LA CHIESA DI SANT’ANTONIO ABATE A VASTO
di Antonio Mezzanotte
Si dice e si racconta che un tale di Furci, noto per essere uomo burbero e gran bestemmiatore, un giorno, dovendosi recare a Vasto per sbrigare certi suoi affari, decise di passare dalle parti di Sant’Antonio, che è una collina sovrastante a meridione la città, lungo il tratturo, poiché qui si stendeva un uliveto che una sua anziana zia di Cupello, vedova e senza figli, aveva promesso di lasciargli in eredità.
Alla vista dell’uliveto l’uomo diede in escandescenze: siccome quella terra non era più lavorata da anni, le fratte di rovi e le erbacce erano così alte che avevano ricoperto per l’intero gli ulivi, i quali, non più potati e curati, forse anche a causa della siccità di quel periodo, erano quasi del tutto rinsecchiti.
L’uomo trasecolò dalla rabbia, si tolse il cappello, lo buttò a terra e attaccò una sfilza di bestemmie, prendendosela in particolare con Sant’Antonio Abate. Poi, dopo la sfuriata, essendo persona concreta e dedita agli affari, si consolò pensando che avrebbe potuto sempre estirpare gli ulivi e venderseli come legna da ardere.
Un po’ rinfrancato da questo calcolo, si avviò verso Vasto. Nei pressi della vicina chiesetta di Sant'Antonio Abate incontrò un vecchio frate cercatore, che trascinava alcune assi di legno. L’uomo fece per passare, ma il frate gli chiese se avesse potuto aiutarlo a portare quelle assi in chiesa, poiché aveva intenzione di ripararne il tetto, che era in parte crollato.
Il furcese aveva fretta, però si disse che cinque minuti avrebbe potuto perderli: siccome era uomo robusto, non fece fatica a trasportare le tavole in chiesa e, una volta dentro, si mise a guardare il danno. In effetti, il tetto era in parte crollato, ma anche quel che restava avrebbe avuto bisogno di qualche lavoretto di rinforzo. Essendo pratico del mestiere, cominciò a indicare al frate come avrebbe dovuto essere svolto il lavoro, ma poi, avendo constatato che il frate era vecchio e mezzo curvo, stabilì che quello non era in grado di rimettere a posto nemmeno una tegola e, toltasi la cappa, prese di buona lena a lavorare al tetto, stimando che in un paio d’ore avrebbe finito e che gli sarebbe riuscito pure di andare finalmente a Vasto per quei suoi affari.
Invece, l’uomo finì di acconciare il tetto che era ormai il tramonto, il tempo era trascorso senza che se ne fosse avveduto. Quando finì, sudato e impolverato, si accorse che il vecchio frate non c’era più e corse fuori dalla chiesa per cercarlo. Non trovandolo, chiuse la porta della chiesa e, visto che ormai era tardi per arrivare a Vasto, decise di fermarsi a casa della zia a Cupello.
Quando l’uomo ripassò davanti all’uliveto rimase a bocca aperta: i rovi erano spariti, gli ulivi erano ringiovaniti e carichi di frutto. Quell’anno quel podere produsse quintalate di olive.
Da allora l’uomo fu meno burbero e smise di bestemmiare, perché gli venne il sospetto che quel frate cercatore fosse in realtà proprio Sant’Antonio Abate, che lo aveva a suo modo ringraziato per avergli rimesso a posto la chiesa.
Questa storia mi è stata narrata da una anziana donna di Furci, ormai passata al mondo della Verità, ma la chiesa di Sant’Antonio Abate sulle colline di Vasto è ancora lì, piccola, graziosa, ai margini della provinciale che ha sostituito l’antico tratturo, prima che questo si gettasse tra Montevecchio e Colle Pizzuto per raggiungere la costa in prossimità della foce del torrente Buonanotte in territorio di San Salvo.
La sua presenza è attestata perlomeno dal 1569, come cappella rurale, ma i resti di un muro di epoca romana fanno ipotizzare che il luogo fosse adibito a esigenze cultuali da tempo immemore, tenuto conto proprio della prossimità al Tratturo Magno. Nel 1876 venne riedificata e altri lavori di restauro furono realizzati nel 1994. Il piccolo edificio, in muratura a vista, è a pianta rettangolare, con facciata a capanna e timpano ornato da un semplice oculo, finestrelle basse ai lati del portalino d’ingresso, campaniletto a vela rivolto alla marina. All’interno dell’unica navata l’altare, il leggio e il tabernacolo in pietra sono opera dello scultore vastese Domenico Zambianchi (Mastro Domenico).
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