Pagine

5 ottobre 2023

Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.

Ferdinando II d’Aragona


Antonio Maranca e la Istoria Diplomatica di Lanciano. Parte seconda, la Cronaca della Visita di Ferdinando II a Lanciano nel 1832.
di Angelo Iocco

Qui segue la trattazione, col transunto dei diplomi, lettere, privilegi dei re di Napoli concessi a Lanciano, fatta dal Maranca. Il Maranca, come detto, riassunse quanto già ricercato dall’Antinori nel suo manoscritto Istoria critica di Lanciano, parte 1, ampiamente usata dal Romanelli per il capitolo nominato “Lanciano”, il più grande blocco dei 3 che compongono le Antichità storico critiche dei Frentani, 1790, come abbiamo potuto constatare (ma se ne accorse illo tempore già Michele Scioli, facendolo notare in una sua introduzione al Libro di memorie dell’Antinori, 1995); materiale dunque saccheggiato da Romanelli, e Maranca, per una sua memoria personale su Lanciano, da comporre? Incompiuta? Non lo sapremo, fatto sta che anche il Maranca, stuzzicato dalle carte manoscritte dello zio Antinori, nonché dal Bocache, fece man bassa, trascrivendo una parte dei documenti che riguardano la corrispondenza tra Lanciano e la Corona di Napoli. Omettendo altre situazioni, specialmente dalla metà del 1500 sino a tutto il 1600, quelle situazioni tristi in cui Lanciano stava scivolando, perdendo proprietà e privilegi, specialmente nella controversia dell’assedio del 1528 del conte di Lautrec, per cui fu accusata di fellonia e di doppio gioco da Carlo V d’Asburgo.

Il Maranca dunque riporta solo i diplomi in cui Lanciano viene arricchita e investita di questo e di quell’altro privilegio. Notiamo, leggendo queste carte, il rito solito di umiliazione della delegazione dei sindaci al nuovo re, per avere conferma delle precedenti carte, notiamo la conferma dei vari feudi del circondario lancianese, che Lanciano alla fine vendette, esempio di Castelnuovo, senza l’autorizzazione regia, come prescritto nei privilegi, notiamo le conferme, specialmente quelle di Ferdinando o Ferrandino II del 1495 di tutti i privilegi passati, notiamo un ennesimo tentativo di Ortona di istituire la sua Fiera con l’usurpazione di Carlo VIII, privilegio immediatamente cancellato da Ferdinando I e poi da Federico III ribadito nel suo annullamento; notiamo il tentativo di Chieti di istituire una sua Fiera presso la Pescara, puntualmente bloccato dalla regia corte…fino ad un arresto improvviso dei privilegi, soltanto qualcuno del 1608 di Filippo IV e la menzione di una lettera del re Carlo VI del 1729. Eppure altri documenti ce ne sono! Specialmente documenti e dispacci per quanto riguarda la gestione delle Fiere, tanto che molti di questi sono raccolti nel volume Fiere e consigli (gli unici che si sono degnati di studiarli, per sommi capi, finora sono stati Corrado Marciani e Luigi Russo nel suo libro postumo sulle Fiere lancianesi), presso l’Archivio storico comunale; insieme ad altre carte di un volume senza titolo, che ha utilizzato carte di scarto, con diversi conteggi di bestie vendute e invendute, risalente al XVII secolo, che si conserva nella sezione Manoscritti della biblioteca comunale lancianese. Ma tempo al tempo, avremo modo di integrare ulteriori notizie con questi documenti inediti.

Lettera di re Ferdinando dell’ottobre 1464 scritta da Chieti ai sindaci di Lanciano, acciocché il tesoriere regio facesse il suo conto per lo sposalizio di Eleonora d’Aragona sua figlia. Segue la trascrizione della lettera, in cui Re Ferdinando, ai sindaci di Lanciano, condona le collette per lo sposalizio della figlia Eleonora, in quanto la città si è sempre dimostrata fedele e retta verso la Corona. Dato nella Città di Chieti, 11 ottobre 1464; lettera citata anche da Fella.

Al num. 173, c’è una lettera spedita da Caramanico il 20 ottobre, il re Ferdinando rinnova le grazie a Lanciano, ricordando di come fu bene trattato quando fu ospitato in città, e manifesta il desiderio di ritornarvi; fa inoltre intendere delle cattive condizioni di salute della regina Giovanna d’Aragona, per cui si vede costretto a rientrare a Napoli, e a rimandare la visita in Lanciano. Segue il testo della lettera. Dato in Caramanico, 20 ottobre 1464.

Segue il privilegio del re Ferdinando del 1465, in cui nomina cavaliere Denno Riccio di Lanciano, donandogli dei beni per i meriti. Segue una lettera del re al Preside d’Abruzzo del 10 giugno 1470, in cui gli comunica di reprimere le ribellioni dei paesani di Castel Nuovo (Castelfrentano)[1].

Il 17 novembre 1467 il re fece differire il pagamento della gabella del vino sino ad aprile, perché gli introiti della Città maturavano a maggio con la Fiera, nel documento questa Fiera viene detta antica “di mille anni” e tra le più antiche del regno, ricordando ed accordando la franchigia per i mercanti partecipanti, anche dall’estero; dalle mercanzie provenienti alle Fiere, il re ordinò che il regio fisco riscuotesse il 3 e mezzo percento, il re ricordò la proroga della franchigia di 3 anni nei confronti di Paglieta, nel circondario lancianese, e relativa diminuzione della tassa.

Al num. 175 del 18 dicembre 1468, il re ordinò ai sindaci di Lanciano che vi alloggiasse la squadra di Nicola di Turali, e che le altre truppe di passaggio andassero altrove, onde impedire danni pecuniari alla Città.

Al num. 176: lettera del re Ferdinando al Preside d’Abruzzo, del 10 giugno 1470, già citata, di reprimere i disordini dei Castellini a Lanciano. Ne segue un’altra, in cui concede poteri al Preside per il modo e il come reprimere la rivolta. Lettera data in Castel Nuovo di Napoli, 10 agosto 1470.

Num 178: Il Re Ferdinando accorda a Lanciano, il 1 maggio 1471 il permesso, con il pagamento di 200 ducati, di acquistare i castelli di Turri e Moggi (oggi zona Rizzacorno), incamerati nel Regio Demanio dopo esser stati espropriati al Conte Orsini.

Num 179: il 4 agosto 1472, Lanciano ottenne favori col possesso di Ari.

Num. 180: il diploma del 1 maggio 1476, con regio assenso, si ottiene la vendita di metà del castello di Moggio da Giacomo di Cicco a beneficio della città.

Num. 181: nel 1480 re Ferdinando e la moglie Isabella accordano che alle Fiere della città non vi potessero essere, nel momento dello svolgimento, rappresaglie  e arresti per debiti.

Num. 182: il 18 aprile del 1480 il re, dagli accampamenti presso Taranto, dà ordine a Carletto Caracciolo suo ciambellano, di comunicare a Lanciano il possesso dei castelli di S. Venera e Castel Nuovo, di Aregio (Arielli), Ocrecchio, di Vasto inferiore e superiore, e S. Amato, e di esercitarvi i propri diritti, giusta la convenzione di re Ladislao del 20 marzo 1406.

Num. 183: il 20 giugno 1480 il re ordinò che si ottenesse la franchigia alla Fiera per i mercanti, affinché potessero ottimamente esercitare i commerci, per le mercanzie provenienti dal porto di San Vito, e di pagare la tassa del 3 e mezzo percento per lo scalo portuale; che gli ufficiali regi rispettassero i Capitoli e i Privilegi accordati a Lanciano, affinché non ci fossero disturbi durante lo svolgimento, e che il Capitano regio non si intromettesse negli affari municipali, e che solo i deputati avessero il diritto di tenere il sigillo pubblico, come da protocollo.

Num. 184: nel diploma regio, Denno Ricci ebbe l’indulto generale nel parlamento del 7 novembre 1481, e fu reintegrato nella Città con i beni e gli onori, re Ferdinando commissionò l’osservanza del privilegio ad Alfonso II suo figlio, vicario del Regno.

Num. 185: una lettera reale del 3 dicembre 1487, in cui Lanciano può usare 200 ducati per la riparazione delle mura, con l’intervento del Tesoriere regio e del Capitano. La concessione durerà 5 anni, nel fondaco regio verrà stimata la quantità tale da prelevare 200 ducati ad anno, con la condizione detta di riparare le mura. Dato in Foggia, 3 dicembre 1487.

Num. 186: privilegio da Castel Nuovo, il 22 maggio 1488, dove il re ordina la cacciata da Lanciano degli ebrei, schiavoni, ed epiroti per i disordini e gli scandali; Maranca desume queste brevi note sempre dalla ms. Istoria critica di Lanciano, vol. 1 , di Antinori, un tempo presso la sua biblioteca a Lanciano, e poi confluita nei manoscritti della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli. Segue la trascrizione in latino della lettera di re Ferdinando, in cui per questi scandali, multa di 1000 denari chi avrebbe cercato di far rientrare costoro nella città. Dato a Paglieta 5 luglio 1489.

Carlo V

Num. 187: 14sime calende di dicembre 1489, il re con una lettera da Sulmona, rinnova il bando verso gli epiroti, di non rientrare a Lanciano, la circolare è indirizzata al Duca d’Amalfi preside d’Abruzzo, con una lettera che lo raggiunge a Francavilla, data il 5 luglio 1490. Maranca aggiunge un commento. Che fino al 1471 la polizia del Governo era affidata alla prudenza dei decurioni e magistrati di Lanciano, la stessa condotta era osservata dal Preside della Provincia d’Abruzzo per conto del Re, fino a che l’equilibrio non si ruppe per gli scandali degli ebrei, come riportato anche nell’Opera di Fella al cap. 19.

Num 188: privilegio di Ferdinando del 1488 in cui approva gli Statuti lancianesi per un Collegio di Artieri, di aghi e di fusari.

Num. 189: lettera del nuovo re Alfonso II ai “magnifici e diletti uomini lancianesi fedeli alla Corona”, in cui invita i lancianesi a non dolersi per i passaggi delle truppe regie, promettendo di ampliare i privilegi già in possesso della Città, per conto del patrizio Denno Ricci, ma al momento “che non semo per mancare un pelo da quando lo Signoro Re comanda, e questo fatto sia subito, perché detti homini di armi stanno qua’ e tuttavia si querelano”. Dato in Ortona, 28 marzo 1489.

Num. 190: lettera di Alfonso duca di Calabria dell’11 luglio 1489 a suo figlio Ferdinando II principe di Capua, che staziona in Paglieta, affinché scacciasse gli schiavoni e gli epiroti per disordini..

Num. 191: privilegio di Ferdinando da Foggia, il 3 dicembre 1489, che concede 2000 ducati per riedificare le mura, i torrioni, le antemurali, i rinforzi della parte meridionale (ovvero la zona sud del Torrione aragonese). Commenta Maranca che in quel momento Lanciano diventò una Piazza, e inizierà a subire diversi assedi, celeberrimo quello che avverrà per mano del Conte di Lautrech.

Num. 192: Alessandro VI Papa per evitare dissidi tra chietini e lancianesi, smembrò il territorio diocesano, e dichiara la Chiesa Lancianese direttamente sottoposta alla Santa Sede, e non più alla Diocesi Teatina; il breve apostolico è del  9 ottobre 1492.

Num. 193: altro protocollo di re Ferdinando  del 18 febbraio 1494 in cui concede a Denno, Giovanni Riccio 200 ducati sulla bagliva di Laniano, confermando a loro il possesso di Fossaceca, Pietraferrazzana e S. Apollinare.

Num. 194: il nuovo re Alfonso II riceve la delegazione dei sindaci lancianesi per l’omaggio di rito, il 15 marzo 1494, e conferma tutti i passati privilegi in protocollo, sottoscritti anche dal suo figlio Ferdinando II duca di Calabria.

Napoli, piazza Mercato

Num. 195: Carlo VIII di Francia occupa Napoli, Lanciano fedele agli aragonesi, è spogliata dei privilegi e dei diritti sul porto di S. Vito col fondaco del sale per conto di Sancio Navarro. Presto ebbe la reintegra dei beni e privilegi il 24 marzo 1495 con il privilegio, per conto di Gilberto Grassay regio camerlengo. Il 28 ottobre 1495 re Ferdinando II concesse ai lancianesi di fare nuovi Capitoli, dopo aver ricevuto dalla solita delegazione, il giuramento di fedeltà; Ferdinando conferma la fedeltà dei lancianesi, ricordando il mantenimento del giuramento, anche nel periodo di usurpazione di Carlo VIII, il quale spogliò Lanciano dei privilegi. Ancora una volta Ortona prova ad approfittare della situazione a sfavore della città nemica, e chiede a Carlo VIII di istituire una fiera la prima domenica di maggio e di agosto, per boicottare la Fiera lancianese; tuttavia Ferdinando annulla questi privilegi di Carlo, riconfermando i soliti privilegi sulla franchigia, la dogana, lo scalo a San Vito, l’indulto, donando ducati 1000 e carlini 2 ogni anno, 1 tomo di sale per ciascun fuoco lancianese; condonò a Lanciano 9 ducati che erano pagati al Conte di Popoli, si confermò a Denno e Giovanni Riccio la provvisione di 200 ducati sulla bagliva per le spese che soffrivano le anime con l’Università; si concesse a Lanciano il Casale di Treglio, il Clero fu esentato dalla giurisdizione vescovile di Chieti; la cittadinanza poteva avere solo una squadra per la guardia, i cittadini lancianesi dovevano godere della franchigia per tutto il Regno, preferendosi alle cariche pubbliche, qualora fossero idonei, con la durata di 5 per anno.

Re Federico III, accordò nuovi Capitoli e grazie alla città, essendo morto Ferdinando nel 1495 senza prole, ampliò i privilegi. Emanò l’indulto per gli omicidi e i delitti commessi dai lancianesi da quell’anno a 30 anni addietro. L’assessore e il mastrogiurato dovevano riconoscere il loro ruolo senza chiedere pagamenti. Ricordando l’ordine di Alfonso d’Aragona, i beni dei ribelli, furono concessi ai lancianesi, i quali furono anche ricompensati per i danni subiti ai passaggi delle truppe regie. Il privilegio è del 15 novembre 1495.

Num. 198, privilegio di Federico III del 18 maggio 1498 che conferma a Denno Riccio i privilegi concessi da Alfonso I di Napoli e Ferdinando I, confermando i possessi di Fossaceca, S. Apollinare, Pietraferrazzana , e i beni di Lujo, ebreo ribelle scacciato dalla città.

Num. 199. Privilegio del 18 ottobre 1499, il re concede alla città 10 anni di esenzione dai pesi fiscali per i castelli di Ocrecchio e Arielli, per i danneggiamenti del Conte Orsini, dichiarò il re che i benefici ecclesiastici vacanti e i benefici dei castelli altresì vacanti, fossero ripartiti tra i lancianesi; rese immuni i cittadini dai pagamenti dei 1000 ducati annui, riconfermò la presenza del Tesoriere della Provincia nella sua sede in Lanciano, e acconsentì che solamente una squadra reale fosse presenta in città per l’alloggio. Esentò i cittadini dai pagamenti vari, nominò 5 cittadini probi al governo di Lanciano, i quali avrebbero amministrato anche i beni confiscati ai ribelli, per conto della Regia corte, e confermò le grazie del 1495 concesse dal suo predecessore Ferdinando II. Firmato da Federico III alle 13 calende di novembre 1499, al 3° anno del regno. Segue il privilegio in latino, dove revoca i privilegi di Carlo a favore degli Ortonesi contro le Fiere lancianesi; stabilisce il confine massimo di 1000 passi di distanza da Lanciano per poter celebrare altre fiere, concede solo a Lanciano il diritto del fondaco di sale al porto di San Vito, che serve anche per il Pontefice Romano, come scrive Filippo Neri lib. 8 epist.5; infine il Re concede 1000 ducati annui, per 5 anni per le Fiere di maggio, e altrettanti per la Fiera d’agosto; ricorda che il Preside della Provincia deve risiedere in Lanciano, separa il Clero lancianese da quello di Chieti, concede la franchigia ai lancianesi per tutto il Regno, infine minaccia punizioni contro gli ortonesi che hanno molestato i mercanti di animali lancianesi per la fiera di Sant’Angelo. Dato alle 17me calende del dicembre 1495.

Num. 200: privilegio del 20 ottobre 1499, riconosce la fedeltà dei Lancianesi, degni di essere ricompensati con altri privilegi, e ricorda l’esenzione dal pagamento delle tasse, sotto il suo governo e quello del suo successore, in base a quanto già scritto da Alfonso I e Ferdinando I. Il privilegio è allegato: il re, per mezzo del luogotenente della Provincia Marchese di Gerace, riconosce la fedeltà dei lancianesi alle cause della Corte, e promette nuove ricompense. Dato in Castel Nuovo, 10 febbraio 1500.

Al n. 202, c’è l’ordine di Carlo d’Aragona del 22 settembre 1500, dato da Celano, essendo lui luogotenente della Provincia per conto di re Federico III, di discacciare gli albanesi, che per 50 miglia attorno Lanciano causavano disordini, e il Capitano regio fece pubblicare la lettera del bando alle Fiere.

Al n. 203 è riconosciuta la fedeltà di Lanciano al re durante la congiura dei Baroni, sicché il re nella lettera ringrazia i lancianesi e promette future ricompense. Segue il testo in allegato, con il formulario in latino, e il contenuto in volgare, in cui dopo la premessa della fedeltà dei lancianesi durante i periodi turbolenti della congiura, a Lanciano s’era mantenuto il controllo per mezzo di Colangelo Cantelmo e Giordano Ortino, che con le milizie accorsero in difesa del re. Dato a Capua 1 luglio 1501.

Num. 204: privilegio dato in Castel Nuovo alle 3° calende del 1502, il re riceve i magistrati lancianesi e promette privilegi.

Stemma dei Vergilj, Castelfrentano, chiesa della Trinità

Num. 205: privilegio dell’ottobre 1504, il re Ferdinando il Cattolico riammette a Lanciano i dalmatini e gli epiroti discacciati per insubordinazioni e violenze, e dichiarati immuni per 10 anni da pagamenti di tasse per i pesi e i vettigali.

Num. 206: al 23 aprile 1505 il viceré duca di Termoli permise la presenza dei Turchi alle Fiere lancianesi.

Num. 207:  il re Ferdinando il 29 aprile 1507, da Castel Nuovo, accorda tutte le grazie e capitoli dei passati sovrani angioini e aragonesi, e raccomanda che siano specialmente osservati i Capitoli. Confermò il possesso dei feudi di Lanciano, e che ogni anno si provveda a far lavorare il Capitano, volle che i parlamenti generali si facessero come ai tempi di re Ferdinando II (1495), conformi alle altre città demaniali del Regno.

Num. 208:  il 17 febbraio 1508 per conto del viceré duca di Termoli  l’uditore Alfonso da Tricio fece pubblicare i bandi per tutto il Regno, mettendo a conoscenza i mercanti della franchigia alla Fiera di Lanciano, riconoscendo la sua inviolabilità, stabilita da re Federico III.

Num. 209: il viceré don Raimondo di Cardona, il 1 aprile 1510, scrisse ai sindaci lancianesi che non intendeva pregiudicare la Fiera, prendendo informazioni per mezzo del commissario Zapella, ma confermando punto che ogni mercante poteva portare le merci alla Fiera, purché si rispettasse la sicurezza, secondo il solito editto regio. Il doge di Venezia Leonardo Loredano, il 15 maggio 1510 si lagnò col Capitano per dei danni arrecati ai mercanti della Serenissima, contravvenendo dunque ai privilegi, pregando di fare giustizia.

Num. 210: l’8 maggio 1512 il viceré don Raimondo di Cardona rinnovò il bando che alla Fiera chiunque potesse liberamente accedere con le merci, compresi cristiani, turchi, “infedeli” ossia musulmani ed ebrei, giudei, perché avrebbero goduto di piena sicurezza durante lo svolgimento della stessa.

Num. 211: ordine di Ferdinando il Cattolico del 7 maggio 1515 in cui fu ridotto a 72 il numero dei decurioni dei Quartieri di Lanciano, e stabilita la carica ed elezione “annuale” dei magistrati.

Num. 212: ordine di Carlo V di Spagna, divenuto anche re di Napoli, di dare esecuzione della bolla di Leone X sull’erezione del vescovado di Lanciano, distaccandosi da Chieti, ordine eseguito ufficialmente il 20 ottobre 1518. Segue il documento in latino: Giovanna e Carlo per grazia di Dio regina e re di Aragona, Castiglia e Sicilia e Gerusalemme, per conto di Raimondo di Cardona preside dell’Abruzzo Citeriore ecc., alla presenza del viceré davanti alla Sacra Maestà ecc., alla presenza dei vescovi, arcivescovi, del clero, ecc., rispettando la volontà sacrosanta del nostro pontefice Leone ecc., nell’anno dell’Incarnazione di Cristo 1515, al 3° anno di pontificato, erige a sede vescovile la Cattedrale di Santa Maria di Lanciano, riconoscendo come vescovo il reverendo Angelo (Maccafani), amministratore apostolico, per mezzo di nostre lettere spedite, ecc.

Segue la conferma di Carlo di far rispettare la bolla papale.

Num. 213: privilegio del 9 novembre 1520, con cui il re vieta ai Chietini di celebrare la Fiera di San Marco nella piana della Pescara, perché non rispettava la distanza di 20 miglia da Lanciano (per Lanciano, si intenda, tutto il circondario con i suoi beni, che arrivava, come detto, fino ad Ari, quindi a pochi km da Chieti), si vieta anche ai mercanti di andarvi, pena ducati 1000 da pagare, e sequestro delle merci.

Num. 214: lettera di Carlo V del 9 dicembre 1520, con cui ringrazia i lancianesi del dono di 2000 ducati alla Corte, riconoscendo, come gli altri re, la fedeltà dei cittadini.

Num. 215: privilegio di Carlo dell’8 aprile 1533, con cui riconosce i Capitoli, ricorda il demanio regio; conferma la franchigia delle Fiere, ricordando il privilegio di re Federico, la prestazione di 1 tomolo di sale per focatico, per cui la Città pagava alla Corte 1000 ducati; riconobbe il diritto di giurisdizione criminale di Lanciano verso i suoi Casali di Treglio e Scorciosa; ordinò che il Capitano regio, il giudice e gli ufficiali osservassero i Capitoli; stabilì che la città  non fosse gravata dalle truppe di transito per l’alloggio; riconfermò tutti i privilegi passati, sottolineando la franchigia dal dazio del porto, ricordò che gli animali invenduti alla Fiera fossero recuperati dai lancianesi, e a capo di un anno, venduti come meglio credevano; confermò la facoltà dei lancianesi di stabilire i pesi e le misure alla Fiera, e che i lancianesi fossero esenti da tutti i dazi delle dogane e gabelle.

Num. 216: privilegio più esteso del  22 marzo 1536, re Carlo promette di mantenere Lanciano nel Demanio regio, accomodò la franchigia ai mercanti per la Fiera, riconobbe l’esenzione dal pagamento dei dazi, riconobbe la facoltà ai lancianesi di affrontare cause criminali nei confronti di alcuni suoi Casali, anche se il mastrogiurato non ne aveva potere durante la Fiera, com’era il solito dagli altri privilegi.

Num. 217: il  31 gennaio 1545: privilegio di accordo verso gli ebrei e i turchi di commerciare alle Fiere, vietò di fare rappresaglie durante lo svolgimento delle Fiere, raccomandando di osservare il solito.

Num. 218: privilegio del 1° dicembre 1547, re Carlo da Augusta, al 29simo anno dell’impero, creò Francesco Ducrino cittadino lancianese, suo domestico e famiglio, con la facoltà di portare le armi, lui e i suoi 2 servi, per tutto il Regno, di non esser citato in giudizio per qualsiasi causa, e che avrebbe dovuto rispondere solo dinanzi al viceré di Napoli e dal Preside della Provincia d’Abruzzo Citra; inoltre fu creato tal Francesco prefetto dell’annona durante la campagna militare del Tronto nel 1557.

Num. 219: privilegio di Filippo II del 26 gennaio 1561 mandato da Toledo, si riconosce lo stato di Città demaniale con i suoi privilegi, franchigie, castelli: Castelnuovo, Crecchio, Frisa, e le ville di Treglio , Scorciosa, San Vito e il suo porto, i feudi Rizzacorno, Gaudo (zona Sant’Apollinare) e Pantano.

Num. 220: dispaccio di 26 gennaio 1561 del re, in cui ordinava ai lancianesi di rispettare i Capitoli, specialmente quelli riguardanti lo svolgimento corretto della Fiera.

Num. 221: diploma di Filippo II del 23 marzo 1562 per l’exequatur della bolla di Pio IV per l’erezione dell’arcivescovado di Lanciano. Segue il testo in latino; all’epoca era vescovo Leonardo Marini, che spedì memoria della diocesi al papa e al re, ottenendo il riconoscimento ad arcidiocesi, poiché l’arcivescovo di Chieti intendeva avere potere su Lanciano che era sede vescovile, ma non di vescovado, per via di una bolla del precedente pontefice Paolo IV Carafa, seguace dell’Ordine dei “Teatini” di San Gaetano; Pio IV fa in modo di erigere lo status di Lanciano ad arcidiocesi, dipendente direttamente dalla Santa Sede, come quella di Chieti, e  non più da quella città.. firmato dal giurista regio Giovanni Andrea de Curtis, regio consigliere, exequatur confermato da Napoli, 19 marzo 1562; controfirmato dal de Curtis, da Giovannantonio de Agrisanis, il 23 marzo.

Num. 222: privilegio di re Filippo III del 1608, il quale confermò a Lanciano ben 17 diplomi dei passati re sulla franchigia e le Fiere, e la promessa che i lancianesi avrebbero giurato fedeltà al suo successore Filippo duca di Calabria e agli ufficiali regi. Questi 17 diplomi partono da Federico III d’Aragona, che essendo Lanciano una città di proprietà regale, non potesse essere mai venduta. Nel diploma viene ricordato il territorio tra il fiume Asinello e il Moro, tra Belvedere e Castello di Sette, con i feudi di Paglieta, San Vito,, Crecchio, Castelnuovo, Treglio, Frisa, Ari, Arielli, Sant’Apollinare, Scorciosa, Rizzacorno; area molto vasta, dismembrata nel 1529 con la perdita di 5 feudi, ; nel 1561 Lanciano si era ridotta ad avere Castelnuovo, Crecchio, Frisa, Treglio, Scorciosa, San Vito col porto, Rizzacorno, S. Amato, il Gaudo e Pantano. Circa i pagamenti fiscali, Lanciano era tassata a 150 once d’oro annue, nei primi tempi, più 2 once per la bagliva di Paglieta all’anno; le once annue si erano dimezzate nel 1441 con re Alfonso; nel 1595 con Ferdinando II Lanciano pagava 1000 ducati annui, ed a dare un tomolo di sale a fuoco, e con la facoltà di immettere altri 1600 ducati senza diritto di segrezia. Il re aveva la facoltà di esigere dalla bagliva di Lanciano 15 once annuali; il Governatore regio cogli ufficiali aveva diritto di giurisdizione su Lanciano e castelli, e veniva pagato 500 ducati per ogni mandato; nel 1507 col privilegio di Ferdinando il Cattolico era pagato 400 ducati a mandato, da divide tra lui, il giudice e il maestro degli atti, i proventi utili dovevano andare alla comunità; la corte del Governatore regio non poteva interferire negli affari dei magistrati e dei decurioni di Lanciano nel parlamento pubblico, ma il Governatore doveva autorizzare tali parlamenti. Il re Filippo III inoltre ricorda che Lanciano, essendo dichiarata nei privilegi “città fedelissima e aragonese”, non poteva munirsi di fortezza, che poteva imporre la gabella con regio assenso, che avesse la sede del Tesoriere regio provinciale, del tribunale della provincia Citra, che avesse la sede vescovile distaccata da Chieti, che i cittadini godessero della franchigia, che la città non desse alloggio alle squadre, se non a una sola; il re ricorda il diritto di possesso del porto di San Vito, su cui i lancianesi potevano far Capitoli, che la Città doveva pagare ducati 100 per la dogana portuale, rimessi a lei per questione giuridica; inoltre si ricordano i privilegi delle Fiere, del libero accesso, di non pagare tasse, del diritto di protezione dei mercanti durante lo svolgimento delle stesse, del fatto che i lancianesi potessero sequestrare il bestiame invenduto, e dopo un anno, rivenderlo; che i magistrati Lancianesi avessero diritto di stabilire i pesi e le misure alla Fiera, che la merce rimasta invenduta fosse conservata immune dai danni, che anche i ribelli potessero commerciare alle Fiere senza essere molestati. Ciò , contenuto nei 17 diplomi aragonesi esaminati da re Filippo III, furono approvati, con comunicazione del viceré da Benevento, dopo un consiglio, il 30 settembre 1608; con controfirma del re e diploma spedito da Madrid il 15 febbraio 1608.

Lanciano in una mappa agostiniana del 1580, Biblioteca apostolica Vaticana

Num. 223: supplica dei cittadini lancianesi a re Filippo IV, favorevolmente ascritta dal viceré duca d’Alba in data 1 aprile 1623, affinché la Sacra Corona facesse di tutto per non gravare ulteriormente la città delle truppe da alloggiare; si ricorda una torre a Lanciano, in realtà la torre di San Vito custodita da 600 archibugieri, per controllare i traffici marittimi, per cui la Corte vantava diritti.

Num. 224: l’imperatore Carlo VI d’Asburgo con cedola del 22 dicembre 1729 ordina di dare ragione alle rimostranze fatte dai lancianesi per la lite col Marchese di Vasto, per riottenere gli antichi privilegi, e di tornare nel Regio demanio.

Num. 225: Carlo III re di Napoli, siccome colla prammatica n. 83 del 10 maggio 1747, riguardante il regolamento della Regia dogana di Foggia, autorizza l’istallazione a Lanciano del regio doganiere, il quale aveva giurisdizione su 90 comuni della Provincia Abruzzo Citra, carica soppressa con l’invasione francese del 1798, annota il Maranca, citando il Grimaldi, Storia civile del Regno, autore già ampiamente citato dal Bocache nei suoi Manoscritti di storia Lancianese.

Carlo VI d’Asburgo

Giungiamo alla storia recente, contemporanea per il Maranca, che annota il cambiamento dello stato di cose con l’occupazione francese del 1799, e la riorganizzazione in distretti della Provincia d’Abruzzo, il 2 maggio 1808 sotto il re Giuseppe Napoleone, Lanciano ebbe la sua sede del Tribunale centrale della provincia Citeriore. Segue la serie dei documenti, che non sono più privilegi e diplomi:

Num. 226: il 26 settembre 1808 Lanciano diventa sede della Corte d’Appello, distaccandosi da Chieti per decreto regio, con la motivazione “da secoli capitale dei Frentani”. Maranca annota che grazie alla storia stessa della Città, alla presenza dei gloriosi Frentani, ai vari privilegi svevi, angioini e aragonesi, riconoscendo Lanciano come città centrale e maggiore della provincia Citeriore, giusta il trattato geografico di Antonio Chiutole, che la chiamò “provincia Anxanensis”, che confinava col Contado di Molise; tanto che nel 1322 Lanciano divenne sede stabile del Giustiziere regio della Provincia Abruzzo Citra, nel 1547 a Lanciano si ha memoria della nascita di don Carlo, figlio del viceré, di Guevara di Gueva,  e della viceregina sua moglie[2]. Nella motivazione regia dell’istituzione della Corte d’Assis, si ricordò la memoria della presenza del Rettore della Provincia sin dai tempi di Costantino, come testimonia la lapide con i nomi dei decurioni sull’atrio del Duomo[3]. Si ricorda la presenza del Giustiziere nel rione della Sacca; la sede del Tribunale civile ab antiquo era citata dal 1384, e rimase in vigore sino 1640[4].

 

LA PARTE FINALE DEI PRIVILEGI: LANCIANO FEDELE AL RE FERDINANDO II DELLE DUE SICILIE E LA SUA VISITA DEL 1832

Lanciano non fu reintegrata di tutti gli antichi privilegi, si ricorda l’istituzione della Gran Corte civile degli Abruzzi da parte di Ferdinando I, rimasta sino al maggio 1817, anno in cui fu traslocata in Aquila. Maranca ricorda che molte leggi decretate nella Corte di Lanciano, si trovano nel supplemento alla Collezione di Leggi fatta dalla Corte suprema di giustizia presieduta dall’avv. Nicola Nicolini di Chieti, d. Felice Parrilli, e l’ufficiale di ripartimento Giovanni Vittorio Englen, in forza del decreto regio de 25 agosto 1817, riportati anche nel manuale di giurisprudenza di Vincenzo Catalani. Per questi motivi, nella Collezione di leggi dell’8 agosto 1806, nella riorganizzazione distrettuale dell’Abruzzo Citra, questa fu divisa in due parti, con capoluoghi Chieti e Lanciano, in ogni distretto fu stabilita una sottintendenza e un consiglio distrettuale, dipendenti dall’Intendenza di Chieti. Col decreto del 22 agosto 1806, fu nominato il sottintendente di Lanciano d. Isidoro Carli di Aquila, col ritorno di Ferdinando I delle Due Sicilie al governo, con decreto del 20 agosto 1815, ci fu una riforma delle sottintendenze, quella di Lanciano venne dichiarata di prima classe, vi venne istituita una ricevitoria distrettuale, paragonata dal Maranca, all’antica istituzione del Tesoriere di provincia del periodo aragonese.

Nel 1806 furono installati i Giudici di pace, equivalente dei governatori regi, e Lanciano fu capoluogo distrettuale, con decreto del 4 ottobre 1815; il giudice di pace ha carica triennale, vista la legge del 29 maggio 1817, con cui si creavano i Giudici regii di circondario, con l’installazione di 2 magistrati locali, che rimpiazzarono la vecchia carica di Governatore regio, del luogotenente della dogana e il giudice civile. Dato che Lanciano, nonostante immiserita per la perdita degli antichi privilegi, continuava ad essere una grande piazza dei commerci, il re Ferdinando I delle Due Sicilie propose di migliorare le vie di collegamento con Napoli e attraverso l’Adriatico, costruì la cosiddetta “Tagliata di Palena” (1819), cioè la Via Nazionale Frentana, che dalla Forca di Palena, da dove si andava a Napoli, passava per Lanciano fino al mare.

Num. 228: transunto del decreto di costruzione della Via nazionale Frentana, per migliorare la comunicazione di Lanciano con Napoli; la via sarebbe passata da Palena per Lama, Taranta, Fara, zona note per la manifattura dei panni.

Col decreto de 17 dicembre 1812, il re Gioacchino Murat, che sarebbe caduto nel 1815, aveva iniziato il progetto della strada, da Palena verso Roccaraso, tuttavia per questioni economiche e di rivalità tra comuni, il progetto tardò ad essere completato nel 1819 col nuovo re Ferdinando, che la portò fino ad attraversare la Piana delle Cinquemiglia fino a Roccaraso. Maranca si dilunga nel lodare questa opera a vantaggio di tutta la parte centrale dell’Abruzzo, che finalmente metteva in collegamento Lanciano con Napoli, stimandone la lunghezza di 32 miglia. Tuttavia nemmeno Ferdinando I, per problemi vari e burocratici riuscì a terminare la strada, e il progetto del Genio civile sarà ripreso da Ferdinando II, quando il re venne in visita in Abruzzo nel settembre del 1832, ebbe la delegazione di 17 comuni, che lo pregarono di continuare la strada di Palena; Ferdinando II ne fu ingegnere e promotore, rettificando gli errori dei passati progetti della strada. Come si sa, il progetto verrà poi affidato, anche se Maranca non ne parla, a Michele Tenore, e verrà realizzato nel 1832.

Num. 229: Ferdinando II, rientrato a Napoli, il 20 settembre 1832, riunì il consiglio per pianificare i lavori, scartò l’idea di fare la strada che passava in mezzo a Palena, ché sarebbe stata troppo ripida, dunque ordinò nuove rettifiche, e mandò informazioni all’Intendenza di Chieti e alla Sottintendenza di Lanciano, con questa lettera in cui si dice:

Chieti 27 novembre 1832: il Sottintentende, Il Sottosegretario agli Affari interni, con foglio del 21 settembre, dice: allorché Ferdinando II visitò il distretto di Lanciano, sostando anche in città in occasioni dei solenni festeggiamenti della Madonna del Ponte, analizzò il piano di sistemazione della strada Roccaraso-Palena-Lanciano, progettando diramazioni verso Ortona e verso Vasto allo sbocco di San Vito, avendo riunito il 20 settembre il Consiglio, e stabilito che il progetto precedente del passaggio della via a Palena, troppo ripido e pieno di curve, da rettificare e ripavimentare; ne fu informato il Direttore Generale della Fabbrica di Ponti e Strade regie, con circolare alla Deputazione provinciale Opere pubbliche attraverso un funzionario, affinché si facesse un bando d’appalto, si tardò assai per delle difficoltò burocratiche, nelle trattative con l’imprenditore Domenico Mollo; il 22 ottobre si sbrigarono le pratiche, mediante l’atto del notaio Michele de Scarella a Napoli fra il Direttore generale dei Lavori e l’imprenditore Mollo; dopo altre pratiche, in cui fu coinvolta maggiormente la delegazione di Lanciano, essendo la città maggiore del circondario; il tutto rimandato all’intendenza di Chieti. E data l’approvazione del Re, per il desiderio di vedere celermente completata la strada di Palena-Lanciano. Ecc. ecc., firmato l’Intendente Francesco Savino Petroni, Chieti.

Ci chiediamo noi, perché tutta questa digressione del Maranca riguardo la munificenza di Ferdinando II, dove in più punti, nel manoscritto, egli lascia trasparire segni di viva ammirazione? Specialmente alla c.68, dove egli si sente in dovere di riportare questo documento dell’Intendenza di Chieti del 22 ottobre 1832, da considerarlo al pari dei diplomi regi antichi di Napoli nei confronti di Lanciano, e di annoverare questo sovrano tra gli Augusti? Ci dà luce Giacomo de Crecchio nel suo articolo del volume miscellaneo Civitanova: quartiere nuovo della Città, Lanciano, 2021. Il Maranca era nipote del celebre storico Antinori; sorvolano una controversia familiari sul lascito di 400 ducati in eredità, per cui Antonio subirà una denuncia da parte degli stessi parenti per circonvenzione della madre Egidia Caterina Antinori, nipote dell’arcivescovo, e moglie di Pompilio Maranca, papà di Antonio;  de Crecchio descrive la carriera politica e giuridica del Maranca, in quegli anni controversi del passaggio francese in Abruzzo tra il 1798 e il 1815, tanto da scrivere una Storia di Lanciano dal 1732 al 1833, manoscritta presso la collezione gli inediti del Maranca nella biblioteca comunale di Lanciano, che si spera di trascrivere, o almeno transuntare. E Maranca, che studiò legge a Napoli, rimase coinvolto e affascinato dalle idee francesi, insieme al sacerdote Bocache, ad Antonio de Crecchio, ad Ignazio Napolitani, tutti residenti nel quartiere Civitanova. Ricordiamo i Napolitani, con la loro dimora Napolitani-Berenga in via Garibaldi, nei pressi della chiesa parrocchiale di Santa Maria.

La famiglia Napolitani è stata tra le più importanti e ricche di Lanciano. Si è estinta nella prima metà del Novecento col matrimonio dell'ultima discendente, donna Camilla, con Gerardo Berenga (1860 - 1945), Sindaco della Città e poi deputato.

Il settecentesco Palazzo Napolitani, al confine tra i quartieri Civitanova e Sacca, che conta oltre cinquantaquattro stanze, una cappella e una sala dagli evidenti riferimenti massonici, venne alienato nelgi anni '80 dagli eredi Berenga, che vivono a Roma e a Brescia, in favore del Comune di Lanciano che all'epoca pensò fosse cosa opportuna trasformare il monumento, arrivato integro fino ai nostri giorni, in alloggi popolari. L'intervento venne successivamente bloccato, ma ormai erano andati perduti gran parte dei parati e dei pavimenti originali e ora l'immobile versa in un vergognoso stato di degrado e di abbandono.

La ricca biblioteca venne donata alla locale Biblioteca Comunale "Raffaele Liberatore" mentre l'archivio di famiglia è conservato presso la locale sezione di Archivio di Stato di Chieti, come Archivio Berenga anche se si crede che gran parte della documentazione sia di pertinenza dei Napolitani dal momento che palazzo Berenga andò distrutto durante i bombardamenti del '44. Il fondo Napolitani-Berenga e gran parte dell’Archivio distrettuale di Lanciano, a causa della mancanza di locali adeguati, giace in magazzini presso Loreto Aprutino.

Riguardo alle sepolture, la chiesa di Santa Maria Maggiore è la parrocchiale del quartiere di Civitanova. Al suo interno, in una parte del tempio dismessa dopo un singolare "restauro" avvenuto negli anni '60, si conserva ancora, sebbene offuscata dall'incuria, la Cappella Napolitani, ornata da dipinti e stucchi del XVIII secolo, certamente della bottega di Rizza e Piazzoli, seguaci in Abruzzo di Giovanbattista Gianni. La cappella è dedicata a Sant’Ignazio di Loyola.

Domenico Antonio Napolitani, quasi sicuramente capostipite della famiglia, è citato in un documento del 1681 per la costituzione di dote della figlia Francesca. La famiglia pare fosse di origine umbra, di Norcia secondo alcune fonti. Da Domenico nacque Ignazio che impalmò la sorella del ricco mercante Domenico Coli, mercante e usuraio, che nel 1749 fece costruire la chiesa del Suffragio o del Purgatorio, affacciata su Corso Roma, e che si fece ritrarre da Francesco Maria Renzetti ai piedi della Madonna del Rosario, in “mostra col suo libro paga!”; il detto Coli il quale donò un prezioso reliquiario di fattura napoletana ai Frati Francescani dell’adiacente santuario.

Dall’unione nacque Giovanna Napolitani.[5] morta Lanciano 10.1.1804. Sepolta S.Maria Maggiore. Figlia di Ignazio e della sorella di Domenico Coli. Sposò Domenico Antonio Ferramosca da cui: Anna Francesca Ferramosca.

Si menzioni anche l’arciprete Stanislao Napolitani, ricordato anche in questa sede dal Maranca, per i festeggiamenti in onore di Sua Maestà Ferdinando II, che fece costruire la cappella privata nel palazzo suddetto, progettata da Michele Clerici.

Si citi Ignazio Napolitani, figlio di Domenico Antonio e Domenica Ferramosca (1728-1813),, regio economo, che ospitò i francesi a Lanciano, facendo del suo palazzo la sede dello Stato Maggiore. Tale Ignazio, così chiamato in onore al santo gesuita dedicatario della cappella di patronato in Santa Maria Maggiore; cugino di Ignazio (1817-1894) figlio di Raffaele Napolitani e Camilla Anelli, costei di un’altra famiglia imparentata coi Ferramosca; e pronipote di un altro Ignazio Napolitani (1657-1721) di Domenico Napolitani e Giovanna Finoare. Come fa notare de Crecchio, da un documento inedito circa i lavori del restauro della cappella di patronato, questi furono realizzati dallo stuccatore ortonese Vincenzo Perez nel 1864[6].

Ospitando dunque d. Ignazio Napolitani lo Stato Maggior,e egli aveva aperto le sue porte alle idee dell’illuminismo, divenendo di fatto nemico dello Stato borbonico, era in contatto con ambienti massonici nella Città, perfino col pittore Giuliano Crognale di Castelfrentano, che ebbe l’incarico di dipingere una sala con simboli massonici, e che precedentemente era stato convocato dal Conte Genuino nel suo palazzo, posto sulla stessa via Garibaldi, un poco più verso le Torri Montanare, per dipingere la sala grande; pitture purtroppo andate quasi tutte perdute per maldestri restauri, salvo qualche lacerto (un vaso con due uccelli). Come ricorda il de Crecchio, il Napolitani lasciò memoria di quegli eventi della presenza francese a Lanciano, rimasta manoscritta, ed ora in suo possesso, che si spera venga pubblicata integralmente. Ricorda come il 22 febbraio 1799 egli ospitò il generale Coutard a casa, perché egli dalla fortezza di Pescara aveva trovato inaccessibile la vicina Casa Madonna. La situazione era abbastanza tranquilla, quando però, scrive de Crecchio, le cose andarono male per il Napolitani, perché alcune calunniose voci di artigiani locali, misero in cattiva luce il Napolitani ai francesi, generando uno scompiglio, presentando il povero Napolitani come un ladro, e ci fu anche un tentativo di assalto della massa al palazzo Napolitani, finché il comandante Giordano non rimise la situazione sotto controllo.

Nei pressi della chiesa di Santa Maria, quasi dinanzi al grande palazzo Stella Maranca Antinori, oggi sede di varie associazioni, si trovava un altro palazzo abitato dai de Crecchio; nel 1600 vi abitava Saverio de Crecchio con i figli Giuseppe, Domenico e Liborio; nel 1812 Antonio de Crecchio risultava dimorante nell’altro palazzo oggi meglio noto, sede del Centro servizi culturali Regione Abruzzo, nel rione Lanciano vecchio, dall’elegante gusto vanvitelliano, mentre l’antica casa di via Santa Maria passava di proprietà alla famiglia Brasile, i quali ancora oggi vi dimorano; sia i Brasile che i de Crecchio, avevano la cappella di patronato a Santa Maria Maggiore, insieme alle famiglia Maranca-Antinori, de Cecco, Napolitani, De Giorgio. 

Il generale Luis Francois Coutard

Antonio de Crecchio, avvocato e perito dei pagamenti fiscali, durante l’occupazione di Lanciano del 1799, decise di non intervenire direttamente, ritirandosi nel suo palazzo. Purtroppo dopo la “tempesta”, con la Restaurazione, sia lui, che Michele de Giorgio, Giuseppantonio Casalanguida e altri che troveremo nelle vesti di “comitato d’onore” per accogliere a Lanciano Sua Maestà, nel 1832, verranno sospettati di essere “municipalisti aggiunti”, e scamperanno alla condanna reale soltanto pagando ingenti somme. Dunque Antonio de Crecchio, nonostante un breve periodo di carcerazione, come il Bocache, in cui venne anche accusato di fare il doppio gioco col capomassa Giuseppe Pronio, che stava per riconquistare Lanciano (il de Crecchio aveva avvisato il governo repubblicano, temendo il saccheggio del suo palazzo) quando passò a Lanciano nel 1801 il visitatore regio da Chieti, riuscì a essere reintegrato nelle grazie del Re. Ma quante fatiche sopportare e angherie, da parte deli stessi francesi sospettosi, che lo coinvolsero suo malgrado nei loro piani, minacciandolo addirittura di partecipare alle riunioni nel quartier generale di palazzo Napolitani. Il de Crecchio aveva pensato anche alla fuga, ma in quei tempi (febbraio) aveva nevicato assai, impossibile; il generale Coutard nella riunione comandò di mandare a morte un centinaio di uomini che avevano aderito alle masse sanfediste; il de Crecchio non ci vide più, disse che allora doveva iniziare a massacrare lui, si stracciò la coccarda tricolore, e svenne. Per fortuna 70 prigionieri “massisti” lancianesi vennero salvati dalla fucilazione, e il de Crecchio, con l’ausilio di un traduttore, e pagando 120 ducati, poté avere salva la pelle. Oltre a 6 fascicoli del Notamento fiscale di Lanciano sulle carte repubblicane, che descrivono la memoria del De Crecchio su quel periodo così turbolento, la sua figura risplende nelle cronache lancianesi del Bocache, e nei commenti di Luigi Coppa Zuccari nei suoi volumi sull’Invasione francese negli Abruzzi.

Immagine storica di palazzo Vergilj a Lanciano vecchio, sede della Sottoprefettura, a destra la torre di San Giovanni


Questa era la situazione, lo stesso Maranca, che caldeggiò le idee illuministe, non fu esente da sospetti da parte della Regia Corte, una volta ristabilito il governo. Per questo, nella sua cronaca, naturalmente di parte, e lardellata di elogi ed effusioni di venerazione verso Sua Maestà, egli decise di inserire come ciliegina sulla torta, fra i vari privilegi degli angioini, aragonesi, Asburgo ecc., il ricordo del progetto della strada Frentana del 1832, e la visita di Ferdinando a Lanciano del 1832.

Dediche lusinghiere a Ferdinando II e sua moglie, le troviamo in altri manoscritti di Maranca, specialmente nel volume dei Drammi teatrali e in quello della Storia civile del Regno di Napoli, dove verso la parte finale, del periodo a lui contemporaneo, vi sono ricordate le visite di Ferdinando a Lanciano nel 1832, tessendone sempre le lodi. E Maranca nel manoscritto continua, dicendo che Ferdinando II, con decreto del 22 ottobre 1832, sborsò 5.000 ducati per altre opere pubbliche nella Provincia d’Abruzzo Citra, per la costruzione dei ponti sull’Alento a Francavilla, poi il ponte sul fiume Alento fra Chieti e Bucchianico, Chieti e Ripa; e nel Consiglio di Stato del  15 febbraio 1833, Ferdinando II si risolvette di pagare gli extra per i lavori della strada Palena-Lanciano. Nella sessione del 3 aprile 1833 della Deputazione provinciale di Chieti, si decise l’avvio dei lavori della strada tanto desiderata, partendo da Castelnuovo, proseguendo per Sant’Eusanio, Lama, passando per l’Aventino; nella deputazione provinciale figuravano i nobili  Barone Nicola Vergilj di Castelnuovo, Carlo Tomasini, Luigi Giordano, Giuseppe Caporale di Castelnuovo, d. Raffaele Castellano di S. Eusanio, a Lanciano d. Giampietro Rosati, Luigi Cinbarra e d. Camillo Madonna[7].

Dopo di ciò, Maranca ricorda anche in questa sede la visita di Ferdinando II del 16 settembre 1832, ricordando l’ultima visita del re Ferdinando I d’Aragona del 1464, con lodi e sbrodolamenti vari, anche inopportuni, accostando la magnificenza dei due nomi “Ferdinando”, benefattori del popolo lancianese. Interessante la piccola cronaca del viaggio dei Sovrani, che nel luglio 1832, in visita per le province del Regno, e stando in Abruzzo, dopo aver visitato la fortezza di Pescara, il 17 luglio stavano ad Aquila, sicché una delegazione si mosse da Lanciano per andare incontro al re, e invitarlo a visitare la città frentana, non essendo seconda Lanciano per devozione all’Augusto Sovrano. Del resto Maranca lo sa, Lanciano si era macchiata di tradimento nel 1799, e fino al 1815 aveva vissuto periodi turbolenti e torbidi, che ne avevano compromesso lo stato di città “fedele alla corona”, sicché questa fu una mossa dei lancianesi per riconquistare le grazie del re. I decurioni furono Nicola Spaccapietra giudice della Gran corte criminale di Aquila, e Filippo Minutolo giudice della Corte civile di Aquila, Raffaele de Giorgio cancelliere della Corte civile di Aquila, il sig. Nicola Mancini, Antonio Di Giorgio, Giustino Mariani, patrocinatori della Corte civile. Questi giunsero ad Aquila il 18 luglio, presentandosi al re, parlò il giudice Minutolo, prostrandosi, e ricordò di come tutti gli abruzzesi si fossero apparecchiati per accogliere con feste e tripudii il re nella regione, volendo invitare Sua Maestà anche a Lanciano in occasione delle solenni feste della Madonna del Ponte. Il Spvrano rimase colpito dalla retorica del Minutolo, e ringraziò assai, ma aveva altri impegni a Corte, e promise che sarebbe tornato a far visita a Lanciano con maggior calma; mentre già c’era un’altra delegazione provinciale pronta a invitare il re per un’ulteriore cerimonia a Teramo! La nuova deputazione era formata da d. Stanislao Napolitani[8], giudice istruttore distrettuale, Gabriello Rosica, giudice della Gran Corte Criminale di Teramo, Raffaele Quartapelle, e d. Raffaele Marcelluzi, i quali trovarono accoglienza dal re il 23 luglio. Il giudice Spaccapietra per l’occasione aveva scritto anche una memoria cica i casi in cui Lanciano era stata dichiarata “città fidelissima” dai sovrani napoletani, da sottoporre all’esame regio. Il re intanto proseguiva la visita in Abruzzo, il 26 luglio lasciò Chieti, ed ebbe una terza delegazione in visita, che fu ammessa alle ore 2 di notte all’udienza, mentre il re si stava divertendo al festino del Casino Nolli, ammirando i fuochi artificiali. I deputati della ennesima delegazione lancianese erano d. Michele de Giorgio consigliere provinciale e sindaco di Lanciano (quello che l’anno prossima sarebbe stato sindaco di Lanciano, e che si adoperava per le sontuose feste dell’Incoronazione della Madonna di Lanciano del 14 settembre 1833, insieme al capo-deputato del comitato Francesco Paolo Berenga….nonché grande amico del sacerdote Uomobono Bocache e della sua collezione di patacche archeologiche “anxanensi” presso il suo palazzo patrizio del rione Civitanova), il barone Nicola Vergilj, il barone Gaetano Gigliani colonnello, e il clero rappresentato da d. Domenicantonio Rotellini, d. Domenicantonio Casalanguida, i quali furono ricevuti benignamente dal re, e rassicurati dal suo volere di visitare Lanciano.

Il 28 luglio il re partì da Chieti e tornò a Napoli, sbrigò gli obblighi, e ricordò le suppliche dei lancianesi, che per ben tre volte lo invitarono in città, così in settembre programmò una nuova visita in Abruzzo; fece la via da Campobasso ossia la Bifernina, e prima di arrivare a Lanciano, ebbe il tempo di visitare Vasto, dove inaugurò solennemente il Teatro “San Ferdinando”, ricavato dall’ex monastero dei Celestini[9].

A Lanciano intanto fervono i preparativi per accogliere degnamente Sua Maestà, si forma un comitato apposito, presieduto da Michele de Giorgio, barone Nicola Vergilj, Piermattia Brasile, Agostino Berenga, Luigi Giordano, Giangiacomo Festa, si stabilì che l’alloggio di Sua Maestà sarebbe stato il palazzo del Barone Vergilj a Lanciano vecchio (talmente fausta fu questa visita che ancora oggi Lanciano nemmeno ha apposto una targa ricordo sul palazzo!!), allora sede della Sottintendenza di Chieti; per procurare le vettovaglie e il mobilio, furono incaricati Carlo Tommasini, Luigi Giordano, il Brasile e il Berenga citati; per la cucina e il pranzo da preparare, se ne occupò personalmente il Barone Vergilj, d. Raffaele Madonna e il Festa; per l’accoglienza al portone di casa, si scelsero il Conte Saverio Genuino, il marchese d. Donato Crognale di Castelnuovo, il barone Vergilj, il Cav. Barone Gaetano Gigliani, e il sindaco de Giorgio; per le questioni del servizio ai cavalli, furono nominati d. Saverio Capretti, Giuseppantonio Casalanguida, Luigi Somma, Pietro di Domenicantonio Nasuti; per tenere a cura l’appartamento reale, furono nominati il Gigliani, il Vergilj, il Festa, Gaetano de Giorgio, il Conte Genuini, Agostino Berenga, Piermattia Brasile, e il Tommasini; per la direzione delle pubbliche feste, il comitato presieduto da Michele de Giorgio, , Domenico de Crecchio, il Giordano, Giuseppe Madonna, il sacerdote della parrocchia di San Nicola d. Carmine de Giorgio[10], Nicolò Ciccarelli, Saverio de Cecco, Nicola de Archangelis[11] e Camillo Finamore.

I deputati per organizzare il ballo di gala, furono il Conte Genuini, Domenico de Giorgio, Guglielmo Madonna e il Tommasini; per riscuotere le offerte, si nominarono Alessandro Morale, Filippo Stella, Raffaele Madonna, Nicola de Giorgio, Camillo Murri. Per l’ispezione e la pulizia delle strade: , Gaetano de Crecchio, Salvatore Jacobitti, Giuseppe de Sanctis, Francescopaolo Festa. Fu scelta una Guardia d’onore per scortare Sua Maestà, vestendo l’abito dei cavalleggeri: Comandante Raffaele Madonna, Piermattia Brasile, Saverio de Cecco, Gaetano de Crecchio, Federico Maranca, Francesco Saverio Finamore, Camillo Giordano, Nicola de Archangelis, Nicola Ciccarelli, Camillo Sorge, Ferdinando Renzetti, Salvatore Jacobitti, Luigi Centobene, Domenico Ricciuti, Domenico D’Orsogna, Francescopaolo Zulli, Antonio Di Tonto, Giuseppe Primavera, Giovanni Lotti, Salvatore Rosato, , Vincenzo Di Jorio, Camillo Carosella. Si vestirono inoltre 20 individui della Guardia urbana, dei cacciatori, per prestare servizio al palazzo reale, ovvero alla Casa del Barone Vergilj.

Si provvide a sistemare Porta Santa Chiara detta anche Porta Napoli o Porta Reale[12], una volta che vi passò Ferdinando II, il quale sarebbe giunto dalla strada del tratturo, ovvero attuale viale Cappuccini. Per le spese di rifacimento della porta, ci pensò Michele de Giorgio, che fece apporre questa iscrizione: IN ADVENTU OPTIMI PRINCIPIS FERDINANDI II CIV. ANX. 1832. Nella parte interna della porta, l’iscrizione: LATEA DIES XVI SEPTEMBRIS MEMORAN SEMPER. Talmente “Memoran semper”, che poco dopo il 1861, il consiglio comunale di Lanciano delimitò l’abbattimento della Porta, per allargare la strada!!

Palazzo de Giorgio, via Garibaldi, residenza di d. Michele de Giorgio

A Lanciano si formò anche una deputazione per andare ad accogliere Sua Maestà a Vasto per scortarlo a Lanciano, composta da: Ferdinando Montanari, Filippo de Giorgio, Francesco de Archangelis, che giunse al Vasto il 15 settembre 1832 alle ore 15; alle ore 22 furono ammessi all’udienza dal Re, e il Montanari come oratore pronunciò questo discorso, che riassumo:

“Maestà Reale: I Lancianesi, lieti di salutare e onorare Sua Maestà per mezzo di Noi, Vi tributano onore e amore, e desiderosi che Sua Maestà venga a visitare Lanciano fedelissima, vi supplichiamo noi, cogliendo dalle nostre parole l’espressione di sincero amore del popolo lancianese, come Vostra Maestà è faro di luce, sapienza, saggezza e giustizia. La città si umilia a voi, e spera che possiate accogliere il desiderio dei cittadini. Ci rivedremo domani.”

Il re accettò, la mattina del 16 era in viaggio per Lanciano, e guadato il Sangro, fu accolto da una ennesima deputazione lancianese, composta da Giambattista Chiarini Sottintendente di Lanciano, Errico de Giorgio, Francesco Pettinelli, Ezechiele Talli, guardia generale delle acque, con schierati 16 individui della guardia urbana a cavallo, 16 servi, che scortarono Sua Maestà fino a Lanciano. Maranca ammette che ancora gli anziani, mentre lui componeva queste memorie, si ricordavano a Lanciano della venuta del Re, il quale aveva tutta la sua corte, composta da: Principe d. Filippo Salluzzo, tenente generale di Sua Maestà, il Conte Luigi Gaetani di Laurenzana, maresciallo di campo e aiutante generale, il Principe Lucchesi Palli, maresciallo di campo e Commissario dei Tre Abruzzi, , il Conte Statella, capitano di Sua Maestà, il duchino di Sangro, capitano generale, il Cav. Lecca, ispettore dl II Corpo di gendarmeria, , il Cav. Leopoldo Corni, segretario particolare, il Cav. Pietro Alfani, capitano, poi un cavallerizzo maggiore, un corriere di gabinetto, un veterinario d’armata Ferdinando Nanzi da Pescocostanzo un aiutante da camera, il Cav. Ducarne, maggiore comandante di gendarmeria, 8 palafrenieri, un tenente di gendarmeria a cavallo col seguito di 26 gendarmi, un battistrada a cavallo.

Il decurionato (ovvero il Consiglio amministrativo lancianese) deputato all’accoglienza era composto da: Benigno Madonna sindaco, Bernardo di Giorgio dottore di legge, gentiluomo e comandante della Guardia urbana, il barone Nicola Vergilj, gentiluomo, Domenico fu Saverio de Giorgio, Antonio Maranca, gentiluomo (sic!), Giuseppe del quondam Benedetto de Archangelis, Giuseppe de Crecchio, Fileno de Giorgio, Francesco Paolo Savino notaio, Giulio Tommasini dottor fisico, Francesco Pettinelli dottor fisico, Francescopaolo Cipriani dottor fisico, Sebastiano Talli, ingegnere[13], Camillo Sangiuliano gentiluomo, e poi ancora seguono Federico Carabba notaio, Vincenzo Brasile notaio, Filippo Frascani speziale[14], Giuseppe de Sanctis dottore, Eustachio Morale commerciante, Giuseppantonio Stella negoziante, , Giuseppantonio Casalanguida,  Luca Sorge, Nicola Giordano, Francesco Paolo Murri, Nicola Lotti, Errico Casalanguida, Luigi Somma, Giovanni Luciani, Mattia de Berardinis tenente.

Veduta ad acquerello del complesso di Santa Chiara, con il torrione aragonese, presso l’attuale scarpata del Fosso Pietroso.

Il sindaco Benigno Madonna si adoperò a spedire 4 carrozze a Santa Maria Imbaro vicino Lanciano per accogliere il Re, che sarebbe entrato da Porta Santa Chiara, avendo fatto riattare appositamente la strada da quella Villa fino alla città. Intanto la folla si radunava per quell’evento unico, il popolo da secoli abituato a venerare come una divinità Sua Maestà, non credeva ai propri occhi che il Re si fosse spostato dalla lontana Napoli fino a quella provincia sperduta! Sua Maestà rifiutò le carrozze di scorta; intanto in città il tenente Francesco Caruso stava in piedi a guardia della Porta per l’accoglienza. Tuttavia ci fu un imprevisto, perché il re scelse la via breve della strada della Conicella, dove si trova la chiesetta della Madonna tanto cara ai lancianesi nel periodo natalizio, passando poi per il Prato della Fiera, mentre le campane suonavano a festa. La gente si riversò a fiumi per il Prato, gridando “Viva il Re!”, mentre la banda militare eseguiva dei brani. Il ppvero sindaco con il decurionato appresso si dovette dare un bel daffare per scapicollarsi dal Corso Roma (allora nota come Via Maestra e poi via del Popolo), di giù fino alla piazza del mercato e alla Porta Santa Maria del Ponte, dietro la cattedrale, verso la Fiera, per accogliere il Re, che finalmente giunse alle ore 16. Cerimoniosamente, il Madonna offerse al Re il bacile con le chiavi d’argento della Città, il discorso dell’arengo: “La Città di Lanciano, prostrata ai Vostri piedi Regali, ringrazia umilmente la Maestà Vostra del sommo onore che si è degnata di comparire. Queste sono le chiavi dell’antica Fiera della Città che oggi non servono ad altro che a schiarire i nostri cuori ai sentimenti della riconoscenza e dell’onore vero dell’Augusta vostra persona”.

Tutto era programmato nei minimi dettagli, quasi ci viene in mente la memoria di Francescopaolo Berenga del Quadro dell’Incoronazione di Maria Santissima del Ponte a Lanciano (1853), circa l’avvenimento del 1833, di cui scrisse anche il Maranca in altri manoscritti. E strano che di una cronaca così dettagliata, chi di dovere nelle ricerche di storia lancianese, si accontenti soltanto della versione riassunta, e incompleta, pubblicata in un articolo nella miscellanea, Lanciano…o cara, a cura di G. Nativio, Carabba, 1979, desunta dal detto manoscritto sui Diplomi lancianesi, ma senza la dovizia di tutti questi particolari riportati in sede!


Torniamo a noi, il tenente Pier Luigi Brasile attendeva la Corte Reale all’atrio della Cattedrale, dunque il Re passò per il noto Ponte di Diocleziano, proprio nel corridoio oggi usato come auditorium, e fu ricevuto nella porta grande da Mons. Arcivescovo Francesco Maria de Luca, napoletano, dal Capitolo e dal Clero, prese l’acqua benedetta, intonò il “Salvum fac Regem”, benedisse il Re, che entrò nella Basilica, a pregare devotamente all’altare della Madonna, ricevette altre benedizioni, baciò il Santissimo, partecipò alla Sacra funzione, infine uscì in piazza, acclamato da un oceano di folla, e salì il quartiere Lanciano vecchio, per arrivare (immaginiamo esausto sfinito!), con tutta la Corte al palazzo del Barone Vergilj. E di nuovo tutto il cerimoniale di rito: d. Michele de Giorgio prese la parola e rinnovò i ringraziamenti a Sua Maestà per essere venuto a visitare la Città, con adulazioni e umiliazioni, con lodi annesse circa l’evento unico per la storia tutta della Città, ecc. ecc.; il seguito del comitato d’accoglienza al portone del palazzo, era composto da 4 notabili: il detto de Giorgio, consigliere provinciale, e promesso sindaco della città, Barone Nicola Vergilj, il Conte Saverio Genuini, il primo notabile eletto d. Gaetano de Giorgio, il secondo eletto Raffaele Tinozzi, il comandante della Guardia urbana Bernardo de Giorgio, il Cav. Giambattista Chiarini Sottintendente, il segretario suo Luigi Maranca, il Cav. Giovanni Diaz, secondo tenente al servizio regio, Domenicantonio Marinchi Guardia del circondario e giudice istruttore, il cancelliere Antonio Ortenzio, il conciliatore Carmine Montanari, il controllore dei dazi indiretti, Domenico Corsi, e quello dei diretti Giovanni Abberante ispettore di polizia, il giudicato d’istruzione Saverio Mingolla, il sindaco Benigno Madonna, il ricevitore distrettuale Vitaliano Liberatore del Genio civile.

Lanciano, Salone maggiore del palazzo Napolitani-Berenga

Parlò poi Sua Maestà, dando ordine che la Guardia d’onore che lo aveva accolto, prestasse servizio a Palazzo, presso la sua Real Persona. Altri 15 ufficiali fecero il servizio esterno; Sua Maestà salì l’androne, e dalla finestra dell’appartamento si affacciò alla folla festante che si era radunata sotto, lungo la via dei Frentani (all’epoca Via Grande), distribuendo saluti e sorrisi. Nella piazzetta antistante, probabilmente piazza san Martino oggi Largo Tappia, si erano schierate altre 60 guardie.

Il servizio da camera, capitanato dal Chiarini, nominato maggiordomo personale, fu assistito dal segretario Luigi Maranca, da Michele de Giorgio, dal Conte Genuini, Antonio Berenga, Piermattia Brasile; per la cucina fu incaricato il Barone Vergilj di sovrintendere, con Raffaele Madonna, Giangiacomo Festa, e Gaetano de Giorgio; furono nominati 4 deputati per le scuderie, con a capo il tenente Giovanni Diaz. Alle ore 18 Sua Maestà si assise a tavola, e accordò a far pranzare con lui 7 membri del suo seguito, come se fossero invitati a un pranzo di famiglia: gli ammessi, con il rituale del bacio della mano, furono Francesco Saverio Petroni Intendente di Chieti, il sindaco, il suo rappresentante, il sottintendente di Lanciano, l’arcivescovo, il capo della Guardia urbana, il capo della Guardia d’onore, e altre autorità locali. A seguire tenne udienza, parlando inizialmente col Mons. De Luca per mezz’ora, e successivamente con altri. Alle 20 Sua Maestà andò al palazzo comunale, all’epoca presso i locali del convento di San Francesco, per assistere alla festa da ballo, ma non si poterono sparare i fuochi artificiali, perché la giornata era stata piovosa. Dopo un’ora, Sua Maestà sfinita tornò al palazzo Vergilj, ammirando le illuminazioni organizzate nella piazza.

La mattina del 17 settembre alle ore 11, Sua Maestà si apprestò a ripartire, camminò a piedi fino alla piazza dove montò a cavallo, e accolse con clemenza le manifestazioni di affetto e amore del popolo lancianese, e di quello giunto dai paesi vicini. Gli si avvicinò Michele de Giorgio, che gli sussurrò che l’amore dei lancianesi lo avrebbe per sempre accompagnato. Maranca aggiunge anche il particolare che Sua Maestà si commosse nel lasciare quella bella città, e salì a cavallo l’attuale corso Roma, uscendo da Porta Santa Chiara, complimentandosi con Domenico de Giorgio per il bel lavoro fatto; costui lesse un messaggio di commiato, in cui rinnovava i ringraziamenti per la visita fatta, che sarebbe rimasta per sempre nel cuore dei suoi fedelissimi servitori. Il Re ringraziò, concesse al de Giorgio di baciare la mano e proseguì per viale Cappuccini con la sua scorta. Sicuramente il Re riprese la via del tratturo, passando per il “procaccio” a Castelnuovo ossia Castelfrentano, e proseguendo per la via dell’Aventino, passando per Fara, Lama, e infine Palena, dove si stava terminando la strada nazionale Frentana, come verrà chiamata dopo l’Unità d’Italia.

ELENCO FINALE DEI DIPLOMI CON TRANSUNTO

Da questo punto, la parte finale del manoscritti, ripropone in forma transunta e cronologica, tutti i diplomi regi di cui beneficò Lanciano, senza riportare per l’ennesima volta il contenuto, qui li elenco:


·         Diploma di Federico II, aprile 1230

·         Diploma di Carlo II, 1294

·         Privilegio di Carlo II, 1303 (13 febbraio, 28 febbraio, 1 marzo)

·         Privilegio di Roberto d’Angiò, vicario di Carlo, 13 giugno 1303

·         Privilegio di Carlo II, 7 luglio 1303

·         Privilegio del mastrogiurato, di Carlo II, 4 agosto 1304

·         Indulto di Carlo II verso i lancianesi, 16 febbraio 1308

·         Privilegio di Roberto, 9 marzo 1309

·         Privilegio di Roberto del 28 gennaio 1311

·         Privilegio di Roberto del 31 gennaio 1312

·         Privilegio di Roberto del 25 agosto 1313

·         Privilegio del 10 aprile 1315

·         Privilegio del principe Carlo figlio di Roberto, 22 marzo 1320

·         Privilegio di esenzione da pagare il fondaco di Ortona, 10 maggio 1321[15]

·         Privilegio del 2 giugno 1321

·         Privilegio de 21 ottobre 1322

·         Diploma di Roberto de del 1327

·         Privilegio di Luigi d’Angiò e di Giovanna I, 3 novembre 1351

·         Diploma di Giovanna del 1365

·         Privilegio di Giovanna del 4 luglio 1368

·         Diploma del 4 marzo 1372

·         Diploma del 26 settembre 1372

·         Privilegio di Carlo II del 12 ottobre 1381

·         Privilegio di Carlo del 1 dicembre 1381

·         Privilegio di Carlo del 29 novembre 1382

·         Privilegio del 28 novembre 1383

·         Privilegio del 1384

·         Donazione di 50 once di Ladislao del 1390

·         Privilegio del 17 maggio 1391

·         Privilegio 2 giugno 1395

·         Privilegio di Ladislao del 10 settembre 1395

·         Diploma del 10 novembre 1396

·         Privilegio di Ladislao sul demanio, 1401

·         Privilegio del castello di Sette, 1405

·         Privilegio dei feudi, 1406

·         Privilegio del 7 aprile 1412

·         Privilegio di Giovanna II del 9 settembre 1414

·         Diploma del 15 febbraio 1420

·         Privilegio di Giovanna e Alfonso d’Aragona, 23 ottobre 1421

·         Diploma di Alfonso, 12 maggio 1422

·         Diploma di Giovanna, 1 febbraio 1421

·         Diploma di Alfonso del 2 marzo 1422

·         Lettera di Alfonso del 28 settembre 1422

·         Lettera della regina Giovanna a Giovanni da Capestrano del 1426

·         Privilegio di Alfonso del 22 gennaio 1441

·         Privilegio del 24 gennaio 1441

·         Privilegio di Alfonso del 30 dicembre 1446

·         Privilegio del 5 giugno 1447

·         Diploma dell’11 maggio 1450

·         Privilegio del 16 aprile 1451

·         Privilegio del 15 dicembre 1453

·         Privilegio 10 aprile 1455

·         Privilegio 12 giugno 1456

·         Privilegio 13 giugno 1456

·         Diploma del 16 maggio 1457

·         Diploma di Ferdinando I d’Aragona del 17 novembre 1457

·         Privilegio 28 giugno 1458

·         Diploma 30 luglio 1458

·         Lettera del 31 gennaio 1460

·         Lettera di Ferdinando del 15 gennaio 1461

·         Diploma 7 marzo 1462

·         Diploma 1 marzo 1463

·         Lettera di Ferdinando mandata da Chieti, 11 ottobre 1464

·         Lettera di Ferdinando da Caramanico, 1464

·         Privilegio 22 giugno 1464

·         Lettera del 10 giugno 1470

·         Diploma di Ferdinando, 1480

·         Diploma del 3 dicembre 1481

·         Privilegio del 22 maggio 1488

·         Lettera del 18 novembre 1488

·         Lettera di Alfonso II d’Aragona, 28 marzo 1489

·         Privilegio di Ferdinando I, 3 dicembre 1489

·         Privilegio di Alfonso II, 1494

·         Privilegio del 18 febbraio 1494

·         Capitoli e grazie, e privilegi confermati da Ferdinando II il 28 ottobre 1495

·         Privilegio di Ferdinando a reintegra dei beni spogliati da Carlo VIII, 24 marzo 1495

·         Privilegio di Federico III, 18 maggio 1498

·         Privilegio del 20 ottobre 1499

·         Privilegio di Federico del 10 febbraio 1500

·         Ordine di Carlo d’Aragona contro gli albanesi, 22 settembre 1500

·         Privilegio di Ferdinando il Cattolico del 1504

·         Privilegio del 29 aprile 1507

·         Ordine di Ferdinando del 7 maggio 1515 dell’erezione a sede vescovile

·         Ordine di Carlo di Spagna del 20 ottobre 1518 sull’exequatur

·         Privilegio del 9 novembre 1520

·         Privilegio di Carlo V del 20 marzo 1536

·         Privilegio del 1547

·         Privilegio di Filippo II del 26 gennaio 1561

·         Dispaccio di Filippo II, stesso giorno

·         Privilegio Filippo III del 1608

·         Comunicazione di Carlo VI d’Asburgo del 22 dicembre 1729



[1] Maranca cancella l’errore cronologico, avendola inserita nell’anno 1467, e la rimette in bella copia qualche pagina più avanti.

[2] Lib.bapt.S. Johan.an.1547

[3] La famosa lapide dei Decurioni, citata anche da Mommsen, in CIL, IX, n. 2998

[4] R. Liberatore, Pensieri civili economici, I, pp. 35, 40, 43, 37 (nota del Maranca nel ms.)

[5] Informazioni tratte dal sito Dimore Storiche d’Abruzzo, per cui ringrazio Domenico Maria Del Bello

[6] Il Perez a Lanciano era stato attivo anche nella chiesa di Santa Lucia , nella cappella confraternale dell’Addolorata, e nella chiesa di Santa Giovina di Lanciano, quando ebbe questa intitolazione nel 1850, per cui si promossero lavori di ampliamento; ricordo anche che nel 1845 col fratello, firmò il cappellone dell’Ultima Cena e del Santissimo Sacramento nella Basilica di Ortona.

[7] Fratello di Carlo Madonna, e figlio di Antonio Madonna giureconsulto.

[8] Arciprete di Santa Maria Maggiore, che fece costruire la cappella di Sant’Ignazio di Loyola, di patronato, con stucchi della bottega Rizza e Piazzoli, e restauri di Vincenzo Perez del 1864. Oggi purtroppo in attesa di restauro, adibita tristemente a magazzino di panche, nell’altare maggiore conservava un dipinto di Sant’Ignazio e la Madonna col Bambino di modesta fattura locale, inventariato dalla Curia Lanciano-Ortona.

[9] Si veda l’articolo https://noivastesi.blogspot.com/2010/09/1832-quando-il-re-ferdinando-ii.html di Lino Spadaccini, da cui cito: “In mancanza delle cronache dei giornali d’epoca, troviamo memoria della visita del Re grazie al Diario del canonico Florindo Muzii, conservato manoscritto presso l’Archivio Storico di Casa Rossetti.
In data 15 settembre il canonico annotava: “Ad ore 18 è arrivato da Termoli il nostro augusto Sovrano Ferdinando II°, fra immensi gridi di Evviva”.
Intensa la cronaca del Muzii annotata il giorno successivo, che ci rende l’idea del clima vissuto a Vasto in quelle ore: “Il Re, jeri giunto, andò a S. Giuseppe a ricever la benedizione del SS.; e poi portassi ad albergare nel Palazzo del Marchese, già nobilmente preparato dal concorso di cittadini. Il trattamento di S. M. fu a conto del Marchese istesso, il quale dal suo Agente fè erogare circa d. 340. Ieri a 22 ore”, prosegue il Muzii, “vi fu udienza generale dal Re: la sera Teatro, ove andò fra gli Evviva. Illuminazione della Città, quale fu in parte impedita dalla pioggia, a Noi benefica. Questa mattina, ad ore 14 udì la Messa privata in S. Giuseppe, con breve ed energico discorso del Canonico (Uranio) Mayo, terminato con gli Evviva, quali si ripeterono da tutto il popolo nella partenza di S. M. ad ore 15 meno un quarto, accorso in folla sino a S. Michele, dove il Re lo congedò; mentre nel Piano del Castello si udia lo sparo di due cannoni da 12, come nell’arrivo di jeri, insieme a quello di sette legni da carico in alto mare, e presso al lido. Il Re partì estremamente soddisfatto del Vasto, abbenchè la pioggia abbia impedito una completa illuminazione di 8. mila lumi preparati per l’intiera Città; nonché lo sparo d’elegantissimo artifizio, l’elevazione di 12. globi aerostatici, e l’intervento del Monarca alla tenda eretta nella Villa del Barone Genova, e nel festino pubblico disposto al Teatro, che sarà eseguito poi-dimane a sera, con illuminazione di altre due sere per la Città, in continuazione delle Reali Feste. S. M. à lasciato in dono d. 100 à poveri, prima di partire per Lanciano”.
Solo un breve cenno per il Teatro. In realtà la sera del 15 settembre, proprio alla presenza del Re, è avvenuta l’inaugurazione ufficiale del Real Teatro Borbonico (oggi Teatro Rossetti).
L’entusiasmo tra la gente era davvero notevole, come sottolinea lo storico vastese Luigi Marchesani: “L’ingresso del Re fu un vero trionfo: la gente tutta disposta lungo il lato orientale della città e del piano del Castello, le acclamazioni ognor crescenti, le salve de’ legni mercantili, delle feluche e delle torri, l’animatissimo scampanio, tutto dava a questa città l’aspetto dell’entusiasmo”.
Altre interessanti notizie le troviamo nel libro “Storia civile e militare del regno delle Due Sicilie sotto il governo di Fedinando II dal 1830 al 1849”, scritto nel 1855 da Mauro Musci. “Stavasi ancor molto lungi dalla città del Vasto”, scrive il Musci, “e sembrava essersi giunto, sì affollato parea l’andare e ‘l venire, l’incontrarsi di persone a piedi e a cavallo, su sfarzosi cocchi, covrendo il cielo di plaudendi saluti al Sire… e con fragoroso ed ebbro esercito di crescente popolazione, entrò in città, prendendo stanza nel monumentale palazzo, ricco di glorie storiche”. Accolto dal sindaco, dai decurioni e dalla nobiltà, dopo brevi cerimonie, il Monarca chiamò intorno a se le autorità del distretto, per occuparsi degli affari pubblici, poi “La sera tra i concerti musicali, le luminarie, i lieti spari de’ legni mercantili ancorati nel porto, recossi il Principe al teatro Real Borbone, a compiere così lo sfogo d’esultanza della popolazione fedele”.

[10] Tra l’altro compilatore di due volumi di Memorie delle Chiese di Lanciano, manoscritto presso la biblioteca comunale di Lanciano, che in gran parte è copiato dai Manoscritti di Bocache, e dalle notizie del Maranca e dell’Antinori su Lanciano.

[11] Pittore e scultore, padre di Augusto de Archangelis, anch’egli pittore.

[12] Molte di queste Porte dedicate alla Capitale, o a San Ferdinando in onore del re, o dette “Reali”, furono restaurate e ridenominate proprio in occasione della visita di Ferdinando II, e sono la Porta Reale di Aquila, da cui entrò il re nella visita dell’estate 1832, da dove nel 1796 era entrato anche il suo avo Ferdinando I; poi Porta Reale di Chieti, da dove il Re uscì nella visita del 1832 per tornare nella Capitale; Porta Reale o Madonna di Teramo, da dove il Re entrò per la visita a Teramo; e infine la Porta Santa Chiara di Lanciano.

[13] Fratello del celebre ingegnere e architetto antiborbonico Nicola Maria Talli, amico del pittore e antiborbonico Giuliano Crognale di Castelfrentano

[14] Una mano diversa, aggiunge “responsabile e ufficiale della Posta”

[15] Essendo state queste carte in possesso dello storico Luigi Renzetti, o meglio saccheggiatore, dal privilegio del 10 maggio 1321 fino al 1327, compaiono a margine delle indicazioni con scritto “Ortona”, forse erano note del Renzetti per un suo prossimo lavoro.

Nessun commento:

Posta un commento