in paese, a distanza di pochi km l’uno
dall’altro: abbiamo riscontrato che gran parte di canti hanno una base che
affonda le radici nella tradizione orale, naturalmente di anonimo, e sono molto
brevi, anche se ipotizziamo che purtuttavia questi canti siano stati ispirati
dale letture delle agiografie del Santo di tradizione medievale. Torniamo a
noi. C’è la compagnia con gli strumenti che canta, di casa in casa, o per le
strade e le piazza, e non sempre si rappresenta la pantomima teatrale con i
personaggi Sant’Antonio, il Demonio e l’Angelo che interagiscono.
In alcune varianti i personaggi che mimano la scena
parlano, ma con brevi interventi, come nel canto di Civitaluparella. Gli
antropologi locali, come la Gandolfi, preferiscono questi Canti brevi eseguiti
in coro, che sono più scarni, essenziali, concentrate sulla resa pantomimica
dei personaggi, senza contaminazioni operettistiche. Il secondo ciclo di questi
Canti infatti, come ha ben scritto anche Padre Lupinetti (che nella sua opera
cita anche una rappresentazione degli anni ’30 eseguita al Teatro di Chieti), è
quello dei Canti Teatrali, cioè le sceneggiate che a volte durano anche
mezz’ora, o di più, arrivando a stancare il pubblico. Sulla base del testo
popolare, ovvero:
INTRODUZIONE EREMITI + ANNUNCIO EREMITI DI SANT’ANTONIO +
ARRIVO E ASSOLO DI SANT’ANTONIO + ARRIVO DEL DIAVOLO (a volte arriva prima la
Femmina bella, come si vedrà nei Canti) + DIALOGO-SCONTRO TRA SANT’ANTONIO E IL
DIAVOLO + ASSOLO II DI SANT’ANTONIO (specialmente questa parte nei Canti di
Lama) + RITORNO DEL DIAVOLO + INVOCAZIONE E ARRIVO DELL’ANGELO SALVATORE +
USCITA DI SCENA DEL DIAVOLO, COMMIATO FINALE DEGLI EREMITI.
Come abbiamo voluto riportare in questa Appendice, e in Appendice II, questi Canti recitati teatrali sono frutto di elaborazioni del poeta locale, oppure del parroco, in sostanza di qualcuno che mastica un po’ di musica, e che è in grado di farne anche parodie, citando un brano teatrale famoso o un pezzo di lirica. Ma a volte il brano d’operetta è utilizzato per carattere sacro, modificato per il gusto del popolo! E per questo campo, anche se non ne parleremo, citiamo le Sette Novene Cantate a Sant’Antonio in Fara Filiorum Petri, nei 6 giorni che precedono il 16 gennaio, e il giorno stesso di Sant’Antonio[1].
17 giugno 2025
Omaggio al M° ENNIO VETUSCHI (1927-2021) della Corale "G. Verdi di Teramo. Canti Abruzzesi.
12 giugno 2025
Nino Saraceni, poeta e cantore abruzzese di Fossacesia.
9 giugno 2025
Il poeta Giuseppe Di Tullio di Filetto.
di
Angelo Iocco
Giuseppe Di Tullio (4 settembre 1910 – 1 gennaio 1952) è uno di quei poeti abruzzesi che purtroppo sono scarsamente conosciuti, complice probabilmente la breve esistenza, stroncata da una brutta malattia a soli 42 anni. Pochi oggi lo ricordano, e fondamentale resta un saggio di Vittoriano Esposito nel suo Parnasso d’Abruzzo, alla relativa voce. Nativo della piccola Filetto, studiò al Liceo classico di Lanciano, successivamente proseguì gli studi universitari a Firenze, per poi tornare, imbevuto di toscanismo e patriottismo giolittiano, a Pescara, a insegnare. Seguì anche l’abilitazione musicale in violino presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli. scrisse su diversi giornali abruzzesi, come Il Messaggero, Il Tempo, Momento sera di Chieti, Rivista abruzzese. Oltre ai saggi sulla religione, Di Tullio si occupò anche di Gabriele d’Annunzio, Silvio Spaventa, Tommaso Campanella e umanisti abruzzesi. Nel 1933 pubblicò la silloge di poesie L’Eco delle fonti, e nel 1949 per l’editore Carabba di Lanciano, il poema Giano. Esso è ispirato alla figura mitica del dio della Creazione, e nel cantarlo, Di Tullio si riferisce a un’epoca felice, perduta, quello dei grandi classicisti dell’Ottocento, ma non solo, della letteratura italiana come Dante e Petrarca, celebra una società idilliaca felice, quella italiana, ancora non contaminata dagli orrori della guerra, che dal 1943 avrebbe martoriato l’Italia e la sua piccola patria quieta di Filetto, che ne uscì devastata, insieme alla vicina Orsogna. Il piccolo mondo fatto di cose semplici, rituali bucolici, per dirla alla Virgilio, è spazzato via per sempre dalla corrente della storia. Tra gli ultimi lavori di Di Tullio, figura una poesia in abruzzese, inedita, presentata al Concorso di poesia “Gennaro Finamore” di Lanciano del 1952, i di cui atti rimangono presso il Fondo “Cesare Fagiani” nella Biblioteca comunale di Lanciano.
“L’edificio sorgeva massiccio e quasi oscuro, simile a una vecchia roccaforte feudale. A quell’edificio mancavano i merli e il ballatoio per essere scambiato per una fortezza, ma bastava il campanile che sorgeva da un lato per dire subito che si trattava di una Chiesa. l’intera mole si ergeva superba sulla Rupe di San Rufino, dominando incontrastabilmente le case circostanti.
Ciò
che addolciva quell’aspetto severo, che lo rendeva umano e familiare, era la
presenza di colombi. Tutte le mura erano bucherellate di piccoli nidi, ed in ogni momento della giornata i mansueti
aligeri tubavano e volavano. A primavera poi la Chiesa sembrava rivestita a
festa, perché da ogni parte era fiorente di viole romane: coloriture
giallognole e rossastre, come lembi d’oro e di porpora, apparivano sul viso
rugginoso delle mura vetuste. Tutta la Chiesa era costituita da due parti,
l’una sovrapposta all’altra: nella prima, quella superiore, si officiava giornalmente,
nella seconda, quella inferiore, si adunava la Congrega del S. Rosario o il
Sodalizio della bella Sant’Agnese, ma si può dire che l’unica grande
celebrazione ivi avvenisse nei giorni della Passione.
Se
però nella parte superiore della Chiesa era dato cogliere qualche raro gioiello
umanistico, nella parte inferiore si poteva ammirare una tela riferibile alla
seconda metà del ‘500. Infatti nella parete di fondo della cripta, si vedeva
raffigurata la Madonna del Rosario: lavoro di un tardo seguace di Raffaello,
forse Luca Fornaci, che in quel tempo dipingeva a Chieti”[1]
3 giugno 2025
Ottaviano Giannangeli (1923 - 2017) l'epigono dei classici abruzzesi.
24 maggio 2025
Detti popolari dialettali abruzzesi raccolti da Luigi Polacchi.
di Angelo Iocco
Luigi
Polacchi di Penne (1894-1988) nel corso dei suoi studi filologici sulla storia
del Risorgimento abruzzese, e negli intervalli di tempo, tra una composizione e
l’altra, tra una novella pubblicata su
L’Adriatico di Pescara e sulla rivista Tempo
nostro, si dedicò allo studio del dialetto abruzzese. Polacchi, nonostante
la sua formazione prettamente classicista, poneva lo studio della lirica
abruzzese in rapporto al dialetto, alla parlata popolare, di cui anche il
prozio e poeta Clemente De Caesaris (1810-1877) pennese, di cui Polacchi curò
l’opera omnia, inficiò alcuni suoi carmi in versi liberi endecasillabi. La
parlata abruzzese contagiò Polacchi, tanto da comporre poesie e canzonette come
Brunetta mia simpatica o Rènnele, o ancora Lu pappagalle, edite nella ristampa dell’opera omnia ORGANO vol. I
(1951, poi 1980). Mentre Polacchi si accingeva a raccogliere i detti popolari
ascoltati tra l’area pescarese e pennese, scoppiò la Seconda guerra mondiale, e
il progetto fu interrotto. Anzi, Candido Greco nel ricostruire la vita dello
scrittore, ricorda che il Polacchi, nella traversata frettolosa del torrente
Barricello, in località Torre del Duca a Penne con le casse delle carte messe
alla meno peggio a dorso d’asino, il poeta perdé molto materiale per la strada.
Tutto quel materiale che raccolse amorosamente, ascoltano i detti dialettali
dalla madre Vincenzina Di Biase. Tutto però non è andato perso, poiché nel
carteggio di Polacchi presso il Villino “Nonnina” di Pescara, grazie alla
collaborazione con la dott.ssa Angela de Sanctis, abbiamo rinvenuto delle copie
di un dattiloscritto, pieno di detti popolari.
Magari
il progetto di raccolta doveva essere più ampio, ma quel che resta tanto basta
a illustrare gli antichi detti dei nostri avi abruzzesi. Ce n’è per tutti,
dall’amore alla satira, dal lavoro alla tipica sagacia abruzzese, che tanto ci
rende caratteristici nella selva dei vari dialetti italiani.
ELENCO
PROVERBI POPOLARI DI L. POLACCHI
1) Chi nasce quatre, nen more tonne.
2) Mandrie e pecurale da le munde se n’arecàle.
3) La juvanezze è sempre allegre e nappe.
4) Ogne tratture porte a l’abiture.
5) Nu passante fannullone schiante e lasce penzulòne.
6) Panza piene nen dice male. Panza piene dai repose.
7) Pioggia juvanette li picciune sotte a lu tette.
8) Addusulète a me: facète lu bbene e perdete lu male.
9) Lu lette nnè li rose, si ‘ngi si dorme ci s’arpose.
10)
Chi te’ lu celle
‘mmane e nen le splume, je scappe sempre da la vite la furtune.
11)
Si a Rrome sème
ardùtte ognune penze a ssè e Ddij pe’ tutte.
12)
Currève anninze
gne nu sciòltavante.
13)
A la zappe e a
la traje tutte jurne nghe la paje.
14)
Casce e ricotte,
raggione a cà torte.
15)
Lu harbìne fére
distante da lu mare a la vallate.
16)
Bianche e nire
li ciaudèlle sembre tante muncacelle.
17)
Chi belle vo’
paré tutte l’usse ja da dulé!
18)
A lu cante de lu
halle fatte jurne è na la valle.
19)
Quanne cchiù
splenne lu sole, stinne bbone ssì lenzòle.
20)
A piante nu
cellette tra le fronne rise e cante va pe’ lu monne.
21)
L’amore quant’è
belle, sempre cchiù è litigarelle.
22)
A Santa Croce si
vatte la noce.
23)
Cioppe a ballà e
ciavaje a cantà.
24)
Corpe sazie:
dajje repose!
25)
Quande ‘nci sta
la hatte, lu sorge abballe.
26)
L’albere che nin
frutte, attizze.
27)
Chi je piace lu
lette lu ‘spizie l’aspette.
28)
Chi di ferre
fére, di ferre pére.
29)
Li quatrine fa j
‘acque a monte e a bballe.
30)
L’ucchie de lu
patrone ‘ngrasse lu cavalle.
31)
A Natale si
magne li caciune, a Pasque se magne li fiadune.
32)
Piagne lu morte:
è lacrime perse.
33)
L’acque chenna
piòvete ‘ncìle sta.
34)
La farine de lu
diavele ariò tutte ‘ncanìje.
35)
Chi joche a lu
lotte e spere di vince, lasse le stracce e pije li cince!
36)
Chi troppe li
tire, troppe li stucche.
37)
Sott’all’acque
ci sta la féme, sott’ a la neve ci sta lu pane.
38) Ecche lu curallare, femmene: accàttete pepe, carofene, ‘ranète fine,
rabbèerbere e chine!
39)
Abbìje ssi
faciule a’rmonne, abbiticchià ssi fronne!
40)
Donna belle a
marità, ‘n Paradise arrivète e a tre jurne maritata na ‘halline scinnicàte!
41)
Meje nu giovine
‘n camiciole che cente vicchie aricamate d’ore.
42)
Chi te’ rogne
carpe, chi te tigne gratte.
43)
Metté lu cule a
lu tommele!
44)
Lu medeche
pietose fa la piaghe cancrenose.
45)
La mannattare de
le monache nnarvinèje.
46)
Chi te’ pètre
nnin pate, chi te’ mamme nnin plagne.
47)
Ddo’ sta na
terra tra muntagne e mare, la nature divente la cchiù care.
48)
La ggente
celebrate de l’Abbruzze ‘ncontre simpatie ogne perlustre.
49)
L’ammore è nu
dolce suspire, c’ogne cchiù bella femmene ammìre.
50)
Ma lu vere
tradetore è nu sguarde de l’ammore?
51)
Chi dilitte nen
ha, de la Corte nin treme.
52)
Dumane e
pisdumàne, passa-vie ca ve’ dumane!
53)
Chi nnin te’
bona cocce, tè bbone pìte!
54)
Rénnele ca
turnate pare tutt sturdullite!
55)
Vracce a carijà,
vocche a magnà.
56)
A core stracche,
pinzìre fiacche.
57)
Chiù truve gente
gesse, chiù ‘nci pù ma’ cummatte.
58)
Quanne piagnème,
nisciune n’hà pìte!
59)
Ugne pappahalle
si pose arruffate, pronte a la battaje.
60)
Chi àveze lu
varile e se li d scole, jà ‘rmaste pe’ campà poc’anne sole.
61)
La femmene che
lu cule abballe, se puttane nen è regula falle!
62)
Se l’ommene fa’
funzionà la mente, s’artrove ogne jurne cchiù cuntente.
63)
Quande
l’amicizie t’à scurdate, cunvé cacche vote esse artruvate.
64) Matalene, Matalene, nen lassà chi te vo’ bbene, ti vo’ bbene quande Padre,
Fije e Spirte
Sante!
65) Ciampicune ciampicune arrivé nu puver’ume, le femmene a le porte jome
devé ‘mpo’ di
gnocche.
66)
La hatte che
n’arrive a lu larde, dice che è rance!
67)
Li solde de
l’avare se le magne lu sciampagnone.
68)
Maje sabbate
senza sole, maje femmene senza amore.
69)
Mandricchie e
mandricchione fa lu còmete de la patrone!
70)
Chi fa le facce
a fronte, sente ‘ngolle rossore prufunne.
71)
Maje a la Terra
me’ a carpì chi a quelle dill’itre a mète.
72)
Povere a chi
more, c’armàne cambe.
73)
Fa’ na fatija a
patte e stucche.
74)
Cent’anne e
cente mise ognune arvà a lu paese se’.
75)
Patrie, famije e
Ddie pe’ Mazzine ha fatte trie!
76)
Ddie, Patrie e
Mazzine, Patraterne une e trine!
77)
Gne nu Capudanne
arvé nu fije, tutte cose vicchie porte vie!
78)
Triste è lu
discipule che nnavanze lu mastre.
79)
La femmene è gne
lu mare: quande è calme ‘nganne!
80)
Casa quante nu
nide, terre quante ne vide.
81)
A chi nin piace
la cocche e lu vine, pozza murì dumane matine!
82)
Le Moneche di
Santaustìne: ddu cocce e nu cuscine[1].
83) Sabbatine, Sabbatine tre piducchie arrète a la schine, une saie, une cale, n’atre
fa da
Capurale!
84)
Pummadore e
pipidune l’ardicrie de li cafune.
85)
Chi te’ cente
fijje l’allòche, chi ne te une l’affòche!
86)
Casa quante nu
nide, terre quante ne vide.
87)
Ggenta triste
numunàte e viste!
88) Ame l’amiche t’ ‘nche li difetta suo’.
[1] Riferito
all’Ordine delle Monache che abitavano ai tempi di Polacchi nel convento di S.
Agostino di Penne.