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10 settembre 2023

Antonio Mezzanotte, Giorgio Castriota Skanderbeg.

Giorgio Castriota Skanderbeg, busto nella omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano

GIORGIO CASTRIOTA SKANDERBEG
di Antonio Mezzanotte 

Si dice e si racconta che un giorno infuriava una feroce battaglia tra l'esercito cristiano e quello turco (più numeroso) e che i combattimenti si protrassero ben oltre il tramonto. Fu allora che il comandante dei cristiani mise in atto lo stratagemma che lo avrebbe portato a una strepitosa vittoria: fece radunare un grosso gregge di capre, ordinando di legare due torce accese sulle corna degli animali per farli sembrare uomini che si muovevano nella notte e spronò il gregge contro i turchi; quelli, nell’oscurità, pensarono che andasse loro incontro un immenso esercito di agguerriti soldati e scapparono senza combattere!
Testimonianza di quell'episodio la vediamo tutt'oggi nelle raffigurazioni del comandante cristiano, che indossa un copricapo a forma di testa di capra.
Chi era, quindi, questo personaggio? Giorgio Castriota.
Si dice e si racconta che dopo la sconfitta del padre Giovanni, principe albanese, ad opera del sultano Murad II, Giorgio venne condotto ostaggio ad Adrianopoli, presso la corte ottomana, e costretto a convertirsi all’Islam: per tale motivo, assunse il nome di “Iskander” (che in turco vuol dire “Alessandro” - il riferimento era ad Alessandro Magno) e tale era l’abilità, la forza e la lealtà nei confronti del Sultano che questi lo nominò “Beg” (nobile, principe), da cui l'appellativo "Skanderbeg" (che possiamo tradurre in "principe Alessandro").
Riportò numerose e importanti vittorie alla guida degli eserciti ottomani, divenne così popolare che lo stesso Sultano temeva che aspirasse a prendersi il trono, ma Giorgio pensava ad altro; poco alla volta sentiva il richiamo della propria terra e, in fondo, anche la conversione forzata all’Islam non era stata mai accettata del tutto nel suo cuore.
Si dice che alla vigilia della battaglia di Nis, combattuta il 28 novembre 1443, decise infine di abbandonare il campo (determinando così la disfatta dell'esercito ottomano) e di tornare in Albania con 300 esuli, riabbracciando la fede cristiana. Conquistò in poco tempo tutte le città e le fortezze della regione già occupate dagli invasori e si pose a capo del movimento insurrezionale albanese contro i Turchi.
Da quel momento divenne il più temibile nemico degli eserciti ottomani, i quali, benché di gran lunga superiori di numero e di mezzi, si infrangevano sempre contro le schiere albanesi, che erano favorite dalla conoscenza del territorio e abilmente guidate dal Castriota, il quale, nonostante il ritorno alla fede cristiana e ancorché fosse divenuto il più strenuo nemico degli ottomani, continuò a chiamarsi e a firmarsi sempre con l’appellativo Skanderbeg (forse per ricordare ai soldati turchi che stavano combattendo contro il loro antico, amato e invincibile comandante).
Raggiunta una tregua con il Turco, si alleò con Re Ferrante d’Aragona, che aiutò a difendere la Corona di Napoli dalle rivendicazioni angioine: per tale motivo il Re lo ringraziò investendolo di numerosi feudi in terra di Puglia.
Dovette però tornare ben presto in armi a difesa della sua Albania e si spense di malaria il 17 gennaio 1468.
La nipote più giovane di Skanderbeg, Maria, andò sposa ad Alfonso Leognani, dei baroni di Civitaquana. Da essi ebbe origine il ramo Leognani Castriota, dal quale derivò, per il matrimonio del loro discendente Giambattista con Porzia Fieramosca, sorella di Ettore, eroe della Disfida di Barletta, il ramo dei Leognani Fieramosca, le cui vicende sono da rinvenire nelle storie di Civitaquana, Rosciano, Alanno, Cugnoli, Penne dal XVI al XVIII sec., mentre un altro ramo dei Castriota possedeva Città Sant'Angelo.
Quando nel 1743 giunsero le 18 famiglie albanesi che fondarono Villa Badessa di Rosciano (la più recente e settentrionale colonia arbëreshe), questi territori erano in qualche modo già legati al nome dello Skanderbeg e probabilmente le vicende dei Castriota nell'Abruzzo vestino (ancora poco note e da studiare) stanno a confermare che lo stanziamento badessano non fu affatto casuale, ma diretto e mirato all’interno di una trama di relazioni e interessi fra potentati familiari e militari d’origine albanese o a essi affini, da secoli presenti nell’Italia meridionale, il cui peso fu determinante nelle scelte di Carlo di Borbone nel favorire la nascita proprio di Villa Badessa.

(Nella foto: il busto di Giorgio Castriota Skanderbeg collocato nell'omonima piazza di Villa Badessa di Rosciano - PE, con l'epitaffio TANTO NOMINI NULLUM PAR ELOGIUM (ossia: "a così gran nome nessun elogio è adeguato"), al quale, probabilmente, sarebbe opportuno dare una ripulita!

3 aprile 2021

Elisabetta Mancinelli, La quaresima e la Pasqua in Abruzzo.

Elisabetta Mancinelli, La quaresima e la Pasqua in Abruzzo.

LA QUARESIMA E LA PASQUA IN ABRUZZO
di Elisabetta Mancinelli
La Quaresima, secondo le credenze cristiane, è il periodo preparatorio di astinenza e digiuno della durata di quaranta giorni che inizia il mercoledì delle Ceneri e si conclude con l’ultima settimana detta Santa, ricca di celebrazioni e dedicata al silenzio e alla contemplazione.
Per la gente d’Abruzzo il periodo pasquale è dedicato alla pacificazione e al rinnovo spirituale per questo motivo segue, per atavica tradizione, un complesso di cerimonie e usanze.
Molti sono gli usi e costumi legati a questo periodo. Le consuete pulizie di Pasqua: spazzare la polvere, la fuliggine, la sporcizia in genere, significa per gli Abruzzesi scacciare dalle case anche il male e i malanni. Il Precetto Pasquale, con la confessione e la comunione, era un’altra prerogativa di devozione della gente d’Abruzzo. Ai riti ufficiali, si aggiungono diverse usanze, secondo la loro cultura e mentalità.
Per la purificazione spirituale, concorrono i due elementi principali: l’acqua e il fuoco. I nostri contadini usavano mettere l’acqua benedetta in tutte le vivande, che si preparavano a Pasqua, mentre la parte rimanente era sparsa per casa con un rametto di ulivo benedetto, quando si “scioglievano le campane”. Alcuni usavano berne un mezzo bicchiere, dopo aver mangiato due uova sode, che rappresentano ancora oggi la particolare colazione della mattina di Pasqua . Altri usavano strofinarsi l’acqua benedetta in alcuni punti del corpo, perché ritenuta curativa di febbre, mali di pancia, malie e fatture. Proprio per questo, all’atto della benedizione delle case, sul tavolo, ove si deponeva l’offerta di uova e altro per il sacerdote, non poteva mancare un vassoio con l’acqua da far benedire.
Nella tradizione Abruzzese, e Peligna in particolare, grande importanza riveste l’uso del fuoco, che si ritrova anche in altre ricorrenze. In alcuni paesi si accendevano fuochi nei piazzali delle chiese la notte del Sabato Santo, e ognuno riportava a casa qualche carbone benedetto, per riaccendervi il fuoco il giorno successivo. I resti del fuoco santo erano utilizzati, spargendoli insieme alle ceneri intorno alla casa, oppure in campagna, per allontanare dalle proprietà i malanni e i danni delle tempeste. Si usava, talvolta, mettere un po’ di cenere del fuoco nuovo nell’acqua, per cuocere la minestra oppure come rimedio contro il mal di gola. In pratica il sacro fuoco pasquale aveva il carattere di purificazione ed anche una forza taumaturgica.
Tra dei rituali, la tematica della “Corsa”, elemento profano ereditato dal paganesimo. Seguendo il tragitto della corsa, dopo che la Madonna perde il mantello nero, da cui come per incanto scaturiscono colombe bianche, che volano verso il figlio risorto, i contadini abruzzesi sono soliti trarre buoni o cattivi auspici per l’annata agraria e per la vita quotidiana. Tutto il patrimonio di credenze e usanze descritte risponde al duplice scopo di estirpare il male fisico e morale, accumulatosi durante l’anno e di auspicare la prosperità e l’abbondanza, per il nuovo ciclo che si apre.

PASQUA


La Pasqua, che deriva dal latino ‘pascha’ e dall’ebraico ‘pesah’, è una delle più importanti festività della liturgia cristiana perché celebra la passione, la morte e la resurrezione del suo Messia Gesù Cristo che, sacrificando la propria vita, ha lasciato un grande messaggio di amore, di fraternità e di solidarietà.

LE CELEBRAZIONI


La processione del Venerdì Santo è l'evento principale della Pasqua all'Aquila e ricorda la passione e la morte di Gesù. Alle 19 il corteo, che segue la statua del Cristo morto, esce dalla Basilica di San Bernardino, sulle note del Miserere e si snoda per le vie del centro storico per rientrare, dopo un'ora, in Basilica dove viene celebrata la funzione. I pesanti simboli della passione di Gesù, che accompagnano la statua del cristo morto, sono stati realizzati dal pittore e scultore aquilano Remo Brindisi.


Una delle celebrazioni più suggestive d’Abruzzo si svolge a Chieti il giorno del Venerdì Santo: la Processione del Cristo Morto. Di origini medievali, la manifestazione è curata nel suo allestimento solenne dall'antica Arciconfraternita del Sacro Monte; i partecipanti vestiti a lutto procedono seguendo il ritmo scandito dalla “troccola”, uno strumento di legno che, durante la Settimana Santa, sostituisce le campane. Viene poi cantato il “Miserere”.

Ma rappresentazione più antica, più bella e più celebre a cui si può assistere nella nostra regione è “La Madonna che scappa in piazza” che si tiene nella mattinata di Pasqua a Sulmona e si svolge nello scenografico "teatro" di Piazza Maggiore gremita di folla. Intorno a mezzogiorno, ad un segnale convenuto, la Madonna, che non crede alla notizia della Resurrezione del Figlio, inizia a correre sempre più veloce fuori dalla chiesa, perde il manto nero e mostra la preziosa veste verde ricamata in oro.

Nella sua mano compare, quasi per incanto, una rosa rossa: scoppi di mortaretti, dodici colombe bianche compaiono e volteggiano nel cielo, le campane suonano a festa. L'incontro della Madonna e l’abbraccio con Gesù risorto è il momento più toccante che segue un antichissimo rituale.


Le celebrazioni sacre a Lanciano si svolgono in diversi tempi. La sera del giovedì inizia una processione notturna che sosta nelle chiese dove sono allestiti i Sepolcri, il venerdì nella processione compaiono i “Misteri”, i canti corali, il “Miserere” e la figura del cireneo, impersonato da un membro della Confraternita che, scalzo ed incappucciato, porta la Croce, infine il giorno di Pasqua a mezzogiorno in punto, si ripete l'antica cerimonia de "L'incontro dei Santi", ossia tra le statue della Madonna, del Cristo e di San Giovanni, accompagnate dai fedeli. Nel corso della processione per le vie del centro cittadino, la Madonna apprende la resurrezione del Figlio. Al termine della Sacra Rappresentazione le statue vengono collocate nella Cattedrale, dove resteranno fino a mezzogiorno di martedì, quando vengono portate a spalla dai Confratelli delle Congreghe e fanno ritorno alle rispettive parrocchie fino all'anno successivo.

Teramo, nelle ore mattutine del Venerdì Santo, si svolge la tradizionale processione della "Desolata", la cui origine si fa risalire al 1260. E' la devota rappresentazione paraliturgica della Madre che va alla ricerca angosciosa del figlio condannato a morte. Il corteo si avvia con la sola statua dell’Addolorata per un giro delle "sette chiese". Inizia da quella di Sant’Agostino e termina all’Annunziata dove trova il Cristo Morto giacente su un ’artistica bara. E’ una commovente manifestazione di religiosità popolare, con gli uomini che indossano la tunica nera e recano la croce, mentre le donne velate e in gramaglie trasportano la statua della Madonna.


Villa Badessa, una frazione del comune di Rosciano, vive sin dalla prima meta' del XVIII secolo una piccola colonia italo - albanese. Ancora oggi gli albanesi di Villa Badessa conservano il loro idioma e continuano a seguire la liturgia di rito greco - bizantino. Le cerimonie iniziano con gli "enkomia", il pianto delle donne durante la veglia sulla icona della deposizione di Cristo. Nelle ore notturne che precedono la domenica di Pasqua, il papas, che reca l'icona della Resurrezione, esce in processione fuori della chiesa, seguito dai fedeli che illuminano con candele le ultime ore della notte. All'alba il papas canta il primo verso del Vangelo secondo Giovanni ed intonando canti di gioia rientra in corteo nella piccola chiesa.

"Il Bongiorno" è un'antica tradizione legata alla Pasqua del paese di Pianella (Pescara) che trae origine “dall'omaggio", che i signorotti Longobardi pretendevano dai propri vassalli. Durante la giornata di Pasqua e durante la notte che precede il Lunedì dell'Angelo, cantori e suonatori in costume medievale, accompagnati da trombe, tamburi e piatti, girano per le vie del paese, portando il saluto del "Buongiorno" sotto le finestre dei cittadini a cominciare da quelli più' importanti, come il sindaco e altre autorità'. I canti sono, in genere, improvvisati e adattati alle circostanze ed ai personaggi.


A Gessopalena (Chieti) il mercoledì' e il venerdì, si svolgono processioni con quadri viventi nell’ incredibile scenario del vecchio borgo. Suggestiva è la Passione vivente del mercoledì Santo: tutti gli abitanti del paese vi partecipano proponendo scene della Passione di Cristo, il tutto negli angoli più belli del paese. Il dramma si conclude con Crocifissione ed il pianto delle Marie.


Ancora diffusa è l’usanza abruzzese di recarsi il Lunedì dell’Angelo presso un santuario o chiesa rurale, lontano dai centri, per ragioni non solo religiose, ma anche ludiche. Tale evento assume l’aspetto di una gita fuori porta, per consumare i cibi di rito. Nell’area Peligna si chiama “a passà l’acque”, che richiama il passaggio del Mar Rosso, oppure quello dell’angelo innanzi alle case degli ebrei, tinte con il sangue d’agnello.
Il martedì dopo Pasqua si svolge ad Orsogna  in provincia di Chieti, la “Festa dei Talami”, in onore della Madonna Nera. Si tratta di una sfilata di carri, su ognuno dei quali, viene rappresentato un quadro vivente ispirato ad episodi del Vecchio e Nuovo Testamento. Il carro che chiude la processione è carico di covoni di grano del raccolto dell'anno precedente ed è detto il “carro del dono”, poiché il suo contenuto viene offerto alla Madonna.


Tradizione culinaria pasquale

In Abruzzo la Pasqua è anche caratterizzata da riti “gastronomici”: i fiadoni, cibo tipicamente abruzzese sia salato che nella variante dolce, il pane di Pasqua e dei dolci tipici della tradizione abruzzese fatti per lo più di pasta di mandorle, ricoperti da uno strato di confettini colorati, a cui vengono date le forme della pupa, per le bambine, del cavallo, per i maschietti, e dei cuori che vengono regalati dai fidanzati. In alcune zone si producono dolci a forma di ciambella che nella forma rievocano la corona di spine portata sul capo da Cristo. C’è una forte presenza di simboli chiaramente pasquali nella cucina di questi giorni festa: l’agnello simbolo del sacrificio, i dolci a forma di colomba emblema della pace, e l’uovo di cioccolata o sodo decorato con disegni. L’uovo è da tempi immemorabili simbolo di rinascita e fecondità ed è largamente utilizzato nella preparazione di pietanze della nostra tradizione. Nell'iconografia cristiana, è il simbolo della Resurrezione, il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente. Secondo antiche credenze pagane e mitologiche, invece il cielo e il pianeta erano considerati due emisferi che creavano un unico uovo. Per gli antichi Egizi, l’uovo era il fulcro dei quattro elementi dell’universo : acqua, aria, terra e fuoco. La tradizione di donare le uova, invece, iniziò ben prima della nascita del Cristianesimo, già i Persiani infatti usavano scambiarsi uova di gallina per dare il benvenuto alla primavera, con riti per la fecondità ed il rinnovamento della natura; seguiti nel tempo da altri popoli antichi quali gli Egizi, che consideravano il cambio di stagione una sorta di primo dell’anno, i Greci e i Cinesi. L’uovo ha sempre rappresentato la vita che si rinnova. Non è casuale che gli antichi Romani usassero dire:“Omne vivum ex ovo”, seppellendo un uovo dipinto di rosso nei loro campi, come rito propiziatorio per il buon esito del raccolto.

Con l’avvento del Cristianesimo, molti riti pagani vennero recepiti dalla nuova religione; la stessa festività della Pasqua risente ancora di influssi antichissimi: cade, infatti, tra il 25 marzo ed il 25 aprile, ovvero nella prima domenica successiva al Plenilunio che segue l’Equinozio di primavera. L’usanza dello scambio di uova decorate si sviluppò poi anche, nel Medioevo come regalo alla servitù. Nello stesso periodo, l’uovo decorato, intrecciandosi con il Cristianesimo, divenne il simbolo della rinascita dell’Uomo, di Cristo. La diffusione dell’uovo come regalo pasquale invece sorse probabilmente in Germania quando, fra i tradizionali doni di Pasqua, comparve il regalo di semplici uova.

Sempre nel Medioevo, si diffuse la tradizione di creare uova artificiali fabbricate o rivestite in materiali preziosi: argento, platino o oro, destinata agli aristocratici e ai nobili. Ma la ricca tradizione dell’uovo decorato è dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar dell’epoca il compito di preparare un dono speciale per la zarina Maria. Per l’occasione, l’orafo creò il primo uovo-gioiello, di platino, smaltato di bianco, contenente un ulteriore uovo, in oro con due doni: una riproduzione della corona imperiale ed un pulcino d’oro. La fama che ebbe il primo uovo di Fabergé contribuì anche a diffondere la tradizione del dono all’interno dell’uovo. L’uso di ornare l’uovo di Pasqua con decorazioni variopinte ha origini religiose antichissime: secondo la leggenda, Maria Maddalena, recatasi al sepolcro di Gesù insieme ad altre donne, avendolo trovato vuoto, corse alla casa nella quale si trovavano i discepoli, annunciando la straordinaria notizia. Il discepolo Pietro la guardò incredulo e poi disse: “Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse”: improvvisamente le uova si colorarono di un rosso intenso. In tempi più recenti, l’uovo di Pasqua per eccellenza è il classico uovo di cioccolato, la cui nascita è ancora incerta Secondo alcuni storiografi il primo a far realizzare le uova di cioccolato fu Luigi XIVsecondo altri l’idea proviene dalle Americhe, ossia da dove la pianta del, il cacao, è originaria.



Giovanni Chiola, poeta dialettale loretese, nel volume "Li feste arcunusciute" pubblicato nel 1965, fa un excursus di tutte le feste tradizionali di Loreto e delle tradizioni ad esse legate. Tra queste vi è una poesia dedicata proprio all’uovo:


Avorie e argente di li live ‘nfiore
pi li culline azzenne gnè nu vele.
Trapuntate di verde e di sbiannore.
Finite lu diune, pure st’anne.
Lu console vè press’allu dolore!
Nnienz’alla tavul’all’impete armane.
Lu padre e ‘ntorne adune la famije,
tè l’ove benedette ‘nchi la mane
‘nchi l’atre fa la croce e ‘ntone piane
nu pateravegloria, nchi li fiie,
e fa la Sante Pasque da cristiane.


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
email: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato.

Da: Storia e Storie d'Abruzzo

23 novembre 2020

La colonia albanese di Villa Badessa a Rosciano (PE).

 



La colonia albanese di Villa Badessa risulta tra le più recenti trasmigrata in Italia, tenendo conto che altre comunità erano stanziate in Calabria, Sicilia, Molise, Puglia, già dal secolo XV. 
Provenienti dall’Epiro, storica regione a sud dell’Albania, originari dei villaggi di Piqèras, Ljukòva, Nivizza, per sfuggire all’oppressiva egemonia e persecuzione religiosa dei turchi, si stanziarono in Abruzzo nel 1743. 
La comunità "arberesch" di Villa Badessa trovò accoglienza ed ospitalità nel Regno di Napoli, sotto il re Carlo III di Borbone che dapprima li sistemò provvisoriamente nel tenimento di “Bacucco”, dipendente dal feudo di Penne, poi nel territorio di Pianella. Qui il Sovrano assegnò loro terreni ereditati dalla madre, Elisabetta Farnese, terreni in località Piano di Coccia e appezzamenti tenuti in enfiteusi dalla famiglia Taddei che a Pianella, dove abitava, era conosciuta col soprannome di “Abbadessa”, da cui deriverebbe il nome ”Villa Badessa”. 
Da atti notarili dell’epoca si rileva con esattezza che le famiglie albanesi giunte nel territorio di Pianella erano 23 (18 nel 1743 e 5 nel 1748) di cui sono noti i cognomi dei capi-famiglia, i terreni assegnati, gli approvvigionamenti, nonché le condizioni e le garanzie da osservare verso la Casa Reale. 
Oltre all’“assegnazione” gratuita di complessivi tomoli 793 di terreno (320 ettari) il Sovrano fornì alle famiglie anche tutto il necessario per vivere, denaro e mezzi per il mantenimento delle stesse, concedendo inoltre l’esenzione per 20 anni da ogni censo dovuto alla Casa Reale. 
A conferma dell’epoca dell’arrivo della comunità arberesch in Abruzzo, da un vecchio registro dei battezzati, presente nella casa canonica, si evince che l’annotazione del primo battezzato reca la data del 18 novembre 1743.



                 
                       

Per approfondimenti: Villa Badessa