Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di
interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II
di Angelo Iocco
Qualche nota su Felice Ciccarelli
Essendoci già occupati del Ciccarelli, qui desideriamo
segnalare altre tre opere poco conosciute. Per la prima opera, conservata nel
convento di San Francesco di Lanciano per la pubblicazione della fotografia,
ringraziamo per la squisita disponibilità Padre Fabrizio OFM Conv.
Felice Ciccarelli, Madonna col Bambino tra San Michele e San Bernardo. Convento di San Francesco, Lanciano. Foto Angelo Iocco.
Essa è una Madonna col Bambino con ai piedi San Michele arcangelo e San Bernardo. La tela necessiterebbe di un restauro, faceva parte dell’antica cappella di Sant’Angelo; ammirandola notiamo immediatamente delle affinità con la Madonna del Carmine dipinta dal Ciccarelli nella chiesa di San Rocco di Atessa, tra le opere più riuscite di questo pittore. Il San Michele invece è tratto dal quadro della Madonna con San Michele e San Giovanni presso la chiesa madre di San Giovanni in Rapino. Ciccarelli al posto della Madonna di Atessa che accenna un sorriso, qui ha realizzato una versione più seria e malinconica.
Le altre opere sono l’Immacolata Concezione, che il Ciccarelli
realizzò per la chiesa di San Lorenzo in Rapino, e per la cappella del Duomo di
Guardiagrele.
F. Ciccarelli, Madonna
Immacolata come Regina degli Angeli, chiesa di San Lorenzo, Rapino. ID, Madonna
Immacolata, Duomo di Guardiagrele.
Nella tela di Rapino la Madonna è al centro di una
grande nuvola attorniata da angioletti, in un paesaggio botticelliano naturale
con tempietti e cittadelle in una innaturale posizione prospettica, nel quadro
guardiese invece la Madonna è racchiusa in una classica mandorla, sorretta da 4
angeli, mentre nel primo piano si vede la tomba vuota, e gli Apostoli che
adorano il miracolo dell’Assunzione. Si notano somiglianze con il quadro della
Madonna nella chiesa di San Francesco di Loreto Aprutino, e quanto a scene
corali, esso è uno dei più belli realizzati da questo pittore.
IL PALIOTTO DEL CARDONA DI ATESSA
Giuseppe Antonio Cardona attivo all’inizio del ‘700, è
uno scultore sconosciuto nel panorama dell’arte abruzzese. Fu maestro nella
lavorazione dell’avorio e della scagliola. Nella chiesa di Santa Croce in
Atessa, nei due capialtare dei bracci del transetto, dedicati rispettivamente
alla Madonna del Carmine e alla Madonna delle Grazie, il Cardona realizzò dei
bellissimi paliotti, firmando e datando quello della Madonna delle Grazie.
L’altare della Madonna del Carmine ha una tela copia del celebre quadro dell’atessano
Felice Ciccarelli presso l’altare privilegiato nella chiesa di San Rocco, ed è
opera ottocentesca, forse di Giacomo Falcucci. Il paliotto reca l’iscrizione:
GIUSEPPE ANTONIO CARDONE ATISSANO FECIT ANNO DOMINI 1706. Vediamo nel disegno
diversi riferimenti alla cultura pre-cristiana, ma utilizzato ampiamente anche
nell’era dei Longobardi di patronato dei Valsecca di Bergamo, per essere
ripreso anche nel tardo Rinascimento (si vedano gli esemplari dei pavoni
dall’ex cappella di Sant’Angelo dei Lombardi di Lanciano, rimontati presso la
facciata del santuario del Miracolo Eucaristico). Il pavone per i Cristiani
rimanda alla Resurrezione di Cristo, ed era un tema iconografico diffusissimo
nei bassorilievi: al centro della composizione vi è la Croce del Golgota con i
tre Monti, al centro dei quali vi è la sigla a lettere intrecciata SC; alla
base della cornice fogliata che avvolge la Croce, si innalzano obliquamente due
fusti, cui si aggrappano degli angioletti; cui si contrappongo più in basso due
leprotti che corrono, disposti in maniera proporzionale ed equilibrata alla
composizione floreale. Proseguendo in maniera equidistante, sia a destra che a
sinistra, spaziando nel disegno, ammiriamo due farfalle protette dalla corolla
di due girasoli, sopra i cui fusti figurano due chiocce che beccano dei semini,
simbolo della Eucaristia. Impossibile non pensare alla bellissima Chioccia di
Teodolinda! Spostandoci sopra la Croce, al centro figura il classico putto con
le alette laterali, e rispettivamente a destra e sinistra altri festoni e
foglie, cui si avvinghiano dei puttini, in un felice tripudio di intrecci e
intarsi fino ai bordi del paliotto. Il Cardona volle divertirsi disegnando
altri uccelli, e perfino dei piccoli leoni che si aggrappano ai fusti.
Anche il paliotto della Madonna delle Grazie reca
l’iscrizione: IOSEF ANTONIUS CARDONA ATISANUS FECIT A.D. 1703. La composizione
qui è più bella: una corona d’alloro sorretta da due puttini, al centro figura
la Madonna col Bambino in veste di Regina. La devozione per il Simulacro della
Madonna col Bambino nella chiesa di Santa Croce è molto forte: narra la
leggenda che la chiesa sia costruita sopra un tempio più antico, di cui restano
i ruderi presso il contrafforte della torre campanaria; e che quivi ci fosse
una grotta miracolosa, dove fu rinvenuta la statua della Vergine. Il popolo
devoto decise allora di costruire una chiesa, che coi secoli si ampliò fino a
raggiungere l’aspetto di tre navate.
I devoti hanno lasciato i loro segni presso il portale
gotico del XIII secolo, con incisioni di croci, invocazioni, e con profondi
solchi, a furia di toccare la porta con amore ogni volta che varcavano
l’ingresso. La statua della Vergine col Bambino, piuttosto piccola, circondata
da angioletti che la sorreggono, è di indubbio gusto medievale, del periodo a
cavallo tra XIII-XIV secolo, benché pesantemente ridipinta nei secoli, e
appartiene a quel gruppo di sculture di gusto borgognone con la Vergine
leggermente inclinata con i fianchi, la cui anca è piegata verso il Bambino che
regge, per conferire plasticità e pesantezza alle figure, armonia nel panneggio
scanalato, ancora con la corona in testa di gusto bizantino, quale Regina dei
Cieli. La veste a doppio colore, il blu per la Natività, e il rosso per la
Passione, ricorda molto quelle Madonne di Bagno a Ripoli o di Fiesole, studiate
da Pietro Toesca, e nell’Abruzzo innegabile il confronto con la superba Madonna
della Vittoria di Scurcola.
Anche in questo paliotto del 1703 ammiriamo l’armonica
composizione di fioroni e fusti, dove ogni tanto appaiono farfalline, chiocce,
pavoni, e cervi, testimonianza di un gusto di provincia per la natura, che
ammicca a quel Manierismo lombardo giunto in Abruzzo con i feudatari e alcuni
signorotti che acquistarono o ereditarono diverse borgate del Sangro. Qualche
secolo più avanti un altro mastro artigiano di Perano, G. Pellicciotta, si
divertirà nello squisito gusto paesano di rappresentare le primizie della valle
del Sangro, le mele, le pesche, nel realizzare il suo capolavoro dell’altare
monumentale della Chiesa madre di Perano, poco distante da Atessa.
Non conosciamo altre opere del Cardona in Atessa. La famiglia è di ricche origini, ed è censita sin dal XVI secolo, diversi sono gli uomini illustri ricordati da padre Tommaso Bartoletti nella sua Biografia degli uomini illustri di Atessa: Ottaviano Cardona che nel 1560 si impegnò nelle cause di confine di Atessa con Tornareccio, era luogotenente, nel 1563 difese Atessa dalle imposizioni sul tratturo per Foggia, e patrocinò la causa della Nullius dioecesis di Atessa contro l’Arcivescovo di Chieti nel 1573; poi un Gianfrancesco Cardona, procuratore della Cappella del Rosario in San Domenico, che nel 1566 fece ricostruire altari e colonne; Giulio Cardona che nel 1587 in mancanza di eredi, donò i suoi averi per l’erezione del Monastero delle Domenicane; un Curzio Cardona che nel 1597 continuò la difesa di Atessa per le liti sui confini con Tornareccio, un Padre Vincenzo Cardona domenicano.
Secondo alcuni studiosi una primitiva
struttura a pianta ottagonale esisteva già nel VII secolo, come sembrerebbero testimoniare alcuni
elementi architettonici. Un documento del 1027 rinvenuto dallo storico locale Tommaso Bartoletti segnala per la prima
volta la chiesa, che in quanto sede della compagnia di Santa Croce, assisteva i
pellegrini che giungevano ad Atessa.
OPERE D’ARTE NELLE CHIESE DI ATESSA: CHIESA DI SAN ROCCO
La chiesa un tempo
era intitolata alla Madonna del
Carmine ed era parte del convento dei Carmelitani che fu
fondato nel 1603.
Il convento è ancora esistente e ospitava l'Ospedale Civile fino all'apertura
del nuovo ospedale.
In passato la chiesa
aveva la facciata a capanna fino alla ristrutturazione avvenuta nella seconda
metà del XX secolo in
cui le fu conferito l'aspetto attuale.
Gli
interni con volta dipinta da Ennio Bravo
negli anni ‘50, ciclo dedicato alla Madonna del Rosario, al centro vi è la
gloria della Madonna tra le Anime purganti, verso l’altare maggiore vi è
l’Apparizione di Maria Immacolata al Beato Giovanni Duns Scoto. Le indorature
della ditta Pasquale ed Ennio Bravo sono visibili perfettamente negli altari e
nelle paraste della chiesa, così come in quasi tutte le altre chiese atessane.
Ricordiamo che i Bravi furono attivi anche nei cantieri di restauro delle
chiese di Bomba, Tornareccio, Paglieta, Orsogna, Guardiagrele (chiesa di San
Nicola), Pennadomo (chiesa madre), firmando ogni tanto i loro interventi.
Le opere d’arte che ammiriamo dentro San Rocco di Atessa sono,
procedendo da destra verso sinistra, soffermandoci all’altare maggiore: le
sculture: controfacciata, nicchia sulla sinistra: San Nicola di Bari con
paramenti vescovili, seduto e con il pastorale e mitra, opera di Michele
Falcucci, come si firma;
Altare di San Giuseppe, statua col Bambino, opera di Michele Falcucci;
Altare col gruppo della Crocifissione e Maria dolenti, opera del
Falcucci;
Altare di San Rocco, la nicchia ha la statua del Santo, non si sa bene
se di Falcucci o della bottega, è dell’800, ma è stata ridipinta da Bravo. Da
notare che si tratta di una delle poche statue in cui San Rocco è illustrato
non col classico cappello a falde da pellegrino e il bastone ricurvo con la
bisaccia, ma al contrario, come un re, con la corona, e lo scettro;
Altare maggiore a tabernacolo, rifatto da Bravo, ospita la nicchia colla
statua della Madonna del Rosario, opera di G. Pellicciotti di Perano. Ai lati,
Madonna de la Salette e Cristo risorto, opere di G. Pellicciotti;
Altare maggiore: cupoletta a calotta, con pennacchi ritraenti i Quattro
Evangelisti, opera di E. Bravo;
Altari di sinistra: altare di San Sebastiano, la statua di piccole
dimensioni è novecentesca, di poco interesse;
Altare privilegiato della Madonna del Carmine, con tela di Felice
Ciccarelli, 1603;
Altare di Santa Lucia, con la statua della Santa, opera di Falcucci,
ridipinta da Bravo.
CHIESA DI SAN MICHELE DI ATESSA
Gli storici fanno
risalire l'esistenza della chiesa già nel VII secolo,
pertanto una delle più antiche della città. A testimoniarlo non ci sono fonti
documentarie ma un'epigrafe situata
all'interno dell'edificio. Sul finire del XVIII secolo fu
oggetto di un rifacimento totale, che le conferì l'odierno aspetto, ad opera di
don Giacomo Flocco.
Un ulteriore
intervento fu eseguito nel 1876, come testimoniato da
un'iscrizione presente nella facciata. Nel 1844, secondo le fonti
bibliografiche, venne edificato il campanile,
parzialmente distrutto successivamente durante la Seconda
guerra mondiale, a causa dei bombardamenti; venne restaurato poi
nel 1947.
Interno semplice, ci sono evidenti restauri di E. Bravo, la volta centrale
con il dipinto di San Michele contro il Demonio è una copia da Guido Reni, e la
cupoletta a calotta dell’altare maggiore, con i Quattro Evangelisti nei
pennacchi.
Altari laterali: indorati da Bravo, da destra verso sinistra: altare
Madonna di Pompei, con la stampa, altare
Santa Cecilia, opera moderna di Bravo, realizzata sopra un quadro antico; altare con tela della Deposizione di Gesù,
cappella di patronato De Rentiis.
La cappella di sinistra, corrispondente, mostra la tela con la Madonna e
il Bambino e San Giuseppe, commissionata dai Falcucci, che hanno il patronato
della cappella. Sono due tele settecentesche di modesta fattura. Presso
l’altare maggiore è interessante, murata sulla parete di destra, un’iscrizione
in pietra, che in origine doveva trovarsi presso il portale, secondo quanto
dice lo storico locale Tommaso Bartoletti, che addirittura vuole che essa fosse
l’iscrizione di fondazione della chiesa nell’anno 860. Peccato che tale anno
non sia indicati, la lapide ebbe vicende travagliate, perché fu smontata e
tagliata diverse volte, fino alla collocazione attuale, e risulta evidentemente
monca. Ridicole poi le pretese del Bartoletti nel dimostrare che il testo sia
in greco, ma a caratteri latini! Nemmeno il Salvi nella sua Prepositura Nullius di Atessa, ricco
volume di documenti è riuscito a darne un significato soddisfacente. Questa è
la trascrizione + O SI PROHERETHE / OS PRAESBITERI SIT RHS. Essa è evidenziata
da una cornice rettangolare, ma il testo risulta troppo piccolo rispetto alla grandezza
del pezzo di pietra attualmente visibile montato presso l’altare. Essendo stata
questa parrocchia di San Michele sotto il controllo dell’abate Bartoletti, il
quale fece realizzare, con dedica, anche il fonte battesimale, ed essendo note
presso gli storici le sue invenzioni campanilistiche sui privilegi e le
grandezze gloriose dell’antica Atessa, considerando che i caratteri
dell’iscrizione, seppur corrispondenti abbastanza bene ai criteri dell’onciale,
utilizzati durante il periodo dell’architettura romanica nell’XI-XII secolo, ma
considerando la grandezza del blocco di pietra rispetto al carattere della
scrittura, siam sicuri che essa non possa trattarsi di un’abile invenzione
fatta confezionare a un epigrafista dallo stesso Bartoletti, per comprovare i
privilegi e le immunità allegate alla smascherata Nullius Dioecesis atessana?
L’altare corrispondente a quello di Santa Cecilia, mostra dipinto
ritraente Santa Rita da Cascia, opera di E. Bravo
Ingresso chiesa: fonte battesimale in pietra fatto realizzare da padre
Tommaso Bartoletti 1821
CHIESA SANT’ANTONIO ABATE E DI PADOVA
Posta fuori dalle
mura del paese, era affiancata in passato da un ricovero per viandanti e
pellegrini, gestito dall'ordine Antoniano, la cui esistenza è attestata sin dal
febbraio 1593 grazie
ad un atto notarile. Nel corso del XIX secolo fu
ristrutturata negli interni prima dallo stuccatore Giovanni Fagnani da
Pescopennataro nel 1902,
poi dal pittore Alfredo Giuliani nel 1926.
Il Fagnani fu attivo
nella seconda metà dell’80’ nell’Abruzzo chietino, nel territorio tra Atessa e
i paesi del Trigno-Sinello. Ad Atessa realizzò gli stucchi degli altari della
chiesetta di Sant’Antonio, mentre a San Buono realizzò gli stucchi degli altari
della chiesa madre di San Lorenzo. Anche la chiesa madre di Pescopennataro
mostra stucchi di questo ultimo rappresentante del tradizionalismo classico
settecentesco. Particolarmente belle sono le stuccature di San Buono, ad
esempio nell’altare maggiore di San Lorenzo, la nicchia è decorata da una
macchina templare, con sopra l’architrave delle figure angeliche e al centro la
raffigurazione della Santa Croce. Non mancano presenze atessane in San Buono,
osservando il bel Cristo risorto di Michele Falcucci, autore di altri due
Cristo risorti in scala, nell’atto di benedire, presenti nella chiesa di
Sant’Antonio di Borrello e nel santuario dell’Assunta di Castel Frentano.
La facciata
dell'edificio presenta una forma rettangolare in laterizi colorati
in ocra e rosso, e vi è incorporato un campanile sul
lato sinistro realizzato in mattoni su basamento in pietra. Un'effigie in
pietra con ornamenti reca l'iscrizione "A DIVOZIONE DEI FEDELI".
Interno a navata unica con cappellone laterale, modificato negli anni ’50 con altre aperture.
Gli altari laterali e il maggiore sono stati indorati da E. Bravo negli
anni ’50.
Altare con nicchione di San Mauro abate, venerato anche nella vicina
Boba col santuario; opera di Pasquale Giuliano di Atessa, 1898; Giuliani era
allievo di Falcucci e Pellicciotti di Perano.
Nicchietta con statue di Sant’Antonio di Padova e S. Antonio abate inginocchiato, opera modesta.
Cappellone laterale di Sant’Antonio, il soffitto a cassettoni è stato
rifatto da Bravo; le tre nicchie ospitano nella teca il gruppo di Sant’Anna con
Maria Bambina del Falcucci, la Madonna dei Sette Dolori, Sant’Antonio di Padova
col giglio e il Bambino, opera di Luigi Tenaglia di Orsogna.
Vi è una tela del ‘700, di un locale, rozza, della Madonna del
Purgatorio tra le Anime
Altare maggiore, ha tre nicchie, al centro Sant’Antonio abate col
porcellino, forse di Falcucci, ai lati San Francesco di Paola e il Sacro Cuore.
Nicchia laterale, altare con statua di San Nicola di Bari, opera di Falcucci, ma restaurato da Bravo.
Altare con statua di San Donato vescovo, corrispondente a quello di San
Mauro, con la statua opera di P. Giuliano di Atessa, scuola del Pellicciotti.
Cantoria, organo della ditta D’Onofrio di Caccavone, con le ante dipinte
con scena della Sacra Famiglia.
CHIESA SANTA CROCE
Secondo alcuni
studiosi una primitiva struttura a pianta ottagonale esisteva già nel VII secolo,
come sembrerebbero testimoniare alcuni elementi architettonici. Un documento
del 1027 rinvenuto
dallo storico locale Tommaso Bartoletti segnala per la prima volta la chiesa,
che in quanto sede della compagnia di Santa Croce, assisteva i pellegrini che
giungevano ad Atessa.
Le prime modifiche
alla chiesa rimandano al XIII secolo,
quando vennero realizzati anche i due contrafforti ai lati del portale.
Altri lavori furono condotti nel XIV secolo,
in occasione del quale fu conferito all'edificio un aspetto ad aula unica
rettangolare e furono inseriti il portale gotico ed il rosone.
Le due navate laterali, coperte da volte, vennero aggiunte solamente nella
seconda metà del XVII secolo.
Tali lavori terminarono nei primi decenni del Settecento, dopo la realizzazione
dell'attuale campanile.
Nel XIX secolo la
chiesa fu rinforzata con una cassa muraria impostata su arconi, dotata di uno
spessore tale da opporsi alla spinta delle volte sulle navate laterali. Con i
lavori di restauro del 1985 fu
ripristinato l'originale aspetto della facciata,
rimuovendo lo strato di intonaco che la rivestiva.
Impianto a navata unica, poi ampliato a tre laterali, con le campate divise dai pilastri, e cupolette per ciascun altare.
Facciata in pietra, la parte più antica è il comparto centrale con il portale gotico; il rosone è un rifacimento degli anni ’50 sopra un finestrone centrale. Opere d’arte: interno rifatto totalmente con stucchi e dorature di E. Bravo, anche i puttini e i festoni sono opera sua.
Organo è della ditta D’Onofrio di Caccavone.
La volta ha al centro Cristo trionfante tra gli Apostoli, opera di Bravo
che ha realizzato anche gli angeli e i festoni dell’altare maggiore. Statue
Sulla destra, primo altare, le stratuine di san Francesco di Paola e
Sant’Apollonia, opere di un locale
Secondo altare, Sacro Cuore, opera moderna, forse di Bravo.
Altare della Madonna del Carmelo, quadro ottocentesco che imita la tela
di Felice Ciccarelli presso la chiesa di san Rocco di Atessa. Questo altare,
come il corrispondente di sinistra della Madonna delle Grazie, ha il paliotto
d’altare di Giovanni Cardona, datato 1703, in scagliola con intarsi, volute, e
figure mitologiche e sacre;
Cappellone a capoaltare della navata destra, rifatto completamente da
Bravo con i pennacchi della cupola, ha il tabernacolo in stile neogotico, con
la Madonna di Lourdes, opera di M. Falcucci;
Madonna miracolosa che muove gli occhi;
Navata sinistra: altare di san Giuseppe e il Bambino,opera forse di
Bravo, di poco interesse;
Altare Madonna delle Grazie, la statua mostra la Madonna col Bambino tra
gli angeli; la postura è tipica delle Madonne umbre e abruzzesi aquilane del
‘300, anche se qui la vediamo pesantemente ridipinta da restauri del ‘600.
Anche qui vi è il paliotto di Cardona, corrispondente a quello dell’altare
della Madonna del Carmelo;
Al capo altare vi è un ambiente con le statue di san Francesco e San Giovanni Bosco. Il san Francesco è in cartapesta, opera di Gabriele Falcucci, pittore sordomuto, 1883;
TOMMASO ALESSANDRINO AD
ATESSA
T. Alessandrino, Madonna col
Bambino, chiesa di Santa Maria a Mare, Atessa
L’Alessandrino fu presenta ad Atessa, con una modesta tela
presso la chiesetta della Madonna a Mare. Fu realizzata dalla
famiglia Flocco tra il 1760 e
il 1770 come
ex voto a don Giacomo Flocco, curato della parrocchia di San Michele. È una
piccola cappella a capanna, con facciata decorata da architrave a timpano
triangolare. Il quadro mostra la Madonna col Bambino con San Carlo Borromeo, la
firma è “A(anno) D(omini) 1612 P(inxit) T(ommasus) A(lexandrinus).” Il volto
della Vegrine è appena abbozzato, di scarso valore, più interessante è il
Bambino con due paia di bracciali di corallo rosso ai polsi, che fa per
aggrapparsi al copricapo della Madre, e volge lo sguardo verso il Santo.
Nonostante anche il panneggio sia ben realizzato, il quadro non è tra i
migliori del pittore.
Tommaso Alessandrino,
Assunzione, Museo diocesano di Ortona
Tommaso Alessandrino era nativo di Ortona, vi nacque nel 1570 e vi morì
nel 1640. È considerato il miglior pittore dei suoi tempi nell’Abruzzo chietino,
seguito solamente da Felice Ciccarelli di Atessa, e da uno sconosciuto pittore
ortonese operativo nel XVII secolo, di cui si parlerà. Tommaso fu attivo tra
Ortona, Atessa, Lanciano, Chieti e Città Sant’Angelo, principalmente ebbe
committenze dall’Ordine minoritico, specialmente per i conventi di San
Francesco, dei Cappuccini, dei Minori osservanti sparsi tra Lanciano, Ortona e
il pescarese. A Ortona si conservano L’Assunzione di Maria in cielo con San
Tommaso e il panorama di Ortona (datata 1627), la Deposizione del 1629 e i Tre
regni d’Oltretomba (1631), conservati nel Museo diocesano. Presso la Basilica
di San Tommaso, si conserva il dipinto a ovale, firmato, di San Tommaso
apostolo, nel centro della facciata della cassa in rame dorato contenente le
ossa dell’Apostolo.
Tommaso Alessandrino, Giudizio universale,
Museo diocesano di Ortona
L’Alessandrino ebbe forse contatti con pittori veneti, attivi
nell’Abruzzo chietino, dati i floridi commerci delle due città di Ortona e
Lanciano. Enrico Coletti nella sua biografia nel Quaderno di ricerca
dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del luglio 2004, sostiene che
l’Alessandrino avrebbe avuto ispirazione dalle opere di Sebastiano del Piombo,
per il gusto manierista dell’aspetto dei personaggi, e per i fondali oscuri e
barocchi, dal forte senso plastico. Possiamo notare delle affinità tra la Deposizione
di Ortona, con la Madonna che sorregge il corpo esanime del Figlio, ancora
influenzato dal quel contesto medievale della tedesca Vesperbild, che a Ortona
ritroviamo anche in un gruppo scultore della Madonna col Cristo morto del XV
sec.. ai lati del dipinto, San Pietro col Rosario e San Giovanni apostolo.
Anonimo ortonese, Trionfo dell’Ordine
francescano, ex chiesa di San Giuseppe in Borgo, Lanciano.
In alto una veduta panoramica di Gerusalemme, che tuttavia per certi
versi, sembra somigliare al centro storico ortonese, con la Porta Marina al
torrione del castello, e la basilica. In alto due angeli disposti
simmetricamente, reggono il cartiglio: ECCO LA CHIESA A PIENO DELLA PIETA’ ED
IL SENO.
Tommaso Alessandrino, San Bernardo e miracolo
della lattazione, Oratorio del Crocifisso miracoloso, Ortona
In basso la figura del committente Cesare Gervasone, bergamasco. Nato
nel 1578 e morto a Ortona nel 1648, era un mercante, che partecipava anche alle
fiere lancianesi, molto ricco, specializzato nel commercio del vino. Fu
seppellito nella cappella di San Marco nella chiesa di Santa Maria delle Grazie
dei Frati Minori a Ortona. Accanto il committente del dipinto, vi è lo stemma
di famiglia, tripartito, con il pastorale e la mitra.
La Madonna fu utilizzata dall’Alessandrino come modello per altre
pitture che troviamo tra Lanciano e Città Sant’Angelo. Nella prima vediamo una
Pietà, censita già da Francesco Verlengia in un articolo del 1926, conservata
nel convento di San Bartolomeo dei Cappuccini di Lanciano.
Tommaso Alessandrino, Pietà, Convento dei
Cappuccini di Lanciano, foto archivio ICCD
[https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1300065751]
La scena risente ancora della prospettiva di maniera: la Madonna è al
centro, con una mano sorregger il corpo di Gesù, la sinistra è alzata per
cercare di dare un senso di pathos alla drammaticità del soggetto. Attorno
santi dell’Ordine francescano (San Bernardino e Beato Lorenzo di Villamagna), e
angeli, che svolazzano attorno la Croce, con l’immagine del Volto Santo della
Veronica. In basso a destra il committente con il pizzo. Interessante notare,
rimanendo nell’area frentana, come altri committenti si facessero ritrarre col
breviario in mano, il tipico colletto spagnolo, e il pizzo, moda di quei tempi,
in basso al soggetto dipinto; e possiamo citare gli esempi della Madonna col
Bambino tra Anime Purganti nella chiesa del Suffragio di Lanciano, opera di metà
Settecento di Francesco M. Renzetti, il cui committente fu Domenico Coli; un
quadro più antico proviene dalla chiesa distrutta di San Maurizio a
Lancianovecchia, e illustra l’ispirazione di San Maurizio colla Legione dei Tebani.
Il committente, coi baffi e il pizzo, è in basso, col breviario. L’opera è del
XVII secolo, San Maurizio è al centro, in estasi, mentre attorno i soldati
scuri in volto si assembrano per la battaglia della leggenda lancianese, che
vuole San Maurizio salvatore della patria dall’attacco di Comitone dei
Bizantini contro la città di presidio longobardo. Il Santo apparve in forme
gigantesche sulle mura, con i suoi Diecimila Tebani, l’esercito nemico fu
spazzato via, e la Città si salvò.
Altre leggende che vogliono i Santi protettori che appaiono come dei
giganti, residuo di antiche tradizioni e cantari medievali, nell’Abruzzo le
abbiamo con la “ciammaichella” di Bucchianico, quando Sant’Urbano apparve sulle
mura del paese assediato dalle genti di Chieti; e mentre i soldati correvano bardati
con pennacchi, per incutere timore ai chietini, e far credere loro che la città
fosse presidiata da un vasto esercito, questi si ritirarono. Un prodigio simile è legato anche col patrono
San Berardo a Teramo. Siamo stavolta nel XVI secolo, anno 1501. La Città da due
secoli era attanagliata dalle mire espansioniste del Ducati di Atri sotto il
controllo degli Acquaviva. Niccola Palma nella Storia di Teramo riferisce che
il duca Andrea Matteo III Acquaviva desiderava conquistare una volta per tutte
Teramo. Accadde che presso il Vezzola ai piedi del santuario di Santa Maria
delle Grazie, fuori Porta Madonna, le truppe di Atri videro sopra le mura due
grandi figure: una donna vestita di bianco (Maria SSma delle Grazie, molto
venerata dai teramani) e un uomo a cavallo vestito di rosso (i colori dello
stemma civico), cioè il patrono San Berardo di Pagliara, che imbracciavano
minacciosamente le armi. I soldati furono talmente presi dal terrore che si
dettero alla fuga, ricacciati anche dai teramani stessi, che irruppero dalle
porte aperte delle mura.
Torniamo a Lanciano, soffermiamoci su una tela poco conosciuta che
illustra il Trionfo di Cristo e dell’Ordine Francescano, presso l’ex chiesa di
San Filippo Neri o San Giuseppe in via dei Tribunali, accanto il monastero di
San Francesco. Questa chiesa conteneva altre due tele interessanti, oggi nel
percorso museale del Miracolo eucaristico: San Filippo Neri che somministra il
Ssmo Sacramento, del XVII sec., e il Miracolo dell’ostia profanata, in cui dei
giocatori d’azzardo, di caravaggesca memoria, assistono a un prodigio, un
giocatore profana l’Ostia, e viene azzannato al naso da un cane. Tale miracolo
illustrato fa riferimento alla serie di leggende sul Miracolo dell’Ostia
profanata, di cui Lanciano è famosa per la storia della Ricciarella, illustrata
anche nel ciclo di pitture del santuario di Sant’Agostino di Offida, o anche
nella serie delle Storie dell’Ostia di Paolo Uccello a Urbino.
La tela del Trionfo del Cristo risale al XVII secolo, è stata
rimaneggiata successivamente. La scena che sembra rispondere a un gusto
dell’horror vacui, e con un’impostazione scenica che ricorda le tele
dell’Alessandrino, mostra al centro il Sepolcro scoperchiato, con Gesù sedente
al centro, che con la mano destra regge una corda legata a tre figure che lo
sovrastano in cielo, sopra delle nuvole, al centro Dio Padre, a sinistra Gesù
che regge la Croce, a destra San Francesco. Con l’altra mano, Gesù trionfante
mostra lo stemma dell’Ordine Minoritico, ai suoi lati vi sono la Madonna, Maria
Maddalena, la Carità, Santa Chiara e altre monache clarisse sulla destra, sulla
sinistra dei dignitari in vesti spagnole, spicca la caratteristica gorgiera.
Cristo poggia sopra una grande ara con al centro la Croce avvolta da raggi di
sole, ed è mostrata da due figure inginocchiate: Papa Sisto IV e San Pietro.
Possiamo leggere nel cartiglio in basso al pavimento: PER TE GODIAMO, O SISTO,
IL GRAN MERTO DI CHRISTO. Poco più in alto QUINDI ME TRAE ALMA LO SCARCO DI SUA
SALMA. Non si conosce il nome del pittore, su un cartiglio retto dai dignitari
di sinistra, tra cui forse vi è un autoritratto del pittore stesso, ma si
comprende fosse Ortonese. La tela fu censita anche dal Verlengia nelle sue
schede tecniche per le opere d’arte della Provincia di Chieti per la Regia
Soprintendenza d’Arte antica e moderna d’Abruzzo.
Una tela, da alcuni attribuita alla mano dell’Alessandrino, è quella
dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Agostino di Lanciano. Incassata in un
complesso tabernacolo, molto elegante, in legno indorato, opera di Berardino
Altobello, finita nel 1602, come riportato nell’iscrizione, la tela centrale
illustra la Madonna col Bambino incoronata Regina degli Angeli, con attorno
schiere di Santi, e in basso Sant’Agostino, San Michele colla bilancia, e
Sant’Apollonia. Il Fella nella sua
Chronologia Anxani ricorda infatti che la chiesa ebbe in dono il dente
della Santa, inserito in un reliquiario, oggi presente nel Museo diocesano: il
busto della Santa con al centro il detto reliquiario. La santa è raffigurata
anche in una tela di F. Renzetti, sempre presente nel Museo diocesano. L’opera
dell’altare maggiore è schematica, ma ben proporzionata, e si confà a quelle
reminiscenze, seppur digerite tardivamente in Abruzzo, dello stile
rinascimentale veneziano, si pensi ad esempio alle Madonne del Bellini.
Significativa è la tela della Cappella del Santissimo Sacramento nella
Cattedrale di Lanciano, attribuita all’Alessandrino, dall’iscrizione TA P(inxit)
1601, posta sotto il sedile della tavola a destra. Lasciando stare la porzione
del primo piano con la figura dell’ancella che versa acqua, decisamente troppo
grande rispetto al resto della scena, poiché opera tardiva di Nicola de
Archangelis lancianese, soffermiamoci su Cristo e gli Apostoli in
conversazione, disposti a cerchio sulla tavola. Motivo che ricorda il Convito degli Dei di Polidoro da
Lanciano, nel Museo di Capodimonte a Napoli. Notiamo alcune assonanze della
disposizione dei primi tre apostoli, seduti dal lato dello spettatore, con
pitture fiammingo-veneziane dello stesso soggetto, come quelle di Paolo da
Cailina il Giovane, oppure, per l’apostolo che invita lo spettatore a
partecipare al rito sacro, da Pieter de Witt, conosciuto forse dall’Alessandrino
per tramite di qualche stampa. Anche il San Giovanni apostolo con la testa
reclinata verso Cristo, irrealisticamente qui ritratto in posizione eretta, che
chiaramente si distingue dalle altre figure per la testa aureolata, è un motivo
ben comune nella raffigurazione della Coena Domini.
Tommaso Alessandrino, Madonna col Bambino e
San Francesco di Paola, chiesa di San Francesco, Città Sant’Angelo
L’Alessandrino qui sembra essere in stato di grazia per i modelli usati,
decisamente più realistico nella resa dei volti meno “di plastica” dai sorrisi
e smorfie appena accennati che fu solito inserire negli sguardi delle Madonne
visibili nel Giudizio universale (si veda anche il Cristo, piuttosto
elementare), o la Madonna Assunta, o la Madonna addolorata nel quadro della
Pietà, o anche nelle due tele della Madonna col Bambino con San Francesco di
Paola, presso la chiesa di San Francesco, e la Madonna col Bambino tra San
Giovanni battista e San Pietro nella Collegiata di Città Sant’Angelo. Fatto sta
che l’Alessandrino, come egli stesso si firmava, anche per il quadro di Città
Sant’Angelo: “pictor inventor”, aveva abbastanza studiato, limiti a parte per
la resa delle figure, per potersi fregiare di questo titolo nei suoi quadri.
Notiamo anche una certa maturità raggiunta in questo quadro angolano, firmato 1611, nel ritratto più preciso della Madonna, e maggiormente espressivo nel sorrido del Bambino, mentre si riscontrano analogie tra il volto del San Giovanni e quello di uno degli Apostoli del quadro della Coena Domini di Lanciano. stessa potrebbe dirsi per il quadro di San Bernardino nell’oratorio del Crocifisso miracoloso di Ortona con l’apostolo Pietro della Pietà di Chioggia. Era naturale che questi pittori si autocitassero nelle loro opere più famose.
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