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9 febbraio 2025

Antonio Mezzanotte, Cepagatti nell'opera di Vivaldi.


CEPAGATTI NELL'OPERA DI VIVALDI
di Antonio Mezzanotte

Il 18 maggio 1735, alla vigilia della grande festa dell'Ascensione, venne messa in scena al Teatro San Samuele di Venezia (che ora non esiste più, al suo posto vi è una scuola) “la Griselda”, un dramma musicale in tre atti di Antonio Vivaldi su libretto di Carlo Goldoni, adattato da un precedente lavoro di Apostolo Zeno (tanto adattato su pressante impulso di Vivaldi che Goldoni scrisse di aver assassinato il libretto di Zeno). Quel che potrebbe avere un qualche interesse in più per noi abruzzesi è che l’opera venne dedicata a Federico Valignani, marchese di Cepagatti, il noto centro del pescarese feudo dei Valignani dalla metà del 1400 alla metà del 1700.
Che ci azzecca il nostro cepagattese (e che Valignani fosse cepagattese di nascita non lo afferma soltanto lo scrivente tapino, ma anche e soprattutto il registro dei battesimi della locale parrocchia di Santa Lucia) con due massimi esponenti della cultura europea del Settecento?
Federico Valignani è stato un grande personaggio del proprio tempo: fondò a Chieti la colonia arcadica Tegea (se ricordo bene in un vicolo lungo Corso Marrucino ci dev’essere ancora una epigrafe lapidea datata 1730, attestante un lavoro di risanamento edilizio promosso dal Valignani sul suo palazzo, sede della Tegea), fu intellettuale di vasti interessi e al contempo ricoprì incarichi a Napoli nell’amministrazione vicereale all’interno della Regia Camera di Sommaria (la Corte dei Conti dell'epoca, oggi diremmo che ne fu presidente laico di sezione, non togato).
Di ritorno da Vienna nel 1734 si fermò a Venezia o, meglio, gli venne suggerito di fermarsi a Venezia, poiché nel frattempo a Napoli si era insediato il nuovo re, Carlo di Borbone, al quale il Valignani non stava proprio simpatico: vi era il dubbio, infatti, ma a torto, che fosse un agente degli austriaci appena scacciati dall'Italia meridionale - per tale motivo, al rientro in patria, Federico Valignani si fece pure sei mesi di carcere nella piazzaforte di Pescara.
A Venezia ebbe rapporti di amicizia con il giurista Pietro Giannone (uno dei massimi esponenti del pensiero illuminista della nostra penisola, tanto eccellente da farsi gli ultimi dodici anni di vita nelle prigioni sabaude per aver difeso la propria libertà di pensiero) e, probabilmente, fu in occasione di quel primo soggiorno veneziano e nel vivace ambiente culturale della città lagunare che conobbe Antonio Vivaldi e il giovane Carlo Goldoni. In ogni caso, egli deve aver lasciato una buona impressione di sé, tanto che gli venne dedicata la successiva opera musicata dal Vivaldi, la "Griselda" appunto, che fu rappresentata nella primavera dell’anno seguente alla vigilia della fiera dell'Ascensione, che si svolgeva per quindici giorni subito dopo la cerimonia dello sposalizio della città con il mare (l'equivalente, per importanza e per dare un confronto, dell'odierna "prima" alla Scala di Milano alla vigilia di Sant'Ambrogio).
La dedica del libretto è a firma di Domenico Lalli, già impresario (ossia produttore) del Teatro San Samuele della famiglia Grimani ed editore dell’opera (cioè colui che, oltre a finanziarne la messa in esecuzione, aveva sborsato denari al tipografo Marino Rossetti - il miglior stampatore veneziano dell'epoca per drammi musicali - per diffondere in città le copie del manoscritto originale nei giorni precedenti la prima al teatro).
In realtà, il vero nome di Lalli era Sebastiano Biancardi, di origine napoletana, ma fu costretto a fuggire da Napoli dopo che venne accusato di furto. Trovò riparo prima a Roma, poi a Venezia, infine a Salisburgo e Vienna, dove fu preso a servizio dall'imperatore Carlo VI come poeta di corte. Così come il nostro Federico Valignani, anch'egli era componente dell'Arcadia. Goldoni lo definì un poeta geniale.
E la Griselda? Che aveva (e ha) quest'opera di così particolare per essere dedicata al marchese di Cepagatti? In primo luogo, è l'opera scritta perchè la parte principale venisse affidata ad Anna Girò (o Giraud), amica, confidente, cantante mezzosoprano favorita e un tantino di più da Vivaldi; è la prima collaborazione di Goldoni col "Prete Rosso", che all'inizio si fidava poco delle capacità del giovane commediografo (il compositore veneziano era stato ordinato sacerdote e aveva i capelli rossi, da qui il soprannome, non perché fosse antesignano di don Andrea Gallo buon'anima); è tratta dall'ultima delle 100 novelle del Decamerone di Boccaccio ed è, a saperla ben interpretare, la celebrazione della pazienza, dell'operosità, dell'amore, della nobilità d'animo di una donna del popolo che prevalgono infine sull'arroganza e sulla nobiltà di sangue.
Per esaltare la protagonista Vivaldi esibisce una partitura musicale che tocca i vertici dell'opera barocca, sebbene alla "prima" dovette accontentarsi di un'orchestra di soli archi messa a disposizione dal Teatro.
Naturalmente, fu un successo.

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