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5 agosto 2025

Inventario - Fondo “CESARE FAGIANI – GIULIO SIGISMONDI”, Biblioteca comunale “Raffaele Liberatore”, Lanciano.


DESCRIZIONE

Il versamento del Fondo Fagiani alla Biblioteca comunale, risale ai primi anni 2000, da parte della famiglia Fagiani-Volpe. Il tutto consiste in una decina di buste d’archivio, contenenti faldoni e cartelle. Questo primo censimento sommario ha ripartito il tutto in 7 buste d’archivio, con successiva suddivisione in cartelle e faldoni, utilizzando la numerazione romana. Molti documenti sono originali, pochi sono fotocopie, mentre si conservano diverse copie di volantini e libretti.

Il materiale non è sempre disposto in maniera ordinata, per cui, laddove possibile, si è proceduto a un riordino delle carte, come per i manoscritti de Un marziano a Lanciano, e Saggio sulla poesia di Luigi Renzetti.

Il fondo Fagiani-Sigismondi ha una prevalenza di documentazione relativa l’attività letteraria e giornalistica di Cesare Fagiani, rispetto a quella di Giulio Sigismondi, di cui il figlio Virgilio (classe 1942), ha incrementato il patrimonio documentario con la donazione di fotografie, cd, e libretti di poesie. Si attende, in futuro, un successivo versamento dell’archivio G. Sigismondi, conservato presso lo stesso erede, alla biblioteca comunale.

Il materiale attualmente è conservato presso la Biblioteca comunale “Raffaele Liberatore” di Lanciano, nell’edificio di Villa Marciani, nell’area dell’Ufficio 3.

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22 luglio 2025

Eduardo Di Loreto (1897-1958) inventore di un teatro Frentano – Parte 1 - Dalle origini (1897) al 1929.

 
Alfredo Bontempi (1893-1983), Pierino Liberati (1893-1963), Eduardo Di Loreto (1897-1958), in una fotografia a Castel Frentano del 1922

Eduardo Di Loreto (1897-1958) inventore di un teatro Frentano  - Parte 1 - Dalle origini (1897) al 1929.

di Angelo Iocco

Il piccolo paese di Castelfrentano vanta i natali di tre illustri castellini che furono attivi nel campo poetico, musicale e teatrale, Eduardo Di Loreto, Pierino Liberati e Camillo Di Benedetto. Di Loreto nacque in una modesta casa lungo via Nazionale, poi corso Roma, nel 1897, vicino la chiesa dell’Immacolata Concezione; fu avviato dal padre all’attività medica, dopo il diploma al Liceo classico di Lanciano, studiando a Napoli, dove si laurea nel 1924. Ma la passione del giovane Di Loreto era la poesia e lo spettacolo, non di rado doveva vedere delle brevi farse che si inscenavano al cinematografo del Corso, e poi alla scuola elementare. Castelfrentano all’epoca non aveva un vero e proprio teatro stabile, le recite molto brevi si improvvisavano nei luoghi di fortuna. Così Di Loreto  e l’amico inseparabile Pierino Liberati, di qualche anno più anziano di lui, iniziarono, crebbero in questo contesto ancora folkloristico, affascinati soprattutto da varie situazioni paesane, della provincia, e dai tipi castellini, che ispireranno a breve i loro più grandi successi, sapendo con gusto rielaborarli per le loro canzoni e storie. Nel 1917 l’Italia dopo la sconfitta di Caporetto, cercava faticosamente di guadagnarsi un degno rilievo nell’ambito della Grande Guerra, concludendola nel 1918 con la “Vittoria mutilata”, citando d’Annunzio.

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8 luglio 2025

Padre Donatangelo Lupinetti (1909-2000): frate missionario, etnologo e studioso abruzzese.



Padre Donatangelo Lupinetti

Nato a Castilenti il 29/08/1909 è deceduto a Lanciano in data 12/12/2000.
Dopo aver preso i voti dell'Ordine francescano, che più si confaceva alla sua necessità di contatto umano, e dopo aver affinato i suoi studi linguistici (greco, latino, sanscrito), storici e teologici, previa l’accurata formazione universitaria, appositamente condotta presso il Pontificio Ateneo Antoniano di Roma, esercitò l’attività pastorale nei conventi francescani dell’Aquila, di Orsogna, Tocco Casauria e Lanciano. La sua vocazione missionaria lo condusse verso l’Africa e la Terra Santa..
Negli anni ’30, fu missionario in Somalia, al tempo appartenente all’Italia e non ancora convertita all’islam. Il contatto fraterno con le popolazioni indigene, specie dei Rahanuìn dell'interno e gli Ammarruìn della costa, gli diede il motivo e la possibilità di provare sul campo le teorie di etnografia, etnologia e missionologia precedentemente apprese. In seguito, venne trasferito a Mogadiscio, al fine di ricoprire ruoli direzionali e didattici presso collegi, convitti e scuole cattoliche. Fu allora che poté concentrare su alcuni settori specifici le sue ricerche etnologiche, comprensive anche dei canti dell'epica locale. Ma di tutto il materiale prodotto in Africa e inviato in Italia (monografie, relazioni, studi sui canti religiosi delle popolazioni conosciute e sulle peculiarità del loro modo di recepire l’evangelizzazione) si è conservato poco, così come delle pubblicazioni effettuate a Mogadiscio; ricordiamo alcuni articoli contenenti relazioni di viaggi e di eventi locali, nonché una coraggiosa polemica contro le leggi razziali del governo fascista. 
Tornato in patria, nel Dopoguerra, il religioso poté finalmente dedicarsi ad un campo a lui già noto, cioè quello della cultura popolare abruzzese, rivedendola, però, alla luce delle esperienze africane. Parallelamente all’attività canonica, egli effettuò un’approfondita ricognizione del materiale di ricerca folklorica e dialettologica già esistente. Così, le sue ricerche sul campo si tradussero in studi completi e rigorosi di letteratura popolare, puntualmente pubblicati e diffusi in Abruzzo e fuori regione. 
Tra articoli e volumetti, spiccano una completa trilogia di canti e tradizioni e una prima raccolta di Novellistica Sacra, interessante raccolta di novelle religiose abruzzesi anche inedite, presentate in dialetto e nella traduzione italiana. L’opera fu redatta in collaborazione con Ernesto Giammarco e pubblicata a Pescara nel 1958 per le edizioni di "Attraverso l'Abruzzo", di Francesco Amoroso. 
Lo stesso anno, in occasione del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari, espresse il suo peculiare contributo tracciando il quadro fondamentale della letteratura religiosa abruzzese nel Medioevo. 
In questi anni, divenne amico di studiosi abruzzesi, tra i quali, oltre ai già citati Giammarco e Amoroso, ricordiamo Bruno Mosca, Francesco Verlengia, Domenico Priori, autori di opere e pubblicazioni che segnarono le tappe del progresso culturale abruzzese. Particolarmente viva fu la sua amicizia con Paolo Toschi, demologo di fama nazionale, docente di Storia delle Tradizioni Popolari presso l'Università di Roma. In particolare, l'amicizia intrattenuta con Cesare De Titta, illustre latinista e poeta dialettale, con il quale si dedicava a traduzioni ed esercitazioni di forma salmodica in dialetto, latino, greco antico ed ebraico, fece sì che Lupinetti desse anche vita a componimenti poetici propri, di ispirazione religiosa e popolare.
Tra questi si annoverano, pubblicati all'Aquila presso la Cattedra Bernardiniana dal 1962 al 1981, Lu Presépie di Natale, poemetto natalizio con versione in lingua ed introduzione storica sul presepio; La santità de la Live, antica leggenda natalizia abruzzese, versificata e annotata; Lu sandìssime Voldesande, poemetto sacro in dialetto abruzzese con note illustrative; Lu cante di Natale, poemetto dialettale; Lu cante di PasqueLu cante di la MadonneLu cante di S. Francesche, componimento in dialetto abruzzese in onore di S. Francesco, S. Chiara, S. Bernardino e S. Giovanni da Capestrano, stampato a Gerusalemme. 
La sua vocazione missionaria lo riportò, a fasi alterne, di nuovo in Africa, a Gerusalemme e a Betlemme, per oltre vent’anni. Qui, nonostante le difficoltà del conflitto ebraico-palestinese, trovò modo di approfondire e rifinire gli studi sulla canzone epico-lirica in Abruzzo, consegnando alla rivista di etnologia "Lares" i suoi utili contributi su La canzone di Rinaldo e il Testamento dell’avvelenato, pubblicati tra il 1958 e il 1963. Un'ultima serie di studi storici occasionali, di stampo agiografico e basata su ricerche archivistiche, riguardò la vita della Beata Antonia da Firenze, ricostruita tramite i manoscritti del Monastero di S. Chiara Povera de L'Aquila, e la vita di Padre A. Ronci da Atri, poeta e missionario di Terra Santa (1500-1504). 
Attraverso la storia locale approfondì le incidenze e le coincidenze di usi e costumi popolari tra varie zone dell'Abruzzo quali Lama dei Peligni, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, servendosi del metodo comparativo e dell’approccio multidisciplinare. Le sue opere rappresentano uno dei più vasti repertori della cultura abruzzese, dotta e popolare, costruito in oltre 50 anni di infaticabile ricerca. 
Padre Lupinetti rientrò definitivamente dalla Terra Santa negli anni ’80; dopo una permanenza a Pescara, trascorse i suoi ultimi anni a Lanciano, ospite dell'albergo per anziani del Convento Antoniano, amorevolmente accudito dai confratelli.

Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano:

- Castiglione Messer Raimondo e il suo tesoro. Breve studio monografico sul Paese e sulla devozione a San Donato, Tip. D. Ambrosini, Penne, 1950.
- Castilenti.Breve studio monografico di un tipico paese d'Abruzzo, Cooperativa Editoriale Tipografica, Lanciano  1973.
- Durantiniana frate missionario d'America. Studio bio-bibliografico sul francescano p. Antonio Maria Durantini OFM (1867-1940), Curia prov. frati minori d'Abruzzo-San Bernardino, L'Aquila 1989.

28 giugno 2025

Canti, litanie, novene popolari e liturgiche a Castel Frentano.

Contadini di Castel Frentano in abito popolare – lastra archivio Marco Cavacini

CANTI, LITANIE, NOVENE POPOLARI E LITURGICHE A CASTEL FRENTANO

di Angelo Iocco

Queste trascrizioni dal lavoro di Giuseppe Di Battista (Canti e racconti popolari di Castel Frentano e dell’area del Sangro-Aventino, postumo, Castel Frentano 2023, sono state eseguite dallo scrivente, ascoltando la voce di Zi’ Clemente Di Battista dalle audio-registrazioni su nastro. Esse sono state conservate dal nipote Aldo Angelucci, cui va il nostro ringraziamento, e attualmente sono state sbobinate e conservate presso l’Archivio Associazione teatrale “Di Loreto-Liberati” di Castel Frentano. Purtroppo i canti non hanno una regolare continuità, a causa delle varie interruzioni durante l’esecuzione, o per dimenticanza, o perché il dicitore passava immediatamente a un altro canto. Purtroppo di alcuni brani siamo riusciti a trascrivere solo qualche verso, a causa dell’audio rovinato o disturbato da alter frequenze e rumori.

1)    ME SO’ STATE CARCIARATE

Si tratta di un lamento-serenata, che ha altri riscontri in altre località abruzzesi, nonché napoletane. Inizia con:

Me so state carciarate

Pe’ nu capricce, Mariè!

 

2)    SANT’ANTONIO

Versione di zi’ Clemente Di Battista

Sant’Antonio

‘nnav’ a ccaccia di ciammajiche,

ma lu demonie malandrine

le jettètte ‘mmezz’a  le rettriche!

Sant’Antonie

ze bevé lu vine…

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20 giugno 2025

I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo.

 I Canti del Sant’Antonio in Abruzzo

di Angelo Iocco 


Bona sera gentil signori,

quante ne séte déntre e fore,

quante ne séte déntre e avanti,

bona sére a tutti quanti!

Questa è l’introduzione del Canto Castellino. Ci vorrebbe più di un volume per raccogliere tutti i Canti del Sant’Antonio in Abruzzo, esistendo diverse versioni, spesso varianti di uno stesso testo di contrada in contrada. In questo scritto abbiamo voluto tracciare brevemente una divisione geografica dell’area del Chietino, dove abbiamo analizzato le variant del celebre canto:

AREA FRENTANA 1 (Lanciano, Ortona, Treglio, San Vito, Rocca San Giovanni, Castelfrentano contrada Crocetta, Mozzagrogna)

AREA FRENTANA 2 (Orsogna, Sant’Eusanio del Sangro, Civitaluparella)

AREA FRENTANA – AVENTINO (Archi, Lama dei Peligni, Colledimacine, Civitella Messer Raimondo, Villa Santa Maria).

Come approfondiremo più avanti, differenti sono le versioni del Sant’Antonio di paese in paese, a distanza di pochi km l’uno dall’altro: abbiamo riscontrato che gran parte di canti hanno una base che affonda le radici nella tradizione orale, naturalmente di anonimo, e sono molto brevi, anche se ipotizziamo che purtuttavia questi canti siano stati ispirati dale letture delle agiografie del Santo di tradizione medievale. Torniamo a noi. C’è la compagnia con gli strumenti che canta, di casa in casa, o per le strade e le piazza, e non sempre si rappresenta la pantomima teatrale con i personaggi Sant’Antonio, il Demonio e l’Angelo che interagiscono.

In alcune varianti i personaggi che mimano la scena parlano, ma con brevi interventi, come nel canto di Civitaluparella. Gli antropologi locali, come la Gandolfi, preferiscono questi Canti brevi eseguiti in coro, che sono più scarni, essenziali, concentrate sulla resa pantomimica dei personaggi, senza contaminazioni operettistiche. Il secondo ciclo di questi Canti infatti, come ha ben scritto anche Padre Lupinetti (che nella sua opera cita anche una rappresentazione degli anni ’30 eseguita al Teatro di Chieti), è quello dei Canti Teatrali, cioè le sceneggiate che a volte durano anche mezz’ora, o di più, arrivando a stancare il pubblico. Sulla base del testo popolare, ovvero:

INTRODUZIONE EREMITI + ANNUNCIO EREMITI DI SANT’ANTONIO + ARRIVO E ASSOLO DI SANT’ANTONIO + ARRIVO DEL DIAVOLO (a volte arriva prima la Femmina bella, come si vedrà nei Canti) + DIALOGO-SCONTRO TRA SANT’ANTONIO E IL DIAVOLO + ASSOLO II DI SANT’ANTONIO (specialmente questa parte nei Canti di Lama) + RITORNO DEL DIAVOLO + INVOCAZIONE E ARRIVO DELL’ANGELO SALVATORE + USCITA DI SCENA DEL DIAVOLO, COMMIATO FINALE DEGLI EREMITI.

Come abbiamo voluto riportare in questa Appendice, e in Appendice II, questi Canti recitati teatrali sono frutto di elaborazioni del poeta locale, oppure del parroco, in sostanza di qualcuno che mastica un po’ di musica, e che è in grado di farne anche parodie, citando un brano teatrale famoso o un pezzo di lirica. Ma a volte il brano d’operetta è utilizzato per carattere sacro, modificato per il gusto del popolo! E per questo campo, anche se non ne parleremo, citiamo le Sette Novene Cantate a Sant’Antonio in Fara Filiorum Petri, nei 6 giorni che precedono il 16 gennaio, e il giorno stesso di Sant’Antonio[1].

17 giugno 2025

Omaggio al M° ENNIO VETUSCHI (1927-2021) della Corale "G. Verdi di Teramo. Canti Abruzzesi.


Omaggio al M° ENNIO VETUSCHI (1927-2021) della Corale "G. Verdi di Teramo con Canzoni abruzzesi da lui elaborate.
I grandi successi della canzone abruzzese popolare, come LAMENTO DI UNA VEDOVA, ARVI', ALL'ORTE, J'ABBRUZZU, LA JERVE A LU CANNETE, LU SANT'ANTONIE, MO VE MO VA.


Chi era il Maestro Ennio Vetuschi? Conosciamolo meglio dalla biografia tracciata da Carla Tarquini per la Corale Verdi. 
“Nato a Teramo nel 1927, Ennio Vetuschi si accosta alla musica da bambino influenzato dal padre musicista che suonava il flicorno e la chitarra. 
A 12 anni riceve in regalo un violino da un amico di famiglia che strappa al padre la promessa di far studiare musica al ragazzo. 
Si iscrive all’Istituto Musicale Pareggiato “G. Braga” e con la maestra Anna Maria De Petris scopre il canto. 
Contemporaneamente frequenta l’Istituto per geometri. 
Si diploma nel 1946 e nel 1948 vince un concorso al Genio Civile di Teramo dove rimarrà fino alla pensione. 
Nei primi anni del dopoguerra un episodio fu determinante per la sua futura carriera di direttore d’orchestra. 
Ospite a Roma di una zia paterna, entra in San Pietro e sente cantare il Coro della Cappella Sistina diretto dal maestro Lorenzo Perosi. 
Ne rimane folgorato. Creare un coro polifonico nella sua città diventa il suo sogno. 
Decide di studiare uno strumento che gli permetta di insegnare le parti ai cantori. 
Al Braga si iscrive al corso di pianoforte e in sette anni prende il diploma del decimo anno. 
Mentre è ancora studente dell’Istituto Musicale, nel 1948, a 21 anni, Ennio Vetuschi crea il primo nucleo di quello che qualche anno dopo diventerà ufficialmente l’Associazione corale teramana “Giuseppe Verdi”. 
Il documento relativo viene rogato con atto notarile il 14 maggio 1953. 
Le prime prove del giovane coro furono fatte in casa dell’insegnante di canto Anna Maria De Petris. 
Quando il numero degli cantori iniziò a crescere ci fu la necessità di cercare un locale più idoneo. 
La prima sede del nuovo Coro fu il Carminello, un tempietto neogotico vicino alla chiesa del Carmine che sarà abbattuto anni dopo quando fu aperta la via Savini. 
La ricerca di una sede stabile sarà un problema cronico per la Corale “Giuseppe Verdi” che anche attualmente è sistemata in una sede provvisoria. 
I primi repertori del Coro Verdi furono soprattutto di musica lirica e infatti in veste di Coro lirico esso partecipò alle due Stagioni teatrali organizzate a Teramo, al Teatro Apollo, nel corso del “Giugno teramano” 1957 e 1958. Ma nel frattempo, accanto alla lirica, il Maestro Vetuschi aveva introdotto nel repertorio del Coro brani di musica polifonica e, a rinsaldare il legame con l’Abruzzo, anche alcuni canti popolari trascritti ed elaborati da lui stesso “secondo un gusto corale polifonico”. 
Con questi due nuovi repertori il Coro teramano partecipò, nel 1955, all’importante Concorso Internazionale di Musica Polifonica “Guido D’Arezzo” ad Arezzo, dove tornerà l’anno successivo e ancora nel 1959, nel 1960 e infine nel 1987. 
Furono esperienze particolarmente importanti e formative. Ma la svolta decisiva nella carriera di Maestro concertatore ci sarà per Ennio Vetuschi nel 1973 quando, dopo avere superato una selezione severissima, è ammesso a un corso di direttore d’orchestra indetto dal Teatro Comunale di Bologna, tenuto dal severissimo Maestro Sergiu Celibidache di origini rumene. 
Quello di Celibidache fu un insegnamento prezioso. Ennio Vetuschi imparò da lui moltissimo, persino la gestualità che diventò più lieve e più misurata. 
L’anno dopo, per la stagione teatrale 1974/75, Vetuschi fu chiamato al Teatro di Bologna per una collaborazione annuale come Maestro Sostituto. 
Il contratto gli sarebbe stato rinnovato per l’anno successivo ma motivi di lavoro e familiari lo costrinsero a tornare a Teramo. 
Nel 1980, a cura dell’Ente Provinciale del Turismo di Teramo e della Cassa di Risparmio di Teramo, Ennio Vetuschi pubblica la raccolta di Canti Popolari Abruzzesi da lui trascritti ed elaborati. 
Al 1990 risale un’esperienza straordinaria nella carriera artistica di Ennio Vetuschi. In quell’anno fu chiamato dal Conservatorio “Rimski-Korsakov” di San Pietroburgo a tenere una “master class” sull’opera italiana. Vi rimase sei mesi. Le sue lezioni furono apprezzatissime. Le teneva in lingua russa che Vetuschi parlava correntemente. Fu colmato di attenzioni e di affetto. Alla sua partenza gli fu regalato il bozzetto in gesso del busto, ora nel Museo dell’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo, commissionato per lui al noto scultore russo Michail K. Anikuschin. 
Rientrato a Teramo, Ennio Vetuschi tornò a dedicarsi con l’entusiasmo e la passione mai venuti meno al suo amato Coro che dirigerà fino al 2006 quando la bacchetta di direttore passerà nelle mani del Maestro Carmine Leonzi”.

9 giugno 2025

Vasto, Festa delle canzoni abruzzesi, Teatro Rossetti, 4 maggio 1922.


 



Da: Collezione Giacomo De Crecchio


color F.Marino

Il poeta Giuseppe Di Tullio di Filetto.


Il poeta Giuseppe Di Tullio di Filetto

di Angelo Iocco

Giuseppe Di Tullio (4 settembre 1910 – 1 gennaio 1952) è uno di quei poeti abruzzesi che purtroppo sono scarsamente conosciuti, complice probabilmente la breve esistenza, stroncata da una brutta malattia a soli 42 anni. Pochi oggi lo ricordano, e fondamentale resta un saggio di Vittoriano Esposito nel suo Parnasso d’Abruzzo, alla relativa voce. Nativo della piccola Filetto, studiò al Liceo classico di Lanciano, successivamente proseguì gli studi universitari a Firenze, per poi tornare, imbevuto di toscanismo e patriottismo giolittiano, a Pescara, a insegnare. Seguì anche l’abilitazione musicale in violino presso il Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli. scrisse su diversi giornali abruzzesi, come Il Messaggero, Il Tempo, Momento sera di Chieti, Rivista abruzzese. Oltre ai saggi sulla religione, Di Tullio si occupò anche di Gabriele d’Annunzio, Silvio Spaventa, Tommaso Campanella e umanisti abruzzesi. Nel 1933 pubblicò la silloge di poesie L’Eco delle fonti, e nel 1949 per l’editore Carabba di Lanciano, il poema Giano. Esso è ispirato alla figura mitica del dio della Creazione, e nel cantarlo, Di Tullio si riferisce a un’epoca felice, perduta, quello dei grandi classicisti dell’Ottocento, ma non solo, della letteratura italiana come Dante e Petrarca, celebra una società idilliaca felice, quella italiana, ancora non contaminata dagli orrori della guerra, che dal 1943 avrebbe martoriato l’Italia e la sua piccola patria quieta di Filetto, che ne uscì devastata, insieme alla vicina Orsogna. Il piccolo mondo fatto di cose semplici, rituali bucolici, per dirla alla Virgilio, è spazzato via per sempre dalla corrente della storia. Tra gli ultimi lavori di Di Tullio, figura una poesia in abruzzese, inedita, presentata al Concorso di poesia “Gennaro Finamore” di Lanciano del 1952, i di cui atti rimangono presso il Fondo “Cesare Fagiani” nella Biblioteca comunale di Lanciano.

“L’edificio sorgeva massiccio e quasi oscuro, simile a una vecchia roccaforte feudale. A quell’edificio mancavano i merli e il ballatoio per essere scambiato per una fortezza, ma bastava il campanile che sorgeva da un lato per dire subito che si trattava di una Chiesa. l’intera mole si ergeva superba sulla Rupe di San Rufino, dominando incontrastabilmente le case circostanti.

Ciò che addolciva quell’aspetto severo, che lo rendeva umano e familiare, era la presenza di colombi. Tutte le mura erano bucherellate di piccoli nidi, ed  in ogni momento della giornata i mansueti aligeri tubavano e volavano. A primavera poi la Chiesa sembrava rivestita a festa, perché da ogni parte era fiorente di viole romane: coloriture giallognole e rossastre, come lembi d’oro e di porpora, apparivano sul viso rugginoso delle mura vetuste. Tutta la Chiesa era costituita da due parti, l’una sovrapposta all’altra: nella prima, quella superiore, si officiava giornalmente, nella seconda, quella inferiore, si adunava la Congrega del S. Rosario o il Sodalizio della bella Sant’Agnese, ma si può dire che l’unica grande celebrazione ivi avvenisse nei giorni della Passione.

Se però nella parte superiore della Chiesa era dato cogliere qualche raro gioiello umanistico, nella parte inferiore si poteva ammirare una tela riferibile alla seconda metà del ‘500. Infatti nella parete di fondo della cripta, si vedeva raffigurata la Madonna del Rosario: lavoro di un tardo seguace di Raffaello, forse Luca Fornaci, che in quel tempo dipingeva a Chieti”[1]




Veduta della chiesa madre di Filetto, distrutta nel 1943, dal Corso S. Giacomo, oggi via Roma – Archivio Calendario Associazione “Ars Magistra” - Filetto


Luca Fornaci, Madonna coi Misteri del Rosario, chiesa di S. Maria ad Nives, Filetto

24 maggio 2025

Detti popolari dialettali abruzzesi raccolti da Luigi Polacchi.

Detti popolari dialettali abruzzesi raccolti da Luigi Polacchi
di Angelo Iocco

Luigi Polacchi di Penne (1894-1988) nel corso dei suoi studi filologici sulla storia del Risorgimento abruzzese, e negli intervalli di tempo, tra una composizione e l’altra, tra una novella pubblicata su L’Adriatico di Pescara e sulla rivista Tempo nostro, si dedicò allo studio del dialetto abruzzese. Polacchi, nonostante la sua formazione prettamente classicista, poneva lo studio della lirica abruzzese in rapporto al dialetto, alla parlata popolare, di cui anche il prozio e poeta Clemente De Caesaris (1810-1877) pennese, di cui Polacchi curò l’opera omnia, inficiò alcuni suoi carmi in versi liberi endecasillabi. La parlata abruzzese contagiò Polacchi, tanto da comporre poesie e canzonette come Brunetta mia simpatica o Rènnele, o ancora Lu pappagalle, edite nella ristampa dell’opera omnia ORGANO vol. I (1951, poi 1980). Mentre Polacchi si accingeva a raccogliere i detti popolari ascoltati tra l’area pescarese e pennese, scoppiò la Seconda guerra mondiale, e il progetto fu interrotto. Anzi, Candido Greco nel ricostruire la vita dello scrittore, ricorda che il Polacchi, nella traversata frettolosa del torrente Barricello, in località Torre del Duca a Penne con le casse delle carte messe alla meno peggio a dorso d’asino, il poeta perdé molto materiale per la strada. Tutto quel materiale che raccolse amorosamente, ascoltano i detti dialettali dalla madre Vincenzina Di Biase. Tutto però non è andato perso, poiché nel carteggio di Polacchi presso il Villino “Nonnina” di Pescara, grazie alla collaborazione con la dott.ssa Angela de Sanctis, abbiamo rinvenuto delle copie di un dattiloscritto, pieno di detti popolari.

Magari il progetto di raccolta doveva essere più ampio, ma quel che resta tanto basta a illustrare gli antichi detti dei nostri avi abruzzesi. Ce n’è per tutti, dall’amore alla satira, dal lavoro alla tipica sagacia abruzzese, che tanto ci rende caratteristici nella selva dei vari dialetti italiani.

ELENCO PROVERBI POPOLARI DI L. POLACCHI

  

1)                                Chi nasce quatre, nen more tonne.

2)                                 Mandrie e pecurale da le munde se n’arecàle.

3)                                La juvanezze è sempre allegre e nappe.

4)                             Ogne tratture porte a l’abiture.

5)                              Nu passante fannullone schiante e lasce penzulòne.

6)                             Panza piene nen dice male. Panza piene dai repose.

7)                             Pioggia juvanette li picciune sotte a lu tette.

8)                           Addusulète a me: facète lu bbene e perdete lu male.

9)                            Lu lette nnè li rose, si ‘ngi si dorme ci s’arpose.

10)                      Chi te’ lu celle ‘mmane e nen le splume, je scappe sempre da la vite la furtune.

11)                      Si a Rrome sème ardùtte ognune penze a ssè e Ddij pe’ tutte.

12)                      Currève anninze gne nu sciòltavante.

13)                      A la zappe e a la traje tutte jurne nghe la paje.

14)                      Casce e ricotte, raggione a cà torte.

15)                      Lu harbìne fére distante da lu mare a la vallate.

16)                      Bianche e nire li ciaudèlle sembre tante muncacelle.

17)                      Chi belle vo’ paré tutte l’usse ja da dulé!

18)                      A lu cante de lu halle fatte jurne è na la valle.

19)                      Quanne cchiù splenne lu sole, stinne bbone ssì lenzòle.

20)                      A piante nu cellette tra le fronne rise e cante va pe’ lu monne.

21)                      L’amore quant’è belle, sempre cchiù è litigarelle.

22)                      A Santa Croce si vatte la noce.

23)                      Cioppe a ballà e ciavaje a cantà.

24)                      Corpe sazie: dajje repose!

25)                      Quande ‘nci sta la hatte, lu sorge abballe.

26)                      L’albere che nin frutte, attizze.

27)                      Chi je piace lu lette lu ‘spizie l’aspette.

28)                      Chi di ferre fére, di ferre pére.

29)                      Li quatrine fa j ‘acque a monte e a bballe.

30)                      L’ucchie de lu patrone ‘ngrasse lu cavalle.

31)                      A Natale si magne li caciune, a Pasque se magne li fiadune.

32)                      Piagne lu morte: è lacrime perse.

33)                      L’acque chenna piòvete ‘ncìle sta.

34)                      La farine de lu diavele ariò tutte ‘ncanìje.

35)                      Chi joche a lu lotte e spere di vince, lasse le stracce e pije li cince!

36)                      Chi troppe li tire, troppe li stucche.

37)                      Sott’all’acque ci sta la féme, sott’ a la neve ci sta lu pane.

38)                      Ecche lu curallare, femmene: accàttete pepe, carofene, ‘ranète fine, 

                rabbèerbere e chine!

39)                      Abbìje ssi faciule a’rmonne, abbiticchià ssi fronne!

40)                      Donna belle a marità, ‘n Paradise arrivète e a tre jurne maritata na ‘halline                    scinnicàte!

41)                      Meje nu giovine ‘n camiciole che cente vicchie aricamate d’ore.

42)                      Chi te’ rogne carpe, chi te tigne gratte.

43)                      Metté lu cule a lu tommele!

44)                      Lu medeche pietose fa la piaghe cancrenose.

45)                      La mannattare de le monache nnarvinèje.

46)                      Chi te’ pètre nnin pate, chi te’ mamme nnin plagne.

47)                      Ddo’ sta na terra tra muntagne e mare, la nature divente la cchiù care.

48)                      La ggente celebrate de l’Abbruzze ‘ncontre simpatie ogne perlustre.

49)                      L’ammore è nu dolce suspire, c’ogne cchiù bella femmene ammìre.

50)                      Ma lu vere tradetore è nu sguarde de l’ammore?

51)                      Chi dilitte nen ha, de la Corte nin treme.

52)                      Dumane e pisdumàne, passa-vie ca ve’ dumane!

53)                      Chi nnin te’ bona cocce, tè bbone pìte!

54)                      Rénnele ca turnate pare tutt sturdullite!

55)                      Vracce a carijà, vocche a magnà.

56)                      A core stracche, pinzìre fiacche.

57)                      Chiù truve gente gesse, chiù ‘nci pù ma’ cummatte.

58)                      Quanne piagnème, nisciune n’hà pìte!

59)                      Ugne pappahalle si pose arruffate, pronte a la battaje.

60)                      Chi àveze lu varile e se li d scole, jà ‘rmaste pe’ campà poc’anne sole.

61)                      La femmene che lu cule abballe, se puttane nen è regula falle!

62)                      Se l’ommene fa’ funzionà la mente, s’artrove ogne jurne cchiù cuntente.

63)                      Quande l’amicizie t’à scurdate, cunvé cacche vote esse artruvate.

64)                      Matalene, Matalene, nen lassà chi te vo’ bbene, ti vo’ bbene quande Padre, 

                 Fije e Spirte Sante!

65)                      Ciampicune ciampicune arrivé nu puver’ume, le femmene a le porte jome 

                 devé ‘mpo’ di gnocche.

66)                      La hatte che n’arrive a lu larde, dice che è rance!

67)                      Li solde de l’avare se le magne lu sciampagnone.

68)                      Maje sabbate senza sole, maje femmene senza amore.

69)                      Mandricchie e mandricchione fa lu còmete de la patrone!

70)                      Chi fa le facce a fronte, sente ‘ngolle rossore prufunne.

71)                      Maje a la Terra me’ a carpì chi a quelle dill’itre a mète.

72)                      Povere a chi more, c’armàne cambe.

73)                      Fa’ na fatija a patte e stucche.

74)                      Cent’anne e cente mise ognune arvà a lu paese se’.

75)                      Patrie, famije e Ddie pe’ Mazzine ha fatte trie!

76)                      Ddie, Patrie e Mazzine, Patraterne une e trine!

77)                      Gne nu Capudanne arvé nu fije, tutte cose vicchie porte vie!

78)                      Triste è lu discipule che nnavanze lu mastre.

79)                      La femmene è gne lu mare: quande è calme ‘nganne!

80)                      Casa quante nu nide, terre quante ne vide.

81)                      A chi nin piace la cocche e lu vine, pozza murì dumane matine!

82)                      Le Moneche di Santaustìne: ddu cocce e nu cuscine[1].

83)                      Sabbatine, Sabbatine tre piducchie arrète a la schine, une saie, une cale, n’atre 

                 fa da Capurale!

84)                      Pummadore e pipidune l’ardicrie de li cafune.

85)                      Chi te’ cente fijje l’allòche, chi ne te une l’affòche!

86)                      Casa quante nu nide, terre quante ne vide.

87)                      Ggenta triste numunàte e viste!

88)                      Ame l’amiche t’ ‘nche li difetta suo’.



[1] Riferito all’Ordine delle Monache che abitavano ai tempi di Polacchi nel convento di S. Agostino di Penne.