Ferdinando II d’Aragona |
Il Maranca dunque
riporta solo i diplomi in cui Lanciano viene arricchita e investita di questo e
di quell’altro privilegio. Notiamo, leggendo queste carte, il rito solito di
umiliazione della delegazione dei sindaci al nuovo re, per avere conferma delle
precedenti carte, notiamo la conferma dei vari feudi del circondario
lancianese, che Lanciano alla fine vendette, esempio di Castelnuovo, senza
l’autorizzazione regia, come prescritto nei privilegi, notiamo le conferme,
specialmente quelle di Ferdinando o Ferrandino II del 1495 di tutti i privilegi
passati, notiamo un ennesimo tentativo di Ortona di istituire la sua Fiera con
l’usurpazione di Carlo VIII, privilegio immediatamente cancellato da Ferdinando
I e poi da Federico III ribadito nel suo annullamento; notiamo il tentativo di
Chieti di istituire una sua Fiera presso la Pescara, puntualmente bloccato
dalla regia corte…fino ad un arresto improvviso dei privilegi, soltanto
qualcuno del 1608 di Filippo IV e la menzione di una lettera del re Carlo VI
del 1729. Eppure altri documenti ce ne sono! Specialmente documenti e dispacci
per quanto riguarda la gestione delle Fiere, tanto che molti di questi sono
raccolti nel volume Fiere e consigli (gli unici che si sono degnati di
studiarli, per sommi capi, finora sono stati Corrado Marciani e Luigi Russo nel
suo libro postumo sulle Fiere lancianesi), presso l’Archivio storico comunale;
insieme ad altre carte di un volume senza titolo, che ha utilizzato carte di
scarto, con diversi conteggi di bestie vendute e invendute, risalente al XVII
secolo, che si conserva nella sezione Manoscritti della biblioteca comunale
lancianese. Ma tempo al tempo, avremo modo di integrare ulteriori notizie con
questi documenti inediti.
Lettera di re
Ferdinando dell’ottobre 1464 scritta da Chieti ai sindaci di Lanciano,
acciocché il tesoriere regio facesse il suo conto per lo sposalizio di Eleonora
d’Aragona sua figlia. Segue la trascrizione della lettera, in cui Re
Ferdinando, ai sindaci di Lanciano, condona le collette per lo sposalizio della
figlia Eleonora, in quanto la città si è sempre dimostrata fedele e retta verso
la Corona. Dato nella Città di Chieti, 11 ottobre 1464; lettera citata anche da
Fella.
Al num. 173, c’è una
lettera spedita da Caramanico il 20 ottobre, il re Ferdinando rinnova le grazie
a Lanciano, ricordando di come fu bene trattato quando fu ospitato in città, e
manifesta il desiderio di ritornarvi; fa inoltre intendere delle cattive
condizioni di salute della regina Giovanna d’Aragona, per cui si vede costretto
a rientrare a Napoli, e a rimandare la visita in Lanciano. Segue il testo della
lettera. Dato in Caramanico, 20 ottobre 1464.
Segue il privilegio del
re Ferdinando del 1465, in cui nomina cavaliere Denno Riccio di Lanciano,
donandogli dei beni per i meriti. Segue una lettera del re al Preside d’Abruzzo
del 10 giugno 1470, in cui gli comunica di reprimere le ribellioni dei paesani
di Castel Nuovo (Castelfrentano)[1].
Il 17 novembre 1467 il
re fece differire il pagamento della gabella del vino sino ad aprile, perché
gli introiti della Città maturavano a maggio con la Fiera, nel documento questa
Fiera viene detta antica “di mille anni” e tra le più antiche del regno,
ricordando ed accordando la franchigia per i mercanti partecipanti, anche
dall’estero; dalle mercanzie provenienti alle Fiere, il re ordinò che il regio
fisco riscuotesse il 3 e mezzo percento, il re ricordò la proroga della
franchigia di 3 anni nei confronti di Paglieta, nel circondario lancianese, e
relativa diminuzione della tassa.
Al num. 175 del 18
dicembre 1468, il re ordinò ai sindaci di Lanciano che vi alloggiasse la
squadra di Nicola di Turali, e che le altre truppe di passaggio andassero
altrove, onde impedire danni pecuniari alla Città.
Al num. 176: lettera
del re Ferdinando al Preside d’Abruzzo, del 10 giugno 1470, già citata, di
reprimere i disordini dei Castellini a Lanciano. Ne segue un’altra, in cui
concede poteri al Preside per il modo e il come reprimere la rivolta. Lettera
data in Castel Nuovo di Napoli, 10 agosto 1470.
Num 178: Il Re
Ferdinando accorda a Lanciano, il 1 maggio 1471 il permesso, con il pagamento
di 200 ducati, di acquistare i castelli di Turri e Moggi (oggi zona
Rizzacorno), incamerati nel Regio Demanio dopo esser stati espropriati al Conte
Orsini.
Num 179: il 4 agosto
1472, Lanciano ottenne favori col possesso di Ari.
Num. 180: il diploma
del 1 maggio 1476, con regio assenso, si ottiene la vendita di metà del
castello di Moggio da Giacomo di Cicco a beneficio della città.
Num. 181: nel 1480 re
Ferdinando e la moglie Isabella accordano che alle Fiere della città non vi
potessero essere, nel momento dello svolgimento, rappresaglie e arresti per debiti.
Num. 182: il 18 aprile
del 1480 il re, dagli accampamenti presso Taranto, dà ordine a Carletto
Caracciolo suo ciambellano, di comunicare a Lanciano il possesso dei castelli
di S. Venera e Castel Nuovo, di Aregio (Arielli), Ocrecchio, di Vasto inferiore
e superiore, e S. Amato, e di esercitarvi i propri diritti, giusta la
convenzione di re Ladislao del 20 marzo 1406.
Num. 183: il 20 giugno
1480 il re ordinò che si ottenesse la franchigia alla Fiera per i mercanti,
affinché potessero ottimamente esercitare i commerci, per le mercanzie
provenienti dal porto di San Vito, e di pagare la tassa del 3 e mezzo percento
per lo scalo portuale; che gli ufficiali regi rispettassero i Capitoli e i
Privilegi accordati a Lanciano, affinché non ci fossero disturbi durante lo
svolgimento, e che il Capitano regio non si intromettesse negli affari
municipali, e che solo i deputati avessero il diritto di tenere il sigillo
pubblico, come da protocollo.
Num. 184: nel diploma
regio, Denno Ricci ebbe l’indulto generale nel parlamento del 7 novembre 1481,
e fu reintegrato nella Città con i beni e gli onori, re Ferdinando commissionò
l’osservanza del privilegio ad Alfonso II suo figlio, vicario del Regno.
Num. 185: una lettera
reale del 3 dicembre 1487, in cui Lanciano può usare 200 ducati per la
riparazione delle mura, con l’intervento del Tesoriere regio e del Capitano. La
concessione durerà 5 anni, nel fondaco regio verrà stimata la quantità tale da
prelevare 200 ducati ad anno, con la condizione detta di riparare le mura. Dato
in Foggia, 3 dicembre 1487.
Num. 186: privilegio da
Castel Nuovo, il 22 maggio 1488, dove il re ordina la cacciata da Lanciano
degli ebrei, schiavoni, ed epiroti per i disordini e gli scandali; Maranca
desume queste brevi note sempre dalla ms. Istoria critica di Lanciano,
vol. 1 , di Antinori, un tempo presso la sua biblioteca a Lanciano, e poi
confluita nei manoscritti della Biblioteca nazionale “Vittorio Emanuele III” di
Napoli. Segue la trascrizione in latino della lettera di re Ferdinando, in cui
per questi scandali, multa di 1000 denari chi avrebbe cercato di far rientrare
costoro nella città. Dato a Paglieta 5 luglio 1489.
Carlo V |
Num 188: privilegio di
Ferdinando del 1488 in cui approva gli Statuti lancianesi per un Collegio di
Artieri, di aghi e di fusari.
Num. 189: lettera del
nuovo re Alfonso II ai “magnifici e diletti uomini lancianesi fedeli alla
Corona”, in cui invita i lancianesi a non dolersi per i passaggi delle truppe
regie, promettendo di ampliare i privilegi già in possesso della Città, per
conto del patrizio Denno Ricci, ma al momento “che non semo per mancare un pelo
da quando lo Signoro Re comanda, e questo fatto sia subito, perché detti homini
di armi stanno qua’ e tuttavia si querelano”. Dato in Ortona, 28 marzo 1489.
Num. 190: lettera di
Alfonso duca di Calabria dell’11 luglio 1489 a suo figlio Ferdinando II
principe di Capua, che staziona in Paglieta, affinché scacciasse gli schiavoni
e gli epiroti per disordini..
Num. 191: privilegio di
Ferdinando da Foggia, il 3 dicembre 1489, che concede 2000 ducati per
riedificare le mura, i torrioni, le antemurali, i rinforzi della parte
meridionale (ovvero la zona sud del Torrione aragonese). Commenta Maranca che
in quel momento Lanciano diventò una Piazza, e inizierà a subire diversi
assedi, celeberrimo quello che avverrà per mano del Conte di Lautrech.
Num. 192: Alessandro VI
Papa per evitare dissidi tra chietini e lancianesi, smembrò il territorio
diocesano, e dichiara la Chiesa Lancianese direttamente sottoposta alla Santa
Sede, e non più alla Diocesi Teatina; il breve apostolico è del 9 ottobre 1492.
Num. 193: altro
protocollo di re Ferdinando del 18
febbraio 1494 in cui concede a Denno, Giovanni Riccio 200 ducati sulla bagliva
di Laniano, confermando a loro il possesso di Fossaceca, Pietraferrazzana e S.
Apollinare.
Num. 194: il nuovo re
Alfonso II riceve la delegazione dei sindaci lancianesi per l’omaggio di rito,
il 15 marzo 1494, e conferma tutti i passati privilegi in protocollo,
sottoscritti anche dal suo figlio Ferdinando II duca di Calabria.
Napoli, piazza Mercato |
Re Federico III,
accordò nuovi Capitoli e grazie alla città, essendo morto Ferdinando nel 1495
senza prole, ampliò i privilegi. Emanò l’indulto per gli omicidi e i delitti
commessi dai lancianesi da quell’anno a 30 anni addietro. L’assessore e il
mastrogiurato dovevano riconoscere il loro ruolo senza chiedere pagamenti.
Ricordando l’ordine di Alfonso d’Aragona, i beni dei ribelli, furono concessi
ai lancianesi, i quali furono anche ricompensati per i danni subiti ai passaggi
delle truppe regie. Il privilegio è del 15 novembre 1495.
Num. 198, privilegio di
Federico III del 18 maggio 1498 che conferma a Denno Riccio i privilegi
concessi da Alfonso I di Napoli e Ferdinando I, confermando i possessi di
Fossaceca, S. Apollinare, Pietraferrazzana , e i beni di Lujo, ebreo ribelle
scacciato dalla città.
Num. 199. Privilegio
del 18 ottobre 1499, il re concede alla città 10 anni di esenzione dai pesi
fiscali per i castelli di Ocrecchio e Arielli, per i danneggiamenti del Conte
Orsini, dichiarò il re che i benefici ecclesiastici vacanti e i benefici dei
castelli altresì vacanti, fossero ripartiti tra i lancianesi; rese immuni i
cittadini dai pagamenti dei 1000 ducati annui, riconfermò la presenza del
Tesoriere della Provincia nella sua sede in Lanciano, e acconsentì che
solamente una squadra reale fosse presenta in città per l’alloggio. Esentò i
cittadini dai pagamenti vari, nominò 5 cittadini probi al governo di Lanciano,
i quali avrebbero amministrato anche i beni confiscati ai ribelli, per conto
della Regia corte, e confermò le grazie del 1495 concesse dal suo predecessore
Ferdinando II. Firmato da Federico III alle 13 calende di novembre 1499, al 3°
anno del regno. Segue il privilegio in latino, dove revoca i privilegi di Carlo
a favore degli Ortonesi contro le Fiere lancianesi; stabilisce il confine
massimo di 1000 passi di distanza da Lanciano per poter celebrare altre fiere,
concede solo a Lanciano il diritto del fondaco di sale al porto di San Vito,
che serve anche per il Pontefice Romano, come scrive Filippo Neri lib. 8
epist.5; infine il Re concede 1000 ducati annui, per 5 anni per le Fiere di
maggio, e altrettanti per la Fiera d’agosto; ricorda che il Preside della
Provincia deve risiedere in Lanciano, separa il Clero lancianese da quello di
Chieti, concede la franchigia ai lancianesi per tutto il Regno, infine minaccia
punizioni contro gli ortonesi che hanno molestato i mercanti di animali
lancianesi per la fiera di Sant’Angelo. Dato alle 17me calende del dicembre
1495.
Num. 200: privilegio
del 20 ottobre 1499, riconosce la fedeltà dei Lancianesi, degni di essere
ricompensati con altri privilegi, e ricorda l’esenzione dal pagamento delle
tasse, sotto il suo governo e quello del suo successore, in base a quanto già
scritto da Alfonso I e Ferdinando I. Il privilegio è allegato: il re, per mezzo
del luogotenente della Provincia Marchese di Gerace, riconosce la fedeltà dei
lancianesi alle cause della Corte, e promette nuove ricompense. Dato in Castel
Nuovo, 10 febbraio 1500.
Al n. 202, c’è l’ordine
di Carlo d’Aragona del 22 settembre 1500, dato da Celano, essendo lui
luogotenente della Provincia per conto di re Federico III, di discacciare gli
albanesi, che per 50 miglia attorno Lanciano causavano disordini, e il Capitano
regio fece pubblicare la lettera del bando alle Fiere.
Al n. 203 è
riconosciuta la fedeltà di Lanciano al re durante la congiura dei Baroni,
sicché il re nella lettera ringrazia i lancianesi e promette future ricompense.
Segue il testo in allegato, con il formulario in latino, e il contenuto in
volgare, in cui dopo la premessa della fedeltà dei lancianesi durante i periodi
turbolenti della congiura, a Lanciano s’era mantenuto il controllo per mezzo di
Colangelo Cantelmo e Giordano Ortino, che con le milizie accorsero in difesa
del re. Dato a Capua 1 luglio 1501.
Num. 204: privilegio
dato in Castel Nuovo alle 3° calende del 1502, il re riceve i magistrati
lancianesi e promette privilegi.
Stemma dei Vergilj, Castelfrentano, chiesa della Trinità |
Num. 206: al 23 aprile
1505 il viceré duca di Termoli permise la presenza dei Turchi alle Fiere
lancianesi.
Num. 207: il re Ferdinando il 29 aprile 1507, da Castel
Nuovo, accorda tutte le grazie e capitoli dei passati sovrani angioini e
aragonesi, e raccomanda che siano specialmente osservati i Capitoli. Confermò
il possesso dei feudi di Lanciano, e che ogni anno si provveda a far lavorare
il Capitano, volle che i parlamenti generali si facessero come ai tempi di re
Ferdinando II (1495), conformi alle altre città demaniali del Regno.
Num. 208: il 17 febbraio 1508 per conto del viceré duca
di Termoli l’uditore Alfonso da Tricio
fece pubblicare i bandi per tutto il Regno, mettendo a conoscenza i mercanti
della franchigia alla Fiera di Lanciano, riconoscendo la sua inviolabilità,
stabilita da re Federico III.
Num. 209: il viceré don
Raimondo di Cardona, il 1 aprile 1510, scrisse ai sindaci lancianesi che non
intendeva pregiudicare la Fiera, prendendo informazioni per mezzo del
commissario Zapella, ma confermando punto che ogni mercante poteva portare le
merci alla Fiera, purché si rispettasse la sicurezza, secondo il solito editto
regio. Il doge di Venezia Leonardo Loredano, il 15 maggio 1510 si lagnò col
Capitano per dei danni arrecati ai mercanti della Serenissima, contravvenendo
dunque ai privilegi, pregando di fare giustizia.
Num. 210: l’8 maggio
1512 il viceré don Raimondo di Cardona rinnovò il bando che alla Fiera chiunque
potesse liberamente accedere con le merci, compresi cristiani, turchi,
“infedeli” ossia musulmani ed ebrei, giudei, perché avrebbero goduto di piena
sicurezza durante lo svolgimento della stessa.
Num. 211: ordine di
Ferdinando il Cattolico del 7 maggio 1515 in cui fu ridotto a 72 il numero dei
decurioni dei Quartieri di Lanciano, e stabilita la carica ed elezione
“annuale” dei magistrati.
Num. 212: ordine di
Carlo V di Spagna, divenuto anche re di Napoli, di dare esecuzione della bolla
di Leone X sull’erezione del vescovado di Lanciano, distaccandosi da Chieti,
ordine eseguito ufficialmente il 20 ottobre 1518. Segue il documento in latino:
Giovanna e Carlo per grazia di Dio regina e re di Aragona, Castiglia e
Sicilia e Gerusalemme, per conto di Raimondo di Cardona preside dell’Abruzzo
Citeriore ecc., alla presenza del viceré davanti alla Sacra Maestà ecc., alla
presenza dei vescovi, arcivescovi, del clero, ecc., rispettando la volontà
sacrosanta del nostro pontefice Leone ecc., nell’anno dell’Incarnazione di
Cristo 1515, al 3° anno di pontificato, erige a sede vescovile la Cattedrale di
Santa Maria di Lanciano, riconoscendo come vescovo il reverendo Angelo
(Maccafani), amministratore apostolico, per mezzo di nostre lettere spedite, ecc.
Segue la conferma di
Carlo di far rispettare la bolla papale.
Num. 213: privilegio
del 9 novembre 1520, con cui il re vieta ai Chietini di celebrare la Fiera di
San Marco nella piana della Pescara, perché non rispettava la distanza di 20
miglia da Lanciano (per Lanciano, si intenda, tutto il circondario con i suoi
beni, che arrivava, come detto, fino ad Ari, quindi a pochi km da Chieti), si
vieta anche ai mercanti di andarvi, pena ducati 1000 da pagare, e sequestro
delle merci.
Num. 214: lettera di Carlo
V del 9 dicembre 1520, con cui ringrazia i lancianesi del dono di 2000 ducati
alla Corte, riconoscendo, come gli altri re, la fedeltà dei cittadini.
Num. 215: privilegio di
Carlo dell’8 aprile 1533, con cui riconosce i Capitoli, ricorda il demanio regio;
conferma la franchigia delle Fiere, ricordando il privilegio di re Federico, la
prestazione di 1 tomolo di sale per focatico, per cui la Città pagava alla
Corte 1000 ducati; riconobbe il diritto di giurisdizione criminale di Lanciano
verso i suoi Casali di Treglio e Scorciosa; ordinò che il Capitano regio, il
giudice e gli ufficiali osservassero i Capitoli; stabilì che la città non fosse gravata dalle truppe di transito
per l’alloggio; riconfermò tutti i privilegi passati, sottolineando la
franchigia dal dazio del porto, ricordò che gli animali invenduti alla Fiera
fossero recuperati dai lancianesi, e a capo di un anno, venduti come meglio
credevano; confermò la facoltà dei lancianesi di stabilire i pesi e le misure
alla Fiera, e che i lancianesi fossero esenti da tutti i dazi delle dogane e
gabelle.
Num. 216: privilegio
più esteso del 22 marzo 1536, re Carlo
promette di mantenere Lanciano nel Demanio regio, accomodò la franchigia ai
mercanti per la Fiera, riconobbe l’esenzione dal pagamento dei dazi, riconobbe
la facoltà ai lancianesi di affrontare cause criminali nei confronti di alcuni
suoi Casali, anche se il mastrogiurato non ne aveva potere durante la Fiera,
com’era il solito dagli altri privilegi.
Num. 217: il 31 gennaio 1545: privilegio di accordo verso
gli ebrei e i turchi di commerciare alle Fiere, vietò di fare rappresaglie
durante lo svolgimento delle Fiere, raccomandando di osservare il solito.
Num. 218: privilegio
del 1° dicembre 1547, re Carlo da Augusta, al 29simo anno dell’impero, creò
Francesco Ducrino cittadino lancianese, suo domestico e famiglio, con la
facoltà di portare le armi, lui e i suoi 2 servi, per tutto il Regno, di non
esser citato in giudizio per qualsiasi causa, e che avrebbe dovuto rispondere
solo dinanzi al viceré di Napoli e dal Preside della Provincia d’Abruzzo Citra;
inoltre fu creato tal Francesco prefetto dell’annona durante la campagna
militare del Tronto nel 1557.
Num. 219: privilegio di
Filippo II del 26 gennaio 1561 mandato da Toledo, si riconosce lo stato di
Città demaniale con i suoi privilegi, franchigie, castelli: Castelnuovo,
Crecchio, Frisa, e le ville di Treglio , Scorciosa, San Vito e il suo porto, i
feudi Rizzacorno, Gaudo (zona Sant’Apollinare) e Pantano.
Num. 220: dispaccio di
26 gennaio 1561 del re, in cui ordinava ai lancianesi di rispettare i Capitoli,
specialmente quelli riguardanti lo svolgimento corretto della Fiera.
Num. 221: diploma di
Filippo II del 23 marzo 1562 per l’exequatur della bolla di Pio IV per
l’erezione dell’arcivescovado di Lanciano. Segue il testo in latino; all’epoca
era vescovo Leonardo Marini, che spedì memoria della diocesi al papa e al re,
ottenendo il riconoscimento ad arcidiocesi, poiché l’arcivescovo di Chieti
intendeva avere potere su Lanciano che era sede vescovile, ma non di vescovado,
per via di una bolla del precedente pontefice Paolo IV Carafa, seguace
dell’Ordine dei “Teatini” di San Gaetano; Pio IV fa in modo di erigere lo
status di Lanciano ad arcidiocesi, dipendente direttamente dalla Santa Sede,
come quella di Chieti, e non più da
quella città.. firmato dal giurista regio Giovanni Andrea de Curtis, regio
consigliere, exequatur confermato da Napoli, 19 marzo 1562; controfirmato dal
de Curtis, da Giovannantonio de Agrisanis, il 23 marzo.
Num. 222: privilegio di
re Filippo III del 1608, il quale confermò a Lanciano ben 17 diplomi dei
passati re sulla franchigia e le Fiere, e la promessa che i lancianesi
avrebbero giurato fedeltà al suo successore Filippo duca di Calabria e agli
ufficiali regi. Questi 17 diplomi partono da Federico III d’Aragona, che
essendo Lanciano una città di proprietà regale, non potesse essere mai venduta.
Nel diploma viene ricordato il territorio tra il fiume Asinello e il Moro, tra
Belvedere e Castello di Sette, con i feudi di Paglieta, San Vito,, Crecchio,
Castelnuovo, Treglio, Frisa, Ari, Arielli, Sant’Apollinare, Scorciosa,
Rizzacorno; area molto vasta, dismembrata nel 1529 con la perdita di 5 feudi, ;
nel 1561 Lanciano si era ridotta ad avere Castelnuovo, Crecchio, Frisa,
Treglio, Scorciosa, San Vito col porto, Rizzacorno, S. Amato, il Gaudo e
Pantano. Circa i pagamenti fiscali, Lanciano era tassata a 150 once d’oro
annue, nei primi tempi, più 2 once per la bagliva di Paglieta all’anno; le once
annue si erano dimezzate nel 1441 con re Alfonso; nel 1595 con Ferdinando II
Lanciano pagava 1000 ducati annui, ed a dare un tomolo di sale a fuoco, e con
la facoltà di immettere altri 1600 ducati senza diritto di segrezia. Il re
aveva la facoltà di esigere dalla bagliva di Lanciano 15 once annuali; il
Governatore regio cogli ufficiali aveva diritto di giurisdizione su Lanciano e
castelli, e veniva pagato 500 ducati per ogni mandato; nel 1507 col privilegio
di Ferdinando il Cattolico era pagato 400 ducati a mandato, da divide tra lui,
il giudice e il maestro degli atti, i proventi utili dovevano andare alla
comunità; la corte del Governatore regio non poteva interferire negli affari
dei magistrati e dei decurioni di Lanciano nel parlamento pubblico, ma il
Governatore doveva autorizzare tali parlamenti. Il re Filippo III inoltre
ricorda che Lanciano, essendo dichiarata nei privilegi “città fedelissima e
aragonese”, non poteva munirsi di fortezza, che poteva imporre la gabella con
regio assenso, che avesse la sede del Tesoriere regio provinciale, del tribunale
della provincia Citra, che avesse la sede vescovile distaccata da Chieti, che i
cittadini godessero della franchigia, che la città non desse alloggio alle
squadre, se non a una sola; il re ricorda il diritto di possesso del porto di
San Vito, su cui i lancianesi potevano far Capitoli, che la Città doveva pagare
ducati 100 per la dogana portuale, rimessi a lei per questione giuridica;
inoltre si ricordano i privilegi delle Fiere, del libero accesso, di non pagare
tasse, del diritto di protezione dei mercanti durante lo svolgimento delle
stesse, del fatto che i lancianesi potessero sequestrare il bestiame invenduto,
e dopo un anno, rivenderlo; che i magistrati Lancianesi avessero diritto di
stabilire i pesi e le misure alla Fiera, che la merce rimasta invenduta fosse
conservata immune dai danni, che anche i ribelli potessero commerciare alle
Fiere senza essere molestati. Ciò , contenuto nei 17 diplomi aragonesi
esaminati da re Filippo III, furono approvati, con comunicazione del viceré da
Benevento, dopo un consiglio, il 30 settembre 1608; con controfirma del re e
diploma spedito da Madrid il 15 febbraio 1608.
Lanciano in una mappa agostiniana del 1580, Biblioteca apostolica Vaticana |
Num. 224: l’imperatore
Carlo VI d’Asburgo con cedola del 22 dicembre 1729 ordina di dare ragione alle
rimostranze fatte dai lancianesi per la lite col Marchese di Vasto, per riottenere
gli antichi privilegi, e di tornare nel Regio demanio.
Num. 225: Carlo III re
di Napoli, siccome colla prammatica n. 83 del 10 maggio 1747, riguardante il
regolamento della Regia dogana di Foggia, autorizza l’istallazione a Lanciano
del regio doganiere, il quale aveva giurisdizione su 90 comuni della Provincia
Abruzzo Citra, carica soppressa con l’invasione francese del 1798, annota il
Maranca, citando il Grimaldi, Storia civile del Regno, autore già
ampiamente citato dal Bocache nei suoi Manoscritti di storia Lancianese.
Carlo VI d’Asburgo |
Num. 226: il 26
settembre 1808 Lanciano diventa sede della Corte d’Appello, distaccandosi da
Chieti per decreto regio, con la motivazione “da secoli capitale dei Frentani”.
Maranca annota che grazie alla storia stessa della Città, alla presenza dei
gloriosi Frentani, ai vari privilegi svevi, angioini e aragonesi, riconoscendo
Lanciano come città centrale e maggiore della provincia Citeriore, giusta il
trattato geografico di Antonio Chiutole, che la chiamò “provincia Anxanensis”,
che confinava col Contado di Molise; tanto che nel 1322 Lanciano divenne sede
stabile del Giustiziere regio della Provincia Abruzzo Citra, nel 1547 a
Lanciano si ha memoria della nascita di don Carlo, figlio del viceré, di
Guevara di Gueva, e della viceregina sua
moglie[2].
Nella motivazione regia dell’istituzione della Corte d’Assis, si ricordò la memoria
della presenza del Rettore della Provincia sin dai tempi di Costantino, come
testimonia la lapide con i nomi dei decurioni sull’atrio del Duomo[3].
Si ricorda la presenza del Giustiziere nel rione della Sacca; la sede del
Tribunale civile ab antiquo era citata dal 1384, e rimase in vigore sino 1640[4].
LA PARTE FINALE DEI
PRIVILEGI: LANCIANO FEDELE AL RE FERDINANDO II DELLE DUE SICILIE E LA SUA
VISITA DEL 1832
Lanciano non fu
reintegrata di tutti gli antichi privilegi, si ricorda l’istituzione della Gran
Corte civile degli Abruzzi da parte di Ferdinando I, rimasta sino al maggio
1817, anno in cui fu traslocata in Aquila. Maranca ricorda che molte leggi
decretate nella Corte di Lanciano, si trovano nel supplemento alla Collezione
di Leggi fatta dalla Corte suprema di giustizia presieduta dall’avv. Nicola
Nicolini di Chieti, d. Felice Parrilli, e l’ufficiale di ripartimento Giovanni
Vittorio Englen, in forza del decreto regio de 25 agosto 1817, riportati anche
nel manuale di giurisprudenza di Vincenzo Catalani. Per questi motivi, nella
Collezione di leggi dell’8 agosto 1806, nella riorganizzazione distrettuale
dell’Abruzzo Citra, questa fu divisa in due parti, con capoluoghi Chieti e
Lanciano, in ogni distretto fu stabilita una sottintendenza e un consiglio
distrettuale, dipendenti dall’Intendenza di Chieti. Col decreto del 22 agosto
1806, fu nominato il sottintendente di Lanciano d. Isidoro Carli di Aquila, col
ritorno di Ferdinando I delle Due Sicilie al governo, con decreto del 20 agosto
1815, ci fu una riforma delle sottintendenze, quella di Lanciano venne
dichiarata di prima classe, vi venne istituita una ricevitoria distrettuale,
paragonata dal Maranca, all’antica istituzione del Tesoriere di provincia del
periodo aragonese.
Nel 1806 furono
installati i Giudici di pace, equivalente dei governatori regi, e Lanciano fu
capoluogo distrettuale, con decreto del 4 ottobre 1815; il giudice di pace ha
carica triennale, vista la legge del 29 maggio 1817, con cui si creavano i
Giudici regii di circondario, con l’installazione di 2 magistrati locali, che
rimpiazzarono la vecchia carica di Governatore regio, del luogotenente della
dogana e il giudice civile. Dato che Lanciano, nonostante immiserita per la
perdita degli antichi privilegi, continuava ad essere una grande piazza dei
commerci, il re Ferdinando I delle Due Sicilie propose di migliorare le vie di
collegamento con Napoli e attraverso l’Adriatico, costruì la cosiddetta
“Tagliata di Palena” (1819), cioè la Via Nazionale Frentana, che dalla Forca di
Palena, da dove si andava a Napoli, passava per Lanciano fino al mare.
Num. 228: transunto del
decreto di costruzione della Via nazionale Frentana, per migliorare la
comunicazione di Lanciano con Napoli; la via sarebbe passata da Palena per
Lama, Taranta, Fara, zona note per la manifattura dei panni.
Col decreto de 17
dicembre 1812, il re Gioacchino Murat, che sarebbe caduto nel 1815, aveva
iniziato il progetto della strada, da Palena verso Roccaraso, tuttavia per
questioni economiche e di rivalità tra comuni, il progetto tardò ad essere
completato nel 1819 col nuovo re Ferdinando, che la portò fino ad attraversare
la Piana delle Cinquemiglia fino a Roccaraso. Maranca si dilunga nel lodare
questa opera a vantaggio di tutta la parte centrale dell’Abruzzo, che finalmente
metteva in collegamento Lanciano con Napoli, stimandone la lunghezza di 32
miglia. Tuttavia nemmeno Ferdinando I, per problemi vari e burocratici riuscì a
terminare la strada, e il progetto del Genio civile sarà ripreso da Ferdinando
II, quando il re venne in visita in Abruzzo nel settembre del 1832, ebbe la
delegazione di 17 comuni, che lo pregarono di continuare la strada di Palena;
Ferdinando II ne fu ingegnere e promotore, rettificando gli errori dei passati
progetti della strada. Come si sa, il progetto verrà poi affidato, anche se
Maranca non ne parla, a Michele Tenore, e verrà realizzato nel 1832.
Num. 229: Ferdinando
II, rientrato a Napoli, il 20 settembre 1832, riunì il consiglio per
pianificare i lavori, scartò l’idea di fare la strada che passava in mezzo a
Palena, ché sarebbe stata troppo ripida, dunque ordinò nuove rettifiche, e
mandò informazioni all’Intendenza di Chieti e alla Sottintendenza di Lanciano,
con questa lettera in cui si dice:
Chieti 27 novembre
1832: il Sottintentende, Il Sottosegretario agli Affari interni, con foglio del
21 settembre, dice: allorché Ferdinando II visitò il distretto di Lanciano,
sostando anche in città in occasioni dei solenni festeggiamenti della Madonna
del Ponte, analizzò il piano di sistemazione della strada Roccaraso-Palena-Lanciano,
progettando diramazioni verso Ortona e verso Vasto allo sbocco di San Vito,
avendo riunito il 20 settembre il Consiglio, e stabilito che il progetto
precedente del passaggio della via a Palena, troppo ripido e pieno di curve, da
rettificare e ripavimentare; ne fu informato il Direttore Generale della
Fabbrica di Ponti e Strade regie, con circolare alla Deputazione provinciale
Opere pubbliche attraverso un funzionario, affinché si facesse un bando
d’appalto, si tardò assai per delle difficoltò burocratiche, nelle trattative
con l’imprenditore Domenico Mollo; il 22 ottobre si sbrigarono le pratiche,
mediante l’atto del notaio Michele de Scarella a Napoli fra il Direttore
generale dei Lavori e l’imprenditore Mollo; dopo altre pratiche, in cui fu
coinvolta maggiormente la delegazione di Lanciano, essendo la città maggiore
del circondario; il tutto rimandato all’intendenza di Chieti. E data
l’approvazione del Re, per il desiderio di vedere celermente completata la
strada di Palena-Lanciano. Ecc. ecc., firmato l’Intendente Francesco Savino
Petroni, Chieti.
Ci chiediamo noi,
perché tutta questa digressione del Maranca riguardo la munificenza di
Ferdinando II, dove in più punti, nel manoscritto, egli lascia trasparire segni
di viva ammirazione? Specialmente alla c.68, dove egli si sente in dovere di
riportare questo documento dell’Intendenza di Chieti del 22 ottobre 1832, da
considerarlo al pari dei diplomi regi antichi di Napoli nei confronti di
Lanciano, e di annoverare questo sovrano tra gli Augusti? Ci dà luce Giacomo de
Crecchio nel suo articolo del volume miscellaneo Civitanova: quartiere nuovo
della Città, Lanciano, 2021. Il Maranca era nipote del celebre storico
Antinori; sorvolano una controversia familiari sul lascito di 400 ducati in
eredità, per cui Antonio subirà una denuncia da parte degli stessi parenti per
circonvenzione della madre Egidia Caterina Antinori, nipote dell’arcivescovo, e
moglie di Pompilio Maranca, papà di Antonio;
de Crecchio descrive la carriera politica e giuridica del Maranca, in
quegli anni controversi del passaggio francese in Abruzzo tra il 1798 e il
1815, tanto da scrivere una Storia di Lanciano dal 1732 al 1833,
manoscritta presso la collezione gli inediti del Maranca nella biblioteca
comunale di Lanciano, che si spera di trascrivere, o almeno transuntare. E
Maranca, che studiò legge a Napoli, rimase coinvolto e affascinato dalle idee
francesi, insieme al sacerdote Bocache, ad Antonio de Crecchio, ad Ignazio
Napolitani, tutti residenti nel quartiere Civitanova. Ricordiamo i Napolitani,
con la loro dimora Napolitani-Berenga in via Garibaldi, nei pressi della chiesa
parrocchiale di Santa Maria.
La famiglia Napolitani è stata tra
le più importanti e ricche di Lanciano. Si è estinta nella prima metà del
Novecento col matrimonio dell'ultima discendente, donna Camilla, con Gerardo
Berenga (1860 - 1945), Sindaco della Città e poi deputato.
Il settecentesco Palazzo
Napolitani, al confine tra i quartieri Civitanova e Sacca, che conta oltre
cinquantaquattro stanze, una cappella e una sala dagli evidenti riferimenti
massonici, venne alienato nelgi anni '80 dagli eredi Berenga, che vivono a Roma
e a Brescia, in favore del Comune di Lanciano che all'epoca pensò fosse cosa
opportuna trasformare il monumento, arrivato integro fino ai nostri giorni, in
alloggi popolari. L'intervento venne successivamente bloccato, ma ormai erano
andati perduti gran parte dei parati e dei pavimenti originali e ora l'immobile
versa in un vergognoso stato di degrado e di abbandono.
La ricca biblioteca venne donata
alla locale Biblioteca Comunale "Raffaele Liberatore" mentre
l'archivio di famiglia è conservato presso la locale sezione di Archivio di
Stato di Chieti, come Archivio Berenga anche se si crede che gran parte della
documentazione sia di pertinenza dei Napolitani dal momento che palazzo Berenga
andò distrutto durante i bombardamenti del '44. Il fondo Napolitani-Berenga e
gran parte dell’Archivio distrettuale di Lanciano, a causa della mancanza di
locali adeguati, giace in magazzini presso Loreto Aprutino.
Riguardo alle sepolture, la chiesa
di Santa Maria Maggiore è la parrocchiale del quartiere di Civitanova. Al suo
interno, in una parte del tempio dismessa dopo un singolare
"restauro" avvenuto negli anni '60, si conserva ancora, sebbene
offuscata dall'incuria, la Cappella Napolitani, ornata da dipinti e stucchi del
XVIII secolo, certamente della bottega di Rizza e Piazzoli, seguaci in Abruzzo
di Giovanbattista Gianni. La cappella è dedicata a Sant’Ignazio di Loyola.
Domenico Antonio Napolitani, quasi
sicuramente capostipite della famiglia, è citato in un documento del 1681 per
la costituzione di dote della figlia Francesca. La famiglia pare fosse di
origine umbra, di Norcia secondo alcune fonti. Da Domenico nacque Ignazio che
impalmò la sorella del ricco mercante Domenico Coli, mercante e usuraio, che
nel 1749 fece costruire la chiesa del Suffragio o del Purgatorio, affacciata su
Corso Roma, e che si fece ritrarre da Francesco Maria Renzetti ai piedi della
Madonna del Rosario, in “mostra col suo libro paga!”; il detto Coli il quale
donò un prezioso reliquiario di fattura napoletana ai Frati Francescani
dell’adiacente santuario.
Dall’unione nacque Giovanna Napolitani.[5] morta Lanciano 10.1.1804. Sepolta S.Maria Maggiore. Figlia di Ignazio e della sorella di Domenico Coli. Sposò Domenico Antonio Ferramosca da cui: Anna Francesca Ferramosca.
Si menzioni anche l’arciprete Stanislao
Napolitani, ricordato anche in questa sede dal Maranca, per i festeggiamenti in
onore di Sua Maestà Ferdinando II, che fece costruire la cappella privata nel
palazzo suddetto, progettata da Michele Clerici.
Si citi Ignazio Napolitani, figlio
di Domenico Antonio e Domenica Ferramosca (1728-1813),, regio economo, che
ospitò i francesi a Lanciano, facendo del suo palazzo la sede dello Stato
Maggiore. Tale Ignazio, così chiamato in onore al santo gesuita dedicatario
della cappella di patronato in Santa Maria Maggiore; cugino di Ignazio
(1817-1894) figlio di Raffaele Napolitani e Camilla Anelli, costei di un’altra
famiglia imparentata coi Ferramosca; e pronipote di un altro Ignazio Napolitani
(1657-1721) di Domenico Napolitani e Giovanna Finoare. Come fa notare de
Crecchio, da un documento inedito circa i lavori del restauro della cappella di
patronato, questi furono realizzati dallo stuccatore ortonese Vincenzo Perez
nel 1864[6].
Ospitando dunque d. Ignazio
Napolitani lo Stato Maggior,e egli aveva aperto le sue porte alle idee
dell’illuminismo, divenendo di fatto nemico dello Stato borbonico, era in
contatto con ambienti massonici nella Città, perfino col pittore Giuliano
Crognale di Castelfrentano, che ebbe l’incarico di dipingere una sala con
simboli massonici, e che precedentemente era stato convocato dal Conte Genuino
nel suo palazzo, posto sulla stessa via Garibaldi, un poco più verso le Torri
Montanare, per dipingere la sala grande; pitture purtroppo andate quasi tutte
perdute per maldestri restauri, salvo qualche lacerto (un vaso con due
uccelli). Come ricorda il de Crecchio, il Napolitani lasciò memoria di quegli
eventi della presenza francese a Lanciano, rimasta manoscritta, ed ora in suo
possesso, che si spera venga pubblicata integralmente. Ricorda come il 22
febbraio 1799 egli ospitò il generale Coutard a casa, perché egli dalla
fortezza di Pescara aveva trovato inaccessibile la vicina Casa Madonna. La
situazione era abbastanza tranquilla, quando però, scrive de Crecchio, le cose
andarono male per il Napolitani, perché alcune calunniose voci di artigiani
locali, misero in cattiva luce il Napolitani ai francesi, generando uno
scompiglio, presentando il povero Napolitani come un ladro, e ci fu anche un
tentativo di assalto della massa al palazzo Napolitani, finché il comandante
Giordano non rimise la situazione sotto controllo.
Nei pressi della chiesa di Santa Maria, quasi dinanzi al grande palazzo Stella Maranca Antinori, oggi sede di varie associazioni, si trovava un altro palazzo abitato dai de Crecchio; nel 1600 vi abitava Saverio de Crecchio con i figli Giuseppe, Domenico e Liborio; nel 1812 Antonio de Crecchio risultava dimorante nell’altro palazzo oggi meglio noto, sede del Centro servizi culturali Regione Abruzzo, nel rione Lanciano vecchio, dall’elegante gusto vanvitelliano, mentre l’antica casa di via Santa Maria passava di proprietà alla famiglia Brasile, i quali ancora oggi vi dimorano; sia i Brasile che i de Crecchio, avevano la cappella di patronato a Santa Maria Maggiore, insieme alle famiglia Maranca-Antinori, de Cecco, Napolitani, De Giorgio.
Il generale Luis Francois Coutard |
Questa era la situazione, lo stesso Maranca, che caldeggiò le idee illuministe, non fu esente da sospetti da parte della Regia Corte, una volta ristabilito il governo. Per questo, nella sua cronaca, naturalmente di parte, e lardellata di elogi ed effusioni di venerazione verso Sua Maestà, egli decise di inserire come ciliegina sulla torta, fra i vari privilegi degli angioini, aragonesi, Asburgo ecc., il ricordo del progetto della strada Frentana del 1832, e la visita di Ferdinando a Lanciano del 1832.
Dediche lusinghiere a Ferdinando II e sua moglie, le troviamo in altri manoscritti di Maranca, specialmente nel volume dei Drammi teatrali e in quello della Storia civile del Regno di Napoli, dove verso la parte finale, del periodo a lui contemporaneo, vi sono ricordate le visite di Ferdinando a Lanciano nel 1832, tessendone sempre le lodi. E Maranca nel manoscritto continua, dicendo che Ferdinando II, con decreto del 22 ottobre 1832, sborsò 5.000 ducati per altre opere pubbliche nella Provincia d’Abruzzo Citra, per la costruzione dei ponti sull’Alento a Francavilla, poi il ponte sul fiume Alento fra Chieti e Bucchianico, Chieti e Ripa; e nel Consiglio di Stato del 15 febbraio 1833, Ferdinando II si risolvette di pagare gli extra per i lavori della strada Palena-Lanciano. Nella sessione del 3 aprile 1833 della Deputazione provinciale di Chieti, si decise l’avvio dei lavori della strada tanto desiderata, partendo da Castelnuovo, proseguendo per Sant’Eusanio, Lama, passando per l’Aventino; nella deputazione provinciale figuravano i nobili Barone Nicola Vergilj di Castelnuovo, Carlo Tomasini, Luigi Giordano, Giuseppe Caporale di Castelnuovo, d. Raffaele Castellano di S. Eusanio, a Lanciano d. Giampietro Rosati, Luigi Cinbarra e d. Camillo Madonna[7].
Dopo di ciò, Maranca
ricorda anche in questa sede la visita di Ferdinando II del 16 settembre 1832,
ricordando l’ultima visita del re Ferdinando I d’Aragona del 1464, con lodi e
sbrodolamenti vari, anche inopportuni, accostando la magnificenza dei due nomi
“Ferdinando”, benefattori del popolo lancianese. Interessante la piccola
cronaca del viaggio dei Sovrani, che nel luglio 1832, in visita per le province
del Regno, e stando in Abruzzo, dopo aver visitato la fortezza di Pescara, il
17 luglio stavano ad Aquila, sicché una delegazione si mosse da Lanciano per
andare incontro al re, e invitarlo a visitare la città frentana, non essendo
seconda Lanciano per devozione all’Augusto Sovrano. Del resto Maranca lo sa,
Lanciano si era macchiata di tradimento nel 1799, e fino al 1815 aveva vissuto
periodi turbolenti e torbidi, che ne avevano compromesso lo stato di città
“fedele alla corona”, sicché questa fu una mossa dei lancianesi per
riconquistare le grazie del re. I decurioni furono Nicola Spaccapietra giudice
della Gran corte criminale di Aquila, e Filippo Minutolo giudice della Corte
civile di Aquila, Raffaele de Giorgio cancelliere della Corte civile di Aquila,
il sig. Nicola Mancini, Antonio Di Giorgio, Giustino Mariani, patrocinatori
della Corte civile. Questi giunsero ad Aquila il 18 luglio, presentandosi al re,
parlò il giudice Minutolo, prostrandosi, e ricordò di come tutti gli abruzzesi
si fossero apparecchiati per accogliere con feste e tripudii il re nella
regione, volendo invitare Sua Maestà anche a Lanciano in occasione delle
solenni feste della Madonna del Ponte. Il Spvrano rimase colpito dalla retorica
del Minutolo, e ringraziò assai, ma aveva altri impegni a Corte, e promise che
sarebbe tornato a far visita a Lanciano con maggior calma; mentre già c’era
un’altra delegazione provinciale pronta a invitare il re per un’ulteriore
cerimonia a Teramo! La nuova deputazione era formata da d. Stanislao Napolitani[8],
giudice istruttore distrettuale, Gabriello Rosica, giudice della Gran Corte
Criminale di Teramo, Raffaele Quartapelle, e d. Raffaele Marcelluzi, i quali
trovarono accoglienza dal re il 23 luglio. Il giudice Spaccapietra per
l’occasione aveva scritto anche una memoria cica i casi in cui Lanciano era
stata dichiarata “città fidelissima” dai sovrani napoletani, da sottoporre
all’esame regio. Il re intanto proseguiva la visita in Abruzzo, il 26 luglio
lasciò Chieti, ed ebbe una terza delegazione in visita, che fu ammessa alle ore
2 di notte all’udienza, mentre il re si stava divertendo al festino del Casino
Nolli, ammirando i fuochi artificiali. I deputati della ennesima delegazione
lancianese erano d. Michele de Giorgio consigliere provinciale e sindaco di
Lanciano (quello che l’anno prossima sarebbe stato sindaco di Lanciano, e che
si adoperava per le sontuose feste dell’Incoronazione della Madonna di Lanciano
del 14 settembre 1833, insieme al capo-deputato del comitato Francesco Paolo
Berenga….nonché grande amico del sacerdote Uomobono Bocache e della sua
collezione di patacche archeologiche “anxanensi” presso il suo palazzo patrizio
del rione Civitanova), il barone Nicola Vergilj, il barone Gaetano Gigliani
colonnello, e il clero rappresentato da d. Domenicantonio Rotellini, d.
Domenicantonio Casalanguida, i quali furono ricevuti benignamente dal re, e
rassicurati dal suo volere di visitare Lanciano.
Il 28 luglio il re
partì da Chieti e tornò a Napoli, sbrigò gli obblighi, e ricordò le suppliche
dei lancianesi, che per ben tre volte lo invitarono in città, così in settembre
programmò una nuova visita in Abruzzo; fece la via da Campobasso ossia la
Bifernina, e prima di arrivare a Lanciano, ebbe il tempo di visitare Vasto,
dove inaugurò solennemente il Teatro “San Ferdinando”, ricavato dall’ex
monastero dei Celestini[9].
A Lanciano intanto
fervono i preparativi per accogliere degnamente Sua Maestà, si forma un
comitato apposito, presieduto da Michele de Giorgio, barone Nicola Vergilj,
Piermattia Brasile, Agostino Berenga, Luigi Giordano, Giangiacomo Festa, si
stabilì che l’alloggio di Sua Maestà sarebbe stato il palazzo del Barone
Vergilj a Lanciano vecchio (talmente fausta fu questa visita che ancora oggi
Lanciano nemmeno ha apposto una targa ricordo sul palazzo!!), allora sede della
Sottintendenza di Chieti; per procurare le vettovaglie e il mobilio, furono
incaricati Carlo Tommasini, Luigi Giordano, il Brasile e il Berenga citati; per
la cucina e il pranzo da preparare, se ne occupò personalmente il Barone
Vergilj, d. Raffaele Madonna e il Festa; per l’accoglienza al portone di casa,
si scelsero il Conte Saverio Genuino, il marchese d. Donato Crognale di
Castelnuovo, il barone Vergilj, il Cav. Barone Gaetano Gigliani, e il sindaco
de Giorgio; per le questioni del servizio ai cavalli, furono nominati d.
Saverio Capretti, Giuseppantonio Casalanguida, Luigi Somma, Pietro di
Domenicantonio Nasuti; per tenere a cura l’appartamento reale, furono nominati
il Gigliani, il Vergilj, il Festa, Gaetano de Giorgio, il Conte Genuini,
Agostino Berenga, Piermattia Brasile, e il Tommasini; per la direzione delle
pubbliche feste, il comitato presieduto da Michele de Giorgio, , Domenico de
Crecchio, il Giordano, Giuseppe Madonna, il sacerdote della parrocchia di San
Nicola d. Carmine de Giorgio[10],
Nicolò Ciccarelli, Saverio de Cecco, Nicola de Archangelis[11] e
Camillo Finamore.
I deputati per
organizzare il ballo di gala, furono il Conte Genuini, Domenico de Giorgio,
Guglielmo Madonna e il Tommasini; per riscuotere le offerte, si nominarono
Alessandro Morale, Filippo Stella, Raffaele Madonna, Nicola de Giorgio, Camillo
Murri. Per l’ispezione e la pulizia delle strade: , Gaetano de Crecchio,
Salvatore Jacobitti, Giuseppe de Sanctis, Francescopaolo Festa. Fu scelta una
Guardia d’onore per scortare Sua Maestà, vestendo l’abito dei cavalleggeri:
Comandante Raffaele Madonna, Piermattia Brasile, Saverio de Cecco, Gaetano de
Crecchio, Federico Maranca, Francesco Saverio Finamore, Camillo Giordano,
Nicola de Archangelis, Nicola Ciccarelli, Camillo Sorge, Ferdinando Renzetti,
Salvatore Jacobitti, Luigi Centobene, Domenico Ricciuti, Domenico D’Orsogna, Francescopaolo
Zulli, Antonio Di Tonto, Giuseppe Primavera, Giovanni Lotti, Salvatore Rosato,
, Vincenzo Di Jorio, Camillo Carosella. Si vestirono inoltre 20 individui della
Guardia urbana, dei cacciatori, per prestare servizio al palazzo reale, ovvero
alla Casa del Barone Vergilj.
Si provvide a sistemare
Porta Santa Chiara detta anche Porta Napoli o Porta Reale[12],
una volta che vi passò Ferdinando II, il quale sarebbe giunto dalla strada del
tratturo, ovvero attuale viale Cappuccini. Per le spese di rifacimento della
porta, ci pensò Michele de Giorgio, che fece apporre questa iscrizione: IN
ADVENTU OPTIMI PRINCIPIS FERDINANDI II CIV. ANX. 1832. Nella parte interna
della porta, l’iscrizione: LATEA DIES XVI SEPTEMBRIS MEMORAN SEMPER. Talmente
“Memoran semper”, che poco dopo il 1861, il consiglio comunale di Lanciano
delimitò l’abbattimento della Porta, per allargare la strada!!
A Lanciano si formò
anche una deputazione per andare ad accogliere Sua Maestà a Vasto per scortarlo
a Lanciano, composta da: Ferdinando Montanari, Filippo de Giorgio, Francesco de
Archangelis, che giunse al Vasto il 15 settembre 1832 alle ore 15; alle ore 22
furono ammessi all’udienza dal Re, e il Montanari come oratore pronunciò questo
discorso, che riassumo:
“Maestà Reale: I
Lancianesi, lieti di salutare e onorare Sua Maestà per mezzo di Noi, Vi
tributano onore e amore, e desiderosi che Sua Maestà venga a visitare Lanciano
fedelissima, vi supplichiamo noi, cogliendo dalle nostre parole l’espressione
di sincero amore del popolo lancianese, come Vostra Maestà è faro di luce,
sapienza, saggezza e giustizia. La città si umilia a voi, e spera che possiate
accogliere il desiderio dei cittadini. Ci rivedremo domani.”
Il re accettò, la
mattina del 16 era in viaggio per Lanciano, e guadato il Sangro, fu accolto da
una ennesima deputazione lancianese, composta da Giambattista Chiarini
Sottintendente di Lanciano, Errico de Giorgio, Francesco Pettinelli, Ezechiele
Talli, guardia generale delle acque, con schierati 16 individui della guardia
urbana a cavallo, 16 servi, che scortarono Sua Maestà fino a Lanciano. Maranca
ammette che ancora gli anziani, mentre lui componeva queste memorie, si
ricordavano a Lanciano della venuta del Re, il quale aveva tutta la sua corte,
composta da: Principe d. Filippo Salluzzo, tenente generale di Sua Maestà, il
Conte Luigi Gaetani di Laurenzana, maresciallo di campo e aiutante generale, il
Principe Lucchesi Palli, maresciallo di campo e Commissario dei Tre Abruzzi, ,
il Conte Statella, capitano di Sua Maestà, il duchino di Sangro, capitano
generale, il Cav. Lecca, ispettore dl II Corpo di gendarmeria, , il Cav.
Leopoldo Corni, segretario particolare, il Cav. Pietro Alfani, capitano, poi un
cavallerizzo maggiore, un corriere di gabinetto, un veterinario d’armata
Ferdinando Nanzi da Pescocostanzo un aiutante da camera, il Cav. Ducarne,
maggiore comandante di gendarmeria, 8 palafrenieri, un tenente di gendarmeria a
cavallo col seguito di 26 gendarmi, un battistrada a cavallo.
Il decurionato (ovvero
il Consiglio amministrativo lancianese) deputato all’accoglienza era composto
da: Benigno Madonna sindaco, Bernardo di Giorgio dottore di legge, gentiluomo e
comandante della Guardia urbana, il barone Nicola Vergilj, gentiluomo, Domenico
fu Saverio de Giorgio, Antonio Maranca, gentiluomo (sic!), Giuseppe del quondam
Benedetto de Archangelis, Giuseppe de Crecchio, Fileno de Giorgio, Francesco
Paolo Savino notaio, Giulio Tommasini dottor fisico, Francesco Pettinelli
dottor fisico, Francescopaolo Cipriani dottor fisico, Sebastiano Talli,
ingegnere[13],
Camillo Sangiuliano gentiluomo, e poi ancora seguono Federico Carabba notaio,
Vincenzo Brasile notaio, Filippo Frascani speziale[14],
Giuseppe de Sanctis dottore, Eustachio Morale commerciante, Giuseppantonio
Stella negoziante, , Giuseppantonio Casalanguida, Luca Sorge, Nicola Giordano, Francesco Paolo
Murri, Nicola Lotti, Errico Casalanguida, Luigi Somma, Giovanni Luciani, Mattia
de Berardinis tenente.
Il sindaco Benigno
Madonna si adoperò a spedire 4 carrozze a Santa Maria Imbaro vicino Lanciano
per accogliere il Re, che sarebbe entrato da Porta Santa Chiara, avendo fatto
riattare appositamente la strada da quella Villa fino alla città. Intanto la
folla si radunava per quell’evento unico, il popolo da secoli abituato a
venerare come una divinità Sua Maestà, non credeva ai propri occhi che il Re si
fosse spostato dalla lontana Napoli fino a quella provincia sperduta! Sua
Maestà rifiutò le carrozze di scorta; intanto in città il tenente Francesco
Caruso stava in piedi a guardia della Porta per l’accoglienza. Tuttavia ci fu
un imprevisto, perché il re scelse la via breve della strada della Conicella,
dove si trova la chiesetta della Madonna tanto cara ai lancianesi nel periodo
natalizio, passando poi per il Prato della Fiera, mentre le campane suonavano a
festa. La gente si riversò a fiumi per il Prato, gridando “Viva il Re!”, mentre
la banda militare eseguiva dei brani. Il ppvero sindaco con il decurionato
appresso si dovette dare un bel daffare per scapicollarsi dal Corso Roma
(allora nota come Via Maestra e poi via del Popolo), di giù fino alla piazza
del mercato e alla Porta Santa Maria del Ponte, dietro la cattedrale, verso la
Fiera, per accogliere il Re, che finalmente giunse alle ore 16.
Cerimoniosamente, il Madonna offerse al Re il bacile con le chiavi d’argento
della Città, il discorso dell’arengo: “La Città di Lanciano, prostrata ai
Vostri piedi Regali, ringrazia umilmente la Maestà Vostra del sommo onore che
si è degnata di comparire. Queste sono le chiavi dell’antica Fiera della Città
che oggi non servono ad altro che a schiarire i nostri cuori ai sentimenti
della riconoscenza e dell’onore vero dell’Augusta vostra persona”.
Tutto era programmato nei minimi dettagli, quasi ci viene in mente la memoria di Francescopaolo Berenga del Quadro dell’Incoronazione di Maria Santissima del Ponte a Lanciano (1853), circa l’avvenimento del 1833, di cui scrisse anche il Maranca in altri manoscritti. E strano che di una cronaca così dettagliata, chi di dovere nelle ricerche di storia lancianese, si accontenti soltanto della versione riassunta, e incompleta, pubblicata in un articolo nella miscellanea, Lanciano…o cara, a cura di G. Nativio, Carabba, 1979, desunta dal detto manoscritto sui Diplomi lancianesi, ma senza la dovizia di tutti questi particolari riportati in sede!
Parlò poi Sua Maestà,
dando ordine che la Guardia d’onore che lo aveva accolto, prestasse servizio a
Palazzo, presso la sua Real Persona. Altri 15 ufficiali fecero il servizio
esterno; Sua Maestà salì l’androne, e dalla finestra dell’appartamento si
affacciò alla folla festante che si era radunata sotto, lungo la via dei
Frentani (all’epoca Via Grande), distribuendo saluti e sorrisi. Nella piazzetta
antistante, probabilmente piazza san Martino oggi Largo Tappia, si erano
schierate altre 60 guardie.
Il servizio da camera,
capitanato dal Chiarini, nominato maggiordomo personale, fu assistito dal
segretario Luigi Maranca, da Michele de Giorgio, dal Conte Genuini, Antonio
Berenga, Piermattia Brasile; per la cucina fu incaricato il Barone Vergilj di
sovrintendere, con Raffaele Madonna, Giangiacomo Festa, e Gaetano de Giorgio;
furono nominati 4 deputati per le scuderie, con a capo il tenente Giovanni
Diaz. Alle ore 18 Sua Maestà si assise a tavola, e accordò a far pranzare con
lui 7 membri del suo seguito, come se fossero invitati a un pranzo di famiglia:
gli ammessi, con il rituale del bacio della mano, furono Francesco Saverio
Petroni Intendente di Chieti, il sindaco, il suo rappresentante, il
sottintendente di Lanciano, l’arcivescovo, il capo della Guardia urbana, il
capo della Guardia d’onore, e altre autorità locali. A seguire tenne udienza,
parlando inizialmente col Mons. De Luca per mezz’ora, e successivamente con
altri. Alle 20 Sua Maestà andò al palazzo comunale, all’epoca presso i locali
del convento di San Francesco, per assistere alla festa da ballo, ma non si
poterono sparare i fuochi artificiali, perché la giornata era stata piovosa.
Dopo un’ora, Sua Maestà sfinita tornò al palazzo Vergilj, ammirando le
illuminazioni organizzate nella piazza.
La mattina del 17
settembre alle ore 11, Sua Maestà si apprestò a ripartire, camminò a piedi fino
alla piazza dove montò a cavallo, e accolse con clemenza le manifestazioni di
affetto e amore del popolo lancianese, e di quello giunto dai paesi vicini. Gli
si avvicinò Michele de Giorgio, che gli sussurrò che l’amore dei lancianesi lo
avrebbe per sempre accompagnato. Maranca aggiunge anche il particolare che Sua
Maestà si commosse nel lasciare quella bella città, e salì a cavallo l’attuale
corso Roma, uscendo da Porta Santa Chiara, complimentandosi con Domenico de
Giorgio per il bel lavoro fatto; costui lesse un messaggio di commiato, in cui
rinnovava i ringraziamenti per la visita fatta, che sarebbe rimasta per sempre
nel cuore dei suoi fedelissimi servitori. Il Re ringraziò, concesse al de
Giorgio di baciare la mano e proseguì per viale Cappuccini con la sua scorta.
Sicuramente il Re riprese la via del tratturo, passando per il “procaccio” a
Castelnuovo ossia Castelfrentano, e proseguendo per la via dell’Aventino,
passando per Fara, Lama, e infine Palena, dove si stava terminando la strada
nazionale Frentana, come verrà chiamata dopo l’Unità d’Italia.
ELENCO FINALE DEI
DIPLOMI CON TRANSUNTO
Da questo punto, la
parte finale del manoscritti, ripropone in forma transunta e cronologica, tutti
i diplomi regi di cui beneficò Lanciano, senza riportare per l’ennesima volta
il contenuto, qui li elenco:
·
Diploma di Federico II, aprile 1230
·
Diploma di Carlo II, 1294
·
Privilegio di Carlo II, 1303 (13
febbraio, 28 febbraio, 1 marzo)
·
Privilegio di Roberto d’Angiò, vicario
di Carlo, 13 giugno 1303
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Privilegio di Carlo II, 7 luglio 1303
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Privilegio del mastrogiurato, di Carlo
II, 4 agosto 1304
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Indulto di Carlo II verso i lancianesi,
16 febbraio 1308
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Privilegio di Roberto, 9 marzo 1309
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Privilegio di Roberto del 28 gennaio
1311
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Privilegio di Roberto del 31 gennaio
1312
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Privilegio di Roberto del 25 agosto 1313
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Privilegio del 10 aprile 1315
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Privilegio del principe Carlo figlio di
Roberto, 22 marzo 1320
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Privilegio di esenzione da pagare il
fondaco di Ortona, 10 maggio 1321[15]
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Privilegio del 2 giugno 1321
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Privilegio de 21 ottobre 1322
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Diploma di Roberto de del 1327
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Privilegio di Luigi d’Angiò e di
Giovanna I, 3 novembre 1351
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Diploma di Giovanna del 1365
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Privilegio di Giovanna del 4 luglio 1368
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Diploma del 4 marzo 1372
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Diploma del 26 settembre 1372
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Privilegio di Carlo II del 12 ottobre
1381
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Privilegio di Carlo del 1 dicembre 1381
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Privilegio di Carlo del 29 novembre 1382
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Privilegio del 28 novembre 1383
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Privilegio del 1384
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Donazione di 50 once di Ladislao del
1390
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Privilegio del 17 maggio 1391
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Privilegio 2 giugno 1395
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Privilegio di Ladislao del 10 settembre
1395
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Diploma del 10 novembre 1396
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Privilegio di Ladislao sul demanio, 1401
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Privilegio del castello di Sette, 1405
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Privilegio dei feudi, 1406
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Privilegio del 7 aprile 1412
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Privilegio di Giovanna II del 9
settembre 1414
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Diploma del 15 febbraio 1420
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Privilegio di Giovanna e Alfonso
d’Aragona, 23 ottobre 1421
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Diploma di Alfonso, 12 maggio 1422
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Diploma di Giovanna, 1 febbraio 1421
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Diploma di Alfonso del 2 marzo 1422
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Lettera di Alfonso del 28 settembre 1422
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Lettera della regina Giovanna a Giovanni
da Capestrano del 1426
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Privilegio di Alfonso del 22 gennaio
1441
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Privilegio del 24 gennaio 1441
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Privilegio di Alfonso del 30 dicembre
1446
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Privilegio del 5 giugno 1447
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Diploma dell’11 maggio 1450
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Privilegio del 16 aprile 1451
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Privilegio del 15 dicembre 1453
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Privilegio 10 aprile 1455
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Privilegio 12 giugno 1456
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Privilegio 13 giugno 1456
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Diploma del 16 maggio 1457
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Diploma di Ferdinando I d’Aragona del 17
novembre 1457
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Privilegio 28 giugno 1458
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Diploma 30 luglio 1458
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Lettera del 31 gennaio 1460
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Lettera di Ferdinando del 15 gennaio
1461
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Diploma 7 marzo 1462
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Diploma 1 marzo 1463
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Lettera di Ferdinando mandata da Chieti,
11 ottobre 1464
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Lettera di Ferdinando da Caramanico,
1464
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Privilegio 22 giugno 1464
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Lettera del 10 giugno 1470
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Diploma di Ferdinando, 1480
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Diploma del 3 dicembre 1481
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Privilegio del 22 maggio 1488
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Lettera del 18 novembre 1488
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Lettera di Alfonso II d’Aragona, 28
marzo 1489
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Privilegio di Ferdinando I, 3 dicembre
1489
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Privilegio di Alfonso II, 1494
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Privilegio del 18 febbraio 1494
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Capitoli e grazie, e privilegi
confermati da Ferdinando II il 28 ottobre 1495
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Privilegio di Ferdinando a reintegra dei
beni spogliati da Carlo VIII, 24 marzo 1495
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Privilegio di Federico III, 18 maggio
1498
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Privilegio del 20 ottobre 1499
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Privilegio di Federico del 10 febbraio
1500
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Ordine di Carlo d’Aragona contro gli
albanesi, 22 settembre 1500
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Privilegio di Ferdinando il Cattolico
del 1504
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Privilegio del 29 aprile 1507
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Ordine di Ferdinando del 7 maggio 1515
dell’erezione a sede vescovile
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Ordine di Carlo di Spagna del 20 ottobre
1518 sull’exequatur
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Privilegio del 9 novembre 1520
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Privilegio di Carlo V del 20 marzo 1536
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Privilegio del 1547
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Privilegio di Filippo II del 26 gennaio
1561
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Dispaccio di Filippo II, stesso giorno
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Privilegio Filippo III del 1608
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Comunicazione di Carlo VI d’Asburgo del
22 dicembre 1729
[1] Maranca
cancella l’errore cronologico, avendola inserita nell’anno 1467, e la rimette
in bella copia qualche pagina più avanti.
[2]
Lib.bapt.S. Johan.an.1547
[3] La famosa lapide dei Decurioni,
citata anche da Mommsen, in CIL, IX, n. 2998
[4] R. Liberatore, Pensieri
civili economici, I, pp. 35, 40, 43, 37 (nota del Maranca nel ms.)
[5] Informazioni tratte dal sito
Dimore Storiche d’Abruzzo, per cui ringrazio Domenico Maria Del Bello
[6] Il Perez a Lanciano era stato
attivo anche nella chiesa di Santa Lucia , nella cappella confraternale
dell’Addolorata, e nella chiesa di Santa Giovina di Lanciano, quando ebbe
questa intitolazione nel 1850, per cui si promossero lavori di ampliamento;
ricordo anche che nel 1845 col fratello, firmò il cappellone dell’Ultima Cena e
del Santissimo Sacramento nella Basilica di Ortona.
[7] Fratello di Carlo Madonna, e
figlio di Antonio Madonna giureconsulto.
[8] Arciprete di Santa Maria
Maggiore, che fece costruire la cappella di Sant’Ignazio di Loyola, di
patronato, con stucchi della bottega Rizza e Piazzoli, e restauri di Vincenzo
Perez del 1864. Oggi purtroppo in attesa di restauro, adibita tristemente a
magazzino di panche, nell’altare maggiore conservava un dipinto di Sant’Ignazio
e la Madonna col Bambino di modesta fattura locale, inventariato dalla Curia
Lanciano-Ortona.
[10] Tra
l’altro compilatore di due volumi di Memorie delle Chiese di Lanciano,
manoscritto presso la biblioteca comunale di Lanciano, che in gran parte è
copiato dai Manoscritti di Bocache, e dalle notizie del Maranca e dell’Antinori
su Lanciano.
[11] Pittore
e scultore, padre di Augusto de Archangelis, anch’egli pittore.
[12] Molte
di queste Porte dedicate alla Capitale, o a San Ferdinando in onore del re, o
dette “Reali”, furono restaurate e ridenominate proprio in occasione della
visita di Ferdinando II, e sono la Porta Reale di Aquila, da cui entrò il re
nella visita dell’estate 1832, da dove nel 1796 era entrato anche il suo avo
Ferdinando I; poi Porta Reale di Chieti, da dove il Re uscì nella visita del
1832 per tornare nella Capitale; Porta Reale o Madonna di Teramo, da dove il Re
entrò per la visita a Teramo; e infine la Porta Santa Chiara di Lanciano.
[13] Fratello del celebre ingegnere e
architetto antiborbonico Nicola Maria Talli, amico del pittore e antiborbonico
Giuliano Crognale di Castelfrentano
[14] Una mano diversa, aggiunge
“responsabile e ufficiale della Posta”
[15] Essendo state queste carte in possesso dello storico Luigi Renzetti, o meglio saccheggiatore, dal privilegio del 10 maggio 1321 fino al 1327, compaiono a margine delle indicazioni con scritto “Ortona”, forse erano note del Renzetti per un suo prossimo lavoro.
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