Francesco Paolo Marchiani, Sacra Famiglia, chiesa madre di Villamagna. Altare di patronato famiglia De Palma |
Parliamo di un contesto
artistico in cui, specialmente nella provincia di Chieti, che nel pescarese (mi
riferisco a quella fascia che in quei tempi comprendeva nel chietino ancora i
paesi della Majella occidentali quali Serramonacesca, Bolognano, Abbateggio,
San Valentino), operava la bottega di Guardiagrele. Erano attivi soprattutto
l’anziano Nicola Ranieri con le sue pitture ridotte ormai a imitazioni di sé
stesso e delle sue tele antecedenti al 1799, quando i francesi, stando alle
cronache, distrussero il suo studio con le stampe dei Santi a cui si ispirava
per i quadri, e del suo fido discepolo Francesco Maria de Benedictis. Non c’è
chiesa maggiore o minore nei paesi d’Abruzzo del chietino e del pescarese,
almeno al sud del fiume Pescara, i di cui parroci o arciconfraternite non
avessero commissionato a Ranieri o de Benedictis una tela, un santino, un
trittico a un santo patrono, come nel caso della chiesa madre di Bucchianico.
Ma quale palese imitazione di un concetto artistico ormai cristallizzato nel
bozzetto! Quali stanche e solite ripetizioni in 3 o 4 quadri dello stesso tema,
magari per chiese a pochi km di distanza l’una dall’altra! I Marchiani in un
primo momento seppero dare una risposta a questa guazza. E lo vediamo con il
capostipite della scuola.
Ignazio Marchiani
nacque a Ortona alla fine del ‘700, studiò disegno e pittura, a Napoli,
tornando poi in città, dove ebbe varie commissioni per palazzi e chiese
ortonesi. Ebbe contatti anche con l’anziano Nicola Ranieri da Guardiagrele, che
gli dette alcuni rudimenti, e probabilmente anche qualche stampa da cui trarre
spunto. Ma le qualità delle opere dei due artisti sono assai differenti. In un
quaderno dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del 2004 sugli uomini illustri
di Ortona, è riportato che Ignazio dipinse una veduta di Ortona dal colle di
San Vito, con le principali chiese e palazzi, e San Tommaso benedicente (1824),
collezione privata; nel 1832 dipinse per la chiesa della Madonna delle Grazie
una Madonna col Bambino. Anche se non firmati, di lui si riconoscono dei quadri
provenienti dalla demolita chiesa di San Domenico a Terravecchia, allestiti
oggi nella biblioteca diocesana che sorge al posto della chiesa.
Ignazio Marchiani, veduta di Ortona e la processione di S. Tommaso, 1824 |
Ignazio si trasferì nei primi dell’800 a Chieti per insegnare disegno, ebbe vari allievi, tra cui Francesco Paolo Michetti, e fu lodato per il suo disegno preciso, la caratterizzazione corretta dei tratti anatomici, e l’originalità dell’uso del colore a tinte calde. Resta di lui anche un ritratto di Don Ludovico Del Giudice nella galleria degli Arcivescovi del palazzo vescovile a Chieti. La Madonna di Ortona è abbastanza statica, ma ha un candore nel viso, e nelle braccia del Bambino eretto sul ginocchio; l’accavallamento delle gambe della Vergine per mostrare il piede è una convenzione abbastanza usuale.
F.P. Marchiani, Sacra
Famiglia, chiesa di Ognissanti, Chieti
La litografia in onore di San Falco ha una storia interessante, riportata da Loris Di Giovanni.
L'11 giugno del 1822 avvenne in Palena il primo miracolo ad
opera di San Falco, monaco basiliano e patrono di Palena, legato alla città di
Pianella. Un contadino indemoniato, tale Ignazio Rongi, venne liberato dal
Santo. Da quel dì iniziarono i pellegrinaggi nella chiesa madre di Palena, dove
erano conservate le reliquie. Tanta grande era la devozione dei pianellesi, che
i palenesi regalarono loro la prima statua di San Falco sostituita dal prezioso
busto argenteo di realizzato nel 1842 dal napoletano Domenico Capozzi il cui
lavoro venne pagato 1050 ducati: il busto conserva al suo interno il cranio di
San Falco, che venne traslato nella nuova chiesa nel 1847, durante una
cerimonia celebrata dal vescovo di Sulmona Mario Mirone. Grazie al
collezionista e studioso Franco G. Maria Battistella di Lanciano, proprietario
dell'originale, possiamo ammirare questa pregevole opera grafica stampata dalla
Litografia Marchiani fatta realizzare "a divozione" dal Parroco di San
Salvatore Don Antonio Bocalini. Adornava il San Salvatore anche un dipinto del
Santo, oggi disperso. In questo periodo nella piazza antistante la Chiesa del
SS. Salvatore si svolgeva la Festa di San Falco con i tradizionali giochi del
palo della cuccagna e dello scoccia pignata. I Marchiani resteranno legati alla
città di Pianella, anche quando l’attività passò al figlio di Francesco Paolo:
Enrico, come vedremo.
Il Marchiani aveva il
suo laboratorio d’arte con la scuola di pittura, presso il monumentale palazzo
Valignani lungo la via Ulpia, poi corso Marrucino nord, dove oggi una targa
commemorativa lo ricorda, dette alle stampe anche dei santini e delle immagini
devozionali molto ben rifinite, citiamo Sant’Emidio che protegge Chieti dal
terremoto di Orsogna del 1881, dove figura il grande santo che appare in cielo,
nel proteggere dalla rovina la chiesa della Trinità di Chieti.
Abbiamo individuato del Marchiani anche una tela di Santa
Giusta presso la cappella omonima nella chiesa di San Domenico di Atessa. Un
altro suo dipinto raffigurante Sant’Alfonso dei Liguori si trova nella chiesa
parrocchiale di Tocco Casauria. Il Santo è ritratto nella tarda età, già
piegato dal male.
Litografia Marchiani, Sant’Emidio salva Chieti dal terremoto
del 1881
Il figlio Enrico continuerà l’attività paterna, dipingendo prevalentemente ritratti, come quello degli Olivieri di Pianella, come illustrato da Loris Di Giovanni in un suo scritto in internet. Fu attivo ovviamente a Chieti, dove, come ha scritto anche Raffaele Bigi in Chieti, passato, presente e futuro, Lanciano 2012, dipinse un quadro nella cappella privilegiata di San Giustino nel Duomo di Chieti, che ha per tema San Nicola di Bari nelle vesti di vescovo tra i tre bambini che ha salvato dall’annegamento, nelle vesti orientali dell’Asia.
Realizzò due versioni della celebre pittura della Madonna di
Pompei, una di queste si conserva nella chiesa di Santa Maria in Basilica a
Villa S. Maria. Del 1898 è il celebre quadro della Madonna delle Grazie, che si
trova a Vacri, e che i fedeli ogni volta portano in processione solenne fino a
Francavilla, dove si trova a l’antico santuario domenicano della Madonna,
distrutto dai tedeschi nel 1944.
Il Bambinello in questo
quadro già dimostra tutte quelle caratteristiche delle stampe dei santini tardo
ottocenteschi riguardanti la Madonna, il Bambinello, il Sacro Cuore. Del 1881 è
un dipinto di Sant’Emidio che protegge i terremotati, presente nella chiesa
della Trinità, realizzato in onore del Santo che salvò Chieti dal sisma di
Orsogna. Ricordiamo la citata stampa litografata della ditta Marchiani per lo
stesso evento luttuoso. Il Santo è in posizione centrale, leggermente verso
destra, mentre con sguardo imperioso comanda a un edificio in crollo di
arrestare la caduta di un capitello verso la popolazione inerme e in preda al
panico. In alto due angioletti fermano il grande capitello, mentre a terra un
vecchio estatico ringrazia il Santo per il miracolo avvenuto. Opera tuttavia
abbastanza nota, per il tema trattato da diversi altri pittori del ‘600 e del
‘700, specialmente il metodo di raffigurare il Santo verso destra o verso
sinistra della scena, mentre con una mano impone alla maceria di arrestarsi,
per non crollare addosso ai derelitti.
Un’altra tela del
Marchiani ritrae il Santissimo Rosario, presente nella chiesa di Sant’Antonio
abate a Porta Sant’Anna di Chieti, è la classica stampa della Vergine del
Rosario tra San Domenico e Santa Caterina, che abbiamo imparato a riconoscere
nei santini napoletani, oltreché nelle pitture di Pompei.
Tra le sue ultime
opere, il celebre dipinto di Gabriele d’Annunzio in divisa da “ardito”,
conservato nel Vittoriale degli Italiani. D’Annunzio contempla con divisa, la
città di Fiume appena conquistata, con sguardo fiero e altero.
APPENDICE: SERAFINO
GIANNINI A SAN VALENTINO IN ABRUZZO CITERIORE
Vogliamo trattare di
questo sconosciuto pittore, nato a Napoli nel 1810: Serafino Gaetano Pasquale,
e chiamato a lavorare al cantiere del Duomo dei Santi Valentino e Damiano in
San Valentino in Abruzzo Citeriore, inviando alcuni quadri. Già attivo negli
anni ’30 nella diocesi di Teggiano-Policarpo, a confine con la Basilicata,
realizzò per la parrocchia di Sant’Antonio a Vibonati un bel quadro di
Sant’Antonio abate in gloria, sorretto da angeli, mentre vigila sul paese ai
suoi piedi. Il paesello sembra quasi un presepio, ed è questo un motivo che il
Giannini utilizzerà anche per il suo quadro più bello, la Gloria dei Santi
Martiri Valentino e Damiano nel Duomo di San Valentino, nell’altare del
transetto in cornu evangelio, datato 1868. Nel napoletano non figurano molte
sue opere, e realizzò probabilmente dei quadri privati.
Duomo di San Valentino,
altare maggiore opera di Alessandro Terzani.
La sua fama giunse nel
piccolo paese abruzzese di San Valentino probabilmente per qualche contatto con
l’ex Capitale del Regno, essendo l’Abruzzo da pochi anni passato al Regno
Sabaudo. Per il Duomo dunque, il Nostro realizzò, ai capialtare del transetto
il citato quadro dei Santi Patroni Valentino ed Emidio, datato 1868,
corrispondente al quadro della Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa
Caterina, commissionato dalla Congrega del Rosario; infine nel primo altare in
cornu evangelio il quadro di San Giuseppe col Bambino, firmato 1865,
commissionato dalla Confraternita della Buona Morte.
Quest’ultimo è il meno riuscito della produzione abruzzese del Giannini, San Giuseppe è in uno scenario palustre, con un rudere di casa all’orizzonte, è seduto col Bambino fra le braccia, e ai lati ci sono due angeli, uno regge il bastone da cui fiorisce il giglio, attributo del Santo, l’altro sta indicando il miracolo dello Spirito Santo, ma la sua mossa appare spenta e priva di enfasi. Il quadro dei Santi Valentino ed Emidio, incastonato nella macchina d’altare di Alessandro Terzani[1], realizzato alla fine del Settecento (completamento nel 1791), e rimasto inizialmente senza pale (bisognerebbe verificare nell’archivio parrocchiale se esistessero altre tele ammalorate che sono andate distrutte o gettate per essere sostituite dai nuovi quadri del Giannini), è il più bello della chiesa.
Somiglia per l’impostazione a quello del Sant’Antonio di Vibonati, ma la scena è più movimentata, San Valentino sulla destra ha la tipica dalmatica rossa del martirio, fluttua insieme a Sant’Emidio vescovo, che sta per ricevere da un angelo il pastorale e la mitra, mentre in alto altri angeli sventolano delle palme, simbolo del martirio, e altri portano una corona di fiori. La cittadina di San Valentino si staglia in primo piano all’orizzonte, nella stessa tecnica del quadro di Vibonati, ma qui vediamo una ricercatezza maggiore, una padronanza più sicura del Giannini rispetto al 1838.
Questa veduta di San
Valentino è altresì molto importante per comprendere come fosse il paese in
quei tempi, vediamo la città cinta di mura, oggi quai del tutto scomparse
specialmente nella Piazza San Nicola con Porta da Capo; sulla sinistra vediamo
il complesso agostiniano di San Nicola da Tolentino, a seguire il paese che si
staglia a ventaglio, arrampicandosi fino alla parte più alta, dominata dal
castello-palazzo farnese, e dalla chiesa madre, senza i caratteristici
campanili gemelli di Antonino Liberi; sulla sinistra nella parte alta del
paese, notiamo una torre a scarpa, la torre sud dell’antica cerchia muraria,
nell’attuale via Matteotti, mentre nell’estrema destra notiamo la chiesa di San
Donato.
Il quadro
corrispondente, nel transetto in cornu epistulae, è quello del Rosario. Una composizione
triangolare abbastanza convenzionale per il tema ritratto, la Madonna al
centro, e in basso i due santi domenicani, con la fiamma dello Spirito Santo,
il cane che regge la candela, l’angelo con il modellino della Santa Casa, e
infine i cori angelici.
Serafino Giannini, a quanto ci sembra dalle nostre scarne ricerche, pittore ancora da scoprire, merita un posto di considerazione, per quanto locale, in questo panorama di indagine che riguarda la metà dell’Ottocento, insieme al Ranieri, al De Benedictis, e ai Marchiani.
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