Pagine

28 agosto 2024

Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II


Felice Ciccarelli, Tommaso Alessandrino e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa – Parte II

di Angelo Iocco

Qualche nota su Felice Ciccarelli

Essendoci già occupati del Ciccarelli, qui desideriamo segnalare altre tre opere poco conosciute. Per la prima opera, conservata nel convento di San Francesco di Lanciano per la pubblicazione della fotografia, ringraziamo per la squisita disponibilità Padre Fabrizio OFM Conv.


Felice Ciccarelli, Madonna col Bambino tra San Michele e San Bernardo. Convento di San Francesco, Lanciano. Foto Angelo Iocco.

Essa è una Madonna col Bambino con ai piedi San Michele arcangelo e San Bernardo. La tela necessiterebbe di un restauro, faceva parte dell’antica cappella di Sant’Angelo; ammirandola notiamo immediatamente delle affinità con la Madonna del Carmine dipinta dal Ciccarelli nella chiesa di San Rocco di Atessa, tra le opere più riuscite di questo pittore. Il San Michele invece è tratto dal quadro della Madonna con San Michele e San Giovanni presso la chiesa madre di San Giovanni in Rapino. Ciccarelli al posto della Madonna di Atessa che accenna un sorriso, qui ha realizzato una versione più seria e malinconica.


Le altre opere sono l’Immacolata Concezione, che il Ciccarelli realizzò per la chiesa di San Lorenzo in Rapino, e per la cappella del Duomo di Guardiagrele.

  

F. Ciccarelli, Madonna Immacolata come Regina degli Angeli, chiesa di San Lorenzo, Rapino. ID, Madonna Immacolata, Duomo di Guardiagrele.

Nella tela di Rapino la Madonna è al centro di una grande nuvola attorniata da angioletti, in un paesaggio botticelliano naturale con tempietti e cittadelle in una innaturale posizione prospettica, nel quadro guardiese invece la Madonna è racchiusa in una classica mandorla, sorretta da 4 angeli, mentre nel primo piano si vede la tomba vuota, e gli Apostoli che adorano il miracolo dell’Assunzione. Si notano somiglianze con il quadro della Madonna nella chiesa di San Francesco di Loreto Aprutino, e quanto a scene corali, esso è uno dei più belli realizzati da questo pittore.

IL PALIOTTO DEL CARDONA DI ATESSA

Giuseppe Antonio Cardona attivo all’inizio del ‘700, è uno scultore sconosciuto nel panorama dell’arte abruzzese. Fu maestro nella lavorazione dell’avorio e della scagliola. Nella chiesa di Santa Croce in Atessa, nei due capialtare dei bracci del transetto, dedicati rispettivamente alla Madonna del Carmine e alla Madonna delle Grazie, il Cardona realizzò dei bellissimi paliotti, firmando e datando quello della Madonna delle Grazie. L’altare della Madonna del Carmine ha una tela copia del celebre quadro dell’atessano Felice Ciccarelli presso l’altare privilegiato nella chiesa di San Rocco, ed è opera ottocentesca, forse di Giacomo Falcucci. Il paliotto reca l’iscrizione: GIUSEPPE ANTONIO CARDONE ATISSANO FECIT ANNO DOMINI 1706. Vediamo nel disegno diversi riferimenti alla cultura pre-cristiana, ma utilizzato ampiamente anche nell’era dei Longobardi di patronato dei Valsecca di Bergamo, per essere ripreso anche nel tardo Rinascimento (si vedano gli esemplari dei pavoni dall’ex cappella di Sant’Angelo dei Lombardi di Lanciano, rimontati presso la facciata del santuario del Miracolo Eucaristico). Il pavone per i Cristiani rimanda alla Resurrezione di Cristo, ed era un tema iconografico diffusissimo nei bassorilievi: al centro della composizione vi è la Croce del Golgota con i tre Monti, al centro dei quali vi è la sigla a lettere intrecciata SC; alla base della cornice fogliata che avvolge la Croce, si innalzano obliquamente due fusti, cui si aggrappano degli angioletti; cui si contrappongo più in basso due leprotti che corrono, disposti in maniera proporzionale ed equilibrata alla composizione floreale. Proseguendo in maniera equidistante, sia a destra che a sinistra, spaziando nel disegno, ammiriamo due farfalle protette dalla corolla di due girasoli, sopra i cui fusti figurano due chiocce che beccano dei semini, simbolo della Eucaristia. Impossibile non pensare alla bellissima Chioccia di Teodolinda! Spostandoci sopra la Croce, al centro figura il classico putto con le alette laterali, e rispettivamente a destra e sinistra altri festoni e foglie, cui si avvinghiano dei puttini, in un felice tripudio di intrecci e intarsi fino ai bordi del paliotto. Il Cardona volle divertirsi disegnando altri uccelli, e perfino dei piccoli leoni che si aggrappano ai fusti.

   


   

Anche il paliotto della Madonna delle Grazie reca l’iscrizione: IOSEF ANTONIUS CARDONA ATISANUS FECIT A.D. 1703. La composizione qui è più bella: una corona d’alloro sorretta da due puttini, al centro figura la Madonna col Bambino in veste di Regina. La devozione per il Simulacro della Madonna col Bambino nella chiesa di Santa Croce è molto forte: narra la leggenda che la chiesa sia costruita sopra un tempio più antico, di cui restano i ruderi presso il contrafforte della torre campanaria; e che quivi ci fosse una grotta miracolosa, dove fu rinvenuta la statua della Vergine. Il popolo devoto decise allora di costruire una chiesa, che coi secoli si ampliò fino a raggiungere l’aspetto di tre navate. 


I devoti hanno lasciato i loro segni presso il portale gotico del XIII secolo, con incisioni di croci, invocazioni, e con profondi solchi, a furia di toccare la porta con amore ogni volta che varcavano l’ingresso. La statua della Vergine col Bambino, piuttosto piccola, circondata da angioletti che la sorreggono, è di indubbio gusto medievale, del periodo a cavallo tra XIII-XIV secolo, benché pesantemente ridipinta nei secoli, e appartiene a quel gruppo di sculture di gusto borgognone con la Vergine leggermente inclinata con i fianchi, la cui anca è piegata verso il Bambino che regge, per conferire plasticità e pesantezza alle figure, armonia nel panneggio scanalato, ancora con la corona in testa di gusto bizantino, quale Regina dei Cieli. La veste a doppio colore, il blu per la Natività, e il rosso per la Passione, ricorda molto quelle Madonne di Bagno a Ripoli o di Fiesole, studiate da Pietro Toesca, e nell’Abruzzo innegabile il confronto con la superba Madonna della Vittoria di Scurcola.


Anche in questo paliotto del 1703 ammiriamo l’armonica composizione di fioroni e fusti, dove ogni tanto appaiono farfalline, chiocce, pavoni, e cervi, testimonianza di un gusto di provincia per la natura, che ammicca a quel Manierismo lombardo giunto in Abruzzo con i feudatari e alcuni signorotti che acquistarono o ereditarono diverse borgate del Sangro. Qualche secolo più avanti un altro mastro artigiano di Perano, G. Pellicciotta, si divertirà nello squisito gusto paesano di rappresentare le primizie della valle del Sangro, le mele, le pesche, nel realizzare il suo capolavoro dell’altare monumentale della Chiesa madre di Perano, poco distante da Atessa.

Non conosciamo altre opere del Cardona in Atessa. La famiglia è di ricche origini, ed è censita sin dal XVI secolo, diversi sono gli uomini illustri ricordati da padre Tommaso Bartoletti nella sua Biografia degli uomini illustri di Atessa: Ottaviano Cardona che nel 1560 si impegnò nelle cause di confine di Atessa con Tornareccio, era luogotenente, nel 1563 difese Atessa dalle imposizioni sul tratturo per Foggia, e patrocinò la causa della Nullius dioecesis di Atessa contro l’Arcivescovo di Chieti nel 1573; poi un Gianfrancesco Cardona, procuratore della Cappella del Rosario in San Domenico, che nel 1566 fece ricostruire altari e colonne; Giulio Cardona che nel 1587 in mancanza di eredi, donò i suoi averi per l’erezione del Monastero delle Domenicane; un Curzio Cardona che nel 1597 continuò la difesa di Atessa per le liti sui confini con Tornareccio, un Padre Vincenzo Cardona domenicano.

Secondo alcuni studiosi una primitiva struttura a pianta ottagonale esisteva già nel VII secolo, come sembrerebbero testimoniare alcuni elementi architettonici. Un documento del 1027 rinvenuto dallo storico locale Tommaso Bartoletti segnala per la prima volta la chiesa, che in quanto sede della compagnia di Santa Croce, assisteva i pellegrini che giungevano ad Atessa.

OPERE D’ARTE NELLE CHIESE DI ATESSA: CHIESA DI SAN ROCCO


La chiesa un tempo era intitolata alla Madonna del Carmine ed era parte del convento dei Carmelitani che fu fondato nel 1603. Il convento è ancora esistente e ospitava l'Ospedale Civile fino all'apertura del nuovo ospedale.

In passato la chiesa aveva la facciata a capanna fino alla ristrutturazione avvenuta nella seconda metà del XX secolo in cui le fu conferito l'aspetto attuale.

Gli interni con volta dipinta da Ennio Bravo negli anni ‘50, ciclo dedicato alla Madonna del Rosario, al centro vi è la gloria della Madonna tra le Anime purganti, verso l’altare maggiore vi è l’Apparizione di Maria Immacolata al Beato Giovanni Duns Scoto. Le indorature della ditta Pasquale ed Ennio Bravo sono visibili perfettamente negli altari e nelle paraste della chiesa, così come in quasi tutte le altre chiese atessane. Ricordiamo che i Bravi furono attivi anche nei cantieri di restauro delle chiese di Bomba, Tornareccio, Paglieta, Orsogna, Guardiagrele (chiesa di San Nicola), Pennadomo (chiesa madre), firmando ogni tanto i loro interventi.

 

Le opere d’arte che ammiriamo dentro San Rocco di Atessa sono, procedendo da destra verso sinistra, soffermandoci all’altare maggiore: le sculture: controfacciata, nicchia sulla sinistra: San Nicola di Bari con paramenti vescovili, seduto e con il pastorale e mitra, opera di Michele Falcucci, come si firma;

Altare di San Giuseppe, statua col Bambino, opera di Michele Falcucci;

Altare col gruppo della Crocifissione e Maria dolenti, opera del Falcucci;

Altare di San Rocco, la nicchia ha la statua del Santo, non si sa bene se di Falcucci o della bottega, è dell’800, ma è stata ridipinta da Bravo. Da notare che si tratta di una delle poche statue in cui San Rocco è illustrato non col classico cappello a falde da pellegrino e il bastone ricurvo con la bisaccia, ma al contrario, come un re, con la corona, e lo scettro;



Altare maggiore a tabernacolo, rifatto da Bravo, ospita la nicchia colla statua della Madonna del Rosario, opera di G. Pellicciotti di Perano. Ai lati, Madonna de la Salette e Cristo risorto, opere di G. Pellicciotti;

Altare maggiore: cupoletta a calotta, con pennacchi ritraenti i Quattro Evangelisti, opera di E. Bravo;

Altari di sinistra: altare di San Sebastiano, la statua di piccole dimensioni è novecentesca, di poco interesse;

Altare privilegiato della Madonna del Carmine, con tela di Felice Ciccarelli, 1603;

Altare di Santa Lucia, con la statua della Santa, opera di Falcucci, ridipinta da Bravo.





CHIESA DI SAN MICHELE DI ATESSA

Gli storici fanno risalire l'esistenza della chiesa già nel VII secolo, pertanto una delle più antiche della città. A testimoniarlo non ci sono fonti documentarie ma un'epigrafe situata all'interno dell'edificio. Sul finire del XVIII secolo fu oggetto di un rifacimento totale, che le conferì l'odierno aspetto, ad opera di don Giacomo Flocco.

Un ulteriore intervento fu eseguito nel 1876, come testimoniato da un'iscrizione presente nella facciata. Nel 1844, secondo le fonti bibliografiche, venne edificato il campanile, parzialmente distrutto successivamente durante la Seconda guerra mondiale, a causa dei bombardamenti; venne restaurato poi nel 1947.



Interno semplice, ci sono evidenti restauri di E. Bravo, la volta centrale con il dipinto di San Michele contro il Demonio è una copia da Guido Reni, e la cupoletta a calotta dell’altare maggiore, con i Quattro Evangelisti nei pennacchi.

Altari laterali: indorati da Bravo, da destra verso sinistra: altare Madonna di Pompei, con la stampa,  altare Santa Cecilia, opera moderna di Bravo, realizzata sopra un quadro antico;  altare con tela della Deposizione di Gesù, cappella di patronato De Rentiis.

La cappella di sinistra, corrispondente, mostra la tela con la Madonna e il Bambino e San Giuseppe, commissionata dai Falcucci, che hanno il patronato della cappella. Sono due tele settecentesche di modesta fattura. Presso l’altare maggiore è interessante, murata sulla parete di destra, un’iscrizione in pietra, che in origine doveva trovarsi presso il portale, secondo quanto dice lo storico locale Tommaso Bartoletti, che addirittura vuole che essa fosse l’iscrizione di fondazione della chiesa nell’anno 860. Peccato che tale anno non sia indicati, la lapide ebbe vicende travagliate, perché fu smontata e tagliata diverse volte, fino alla collocazione attuale, e risulta evidentemente monca. Ridicole poi le pretese del Bartoletti nel dimostrare che il testo sia in greco, ma a caratteri latini! Nemmeno il Salvi nella sua Prepositura Nullius di Atessa, ricco volume di documenti è riuscito a darne un significato soddisfacente. Questa è la trascrizione + O SI PROHERETHE / OS PRAESBITERI SIT RHS. Essa è evidenziata da una cornice rettangolare, ma il testo risulta troppo piccolo rispetto alla grandezza del pezzo di pietra attualmente visibile montato presso l’altare. Essendo stata questa parrocchia di San Michele sotto il controllo dell’abate Bartoletti, il quale fece realizzare, con dedica, anche il fonte battesimale, ed essendo note presso gli storici le sue invenzioni campanilistiche sui privilegi e le grandezze gloriose dell’antica Atessa, considerando che i caratteri dell’iscrizione, seppur corrispondenti abbastanza bene ai criteri dell’onciale, utilizzati durante il periodo dell’architettura romanica nell’XI-XII secolo, ma considerando la grandezza del blocco di pietra rispetto al carattere della scrittura, siam sicuri che essa non possa trattarsi di un’abile invenzione fatta confezionare a un epigrafista dallo stesso Bartoletti, per comprovare i privilegi e le immunità allegate alla smascherata Nullius Dioecesis atessana?


L’altare corrispondente a quello di Santa Cecilia, mostra dipinto ritraente Santa Rita da Cascia, opera di E. Bravo

Ingresso chiesa: fonte battesimale in pietra fatto realizzare da padre Tommaso Bartoletti 1821

CHIESA SANT’ANTONIO ABATE E DI PADOVA

Posta fuori dalle mura del paese, era affiancata in passato da un ricovero per viandanti e pellegrini, gestito dall'ordine Antoniano, la cui esistenza è attestata sin dal febbraio 1593 grazie ad un atto notarile. Nel corso del XIX secolo fu ristrutturata negli interni prima dallo stuccatore Giovanni Fagnani da Pescopennataro nel 1902, poi dal pittore Alfredo Giuliani nel 1926.



Il Fagnani fu attivo nella seconda metà dell’80’ nell’Abruzzo chietino, nel territorio tra Atessa e i paesi del Trigno-Sinello. Ad Atessa realizzò gli stucchi degli altari della chiesetta di Sant’Antonio, mentre a San Buono realizzò gli stucchi degli altari della chiesa madre di San Lorenzo. Anche la chiesa madre di Pescopennataro mostra stucchi di questo ultimo rappresentante del tradizionalismo classico settecentesco. Particolarmente belle sono le stuccature di San Buono, ad esempio nell’altare maggiore di San Lorenzo, la nicchia è decorata da una macchina templare, con sopra l’architrave delle figure angeliche e al centro la raffigurazione della Santa Croce. Non mancano presenze atessane in San Buono, osservando il bel Cristo risorto di Michele Falcucci, autore di altri due Cristo risorti in scala, nell’atto di benedire, presenti nella chiesa di Sant’Antonio di Borrello e nel santuario dell’Assunta di Castel Frentano.

La facciata dell'edificio presenta una forma rettangolare in laterizi colorati in ocra e rosso, e vi è incorporato un campanile sul lato sinistro realizzato in mattoni su basamento in pietra. Un'effigie in pietra con ornamenti reca l'iscrizione "A DIVOZIONE DEI FEDELI".

Interno a navata unica con cappellone laterale, modificato negli anni ’50 con altre aperture.

Gli altari laterali e il maggiore sono stati indorati da E. Bravo negli anni ’50.

Sulla destra vi è il confessionale incassato nel muro, in legno dipinto, con dorature per i festoni neoclassici, di scuola locale; la Maddalena con la Croce è stata pesantemente ridipinta da Bravo.


Altare con nicchione di San Mauro abate, venerato anche nella vicina Boba col santuario; opera di Pasquale Giuliano di Atessa, 1898; Giuliani era allievo di Falcucci e Pellicciotti di Perano.

Nicchietta con statue di Sant’Antonio di Padova e S. Antonio abate inginocchiato, opera modesta.


Cappellone laterale di Sant’Antonio, il soffitto a cassettoni è stato rifatto da Bravo; le tre nicchie ospitano nella teca il gruppo di Sant’Anna con Maria Bambina del Falcucci, la Madonna dei Sette Dolori, Sant’Antonio di Padova col giglio e il Bambino, opera di Luigi Tenaglia di Orsogna.

Vi è una tela del ‘700, di un locale, rozza, della Madonna del Purgatorio tra le Anime

Altare maggiore, ha tre nicchie, al centro Sant’Antonio abate col porcellino, forse di Falcucci, ai lati San Francesco di Paola e il Sacro Cuore.

Nicchia laterale, altare con statua di San Nicola di Bari, opera di Falcucci, ma restaurato da Bravo.



Altare con statua di San Donato vescovo, corrispondente a quello di San Mauro, con la statua opera di P. Giuliano di Atessa, scuola del Pellicciotti.

Cantoria, organo della ditta D’Onofrio di Caccavone, con le ante dipinte con scena della Sacra Famiglia.

 

CHIESA SANTA CROCE

Secondo alcuni studiosi una primitiva struttura a pianta ottagonale esisteva già nel VII secolo, come sembrerebbero testimoniare alcuni elementi architettonici. Un documento del 1027 rinvenuto dallo storico locale Tommaso Bartoletti segnala per la prima volta la chiesa, che in quanto sede della compagnia di Santa Croce, assisteva i pellegrini che giungevano ad Atessa.

Le prime modifiche alla chiesa rimandano al XIII secolo, quando vennero realizzati anche i due contrafforti ai lati del portale. Altri lavori furono condotti nel XIV secolo, in occasione del quale fu conferito all'edificio un aspetto ad aula unica rettangolare e furono inseriti il portale gotico ed il rosone. Le due navate laterali, coperte da volte, vennero aggiunte solamente nella seconda metà del XVII secolo. Tali lavori terminarono nei primi decenni del Settecento, dopo la realizzazione dell'attuale campanile.


Nel XIX secolo la chiesa fu rinforzata con una cassa muraria impostata su arconi, dotata di uno spessore tale da opporsi alla spinta delle volte sulle navate laterali. Con i lavori di restauro del 1985 fu ripristinato l'originale aspetto della facciata, rimuovendo lo strato di intonaco che la rivestiva.

Impianto a navata unica, poi ampliato a tre laterali, con le campate divise dai pilastri, e cupolette per ciascun altare.

Facciata in pietra, la parte più antica è il comparto centrale con il portale gotico; il rosone è un rifacimento degli anni ’50 sopra un finestrone centrale. Opere d’arte: interno rifatto totalmente con stucchi e dorature di E. Bravo, anche i puttini e i festoni sono opera sua.


Organo è della ditta D’Onofrio di Caccavone.

La volta ha al centro Cristo trionfante tra gli Apostoli, opera di Bravo che ha realizzato anche gli angeli e i festoni dell’altare maggiore. Statue

Sulla destra, primo altare, le stratuine di san Francesco di Paola e Sant’Apollonia, opere di un locale

Secondo altare, Sacro Cuore, opera moderna, forse di Bravo.

Altare della Madonna del Carmelo, quadro ottocentesco che imita la tela di Felice Ciccarelli presso la chiesa di san Rocco di Atessa. Questo altare, come il corrispondente di sinistra della Madonna delle Grazie, ha il paliotto d’altare di Giovanni Cardona, datato 1703, in scagliola con intarsi, volute, e figure mitologiche e sacre;


Cappellone a capoaltare della navata destra, rifatto completamente da Bravo con i pennacchi della cupola, ha il tabernacolo in stile neogotico, con la Madonna di Lourdes, opera di M. Falcucci;

Madonna miracolosa che muove gli occhi;

Navata sinistra: altare di san Giuseppe e il Bambino,opera forse di Bravo, di poco interesse;

Altare Madonna delle Grazie, la statua mostra la Madonna col Bambino tra gli angeli; la postura è tipica delle Madonne umbre e abruzzesi aquilane del ‘300, anche se qui la vediamo pesantemente ridipinta da restauri del ‘600. Anche qui vi è il paliotto di Cardona, corrispondente a quello dell’altare della Madonna del Carmelo;

Al capo altare vi è un ambiente con le statue di san Francesco e San Giovanni Bosco. Il san Francesco è in cartapesta, opera di Gabriele Falcucci, pittore sordomuto, 1883;

 

TOMMASO ALESSANDRINO AD ATESSA

T. Alessandrino, Madonna col Bambino, chiesa di Santa Maria a Mare, Atessa

L’Alessandrino fu presenta ad Atessa, con una modesta tela presso la chiesetta della Madonna a Mare. Fu realizzata dalla famiglia Flocco tra il 1760 e il 1770 come ex voto a don Giacomo Flocco, curato della parrocchia di San Michele. È una piccola cappella a capanna, con facciata decorata da architrave a timpano triangolare. Il quadro mostra la Madonna col Bambino con San Carlo Borromeo, la firma è “A(anno) D(omini) 1612 P(inxit) T(ommasus) A(lexandrinus).” Il volto della Vegrine è appena abbozzato, di scarso valore, più interessante è il Bambino con due paia di bracciali di corallo rosso ai polsi, che fa per aggrapparsi al copricapo della Madre, e volge lo sguardo verso il Santo. Nonostante anche il panneggio sia ben realizzato, il quadro non è tra i migliori del pittore.

Tommaso Alessandrino, Assunzione, Museo diocesano di Ortona

Tommaso Alessandrino era nativo di Ortona, vi nacque nel 1570 e vi morì nel 1640. È considerato il miglior pittore dei suoi tempi nell’Abruzzo chietino, seguito solamente da Felice Ciccarelli di Atessa, e da uno sconosciuto pittore ortonese operativo nel XVII secolo, di cui si parlerà. Tommaso fu attivo tra Ortona, Atessa, Lanciano, Chieti e Città Sant’Angelo, principalmente ebbe committenze dall’Ordine minoritico, specialmente per i conventi di San Francesco, dei Cappuccini, dei Minori osservanti sparsi tra Lanciano, Ortona e il pescarese. A Ortona si conservano L’Assunzione di Maria in cielo con San Tommaso e il panorama di Ortona (datata 1627), la Deposizione del 1629 e i Tre regni d’Oltretomba (1631), conservati nel Museo diocesano. Presso la Basilica di San Tommaso, si conserva il dipinto a ovale, firmato, di San Tommaso apostolo, nel centro della facciata della cassa in rame dorato contenente le ossa dell’Apostolo.

Tommaso Alessandrino, Giudizio universale, Museo diocesano di Ortona

L’Alessandrino ebbe forse contatti con pittori veneti, attivi nell’Abruzzo chietino, dati i floridi commerci delle due città di Ortona e Lanciano. Enrico Coletti nella sua biografia nel Quaderno di ricerca dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del luglio 2004, sostiene che l’Alessandrino avrebbe avuto ispirazione dalle opere di Sebastiano del Piombo, per il gusto manierista dell’aspetto dei personaggi, e per i fondali oscuri e barocchi, dal forte senso plastico. Possiamo notare delle affinità tra la Deposizione di Ortona, con la Madonna che sorregge il corpo esanime del Figlio, ancora influenzato dal quel contesto medievale della tedesca Vesperbild, che a Ortona ritroviamo anche in un gruppo scultore della Madonna col Cristo morto del XV sec.. ai lati del dipinto, San Pietro col Rosario e San Giovanni apostolo. 

Anonimo ortonese, Trionfo dell’Ordine francescano, ex chiesa di San Giuseppe in Borgo, Lanciano.

In alto una veduta panoramica di Gerusalemme, che tuttavia per certi versi, sembra somigliare al centro storico ortonese, con la Porta Marina al torrione del castello, e la basilica. In alto due angeli disposti simmetricamente, reggono il cartiglio: ECCO LA CHIESA A PIENO DELLA PIETA’ ED IL SENO. 

Tommaso Alessandrino, San Bernardo e miracolo della lattazione, Oratorio del Crocifisso miracoloso, Ortona

In basso la figura del committente Cesare Gervasone, bergamasco. Nato nel 1578 e morto a Ortona nel 1648, era un mercante, che partecipava anche alle fiere lancianesi, molto ricco, specializzato nel commercio del vino. Fu seppellito nella cappella di San Marco nella chiesa di Santa Maria delle Grazie dei Frati Minori a Ortona. Accanto il committente del dipinto, vi è lo stemma di famiglia, tripartito, con il pastorale e la mitra.

La Madonna fu utilizzata dall’Alessandrino come modello per altre pitture che troviamo tra Lanciano e Città Sant’Angelo. Nella prima vediamo una Pietà, censita già da Francesco Verlengia in un articolo del 1926, conservata nel convento di San Bartolomeo dei Cappuccini di Lanciano.

Tommaso Alessandrino, Pietà, Convento dei Cappuccini di Lanciano, foto archivio ICCD [https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1300065751]

 

La scena risente ancora della prospettiva di maniera: la Madonna è al centro, con una mano sorregger il corpo di Gesù, la sinistra è alzata per cercare di dare un senso di pathos alla drammaticità del soggetto. Attorno santi dell’Ordine francescano (San Bernardino e Beato Lorenzo di Villamagna), e angeli, che svolazzano attorno la Croce, con l’immagine del Volto Santo della Veronica. In basso a destra il committente con il pizzo. Interessante notare, rimanendo nell’area frentana, come altri committenti si facessero ritrarre col breviario in mano, il tipico colletto spagnolo, e il pizzo, moda di quei tempi, in basso al soggetto dipinto; e possiamo citare gli esempi della Madonna col Bambino tra Anime Purganti nella chiesa del Suffragio di Lanciano, opera di metà Settecento di Francesco M. Renzetti, il cui committente fu Domenico Coli; un quadro più antico proviene dalla chiesa distrutta di San Maurizio a Lancianovecchia, e illustra l’ispirazione di San Maurizio colla Legione dei Tebani. Il committente, coi baffi e il pizzo, è in basso, col breviario. L’opera è del XVII secolo, San Maurizio è al centro, in estasi, mentre attorno i soldati scuri in volto si assembrano per la battaglia della leggenda lancianese, che vuole San Maurizio salvatore della patria dall’attacco di Comitone dei Bizantini contro la città di presidio longobardo. Il Santo apparve in forme gigantesche sulle mura, con i suoi Diecimila Tebani, l’esercito nemico fu spazzato via, e la Città si salvò.

Altre leggende che vogliono i Santi protettori che appaiono come dei giganti, residuo di antiche tradizioni e cantari medievali, nell’Abruzzo le abbiamo con la “ciammaichella” di Bucchianico, quando Sant’Urbano apparve sulle mura del paese assediato dalle genti di Chieti; e mentre i soldati correvano bardati con pennacchi, per incutere timore ai chietini, e far credere loro che la città fosse presidiata da un vasto esercito, questi si ritirarono.  Un prodigio simile è legato anche col patrono San Berardo a Teramo. Siamo stavolta nel XVI secolo, anno 1501. La Città da due secoli era attanagliata dalle mire espansioniste del Ducati di Atri sotto il controllo degli Acquaviva. Niccola Palma nella Storia di Teramo riferisce che il duca Andrea Matteo III Acquaviva desiderava conquistare una volta per tutte Teramo. Accadde che presso il Vezzola ai piedi del santuario di Santa Maria delle Grazie, fuori Porta Madonna, le truppe di Atri videro sopra le mura due grandi figure: una donna vestita di bianco (Maria SSma delle Grazie, molto venerata dai teramani) e un uomo a cavallo vestito di rosso (i colori dello stemma civico), cioè il patrono San Berardo di Pagliara, che imbracciavano minacciosamente le armi. I soldati furono talmente presi dal terrore che si dettero alla fuga, ricacciati anche dai teramani stessi, che irruppero dalle porte aperte delle mura.

Torniamo a Lanciano, soffermiamoci su una tela poco conosciuta che illustra il Trionfo di Cristo e dell’Ordine Francescano, presso l’ex chiesa di San Filippo Neri o San Giuseppe in via dei Tribunali, accanto il monastero di San Francesco. Questa chiesa conteneva altre due tele interessanti, oggi nel percorso museale del Miracolo eucaristico: San Filippo Neri che somministra il Ssmo Sacramento, del XVII sec., e il Miracolo dell’ostia profanata, in cui dei giocatori d’azzardo, di caravaggesca memoria, assistono a un prodigio, un giocatore profana l’Ostia, e viene azzannato al naso da un cane. Tale miracolo illustrato fa riferimento alla serie di leggende sul Miracolo dell’Ostia profanata, di cui Lanciano è famosa per la storia della Ricciarella, illustrata anche nel ciclo di pitture del santuario di Sant’Agostino di Offida, o anche nella serie delle Storie dell’Ostia di Paolo Uccello a Urbino.

La tela del Trionfo del Cristo risale al XVII secolo, è stata rimaneggiata successivamente. La scena che sembra rispondere a un gusto dell’horror vacui, e con un’impostazione scenica che ricorda le tele dell’Alessandrino, mostra al centro il Sepolcro scoperchiato, con Gesù sedente al centro, che con la mano destra regge una corda legata a tre figure che lo sovrastano in cielo, sopra delle nuvole, al centro Dio Padre, a sinistra Gesù che regge la Croce, a destra San Francesco. Con l’altra mano, Gesù trionfante mostra lo stemma dell’Ordine Minoritico, ai suoi lati vi sono la Madonna, Maria Maddalena, la Carità, Santa Chiara e altre monache clarisse sulla destra, sulla sinistra dei dignitari in vesti spagnole, spicca la caratteristica gorgiera. Cristo poggia sopra una grande ara con al centro la Croce avvolta da raggi di sole, ed è mostrata da due figure inginocchiate: Papa Sisto IV e San Pietro. Possiamo leggere nel cartiglio in basso al pavimento: PER TE GODIAMO, O SISTO, IL GRAN MERTO DI CHRISTO. Poco più in alto QUINDI ME TRAE ALMA LO SCARCO DI SUA SALMA. Non si conosce il nome del pittore, su un cartiglio retto dai dignitari di sinistra, tra cui forse vi è un autoritratto del pittore stesso, ma si comprende fosse Ortonese. La tela fu censita anche dal Verlengia nelle sue schede tecniche per le opere d’arte della Provincia di Chieti per la Regia Soprintendenza d’Arte antica e moderna d’Abruzzo.

Una tela, da alcuni attribuita alla mano dell’Alessandrino, è quella dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Agostino di Lanciano. Incassata in un complesso tabernacolo, molto elegante, in legno indorato, opera di Berardino Altobello, finita nel 1602, come riportato nell’iscrizione, la tela centrale illustra la Madonna col Bambino incoronata Regina degli Angeli, con attorno schiere di Santi, e in basso Sant’Agostino, San Michele colla bilancia, e Sant’Apollonia. Il Fella nella sua Chronologia Anxani ricorda infatti che la chiesa ebbe in dono il dente della Santa, inserito in un reliquiario, oggi presente nel Museo diocesano: il busto della Santa con al centro il detto reliquiario. La santa è raffigurata anche in una tela di F. Renzetti, sempre presente nel Museo diocesano. L’opera dell’altare maggiore è schematica, ma ben proporzionata, e si confà a quelle reminiscenze, seppur digerite tardivamente in Abruzzo, dello stile rinascimentale veneziano, si pensi ad esempio alle Madonne del Bellini.

Significativa è la tela della Cappella del Santissimo Sacramento nella Cattedrale di Lanciano, attribuita all’Alessandrino, dall’iscrizione TA P(inxit) 1601, posta sotto il sedile della tavola a destra. Lasciando stare la porzione del primo piano con la figura dell’ancella che versa acqua, decisamente troppo grande rispetto al resto della scena, poiché opera tardiva di Nicola de Archangelis lancianese, soffermiamoci su Cristo e gli Apostoli in conversazione, disposti a cerchio sulla tavola. Motivo che ricorda il Convito degli Dei di Polidoro da Lanciano, nel Museo di Capodimonte a Napoli. Notiamo alcune assonanze della disposizione dei primi tre apostoli, seduti dal lato dello spettatore, con pitture fiammingo-veneziane dello stesso soggetto, come quelle di Paolo da Cailina il Giovane, oppure, per l’apostolo che invita lo spettatore a partecipare al rito sacro, da Pieter de Witt, conosciuto forse dall’Alessandrino per tramite di qualche stampa. Anche il San Giovanni apostolo con la testa reclinata verso Cristo, irrealisticamente qui ritratto in posizione eretta, che chiaramente si distingue dalle altre figure per la testa aureolata, è un motivo ben comune nella raffigurazione della Coena Domini. 


Tommaso Alessandrino, Madonna col Bambino e San Francesco di Paola, chiesa di San Francesco, Città Sant’Angelo

L’Alessandrino qui sembra essere in stato di grazia per i modelli usati, decisamente più realistico nella resa dei volti meno “di plastica” dai sorrisi e smorfie appena accennati che fu solito inserire negli sguardi delle Madonne visibili nel Giudizio universale (si veda anche il Cristo, piuttosto elementare), o la Madonna Assunta, o la Madonna addolorata nel quadro della Pietà, o anche nelle due tele della Madonna col Bambino con San Francesco di Paola, presso la chiesa di San Francesco, e la Madonna col Bambino tra San Giovanni battista e San Pietro nella Collegiata di Città Sant’Angelo. Fatto sta che l’Alessandrino, come egli stesso si firmava, anche per il quadro di Città Sant’Angelo: “pictor inventor”, aveva abbastanza studiato, limiti a parte per la resa delle figure, per potersi fregiare di questo titolo nei suoi quadri.


Notiamo anche una certa maturità raggiunta in questo quadro angolano, firmato 1611, nel ritratto più preciso della Madonna, e maggiormente espressivo nel sorrido del Bambino, mentre si riscontrano analogie tra il volto del San Giovanni e quello di uno degli Apostoli del quadro della Coena Domini di Lanciano. stessa potrebbe dirsi per il quadro di San Bernardino nell’oratorio del Crocifisso miracoloso di Ortona con l’apostolo Pietro della Pietà di Chioggia. Era naturale che questi pittori si autocitassero nelle loro opere più famose.

Nessun commento:

Posta un commento