P.
DOMENICO MARIA D’AMICO DA S. EUFEMIA O.F.M. – NEL 50° ANNIVERSARIO DEL TRANSITO
(1943-1993) – IL SANTO COSTRUTTORE DI CHIESE
di
Angelo Iocco
Nella
Biblioteca del Convento dell’Osservanza della Santissima Annunziata del Poggio
a Orsogna, si conserva un dattiloscritto inedito dal titolo Storia del Convento della Ssma Annunziata di
Orsogna, a firma di Vincenzo Simeoni. Fratello maggiore del sindaco Tommaso
Simeoni (1904-1994) che ricostruì Orsogna, Vincenzo si occupò da subito di
studi classici e religiosi, e condivise il Collegio col celebre storico P.
Aniceto Chiappini di Lucoli, come riporta in questi appunti, e si adoperò per
la pubblicazione di diversi articoli su riviste romane e umbre sui francescani
abruzzesi e le figure di spicco di Orsogna. Memorabile il suo intervento sulla
festa dei Talami a Orsogna, letto al VII Convegno Internazionale delle Tradizioni
popolari tenutosi a Chieti nel 1957 per volere del prof. Ernesto Giammarco e
Francesco Verlengia.
In
questo capitolo, leggiamo la storia del francescano Padre Domenico Maria
D’Amico da Sant’Eufemia a Maiella (1886-1943), dell’Ordine Osservante, che si
adoperò con pochissimi mezzi e con tanta Fede, per la ricostruzione di diverse
chiese abruzzesi in abbandono, e la fondazione di nuovi Conventi
dell’Osservanza nel chietino e nel pescarese. Molte notizie sono tratte dal
Simeoni, dal volume di P. Donatangelo Lupinetti: P. DOMENICO MARIA D’AMICO IL
FRATE MATTONARO, Pescara 1993.
Ecco
il testo del dattiloscritto inedito:
Questa attraente Figura d’Apostolo francescano, nacque il 25 agosto 1864 da Ercole D’Amico e Filomena Tonto a S. Eufemia a Maiella, dove crebbe come un Giglio profumato. Circondato dall’affetto dei genitori, del fratello Giocondino e dalla sorella Maria Giustina, passò la sua innocente fanciullezza e casta gioventù nell’aiutare suo padre sacrestano. A 12 anni ebbe il primo incontro con Gesù, che con il lavorio della sua grazia man mano lo preparò alla sua futura missione. Gli fu di valido aiuto il buon Arciprete d. Gioacchino Cerretani il quale, conoscendone la bontà, la vivida intelligenza e le disposizioni, prese a coltivarne la mente e il cuore, quasi presago del suo avvenire. Domenico si prestava a quel provvidenziale insegnamento anche quando l’Arciprete fu trasferito a Villa Reale[1], facendo chilometri a piedi, e spesso vi rimaneva per apprendere lezioni di Religione, cultura generale e latino. E per non essere in aggravio al suo benefattore, la sera studiava alla fioca luce del Sacramento, davanti al quale poi profondeva dolci colloqui d’amore.
In
quella favorevole atmosfera, nacque in lui la vocazione sacerdotale, nonostante
i continui richiami del mondo fallace e ingannatore e la propaganda
anticlericale che allora si propagava nella nostra Penisola. Il suo sogno
andava man mano maturando nel suo animo tra quei monti suggestivi, risonanti
del murmure delle acque e degli alberi secolari, anzi fu forse quell’ambiente
mistico che gli suggerì di chiudersi in un Convento per meglio servire il
Signore nel silenzio del chiostro. Nell’anno 1866 i Conventi erano stati chiusi
per legge, e i poveri Religiosi dispersi come fuscelli al vento, non sapendo quindi
come realizzare il sogno tanto caro, egli si raccomandò alla sua cara Madonna
la quale venne preso in suo aiuto.
Fortunatamente
il 13 luglio 1885 si riaprì il Ritiro di Orsogna ed allora il giovane decise di
lasciare il suo paese per seguire la voce di Dio. non l’attrasse il vicino
Convento di Tocco Casauria, posto come sentinella avanzata del francescanesimo
allo sbocco della valle che divide l’imponente Maiella dal Morrone, santificato
da S. Pietro Celestino e dai suoi Monaci.
Eppure, un mistico come lui avrebbe dovuto preferire quel baluardo
serafico che dalle falde del Morrone domina un vasto orizzonte che si estende
dalla sottostante Gola di Popoli sino all’azzurro Adriatico, e oltre il superbo
Gran Sasso, ai cui piedi il 27 febbraio 1862 era morto Gabriele
dell’Addolorata, il Santo del sorriso “Stella dell’eternità senza fine”.
Fondato nel 1470 dal Comune di Tocco in onore di S. Francesco e di S. Giovanni da Capestrano che si era spento il 23 ottobre 1456 a Ilok dopo la sua splendida vittoria di Belgrado sui Musulmani, vantava un glorioso passato ed era la Sede capitolare dei Francescani d’Abruzzo. Chiuso nel 1811, ma riaperto il 13 marzo 1816, era rimasto a svolgere fortunatamente la sua piena attività anche dopo il 1866, nonostante avesse subìto la dispersione della ricca biblioteca. Certamente l’aveva salvato il potente mistico nome di S. Maria del Paradiso! Potenza della Madre di Dio!
A
21 anni, il giovane Domenico lasciò i suoi cari monti, testimoni della sua
ascesi mistica, per dirigersi verso il lontano Ritiro di Orsogna fondato nel
1448 da S. Giovanni da Capestrano. Era stato chiuso improvvisamente dal Delegato
di pubblica sicurezza il 14 gennaio 1864, l’anno di nascita di Domenico, ma
riaperto il 13 luglio di quel fatidico anno 1885, che segnava l’inizio di una
nuova vita per il Missionario. Che meravigliosa coincidenza! In quell’arco di
tempo egli aveva maturato il suo bellissimo sogno che doveva rivelarsi radiosa
realtà. Superando i meravigliosi Monti della Maiella, giunse a Caramanico per
rifocillarsi di un boccone. Quel giorno era venerdì, ed egli senza rispetto
umano, chiese al locandiere cibo di magro, tra le beffe di alcuni giovinastri
che vomitarono ingiurie contro il Papa e tutto ciò che vi era di veramente
bello e sacro.
Ma il giovane non si lasciò intimorire, anzi con santo ardore ma calmo e risoluto, redarguì quella povera gente. Egli stesso poi raccontò che appena seppe che quei giovani erano di Pescara, pensò fra sé:
“Ah,
un giorno dovrò, e vorrò lavorare a Pescara!”
Quel
santo proposito divenne in seguito brillante realtà. Proseguendo il suo
cammino, Domenico giunse al Convento francescano di Roccamontepiano, dove sostò
in devota preghiera davanti alla tomba del Ven. P. Vincenzo da Macerata il
quale dopo aver santificato la sua vita ascetica e penitente al Convento di
Orsogna, era venuto a morire in questa località il 7 aprile 1799, per non essere
“disturbato nel suo raccoglimento dai continui litigi e scorrerie tra i
Guardiesi e gli Orsognesi”. Felice incontro di due Anime elette, foriero di
lieti presagi!
Dall’alto
di quei monti, il giovane Domenico rimase estatico ad ammirare il meraviglioso
panorama luminoso che si estende a perdita d’occhio fra i colli e le valli. Il
suo sguardo fu attratto dall’abitato di Orsogna adagiata su un ameno altipiano
degradante verso l’Adriatico, poi si fermò al Conventino non più incorniciato
dalla Selva secolare, ormai distrutta dalla “voracità dei nuovi possessori”
durante l’iniquo allontanamento dei Frati. Lo rimirò a lungo, lo carezzò
dolcemente come cosa da tanto tempo sognata, e sospinto da una forza arcana, si
diresse verso quel caro nido di cuori e di anime, mistico approdo di
innumerevoli persone desiderose di pace e di raccoglimento, la cui fama aveva
varcato gli angusti confini della Regione. Dio e la Madonna guidavano i suoi
passi, il desiderio metteva le ali ai suoi piedi. Una voce misteriosa cantava
nel suo cuore. Era la stessa voce che aveva chiamato da remote terre a Orsogna
una falange di Religiosi, la stessa voce arcana che vi aveva attratto dalle
lontane Marche il Ven. P. Vincenzo da Macerata, la stessa calamita che vi aveva
sospinto dal Molise il Ven. Lodovico Riccelli da Gildone e Fra Francesco da
Liscia, che vi aveva attratto i Beati Cristoforo e Pietro da Penne e il famoso
P. Francesco de Acetis da Caramanico, il quale nel 1742 aveva trasformato
questo Sacro Luogo in Ritiro.
Il
nostro Conventino era divenuto faro luminoso di orientamento, porto sicuro di
salvezza, l’approdo comune delle anime sitibonde d’amore, di fede e di
olocausto “nido di Aquile e di Santi”. O felice Ritiro tanto ricercato,
desiderato, sospirato come fonte refrigerante, punto di riferimento e
d’attrazione, luogo ideale di pace, silenzio, meditazione, di slanci mistici,
inenarrabili colloqui d’amore con il Re dell’Universo e la Madonna. Sii tu
benedetto nei secoli!
Hai
attirato tante anime che ti hanno amato e sospirato, ma non ancora il poeta e
cantore che esalti in eterno la tua gloriosa storia e il tuo fascino
meraviglioso.
MARTIRE
DI DESIDERIO
Domenico
fu ricevuto a braccia aperte dal Provinciale P. Luciano Bucci da Castelfrentano
e dal P. Marcellino Cervone da Lanciano, ai quali chiese di essere accolto come
semplice laico per passarvi una vita umile, nascosta e di abnegazione,
completamente dedita al servizio del Signore, della Madonna e del prossimo,
della Chiesa e dell’Ordine francescano. Nonostante possedesse una discreta
cultura, era alieno da qualsiasi ambizione, perché per lui “Religioso tanto è
il Ministro Generale quanto il fratello cuoco”. Voleva soltanto santificarsi.
Ma i Superiori, resisi edotti della sua buona volontà, della sua viva
intelligenza e dei suoi buoni propositi, gli impartirono quella cultura
sufficiente per avviarlo al Noviziato.
Domenico
studiava con impegno e amore per poter essere in grado di svolgere il futuro
ministero sacerdotale, in quel periodo in cui la lotta alla Chiesa era
particolarmente accesa. La notte si rifugiava nella Chiesa illuminata dalla
semplice lampada del Sacramento. Allora egli stesso diveniva un cero acceso che
si struggeva in dolci colloqui d’amore per il Signore e la sua Ssma Madre, per
la quale provava tenerissima devozione. Al divertimento e allo svago preferiva
l’adorazione e la meditazione con tutto l’entusiasmo dei suoi giovani anni e
l’abbandono della sua anima appassionata. In quelle dolci ore gli facevano
corona tutte le anime elette che durante i secoli si sono santificate in quel
caro Ritiro, ma in particolare il B. Cristoforo da Penne e i Venerabili
Ludovico da Gildone e Francesco da Caramanico. Una falange nota soltanto al
Signore!
È
stato scritto che il 14 luglio 1887 Domenico abbia indossato le sacre lane nel
Convento di Campli, e l’anno dopo sia ritornato a Orsogna. Questa affermazione
non mi sembra esatta, in quanto da tempo immemorabile il Noviziato funzionava a
Orsogna, dove nel lontano 1856 vi ricevette l’abito anche lo storico P.
Marcellino Cervone, passandovi l’anno di prova. Il 14 luglio 1888 Fra Domenico
emise i voti temporanei. Mortificandosi nello studio indefesso, nella
solitudine e nel silenzio del chiostro, indispensabile atmosfera dello spirito,
e gli si perfezionò l’anima la mente
nell’attesa spasmodica di ascendere un giorno non lontano l’Altare, il Sacro
Monte di Dio.
In
particolare ricevette una buona preparazione in Sacra Eloquenza, dall’illustre
oratore forbito ed efficacissimo P. Luciano Bucci, il quale poi fu nominato
Vescovo di Sora e Agnone. Il 17 gennaio 1890 professò solennemente a Orsogna,
pronunciando con impegno la sacra formula:
“Mio
Bene assoluto, unico, sarò, voglio essere tutto vostro sino alla morte. Sì. Io,
Frate Domenico Maria da Sant’Eufemia fo’ voto e prometto a Dio Onnipotente,
alla Beata Maria sempre Vergine, al Beato Padre nostro Francesco e a tutti i
Santi di osservare per tutto il tempo di mia vita la Regola dei Frati Minori,
confermata dal Signore Papa Onorio, vivendo in obbedienza, povertà, castità”.
Spuntò
finalmente l’alba del giorno tanto desiderato. Il 2 febbraio dello stesso anno
nella Cattedrale della Madonna del Ponte di Lanciano per le mani del Vescovo
Mons. Petrarca, si diffuse sul nostro giovane lo Spirito Santo con le prime
note di un cantico di Fede e Amore:
“Tu
es Sacerdos in aeternum!”
Queste
sublimi parole, che si ripercuotevano continuamente nel suo animo commosso,
vibravano come una sinfonia che l’esaltava, l’affascinava, l’inebriava…Era
musica alta, solenne, meravigliosa che l’accompagnò per tutta la vita come
riflesso di quella divina che poi doveva godere nella gloria dei Cieli. Per la
sua grande umiltà, avrebbe voluto sprofondarsi, e invece si trovava elevato ai
piedi di Dio da una voce arcana, gioiosa, che cantava nel suo cuore ardente.
Quel giorno si celebrava la festa della Candelora, mentre le candele si
accendevano per commemorare la sacra ricorrenza, egli ascoltava rapito
l’immenso inno augurale liturgico:
“Luce
che illumina le genti e gloria d’Israele, tuo popolo”.
Egli
era invaso da quella Luce di Verità e Salvezza, anzi egli stesso era divenuto
Luce, per illuminare il mondo diviso. Veniva consacrato e chiamato per
diffondere la Luce del Cristo in questo modo ancora paganeggiante dopo tanti
secoli di cristianesimo. Lumen Christi! Egli doveva essere apportatore di
quella Luce.
Raggiante
di gioia, il giorno seguente salì per la prima volta l’Altare del Signore al
Convento di Orsogna circondato dall’affetto di parenti e amici. Su questo Sacro
Monte, dove l’umano e il divino s’incontrano, si abbracciano, si fondono, egli
divenne il “terrenus Deus”, mentre le campane sonavano a gloria e l’organo
seguiva ad inondare gioiosamente la Chiesa delle note solenni e sublimi:
“Tu
es Sacerdos in aeternum!”
Con
questa festa nell’anima, con questa meravigliosa musica nel cuore e con questi
fervidi sentimenti, Egli iniziò la sua intensa vita di apostolato, con il
vivissimo desiderio di portare la Luce del Vangelo nella lontana e misteriosa
Cina, ancora avvolta dalle tenebre del paganesimo. Lo divorava l’ansia di
fecondare con il suo sangue quella terra dove imperversava contro la Chiesa una
lotta furibonda, che culminò con l’orrenda strage dei Religiosi avvenuta nel
1900. Fra le migliaia di Martiri si distinse il francescano Beato Cesidio da
Fossa abruzzese, il quale fu bruciato vivo mentre si apprestava a salvare
eroicamente il Santissimo da quegli energumeni, imitando così il giovanetto S.
Tarcisio (4 luglio 1900). Ma l’ardente desiderio del P. Domenico, che avrebbe
coronato degnamente la sua vita dedita completamente alla santa causa, non fu
appagata in quanto la sua opera era indispensabile nella nostra Provincia
serafica in lenta, ma sicura ripresa dopo l’infausta, brutale iniqua e
dispersione dei Religiosi avvenuta nel 1866.
Egli
allora si convinse che si poteva ugualmente servire il Signore con lo stesso
ardore ed abnegazione nell’Abruzzo, divenuto terra di missione a seguito della
propaganda anticlericale che infuriava nella nostra bella Italia non meno di
oggi. Infatti il 12 gennaio 1904 scriveva:
“Quando
io vidi i bisogni di questi cari Teramani, mi passò la voglia di andare in
Cina. Qui devo fare una grande missione di opere. Finora però non ho fatto che
poco o niente di bene qui….Sto preparando il terreno, spero di fare assai a maggior
gloria del Ssmo Signore Gesù”.
Soleva
ripetere:
“Oh
quanto è dolce e soave fare sempre sempre la volontà del Padre Celeste!”
In
altre occasioni esclamava:
“Vale
più una goccia di rassegnazione e di obbedienza che un vaso colmo della più
alta devozione!”
Queste
frasi dipingono perfettamente la sua anima pronta a qualsiasi sacrificio e
abnegazione della sua volontà. Rimase quindi Martire di desiderio!
MISSIONARIO
APOSTOLICO
Padre Domenico divenne missionario apostolico, consolatore, direttore dello spirito, confessore. La sua preparazione avveniva ai piedi del Crocifisso il di cui Sangue gli infondeva tanto ardore mistico, eloquenza ed attività indefessa. Perciò la sua predicazione acquisiva un fascino particolare sui fedeli che accorrevano numerosi ad ascoltare la sua oratoria ardente e appassionata. Si rimaneva avvinti da questo uomo straordinario disceso dalle alte vette innevate della Maiella per portare alle anime ed ai cuori inariditi una fresca ventata di spirito, la limpidezza del suo cielo azzurro, l’armonia dei boschi profumati, la pace solenne dei monti suoi mistici e suggestivi. Egli inondava l’Abruzzo di una nuova primavera religiosa con tutto l’incanto dei suoi svariati fiori profumati e delle dolci aure francescane.
Chiesa
di S. Lorenzo a Marruci di Pizzoli – L’Aquila, dove P. Domenico prestò servizio
presso i poveri.
Dio
si servì di questo umile montanaro per sconfiggere clamorosamente gli
anticlericali di allora non con la sapienza umana, ma con linguaggio semplice e
suggestivo, dotato di mirabile forza di persuasione per combattere ed estirpare
gli errori, ristabilire la verità, risollevare gli animi sfiduciati, ravvivare
la fede sopita, infiammare i cuori, additare nuove mete e nuovi orizzonti
aperti dall’Amore. dotato di arcano afflato, divino e animato dalla profonda
visione della grandezza dell’uomo, egli seppe infondere al Popolo Abruzzese un
ricco fermento di spiritualità, un grande soffio innovatore e di rinascita
religiosa. La sua parola ardente formò una magia sulla sua figura, il mito
dell’eloquenza singolare e travolgente, alle volte fiorita di accenti e frasi
dialettali per far comprendere meglio i suoi argomenti al popolo che pendeva
dalle sue labbra.
Sembrò
di tornare ai tempi lontani di S. Bernardino da Siena, il famoso oratore
francescano nelle pubbliche piazze e dai pergami d’Italia e della Svizzera,
affascinava le folle con la sua eloquenza potente, la sua arguzia, i suoi motti
espressivi (8 settembre 1380 – 20 maggio 1444).
Rimasero
famose le missioni che il P. Domenico svolse durante l’Anno Santo del 1900. I
parroci facevano a gara per disputarselo. Con il suo devoto Crocifisso di
grandezza naturale e la statua dell’Addolorata, che poneva presso il palco,
passava di paese in paese, ascoltato con crescente interesse, ottenendo
clamorose conversioni. Orsogna, Corropoli, Arielli, Roccascalegna, S. Pio delle
Camere, Taranta Peligna, Castrovalva, Morro d’Oro, S. Lorenzo di Pizzoli,
Giuliano Teatino, Rapattoni, Nepezzano, Poggiofiorito e molti altri paesi
d’Abruzzo. Innumerevoli campi di rigogliose messi che biondeggiavano in modo
meraviglioso. Fu un avvenimento straordinario rimasto ancora vivo nella memoria
di queste popolazioni.
Non
conosceva riposo: esercizi spirituali, ritiri, prediche, esortazioni,
confessionale, concedendosi soltanto pochissime ore di sonno, assolutamente
insufficienti per la sua intensa attività, tanta era l’ansia che lo divorava.
Una volta con indomabile ardore apostolico, compì 6 ore di viaggio per
confessare un infermo, nonostante la stanchezza fisica (10 aprile 1912). Poteva
ripetere con l’indimenticabile S. Pio X:
“Da
mihi animas, cetera tolle!”
La
sua parola ardente suscitava nuovi apostoli che accrescevano numerosi ai
Collegi Serafici, ai Seminari e al Noviziato di Orsogna per seguire con umiltà
assoluta la causa del Signore. Intanto Cielo e Terra si univano per esaltare e
magnificare la sua Figura. Il giornale La
provincia di Teramo del 25 ottobre 1900 pubblicava la seguente
corrispondenza da Nepezzano:
“È
stato un vero avvenimento per questo paese la Missione per che per 10 giorni vi
ha tenuto il nostro P. Domenico da S. Eufemia, invitato dal nostro parroco d.
Ermete. La fama di vita illibata e pura dell’umile Fraticello sin dal primo
giorno valse ad attirare nella Chiesa una grande folla di ogni condizione di
tutti i paesi vicini, la quale è andata sempre più crescendo, aumentando in
modo che una buona parte dell’uditorio durante le prediche degli ultimi giorni
è stata costretta a rimanere nel piazzale della Chiesa. La parola facile,
convincente, e direi quasi magica di P. Domenico affascinando le menti e i
cuori, ridesta in modo meraviglioso il fervore religioso anche in quelli che
non sono stinchi di santi. Anzi uno di essi alla fine della predica di lunedì,
mi ha sussurrato all’orecchio: “Padre Domenico
è davvero una potenza! Egli in dieci giorni ed anche meno varrebbe a rigenerare
la più vasta Parrocchia depravata!”. Vi sono stati innumerevoli conversioni
con Comunioni generali”.
Il
giornale Centrale di Teramo, del 30
aprile-1 maggio 1901 pubblicò da Morro d’Oro:
“Dal
21 qui in Morrodoro è stata aperta la Missione del Giubileo fino al 28. Oratore
il noto P. Domenico della Chiesa di S. Antonio. Chi non ha assistito alla Sacra
Missione del Giubileo, non può formarsi un’idea del fascino esercitato sulla
folla da P. Domenico con la sua parola calda ed eloquente nella sua semplicità.
Egli parla il vero linguaggio della Fede. Bisognava vedere come accorreva alla
Chiesa ad udire il Frate, la folla che pendeva dalle sue labbra! Giovedì scorso
furono distribuite 200 Comunioni, Venerdì 1.200. la sera di Sabato funzione
solennissima, indimenticabile nella Chiesa dove si accalcavano più di 2.500
persone accorse da tutti i paesi vicini.
Padre
Domenico, vera tempra di Religioso, ha lasciato qui un’impressione profonda…Egli
ha ritemprato la vera Fede che scende dolce al cuore e confortatrice
dell’anima, la Fede che parla nel linguaggio di Dio e dell’uomo, scuola di
Religione e di morale!”
La
fama della sua oratoria potente, efficace e persuasiva, giunse alla santa Sede,
che lo nominò Missionario Apostolico all’età di 30 anni. Con le conversioni
fiorirono grazie e miracoli. Ai fedeli di Pescara che si recavano a S. Giovanni
Rotondo per avere luce e conforto l’indimenticabile Padre Pio da Pietrelcina,
diceva:
“Perché
venite da me? Non avete forse Padre Domenico? Andate, andate pure da Lui. Egli
è un Santo!”
Soltanto
un Santo può conoscere un salto Santo. Quindi è veramente preziosa questa
confessione dello Stimmatizzato del Gargano verso P. Domenico, vero Serafino il
quale dal Crocifisso riceveva ispirazione per le sue infocate prediche e per la
sua intensa attività. Soleva esclamare:
“Date
per me un bacio al Crocifisso. È lui il grande Missionario che in ogni parte
del mondo converte infinite anime…Aiutatemi a ringraziare l’infinita
Misericordia del Crocifisso…Mi viene da piangere quando penso alla sua infinita
bontà!”
Era
un’anima poetica e appassionata che tutto operava nel nome della Vittima Divina
verso la quale aveva una singolare predilezione. Quanto tempo passava davanti
al Sacramento volando con il pensiero ai dolci colloqui d’amore effettuati
nella mistica Chiesetta del Convento di Orsogna.
“Nel
ciborio – esclamava – non vi è forse tutto? Gesù e nel ciborio….Dunque un
ciborio è Gesù…Dunque è Gesù, si può lavorare”.
Sono
sublimi espressioni d’affetto, tenerezza, confidenza che riflettono i
sentimenti dai quali era animato e lo spingevano alle vertiginose vette della
santità. Nel contempo, provava una tenera devozione verso la Madonna che
chiamava Dolcissima Signora, Madre Superiora, Divina Madre, Ssma Vergine. Una
venerazione particolare per il Serafico Padre S. Francesco, la di cui vita era
immedesimata in quella di Gesù! Egli è l’Alter Christus! E con questi
sentimenti, scriveva al carissimo P. Gabriele Obletter di Chieti:
“Se
potrò visitare il Monte Calvario Francescano e venerare quel sacro luogo,
proverò una di quelle consolazioni con pochissime volte si possono provare
nella vita.” (6 luglio 1907).
Il
9 luglio 1909 incalzava:
“E’
indescrivibile l’ansia che ho di vedere e venerare per la prima volta la culla
del nostro Serafico Ordine e il Sacro Monte, dove il nostro benedetto Padre
Francesco ricevette dal Divino Redentore le Sacre Stimmate.”
Infatti
vi andò il 3 ottobre 1926 in occasione del VII Centenario del Beato Transito
del Poverello. Dopo aver pregato nel luogo dove palpita ancora il cuore del
Serafico Padre, la diletta Porziuncola, e visitate Le Carceri, il giorno 5 salì
sul Sacro Monte partecipando assorto alla recita notturna del Santo Mattutino e
alla suggestiva Processione alla Cappella delle Stimmate. La mattina successiva
celebrò nella stessa Cappella, ma per la commozione a stento poté terminare la
Santa Messa. Nel ritorno, si fermò alla Santa Casa di Loreto per il Santo
Sacrificio all’Altare della Ssma Annunziata, quindi s’intrattenne a lungo in
dolce ringraziamento verso la Vergine per la sua materna protezione. Non
sappiamo quale desiderio abbia espresso alla Madonna, ma quella visita acquistò
un significato particolare per la sua vita che si concluse proprio nella fausta
ricorrenza della Traslazione della Santa Casa (10 dicembre 1943).
COSTRUTTORE
DI CHIESE E CONVENTI
Per
le sue meravigliose qualità e virtù, il 27 luglio 1894 il P. Domenico fu
prescelto per il delicato incarico di Maestro dei Novizi, il quale deve saper
comprendere la complessa personalità di ciascun giovane a lui affidato. Eppure
egli assolse egregiamente con impegno e amore il delicato compito, che comporta
responsabilità, tatto, intuito e grande senso pedagogico, sino al 1896 anno in
cui lasciò Orsogna per assumere le funzioni di Superiore, successivamente nei
Convento di Campli, Teramo (1903-1907) e Lama dei Peligni (1908-1911), di Penne
(1915-1916) e ancora di Lama (1930-1932). Il 12 febbraio 1905 scriveva da
Teramo:
“Sono
riuscito a comprare il Convento di Campli con l’aiuto di questa Superiora
(la Madonna delle Grazie) e di S.
Antonio, e ora è libero per il Sacro Ordine. Quella popolazione ne è rimasta
molto contenta.”
Nel mese di settembre 1899 aveva stipulato insieme ai Padri Marcellino Cervone e Isidoro Sebastiano il contratto notarile per l’acquisto della durata di 29 anni del Convento e Santuario di S. Maria del Paradiso di Tocco Casauria. Questo dimostra quanto si sia adoperato per la ripresa della Provincia Serafica Abruzzese, prodigandosi nei più disparati uffici, anche umilissimi, a causa della mancanza dei Religiosi in quel triste periodo anticlericale. Intanto per il triennio 1904-1907 era stato eletto Definitore Provinciale. Nel 1912 dopo un corso di proficua predicazione tenuta a Orsogna su richiesta dell’Arcivescovo di Chieti Mons. Gennaro Costagliola, fu incaricato di reggere la Parrocchia di Giuliano Teatino. Fu allora che il P. Domenico rivelò altre ammirevoli qualità nascoste.
Fotografia
di Giuliano Teatino vecchio, prima della frana. Dalla pagina facebook “Sei di
Giuliano Teatino se…”, archivio Mario Russo. La vecchia chiesa di S. Giovanni,
franata a valle, è visibile in alto a sinistra.
Nella seconda foto: prospetto della vecchia chiesa di S. Giovanni ai tempi di P. Domenico D’Amico, poi demolita. Dal libro di Francesco Pronio: La memoria e le immagini. Giuliano Teatino nel tempo, Pescara 2004.
La
nuova chiesa madre di Santa Maria Assunta e del Carmelo a Giuliano Teatino
nuova.
Era
un vero prodigio!
Quella
Chiesa era ridotta in uno stato pietoso, per cui aveva bisogno di radicali
restauri e lavori, ed egli si profuse nel duplice lavoro spirituale e
materiale. Oltre che solerte operaio del Vangelo, si dimostrò valente Frate
capomastro e Frate muratore.
“Il
permesso che ho di stare qui – scriveva – scadrà il 12 dicembre, ma non so se
potrò partire allora…Questo popolo sta facendo tanto per farmi restare.
Veramente qui ci sarebbe ancora tanto da fare, ma io sono sempre contento,
forse secondo quanto disporranno i Superiori Maggiori”.
Infatti
vi rimase sino al 10 aprile 1913. Intanto Il Corriere d’Italia del 16 giugno
1912 e poi La Tribuna pubblicarono la seguente corrispondenza da Giuliano
Teatino:
“Da
due mesi la popolazione di questo Comune è trasformata. Per la partenza del
Parroco, unico sacerdote, è stato mandato a reggere questa Parrocchia il P.
Domenico da S. Eufemia a Maiella dal vicino Convento di Orsogna. Trovò nella
chiesa tanta polvere e tele di ragno, pochi arredi e sporchi. I finestroni senza
vetri tanto che vi entravano acqua, vento, neve e anche uccelli a nidificarvi.
Durante la celebrazione della S. Messa spesso avveniva un pandemonio per gli
uccelli che svolazzavano. Il tetto essendo indebolito dalla volta, pioveva come
all’aperto. Si è messo a tutto punto lui stesso a pulire, a rassettare, a
spazzare. Ha fatto puntellare diversi travi già rotti e prossimi a cadere, ha
fatto mettere i vetri ai finestroni. Ha comprato un organo nuovo....e con
pazienza e metodo facile ha insegnato a sonare un giovinetto, per cui ora si
hanno funzioni allietate da melodie. La popolazione era divenuta proprio senza
religione ed egli con prediche serali durante il mese di maggio, ha ravvivato
la Fede più viva, tanto che sera per sera si trovava la Chiesa zeppa di gente
delle più lontane campagne, dopo i durissimi lavori del giorno.
Ha
impartito il catechismo a 150 bambini e bambine che hanno fatto la Prima
comunione nel giorno della festa del Corpus Domini. Quella sera, la folla
entusiasta, lo ha atteso e lo ha accompagnato in trionfo a casa fra frenetici
evviva!”
In
seguito, il Frate ricostruì interamente il tetto cadente e il pavimento
rovinato, innalzò due navate nuove, sistemò le campane prossime a cadere sulla
vecchia torre, decorò tutta la Chiesa con vernice a smalto di una bellezza
straordinaria, e l’abbellì di un magnifico Presepio. Inoltre si interessò
nuovamente per l’istituzione tanto desiderata della Confraternita
dell’Immacolata. A distanza di tanti anni la sua venerata memoria e il suo
prezioso fecondo lavoro spirituale e materiale sono ancora vivissimi in quella
popolazione che ne serba immensa gratitudine.
Mirabile
esempio che ricorda quello compiuto da S. Francesco all’inizio della sua
conversione. Anche il P. Domenico aveva ascoltato nel segreto della sua anima
sensibile la voce del Crocifisso che gli imponeva di riparare la sua Chiesa
spirituale e materiale. E vi riuscì mirabilmente. Ecco le prime tappe del suo
nuovo apostolato e fecondo lavoro intessuto di tanti sacrifici, sudori e
miracoli da parte di Dio.
Dopo
quella magnifica prova, il 6 gennaio 1913 i Superiori lo inviarono nella
frazione S. Domenico, posta lontana dal centro abitato di Guardiagrele. Vi
mancava il clero ed egli non solo si adoperò instancabilmente all’uopo ma
s’incaricò anche di dotare quella popolazione di una chiesa assolutamente
necessaria. Ed ecco un nuovo miracolo. Egli divenne progettista, architetto,
lavoratore, manovale, muratore. Era l’anima indispensabile che in breve innalzò
e completò la chiesa tanto desiderata di quella popolazione, allora congiunta
con il mondo soltanto da una malagevole strada di campagna che lo Scrivente
tante volte ha percorso nel periodo 1931-32 per portarvi un altro bene tanto
prezioso e desiderato nei secoli: l’acqua potabile, mediante la costruzione
dell’acquedotto che ha alimentato 17 Comuni sparsi fra la maestosa Maiella e
l’Adriatico ancora amarissimo.
MERAVIGLIOSA
ARMONIA DI ARCANI CONCERTI
A
quella prima realizzazione seguono altre, ed ecco sorgere ed elevarsi al Cielo
altre chiese nel tripudio degli abitati interessati: Teramo, Villa Consalvi
(Crecchio), Campli, Collecorvino, Chieti, Pescara Pineta, Archi Stazione,
Penne. Una meravigliosa armonia di arcani concerti, una mirabile esplosione di
energie compiuta gratuitamente da gente semplice e da personalità. L’entusiasmo
è grande. Soltanto questo umile Fraticello poteva suscitarlo! Dio si serve
degli umili e puri di cuore per compiere opere grandiose.
“Ho
dovuto io procurare tutti i materiali – scriveva – fare da assistente, da capo
manovale, correre ad assistere moribondi, ascoltare le sacramentali confessioni
di tanti forestieri”.
Ispirandosi
al Serafico Padre, egli disse ai Pennesi:
“Chi
mi dà una pietra, avrà una benedizione, chi due, ne avrà due…”
Ma
quando si trattò del piancito della Chiesa, non assicurò la benedizione
soltanto a chi gli offriva una pietra, ma una più copiosa a chi gliela portava
sul posto. Quella promessa raggiunse l’effetto desiderato. Uomini, donne di
ogni condizione, signore, signorine dell’aristocrazia portarono con le proprie
mani non una ma più mattonelle ciascuno. Ci fu una vera gara. O potenza della
magica parola!
A
Teramo nei primi 30 giorni si contavano fino a 357 contadini. Ed egli scriveva:
“Vengono
a lavorare, e così contenti da non poterci credere. Io vado la sera avanti in
un paese o contrada ad avvisarli. La mattina seguente celebro alle 5 la Santa
Messa, e alle 6 si riuniscono tutti presso la Chiesa e insieme ci mettiamo in
cammino. È curioso vedermi fra tanti uomini armati di bidenti, vanghe e picconi,
carriole, zappe ecc.. Spesso veniamo cantando qualche canzoncina alla Madonna.
Un giorno ne eravamo 60, un altro 90, un altro ancora 103. Si tratta anche di
una dimostrazione di fede a questa dolce Madonna…Tutti, tutti poi sono
contenti, anche quelli che non credono, per costruire la Chiesa e il Convento
dei Religiosi. Queste cose non le scrivo per farmi un elogio, avendo Gesù
detto:
“Cum feceritis omnia dicite: Servi
inutilles sumus!””
Il
16 ottobre 1932 scriveva da Pescara:
“Ora
sto facendo il giro dei paesi dove ho delle conoscenze, pera raccogliere
elemosine onde finire di pagare le spese sostenute per l’opera, ma nei dì
festivi mi trovo sempre alla Pineta…Dopo che avrò assodato il debituccio
rimasto, comincerò a lavorare per la costruzione dell’abside, del coro, del
campanile e del Convento, e spero di poter condurre tutto a termine con l’aiuto
della Ssma Vergine, affinché io possa darle una prova dell’infinito bene che le
voglio, dopo Dio”.
Ma
non sempre i conti tornano, e allora sono giorni trepidi, veglie notturne sul
misero giaciglio o al chiaro di luna mentre lavora, momenti di sconforto per
mancanza di materiale, per le pietre che non accennano a sciogliersi, ma che
poi improvvisamente formano la calce tanto desiderata fra lo stupore degli
operai, dopo giorni di scetticismo. E quindi sospiri, ansie, trepide attese,
preghiere recitate più con il cuore che con le labbra incapaci di esprimersi o
socchiudersi. Ed allora fioriscono le parole espresse confidenzialmente,
sussurrate amichevolmente:
“S.
Antonio, questa sera ho bisogno di 3.000 lire…per pagare gli operai…”
Oppure:
“S.
Antonio, questa volta mi occorrono subito 14.000 lire.”
Un
altro giorno con tono filiale e accenni dialettali:
“Sant’Antonie,
si fì lu fiaccone ti facce la nicchia storte!”
Oggi
quelle cifre fanno sorridere, ma allora rappresentavano un vero capitale,
infatti non bisogna dimenticare che si trattava del periodo del 1912-1935, e
anche oltre, quando la moneta aveva il suo valore. Ma quelle preghiere, quelle
espressioni erano sussurrate come soltanto i Santi possono permettersi con
profonda Fede e intimo colloquio fraterno. Infatti la sua Fede era granitica
come la sua Maiella che s’innalza maestosa e possente verso il Cielo, come
immensa Cattedrale, la sua anima era candida come le nevi eterne dei suoi monti
inaccessibili, il suo cuore amoroso, aperto verso gli altri come il bel cielo
azzurro del suo paese, al quale ogni tanto tornava con la mente durante le sue
fatiche apostoliche. Nella sua anima cantava la dolce, arcana armonia dei suoi
boschi profumati, che allietarono la sua innocente fanciullezza e la sua casta
gioventù. E con le preghiere sussurrate confidenzialmente, ecco fiorire
miracoli strepitosi, che all’ultimo momento rimediano situazioni insostenibili,
disastrose, disperate, indifferibili.
Potenza
della Fede e della preghiera!
Il
Crocifisso, la Madonna, la sua dolce Superiora, e S. Antonio di Padova, il suo
economo, intervengono immancabilmente per salvare a aiutare non solo persone
che si erano raccomandate alle sue preghiere, ma anche l’opera indefessa
dell’umile figlio del sacrestano, divenuto Operaio del Vangelo, Costruttore di
Chiese. Essi erano le sorgenti di tanta esplosione di energie fisiche,
spirituali, materiali e finanziarie. Infatti prima di iniziare le pratiche di
ogni lavoro., s’inginocchiava davanti al Crocifisso e si raccomandava ai suoi
validi Protettori.
Nel
mese di luglio 1934 la consorte di un ex Prefetto di Pescara non volle assumere
la presidenza del Comitato che era costituito per lanciare una lotteria a
beneficio della Chiesa “Stella Maris”. La notte seguente sognò una bellissima
fanciulla raggiante di luce, la quale le disse:
“Sono
la Divina Stella del Mare. Io sono pronta a farti le grazie che desideri, ma tu
non devi ricusarti di aiutare Padre Domenico nella costruzione della mia
Chiesa!”
La
visione raggiunse l’effetto desiderato, perché quella Signora divenne l’anima
del Comitato e il Frate scrisse:
“Mi
consegnarono 8.000 lire. Deo gratias! Aggiungete tante altre grazie, in modo
speciale di guarigioni che si sono qui avute”.
Si
trattava di 8.000 lire allora!
E
la gente, le Autorità civili e religiose commosse, gridavano:
“Un
Santo autentico! Che uomo straordinario! Che lavoratore! Un vero Figlio di S.
Francesco! E poi avete visto com’è contento?”
Infatti
alla profonda umiltà univa il senso di gioia che illuminava il suo volto sempre
sorridente. La perfetta letizia francescana! Il poeta dialettale Prof. Alfredo
Luciani cantò commosso con un meraviglioso sonetto Lu Frate matunàre nel
giornale La Provincia di Teramo, ancora una volta esaltò l’attività del Padre,
scrivendo:
“E’
una potenza!”
Cielo
e Terra si erano di nuovo uniti per esaltare nei secoli la dolce, umile Figura
di questo Figlio d’Abruzzo e di S. Francesco, che si rivelava costruttore di
Chiese materiali e spirituali. Galilei si servì delle cose umili per scoprire
che la Natura è il riflesso della potenza di Dio, e quindi le innalzò al rango
di cose degne della massima attenzione. P. Domenico invece si servì di umili
pietre per innalzare Templi al Signore lavorando nel contempo instancabilmente
per l’edificazione spirituale della Chiesa. quei Templi sono grandiosi
monumenti che cantano nei secoli la magnificenza e la gloria di Dio e la
meravigliosa Figura di questo solerte operaio del Vangelo. Questo novello S.
Benedetto fece del lavoro manuale uno dei capo-saldi dell’ascesi mistica
claustrale: Ora et labora. Col lavoro, Egli dava gloria a Dio e si rendeva
utile alla Chiesa, anzi santificava il lavoro manuale offrendolo al Signore come
atto d’amore, di fede, di espiazione, di santificazione.
In
tal modo il suo lavoro diventava preghiera che saliva come incenso profumato al
Trono di Dio. è stato affermato che azione e contemplazione sono due termini
antitetici. Orribile eresia! L’intensa attività non impediva a questo Frate di
isolarsi temporaneamente dal mondo durante il giorno e in particolare la notte
per elevarsi nella contemplazione, per concentrarsi nella meditazione e
nell’orazione, respiro dell’anima immortale.
In
quelle pause di silenziosa solitudine e di raccoglimento, fioriva la vera
Sapienza che arricchiva la sua intensa vita interiore. Erano momenti nei quali
Egli sentiva maggiormente la presenza di Dio, nel cui Cuore dolcemente
naufragava come in un oceano immenso di Luce, Pace, Gioia. In unione dell’Amore
la sua anima trovava il vero riposo.
“IL MIO CIBO!”
Eppure
P. Domenico si nutriva di solo pancotto, fatto con tozzi appesi a una corda,
perché non ammuffissero. Al giornalista Luigi Anelli, che improvvisamente gli
si era infiltrato nella misera baracca, rimanendo sorpreso di quella
inaspettata mostra, Egli confidò con tutta naturalezza:
“Servono
per il mio pranzo. Il pane quanto più è secco, più è saporito. Pane raffato,
acqua, una goccia d’olio: è il mio cibo. A lei non piacerebbe?”
Sono
espressioni che lasciano interdetti, ed infatti quella domanda rimase senza
risposta. Ma quelle parole rimasero impresse nella mente del giornalista, che
si allontanò pensoso da quella Figura che gli ricordava gli anacoreti della
Tebaide. Pertanto tempo a Chieti, P. Domenico si cibò soltanto del rancio,
sollecitato dal Colonnello e dai soldati della Caserma Berardi, commossi da
questo Frate che si logorava nell’incessante lavoro con un abito sdrucidato, ma
impreziosito dalle macchie di alce e di fango. In tal modo quell’umile saio
acquistava la magnificenza di una mano regale!
Chieti,
la chiesa del Sacro Cuore dei Minori Osservanti, non ancora compiuta,.
Cartolina concessa gentilmente da Paolo Rapposelli
Faceva
eccezione il venerdì, che per lui era digiuno completo. La notte approfittava
del chiaro di luna, e d’estate si copriva la testa con un fazzoletto bianco per
ripararsi dai raggi del sole, e lavorare con più calma e facilità, incurante
dei sorrisi di qualche sconsiderato. Durante la sua vita non gli mancarono
inconvenienti. Un giorno mentre si recava ad un paese, fu affrontato da alcuni
Protestanti che dopo averlo dileggiato e offeso, erano decisi a buttarlo da un
ponte a causa della sua serafica calma e delle sue ammonizioni. Egli allora
offrì la sua vita a S. Antonio che per puro miracolo lo salvò da
quell’inaspettato martirio! Fu martire del desiderio, come il Santo padovano!
L’EDIFICIO
DELLA PROPRIA SANTIFICAZIONE
P.
Domenico si rivelò anche uomo di governo. Dopo essere stato Maestro dei Novizi
e superiore di diversi Conventi, 3 volte Definitiore, fu eletto Ministro
Provinciale per il periodo 1927-1930, svolgendo alcuni di questi incarichi al
Ritiro di Orsogna. Il P. Luciano Palmerio ex Ministro Provinciale, nei cenni
biografici che pubblicò nell’anniversario della morte di P. Domenico, così si
espresse:
“In
questi uffici, specialmente in quello di Provinciale, pur essendo sempre
esigente da parte dei suoi sudditi della regolarità conservatisi, si mostrava
con tutti pieno di bontà e di carità, anche quando per dovere di ufficio doveva
riprendere, ammonire i difettosi che, conquisi della sua paterna parola, lo
ascoltavano con docilità e mettevano in pratica le sue esortazioni per
emendarsi.”
Nella
prima lettera circolare, inviata ai Religiosi come Ministro Provinciale dal suo
Convento del Sacro Cuore di Chieti, egli espresse il programma che riproduceva
esattamente la sua intensa vita apostolica. Ammoniva che tutte le altre opere
che i Frati avessero potuto intraprendere in qualunque paese, in qualunque
città sotto qualsiasi titolo, tutto sarebbe stato vano se ogni Religioso non
avesse avuto la preoccupazione di edificare con cura l’edificio della propria
santificazione. Infatti, prima di
dedicarsi alla costruzione di Chiese, egli era preoccupato di edificare sé
stesso, la sua anima, la sua coscienza, la sua personalità religiosa,
interessando la sua vita ai sacrifici, dure penitenze, abnegazione, erosimi
nascosti, spirito di carità, orazione, meditazione, contemplazione del silenzio
dalla sua cella, e nell’ardore della sua dinamica multiforme attività.
Univa
dottrina e santità, doti che S. Pio X riteneva indispensabili in ogni
Sacerdote, all’occorrenza sapeva santificare sé stesso rinunciando al suo aspro
tenore di vita per amore dell’ubbidienza. Il Sig. Marini di Pescara ha narrato
in merito questo eloquentissimo episodio:
“Padre
Domenico, invitato ad alloggiare a casa nostra, ci chiese un semplice
pagliericcio e un cantuccio, il più segregato della villa. Gli risposi che non
mi era possibile e alle sue insistenze soggiunsi: “Qui io sono il suo Padre Superiore. Faccia conto di stare in Convento.
dovrà ubbidirmi.””
Mons.
Giuseppe Venturi, Arcivescovo di Chieti
Egli seppe essere maestro, superiore, direttore di spirito, guida, padre confessore di carcerati. Fu esempio eloquentissimo a tutti, religiosi e laici, operai e contadini.
P.
GABRIELE OBLETTER E P. DOMENICO
Ma
chi più si commosse e rimase edificato da questa mirabile Figura, fu il
Canonico di Chieti d. Gabriele Obletter, il quale profuse le sue ricchezze
nelle opere del P. Domenico, divenendone poi amico e biografo. Tenne con lui
una lunga corrispondenza epistolare sin dal 1898 quando aveva soltanto 14 anni.
Fu questa comunione spirituale che plasmò la sua anima francescana sino al 2
agosto 1926, giorno in cui dopo aver celebrato la Santa Messa nella chiesa del
Sacro Cuore di Chieti e le preghiere liturgiche, rivolse al P. Provinciale
della Porziuncola la domanda di accettazione all’Ordine Minoritico,
suggeritagli dal P. Domenico, anch’egli in ginocchio. Nel frattempo era passata
la mezzanotte. Il suo grande amico gli rivolse l’augurio fervido addio:
“Se
vi fate Frate francescano, vi dovete proprio santificare!”
Don
Gabriele Obletter nel 1927, seguendo l’esempio di P. Domenico, abbandonò gli
agi familiari per indossare l’abito minoritico nella Porziuncola, intessendo la
propria vita in un’armonia di umiltà, di pazienza, sacrificio nell’apostolato
continuo di parola ed esempio nell’attuazione quotidiana del voto d’immolazione
con il quale realizzò la sua vita sacerdotale.
Morì
ad Assisi il 2 aprile 1964 compianto da tutti. Il suo corpo riposa ora nello
stesso Tempio del Sacro Cuore di Chieti, costruito nel 1922 da P. Domenico. Vi
tornò come Angelo tutelare della sua Chieti, dove era nato il 29 maggio 1884. È
stato affermato che, se tra le altre anime curate e guidate da P. Domenico
furono delle “Chiese”, il P. Obletter fu il Tempio più bello e grandioso che il
Frate montanaro abbia eretto alla Maestà Divina. È una frase scultorea che
descrive meravigliosamente due giganti della spiritualità francescana. Fu a lui
che il P. Domenico confidò:
“Ho
offerto al Sacratissimo Cuore di Gesù per mezzo della Ssma Madre Divina, tutte
le gocce di sudore che spargerò, tutti i passi che darò, tutto quello che farò
per il Sommo Pontefice.” (18 febbraio 1932). E poi: “Infinito è il bene che
voglio al Santo Padre.”
UNA
POTENZA
Gli
Arcivescovi di Chieti ebbero grande stima e venerazione verso P. Domenico. Nel
mese di settembre 1918, Mons. Costagliola decise di chiamare i sacerdoti nella
Diocesi ad un concorso di esercizi spirituali, predicato dal Gesuita P.
Stanislao Federici, ma per meglio assicurarne il frutto pensò di riunirli in 3
turni in qualche casa religiosa. Il Ritiro di Orsogna appariva il più adatto
per la sua posizione mistica e suggestiva, e la sua incantevole storia, si era
in piena guerra mondiale, per cui il luogo era quasi vuoto per mancanza di
Frati, richiamati alle armi.
Ebbe
un’idea geniale. Chi poteva prestarsi all’immenso lavoro di preparazione e di
gestione, se non P. Domenico, l’intraprendente Frate noto ormai in tutto
l’Abruzzo? E il buon Padre si recò subito a Orsogna, girando di casa in casa
per procurare letti, materassi, coperte, bacili e altri oggetti necessari per
accogliere il grande numero di Religiosi. I buoni Orsognesi risposero
generosamente all’appello nonostante i gravi tempi che correvano. Aiutato da un
Fratello laico per tutto il tempo degli esercizi spirituali, egli fece da
cuoco, economo, dispensiere, insomma fu l’anima indispensabile di quel corso
spirituale, rimasto memorabile nella storia del Convento di Orsogna.
L’Arcivescovo
presente in tutto il periodo, nonostante la sua tarda età e i suoi malanni,
tutto soddisfatto si congratulò con il Frate animatore, ma un giorno quei
sacerdoti spiarono l’infaticabile P. Domenico stanco morto, adagiato su un
misero giaciglio per brevissimo riposo in un fondaco! Nel 1916 lo stesso Padre
aveva tenuto corso di esercizi spirituali per don Obletter e don Marinelli nel
Convento francescano di Penne, e ora li aveva voluti anche a Orsogna. E don
Obletter tutto raggiante annotò:
“Sì,
proprio lui! Quale esempio ha dato nel preparare tutto in questi tempi di
guerra!”
Probabilmente
P. Domenico diresse altri esercizi spirituali nel 1917 e nel 1919 presso
Conventi dei Cappuccini, e nel 1920 a Montecassino. Fu lo stesso Mons.
Costagliola nel 1918 a chiamare a Chieti il nostro Padre per affidargli
l’incarico di costruire la Chiesa del Sacro Cuore nella frazione presso la
Caserma Berardi, in continua espansione. Il nuovo Tempio fu benedetto nel 1922
dal nuovo Presule Mons. Monterisi, he pronunciò uno smagliante discorso di
elogio del Frate costruttore, il quale in seguito vi innalzò il Convento
francescano.
Nel
1930 l’Arcivescovo di Chieti Mons. Giuseppe Venturi, per aderire alle richieste
dei Pescaresi, che desideravano una chiesa nel rione Pineta, si rivolse al
nostro Padre, il quale si recò subito in quella località, baciando devotamente
l’area sulla quale doveva sorgere il nuovo Tempio della Madonna “Stella Maris”.
Nonostante le difficoltà di ogni genere, assolse egregiamente l’incarico
affidatogli. La Chiesa fu solennemente benedetta dallo stesso Arcivescovo il 26
agosto 1932. E fu l’instancabile Padre che vi volle costruire anche un Convento
di francescani.
Nel
mese di febbraio 1934 Mons. Venturi si trovava in difficoltà, in quanto la
popolazione di un paese che non gravida la presenza del nuovo parroco. Allora
egli pensò che soltanto P. Domenico poteva risolvere l’incresciosa situazione ed
infatti il buon Frate si trasferì in quella località, risolvendo
meravigliosamente la sua missione in 3 settimane. Nel mese di maggio 1941
quell’illustre Presule a seguito di una malattia, diede ordine di non voler
ricevere nessuno, eppure quando seppe che P. Domenico, di passaggio a Chieti,
aveva espresso il desiderio di visitarlo, immediatamente lo fece entrare nella
sua camera. Il Padre si inginocchiò per ricevere la benedizione, e dopo un
cordiale colloquio, si licenziò da lui promettendo di pregare per la sua
immediata e completa guarigione, ma l’Arcivescovo gli disse:
“Pur
essendo mio ufficio benedire, questa volta voglio essere benedetto da Voi!”
Obbedendo
il Padre, s’inginocchiò i nuovo, rimanendovi pochi minuti in preghiera, poi si
alzò seguitando a pregare cogli occhi e le braccia levati in cielo, infine con
largo gesto di Croce, benedisse il Presule. Qualche tempo dopo, trovandosi in
visita a Pescara alla Chiesa di S. Cetteo, l’Arcivescovo parlando al popolo
accorso numeroso, attribuì la sua guarigione alle preghiere di P. Domenico.
TUTTO
SERAFICO ARDORE!
Orsogna,
Campli, Teramo, Chieti, Lama dei Peligni, Giuliano Teatino, Lanciano,
Guardiagrele, S. Domenico (Guardiagrele), Penne, Villa Consalvi (Crecchio),
Collecorvino, Pescara, Montecassino, Archi Stazione, Isola del Gran Sasso e
altre località: tante tappe della sua divina attività e del suo meraviglioso
cammino ascensionale verso le vette sublimi della santità! Era diventato un
mito, ma veramente un fenomeno ed una potenza! E dimostrò questa sua potenza
esercitando efficacemente gli esorcismi, e ottenendo dalla Misericordia Divina,
mediante le sue preghiere, miracoli e grazie in vita e dopo la sua morte.
Eppure
esclamava:
“Pregate
per me, affinché il Signore mi faccia la grazia di farmi mettere piede sulla
via della Perfezione!”
Quanta
umiltà!
Con
questi santi sentimenti, celebrò le sue Nozze d’oro sacerdotali il 2 febbraio
1940 nella sua Chiesa “Stella Maris” di Pescara. L’iniziativa però fu presa dal
Ministro provinciale P. Luciano Palmerio il quale, conoscendo la profonda
umiltà di P. Domenico, festeggiò il fausto avvenimento solennemente con spirito
francescano. Dopo la lettura del Vangelo, egli stesso pronunziò l’omelia,
ricordando le molteplici benemerenze dell’infaticabile costruttore di Anime e
di Chiese. Intervenne anche il famoso musicista francescano P. Settimio
Zimarino, l’usignolo di Dio, Maestro di Cappella del Duomo di Chieti, il quale
diresse le sue composizioni dalla Schola Cantorum Teatina. Nel pomeriggio, dopo
una piccola accademia, porse gli auguri a nome dell’Arcivescovo, impossibilitato
a venire, il Vicario Mons. Benedetto Falcucci. A lui si associò il Prof.
Alfredo Luciani, che elevò un inno di lode e di benedizione a P. Domenico
“tutto serafico in ardore”, ed alla sua opera sociale. Tra i numerosi
intervenuti, non poteva mancare l’anima gemella P. Gabriele Obletter il quale
venne appositamente da Amelia. Infine ringraziò commosso il festeggiato.
Il
Convento di Lama dei Peligni, con il campanile del 1928 opera di Giuseppe
Verlengia
GLI
SPIRITI
Un
fatto nuovo, forse imprevisto, venne a inserirsi nella vita dinamica del P.
Domenico. L’episodio, ricordato dallo storico P. Donatangelo Lupinetti e
confermato dalle testimonianze, l’ha narrato lo stesso protagonista nella sua
eloquente semplicità:
“Una
volta fui chiamato nel teramano da una famiglia di signori che abitava in una
bella villa, ma infestata dagli spiriti. Tutte le notti erano rumori
dappertutto, gli spiriti tiravano perfino le pietre come grandinata. Insomma lì
non si poteva abitare, per cui i padroni la lasciarono, e vennero da me a
raccontarmi tutto e a pregarmi di fare qualcosa per il bene della loro
famiglia. Io dissi che sarei andato a scongiurare quella casa e quelli, benché
contenti della mia buona volontà, pure avevano paura per me, per qualche cosa
di male che potesse accadermi.
“Voi,
dissi loro, lasciatemi stare nella villa una sola notte. Ci penserò io agli
spiriti.”
Ed
essi:
“Abbiamo
paura per voi Padre, che non vi succeda qualcosa. Ma se proprio siete deciso a
rimanerci per una notte, voi siete il padrone della casa. Per qualsiasi
evenienza, noi vegliamo a distanza, e voi chiamate in qualche modo perché
accorreremo subito!”
“Carucce,
carucce, durmite tranquille nchi lu Nome di Ddije, c’a me nin succede nijnte!
Mi porte stole, libbre, curone e acquasante…e mi mette belle vicine e lu foche
che mi facète appiccià”.
E
così fu fatto. Entrai in quella casa, fu acceso il fuoco nel caminetto di una
bella e grossa sala, e là mi misi a pregare con cotta, stola e acquasanta,
pronte sotto il mantello. Ero restato tutto solo, tutte le porte erano chiuse.
Ad un certo momento sentii come uno scricchiolio, e vidi aprirsi lentamente una
porta vetrata che stava a un lato della sala, ed ecco apparire figure
bianco-vestite, col cappuccio in testa e le mani nelle maniche al petto. Io
metto mano subito al Crocifisso e all’Acqua santa, mentre sbircio attentamente
le figure che camminano in fila devotamente, e si vanno a sedere ciascuna su
una sedia a poltroncina lungo le pareti della sala. Quando l’ultima figura fu
entrata, si chiuse la porta, mentre quella andava avanti a tutte, e aveva
raggiunto il primo posto che era vicino a me. allora mi muovo io, alzo il
Crocifisso con una mano, con l’altra aspergo l’Acqua santa e dico:
“Vi
comando da parte di Dio onnipotente di dirmi chi siete e cosa volete!”
Quello
che appariva il capo, più vicino a me, mentre gli altri fantasmi si erano
seduti, si alzò e rispose:
“Non
abbiate paura, Padre. Noi siamo le anime di questa casa, morte da tempo, e non
possiamo entrare in Paradiso perché ci mancano le Messe che avevamo lasciato in
legato per testamento ai nostri eredi. Questi si sono presi la roba, si sono
presi i quattrini, ma le Messe non le hanno fatte celebrare. Allora abbiamo
avuto il permesso da Dio di disturbare talmente i nostri eredi che abitano
questo palazzo, che essi non potranno più abitarvi fino a quando non avranno
soddisfatto per noi la Giustizia Divina. Ora noi preghiamo la Vostra carità, di
far capire ogni cosa alla parentela nostra per il suffragio delle nostre anime,
e per il nostro gaudio eterno!”
E
così detto, come erano venuti, se ne andarono tutti quei fantasmi dalla sala.
Tutto tornò calmo e io potetti farmi anche un sonnellino, ma appena fatto
giorno, sento bussare alla porta:
“Padre
Domè! Padre Domè…!”
“Eccheme
qua, ca so’ vive, carucce-carucce, so’ vive!”
“Ebbe,
Padre, è successo qualche cosa stanotte? Avete sentito rumori?”
“Eh,
carucce-carucce. So’ sintite e so’ viste! La robbe e li quattrine vi li tenete,
ma li Messe nni li facète dice! So’ l’alme de li murte vustre. Li so viste e li
so’ ‘ntese. S’ha lagnate di lu testamente! Mbe’, si nni li facète dice la Messe
ecch’a dentre nci putète ‘ntrà cchiù. Queste ha ditte li spirte, che so’ l’Alma
sante di la casa vostre! Capite mo’??”
NELLA BUFERA
La chiesa di Stella Maris a Pescara Pineta, l’ultima chiesa degli Osservanti fondata da P. Domenico
La
forte fibra del Frate montanaro che aveva speso tutta la sua vita in continua
immolazione e dinamica attività spirituale e materiale, man mano si andava
affievolendo. Ne mostrò i segni esteriori sin dal mese di febbraio del 1940 a
Pescara. Il giorno 20, celebrata la Santa Messa, invitò i fedeli ad uscire
dalla chiesa, quindi chiuse il portone che non riaprì nemmeno della solita ora
della funzione serale. Preoccupati, i fedeli telefonarono al Padre Provinciale
che accorse da Chieti verso le ore 23. Fu necessario forzare il portone ed
altre porte interne, mentre gli altri pregavano piangendo davanti alla statua
di S. Antonio ripetutamente chiamato ad alta voce, P. Domenico non dava segni
di vita tra la commozione dei presenti un signore avanzò nella stanza buia
chiamandolo ancora, e finalmente da un groviglio di panni logori, venne fuori
la voce flebile del Padre:
“Figlio
mio, perché siete venuto? Chi vi ha parlato per me? la lingua di S. Antonio? Io
sto bene, ho bisogno soltanto di un po’ di risposo.”
Poi
egli rimase in colloqui col Padre Provinciale, ma non volle accettare il caffè,
perché la mattina seguente doveva celebrare la Santa Messa, nonostante il suo
stato preoccupante. Rifiutò finanche il ricovero presso un Istituto di Suore
per le cure indispensabili, ma finalmente accettò umilmente in ginocchio
l’ordine del Superiore per ubbidienza. Dopo la guarigione, esclamò commosso con
i fedeli che non l’abbandonavano mai:
“Sapevo
che i pinetini[1] mi volevano bene…ma fino a questo punto!...”
E
poi soggiunse, sorridendo:
“La
Madonna mi ha detto che devo prima ultimare la Chiesa, e poi lascerò la terra”.
E
continuò la sua dinamica attività, nonostante fosse stremato delle forze. Intanto
nell’estate 1943 man mano la guerra si avvicinava all’Abruzzo con tutti i suoi
orrori, le sue innumerevoli tragedie, le sue numerose vittime. Si susseguivano
bombardamenti, cannonate, mitragliamenti, retate di uomini e donne costretti a
lavorare per le truppe tedesche e deportati lontano. Dalla Maiella
all’Adriatico, tutto un campo di battaglia. La Vallata del Moro sottostante
l’abitato di Orsogna era diventata il punto strategico micidiale. Ai primi del
mesi di dicembre 1943, le popolazioni lacere, affamate, sfibrate, furono
costrette a sfollare dai loro paesi, sparpagliandosi dapprima nelle campagne e
nelle grotte, senza fissa dimora e meta, e poi deportate lontano dai propri
focolari abbandonando ogni cosa, lasciando nel tenebroso cammino morti e feriti,
che invano chiedevano pietà e aiuto.
Bisognava
andare avanti, sempre avanti, braccati, mitragliati! La cara Orsogna, la Perla
della Regione, divenne la Stalingrado d’Abruzzo! Lanciano, Castelfrentano,
Castel di Sangro, Ortona, Palena, Guardiagrele, Pennapiedimonte e altre
fiorenti località furono incendiate, o in pieno teatro di guerra, furono
ridotte a cumuli di rovine e macerie. Il bel porto militare e commerciale di
Ortona minato, la ferrovia Sangritana resa inutilizzabile… sembrava
l’Apocalisse!
Padre
Domenico si trovava nella sua Chiesa “Stella Maris” nella bella Pineta di
Pescara, in riva all’Adriatico ancora “amarissimo”. Nel mese di agosto 1943
quella nobile e industre città aveva subito una tremenda incursione aerea, che
l’aveva distrutta quasi del tutto con moltissimi morti e feriti. Secondo la
previsione del Padre, anche quella popolazione a dicembre dovette sfollare
abbandonando ogni cosa. Ma prima di allontanarsi da quel luogo, che aveva
baciato nell’accingersi a costruirvi la Chiesa Stella Maris col Convento, egli
mise la statua di S. Antonio, il suo “guardiano”, presso la porta del Tempio, e
poi via con il carico dei suoi 79 anni e dei suoi acciacchi. Benché
febbricitante, si incamminò stremato verso l’ignoto in cerca di una casa, di un
rifugio, senza una meta, ramingo di luogo in luogo, incalzato come gli altri
dai nemici e dal fuoco micidiale. Mentre si avviava verso la contrada S.
Silvestro (Pescara), incontrò due carabinieri ai quali si inginocchiò e
raccomandò la sua Chiesa di Pescara, e finalmente trovò rifugio in una casa di
contadini nella contrada De Laurentiis (Chieti), ma il medico dott. Giuseppe
Pace di Orsogna, gli consigliò di trasferirsi a Chieti. Era l’8 dicembre 1943,
festa dell’Immacolata, la sua dolce Patrona.
Ma
come trovare un mezzo in quei tristi frangenti? Fu deposto su un camion che
trasportava due soldati tedeschi morti che dovevano essere seppelliti nel loro
cimitero di guerra. Le strade sconvolte e ingombre di carriaggi e automezzi, le
file di sfollati e feriti che si trascinavano sgomenti nella melma e con
sguardo vitreo, le case abbandonate, sventrate o in fiamme, le campagne
devastate si presentavano al suo sguardo commosso nel loro aspetto desolante e
terrificante. Un vero cataclisma! Ad Orsogna si direbbe: l’ira di Dio!
La
presenza dei due cadaveri tedeschi sul camion aumentava la tragicità della
scena apocalittica. Padre Domenico giunse a Chieti, mentre la popolazione era
sotto l’incubo dello sfollamento, le vie rigurgitavano di sfollati e di truppe
tedesche che spadroneggiavano nella nostra povera Italia. Dal torrente Moro
sottostante Orsogna, giungeva vivo e tremendo il tuono dei cannoni, in alto
crepitavano rabbiosamente le mitraglie, gli aerei sfrecciavano verso mete
vicine e lontane con il loro carico micidiale. Si fremeva allo schianto
terribile delle bombe seminanti morte e distruzione.
Si
era in piena guerra!
“Bella,
orrida bella! (Guerre, orrende guerre!)”, esclamava Virgilio il sommo Poeta
latino, che vaticinò con la pacificazione universale la nascita del prodigioso
Fanciullo dalla Vergine (Bucoliche, IV Egloga).
ORGOGLIOSO
TRANSITO DI PADRE DOMENICO
Padre
Domenico fu accolto a braccia aperte nel suo Convento del Sacro Cuore di
Chieti, dove volle prima fare una visita al Sacramento, per cui fu deposto brevemente
nella Sacrestia, quindi fu visitato dal dott. Francesco Storace il quale gli
ordinò le cure necessarie. Accorse l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Venturi che
s’intrattenne con l’infermo in commovente colloquio, nel congedarsi promise di
tornare presto. giunse anche il Vicario Mons. Benedetto Falcucci al quale Padre
Domenico disse sorridendo:
“Ah,
dovevamo finirla quella Chiesa ad Archi!”
Intanto
intervennero complicazioni, per cui nel pomeriggio del giorno 10 dicembre,
tornò l’Arcivescovo per dargli l’ultimo saluto. Restato solo con lui, gli
chiese se avesse qualche inquietudine, qualche angoscia che lo turbasse.
“No
– rispose il Padre – Non ho nulla che mi turbi, sono proprio contento. Mi manca
solo la Vostra benedizione, che prego di darmi con grande larghezza perché sarà
auspicio di quella di Dio, e mediante l’intercessione della nostra celeste
Madre Maria mi farete avere, nonostante le mie miserie, l’abbraccio della
Divina Misericordia.”
Disse
poi il Presule:
“In
quell’istante, mi passò per la mente un pensiero. Non potei più inginocchiarmi
a chiedere a questo Servo di Dio la benedizione per me e per tutti i miei
diocesani? Ma poi pensando che un tale atto avrebbe potuto turbare il cielo
sereno della sua umiltà, ricordandomi di quel momento di essere, benché
indegno, il Pastore di questa Archidiocesi, lo benedissi, come arra ad auspicio
della benedizione di Dio.”
Proprio
in quel momento turbinavano fuori le mitragliatrici, rombavano nei campi
dell’aria i motori degli aeroplani portatori di morte, mentre i colpi del
cannone facevano traballare i vetri e scuotevano le mura stesse della casa,
gettando nel popolo lo spavento, lo scompiglio, il terrore, la morte. Ma un tal
inferno, che mise tutti sossopra, non esclusi i pacifici abitanti di quella
Casa religiosa, non valse a turbare la pace di Padre Domenico. La sua stanza si
illuminava in quel momento di una luce scialba che pareva l’avesse tramutata in
un piccolo Tempio. Il povero letto su cui era adagiato l’infermo era
trasformato in un Altare profumato e Padre Domenico ne era la Vittima che
s’immolava a Dio per i peccati del mondo e per la pace dell’umanità.
Qualche
ora dopo, ricevuti i Sacramenti, il Padre rende piamente la candida anima a
Dio, conservando il suo abituale sorrido, assistito amorevolmente dai Rev.di
Benedetto Falcucci e Antonio Iannucci Arcivescovo di Penne-Pescara. In quel
momento Mons. Venturi, raccolto nella sua Cappella, pregava per il felice
transito del caro infermo, il quale aveva 79 anni e 4 mesi di età, e 56 di
Religione. Erano le ore 15:00 del 10 dicembre 1943. Lasciava questa terra,
avvolta dalle fiamme orribili dell’immane tragedia, nell’ora della Morte del
Signore e nella festività della Madonna di Loreto, i suoi cari e grandi
Protettori.
In
alto crepitavano ancora rabbiosamente le mitraglie, sibilavano sinistramente le
bombe, tuonavano paurosamente i cannoni…si sentiva l’eco del lamento dei feriti
e dei moribondi, il grido disperato degli sfollati braccati dalle truppe
tedesche. In lontananza appariva la mia diletta Orsogna, ridotta a immense
macerie, avvolta da grandi fiamme…
Orsogna, povera Stalingrado d’Abruzzo! Alle ore 17:00 la vita cittadina di Chieti si fermò, come d’incanto. C’era il coprifuoco!
Dipinto
devozionale che ritrae Padre Domenico protettore della Comunità di Pescara
Pineta, nella chiesa di Stella Maris
È
MORTO UN SANTO!
Profondo
cordoglio produsse a Chieti la scomparsa di P. Domenico D’Amico, annunziata da
un commosso e nobile manifesto della Diocesi. Nonostante la tragica atmosfera
di guerra, numerosissimi cittadini parteciparono ai funerali che si svolsero il
giorno dopo nella stessa Chiesa del Sacro Cuore, che conobbe tanti sacrifici e
sudori del Frate Minore.
La
Messa fu celebrata da don Pasquale Brandano Abate di S. Cetteo, accorso
piangente da Pescara, alla presenza di moltissimi Religiosi di diversi Ordini e
Congregazioni. Al termine del Sacro Rito, l’Arcivescovo Mons. Venturi,
indossando gli abiti pontificali, pronunciò l’elogio funebre:
“Dinanzi
a questa fredda salma che fu informata da uno spirito retto e illuminato, come
a tutti voi è noto, anzi si può dire all’intera Regione Abruzzese, non c’è
bisogno di parlare. Parla sufficientemente il popolo con la sua presenza,
parlano le innumerevoli opere compiute da Padre Domenico, che se velate con
l’ombra dell’umiltà, parlano le anime che egli ha strappato al vizio o che ha
impinguato ai pascoli della vera vita. Perciò io non intendo parlare, ma
piuttosto piangere e deplorare la perdita di un Religioso esemplare, di un
benefattore insigne, perdita che non è limitata a una Casa religiosa, ma che si
estende a una Provincia, a una intera Regione, che è sentita in modo
particolare nella nostra Archidiocesi, la quale non sono gli diede i natali, ma
che fu anche teatro del suo fecondo, prodigioso lavoro.
Padre
Domenico fu un vero Religioso, al quale si può applicare l’elogio fatto da S.
Paolo a Timoteo: UOMO DI DIO. O Anima
eletta, che aleggi forse in questo momento intorno alla venerata salma che si
sta dinanzi da te informata, noi non ti dimenticheremo più. Mai dimenticheremo
i tuoi esempi, le tue esortazioni, le tue opere nelle quali continuerai a
parlarci di Dio, richiamandoci a Lui:
“Defunctus
adhuc loquitur”.
Alla
fine dei funerali, tutti vollero rimirare quel bel volto ancora illuminato dal
sorriso, baciare quelle mani prima tanto operose ed ora fredde e inerti,
congiunte da un Crocifisso e dalla Corona. Tutta Chieti accompagnò il feretro
al cimitero, dove il Superiore del Sacro Cuore diede l’ultima benedizione alla
salma, e ringraziò la Città, impetrando da Padre Domenico conforto e pace per
il mondo sconvolto da tanta tragedia. Si riaprì di nuovo la cassa per
permettere ai presenti di salutare il Frate umile e operoso, al quale il popolo
volle decretare il trionfo, l’apoteosi! In quel momento risonò nell’aria
silenziosa con voce commossa, ispirata dal Cielo:
“È
morto un Santo! Abbiamo un’altra anima nel Paradiso che pregherà per noi. Ora
siamo sicuri che Chieti non sfollerà!”
Quel
presagio divenne radiosa realtà, perché mentre altri paesi continuavano a spopolarsi
divenendo enormi macerie, Chieti, grazie al suo Protettore, rimase a svolgere
la sua attività sulla storica collina in quel periodo tanto tragico per
l’Abruzzo e per la nostra Italia. Insieme a Mons. Venturi, P. Domenico è
rimasto il simbolo di quella salvezza inaspettata. Il suo sacrificio giovò
anche alla Città dove aveva innalzato la Chiesa e il convento del Sacro Cuore,
in cui aveva svolto importanti incarichi e si era cibato soltanto del rancio
condiviso con i soldati della Caserma Berardi. Anche la sua Chiesa “Stella
Maris” di Pescara rimase miracolosamente illesa dalle mine tedesche, grazie
alla statua di S. Antonio che egli aveva posto a guardia presso il portone.
DEFENSOR
CIVITATIS
Tomba
di P. Domenico nella cripta della chiesa di Stella Maris, Pescara
Nel
mese di novembre 1943, la guerra infuriava con tutti i suoi orrori nella
Provincia di Chieti e Pescara. Durante un solenne funerale pontificale svoltosi
nella Cattedrale di S. Giustino il giorno di Natale, il Mons. Venturi,
rivolgendosi ai fedeli con voce commossa, annunziò che 4 giorni prima Papa Pio
XII l’aveva abbracciato, dicendogli che intendeva estendere quell’abbraccio a
tutti i cittadini di Chieti. Ad un generale tedesco che lo aveva invitato ad
abbandonare la Città, egli rispose energicamente:
“A
Chieti non sono venuto di mia volontà. Qui mi ha mandato il Signore, e qui
morirò sotto le macerie dell’Episcopio!”
E
quindi fece dichiarare Chieti Città aperta. Perciò Mons. Venturi divenne il
Defensor Civitatis della sua Chieti, come il sommo pontefice Pio XII lo fu per
Roma la Città eterna, la nuova Gerusalemme, centro della sublime Civiltà
dell’Amore!
CAP.
79 – CANTICO DI GLORIA
Dopo
la morte di P. Domenico, continuarono a fiorire le grazie e i miracoli. Ne
beneficiò anche il P. Gabriele Obletter, il quale guarì da grave borsite al
ginocchio mediante l’applicazione di una lettera del suo caro amico, evitando
così una seconda operazione chirurgica. L’infermiere Pietro Pauselli che
l’assisteva, esclamò stupefatto:
“Oh,
ma questo è un miracolo!”
Il
Prof. Don Pasquale Brandano di Pescara, nel commemorare l’anniversario della
morte del Frate costruttore, auspicava la traslazione delle sue venerate
spoglie da Chieti alla Città marinara che ne ricordava tutta l’intensa attività
e le sue numerose benemerenze. E quel voto si è avverato. Infatti il 4 aprile
1948 la salma di Padre Domenico ritornò a Pescara in un trionfo di gloria, e
deposta in un sarcofago di marmo nella cripta della sua Chiesa “Stella Maris”.
Pronunziò per l’occasione un eloquente discorso il Padre francescano Riziero
Troili, mio caro compagno di studi al Collegio Serafico di Artena (Roma) nei
lontani anni 1917-19. Ora Padre Domenico dorme il sonno sereno del Giusto nel
mistico silenzio dell’imponente Tempio che costruì pietra su pietra cementate
dal suo sudore, e vivificate dal suo ardore serafico e dal suo eroico
sacrificio quotidiano. Egli è cullato dal canto di lode e di gloria
dell’azzurro Adriatico, della maestosa Maiella che s’innalza possente come
grandiosa Cattedrale e del superbo Gran Sasso, simboleggianti la multiforme e
prodigiosa attività del Padre del nostro Abruzzo. Al grandioso Cantico, fanno
armonia le preghiere dei fedeli che si recano fidenti a questa Tomba, divenuta
Cattedra e mistico Altare profumato, per implorare luce, conforto, benedizioni,
celesti favori. In alto fanno eco arcani concerti esaltanti la gloria
dell’umile Fraticello della montagna del mare.
CAP-
80 – PRINCIPALI DATI BIOGRAFICI DI P. DOMENICO MARIA D’AMICO
*25/8/1864:
nasce a S. Eufemia a Maiella
*14/7/1887:
riceve l’abito francescano a Orsogna
*2/2/1889:
nominato sacerdote
*27/7/1894:
Maestro dei novizi a Orsogna
*1886-1900:
nominato Superiore a Campli
*1903-1907: nominato Superiore a Teramo
*1904-1907:
è Definitore provinciale
*1908-1911:
è Superiore a Lama dei Peligni
*1912:
è Rettore della Parrocchia di Giuliano Teatino e ne restaura la chiesa
*1913:
costruisce la chiesa di S. Antonio nella frazione di S. Domenico a Guardiagrele
*1915-1916:
è Superiore a Penne
1918-1924:
è Definitore provinciale
*1918:
inizia i lavori per la costruzione della chiesa e del convento del Sacro Cuore
a Chieti
*1922:
acquista il terreno per la costruzione della chiesa e del convento Stella Maris
a Pescara Pineta
*1924-1927:
è Custode provinciale
*1930-1935:
è Superiore a Lama dei Peligni
*1932:
si stabilisce al convento della Pineta di Pescara
*1937:
è cappellano delle Carceri di Pescara
*1942:
inizia la costruzione della chiesa madre di Archi Stazione
*10/12/1943:
muore nel convento del Sacro Cuore di Chieti (ore 15:00)
4/4/1948: la sua salma viene portata alla Pineta di
Pescara e deposta nella cripta della chiesa Stella Maris.
SUBLIMI
ARMONIE
Padre
Domenico, vero gigante dello spirito e dell’azione, rappresenta il distintivo
caratteristico del Frate Minore, che da quasi 8 secoli opera nei 5 continenti
in campi diversi, eppure è sempre moderno e attuale, sempre antesignano di
tempi nuovi e di profondi rinnovamenti religiosi nell’ambito della Chiesa.
contemplazione e azione, preghiera e lavoro, parola ed esempio, immolazione e
letizia, umiltà e fervore, silenziosa solitudine e intenso apostolato, carità
verso i fratelli e ardore serafico verso Dio, mortificazione e ascesi mistica
nella sublime visione della fine dell’uomo. S. Francesco esalta ancora le
meravigliose bellezze dell’Universo con il sublime Cantico delle creature,
primo e insuperabile poema della nascente lingua italiana, invece il P.
Domenico canta ancora le lodi di Dio con i magnifici Templi eretti con umili
pietre, le quali furono “la sua passione, la sua poesia, la sua febbre” che lo
divoravano fino all’ultimo istante. Quelle Chiese effondono continuamente un
grandioso poema, un magnifico concerto di incomparabile bellezza, un solenne
peana che esprimono la meravigliosa Figura del Padre, tutta intessuta di
sublimi sacrifici, ardori mistici, opere che sfidano i secoli.
All’alba,
al meriggio, al tramonto, esse elevano al Cielo un cantico perenne di gloria,
che si ripercuote largamente e soavemente nei cuori. È la voce magica,
appassionata, affascinante di Padre Domenico, magnifico costruttore della sua
incantevole personalità spirituale, di anime, Conventi, Chiese ed edifici.
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