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26 ottobre 2023

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore.

Francesco Paolo Marchiani, Sacra Famiglia, chiesa madre di Villamagna. Altare di patronato famiglia De Palma

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore
di Angelo Iocco

La famiglia Marchiani si inserisce in un contesto abruzzese a cavallo tra tardo classicismo accademico settecentesco, e nuove influenze artistiche della capitale partenopea, che porteranno alla istituzione della Scuola di Posillipo. Precursori di quei pittori dalla pennellata vivida, a tinte accese e iper-naturalistiche dei pittori vastesi alla Palizzi, e del teramano alla Pagliaccetti e Celommi, i Marchiani furono tra gli ultimi rappresentanti di quella tradizione della pittura sacra in Abruzzo, che seppe trovar, a fasi alterne , spesso a fenomeni isolati, una propria strada, seguendo sempre le influenze della scuola napoletana e romana, ora del Solimena, ora di De Mura, ora del Preti.

Parliamo di un contesto artistico in cui, specialmente nella provincia di Chieti, che nel pescarese (mi riferisco a quella fascia che in quei tempi comprendeva nel chietino ancora i paesi della Majella occidentali quali Serramonacesca, Bolognano, Abbateggio, San Valentino), operava la bottega di Guardiagrele. Erano attivi soprattutto l’anziano Nicola Ranieri con le sue pitture ridotte ormai a imitazioni di sé stesso e delle sue tele antecedenti al 1799, quando i francesi, stando alle cronache, distrussero il suo studio con le stampe dei Santi a cui si ispirava per i quadri, e del suo fido discepolo Francesco Maria de Benedictis. Non c’è chiesa maggiore o minore nei paesi d’Abruzzo del chietino e del pescarese, almeno al sud del fiume Pescara, i di cui parroci o arciconfraternite non avessero commissionato a Ranieri o de Benedictis una tela, un santino, un trittico a un santo patrono, come nel caso della chiesa madre di Bucchianico. Ma quale palese imitazione di un concetto artistico ormai cristallizzato nel bozzetto! Quali stanche e solite ripetizioni in 3 o 4 quadri dello stesso tema, magari per chiese a pochi km di distanza l’una dall’altra! I Marchiani in un primo momento seppero dare una risposta a questa guazza. E lo vediamo con il capostipite della scuola.

Ignazio Marchiani nacque a Ortona alla fine del ‘700, studiò disegno e pittura, a Napoli, tornando poi in città, dove ebbe varie commissioni per palazzi e chiese ortonesi. Ebbe contatti anche con l’anziano Nicola Ranieri da Guardiagrele, che gli dette alcuni rudimenti, e probabilmente anche qualche stampa da cui trarre spunto. Ma le qualità delle opere dei due artisti sono assai differenti. In un quaderno dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del 2004 sugli uomini illustri di Ortona, è riportato che Ignazio dipinse una veduta di Ortona dal colle di San Vito, con le principali chiese e palazzi, e San Tommaso benedicente (1824), collezione privata; nel 1832 dipinse per la chiesa della Madonna delle Grazie una Madonna col Bambino. Anche se non firmati, di lui si riconoscono dei quadri provenienti dalla demolita chiesa di San Domenico a Terravecchia, allestiti oggi nella biblioteca diocesana che sorge al posto della chiesa.

Ignazio Marchiani, veduta di Ortona e la processione di S. Tommaso, 1824

Ignazio si trasferì nei primi dell’800 a Chieti per insegnare disegno, ebbe vari allievi, tra cui Francesco Paolo Michetti, e fu lodato per il suo disegno preciso, la caratterizzazione corretta dei tratti anatomici, e l’originalità dell’uso del colore a tinte calde. Resta di lui anche un ritratto di Don Ludovico Del Giudice nella galleria degli Arcivescovi del palazzo vescovile a Chieti. La Madonna di Ortona è abbastanza statica, ma ha un candore nel viso, e nelle braccia del Bambino eretto sul ginocchio; l’accavallamento delle gambe della Vergine per mostrare il piede è una convenzione abbastanza usuale.

F.P. Marchiani, Sacra Famiglia, chiesa di Ognissanti, Chieti

Il figlio Francesco Paolo (1822-1891) seguì le orme paterne, e fu istruito in Abruzzo dall’anziano Nicola Ranieri da Guardiagrele, forse su consiglio del padre Ignazio, da cui per fortuna apprese poco l’arte del dipingere rozzamente. Francesco ebbe un lungo percorso, che lo porterà dal classicismo tipico del tardo Settecento, all’uso delle tecniche moderne del disegno come la litografia, dove ci lavorerà anche il figlio Enrico. Francesco Paolo dipinse prevalentemente a Chieti e dintorni, ad esempio c’è una “Sacra Famiglia” nella chiesetta di Ognissanti a Chieti, nella vicina Vacri una tela di San Biagio nella parrocchia omonima; quando nel 1860 circa aprì a Chieti la prima litografia d’Abruzzo, dove si formarono Fedele Cappelletti, Costantino Barbella, Francesco Paolo Michetti e poi anche Basilio Cascella.

La litografia in onore di San Falco ha una storia interessante, riportata da Loris Di Giovanni.


L'11 giugno del 1822 avvenne in Palena il primo miracolo ad opera di San Falco, monaco basiliano e patrono di Palena, legato alla città di Pianella. Un contadino indemoniato, tale Ignazio Rongi, venne liberato dal Santo. Da quel dì iniziarono i pellegrinaggi nella chiesa madre di Palena, dove erano conservate le reliquie. Tanta grande era la devozione dei pianellesi, che i palenesi regalarono loro la prima statua di San Falco sostituita dal prezioso busto argenteo di realizzato nel 1842 dal napoletano Domenico Capozzi il cui lavoro venne pagato 1050 ducati: il busto conserva al suo interno il cranio di San Falco, che venne traslato nella nuova chiesa nel 1847, durante una cerimonia celebrata dal vescovo di Sulmona Mario Mirone. Grazie al collezionista e studioso Franco G. Maria Battistella di Lanciano, proprietario dell'originale, possiamo ammirare questa pregevole opera grafica stampata dalla Litografia Marchiani fatta realizzare "a divozione" dal Parroco di San Salvatore Don Antonio Bocalini. Adornava il San Salvatore anche un dipinto del Santo, oggi disperso. In questo periodo nella piazza antistante la Chiesa del SS. Salvatore si svolgeva la Festa di San Falco con i tradizionali giochi del palo della cuccagna e dello scoccia pignata. I Marchiani resteranno legati alla città di Pianella, anche quando l’attività passò al figlio di Francesco Paolo: Enrico, come vedremo.

Il Marchiani aveva il suo laboratorio d’arte con la scuola di pittura, presso il monumentale palazzo Valignani lungo la via Ulpia, poi corso Marrucino nord, dove oggi una targa commemorativa lo ricorda, dette alle stampe anche dei santini e delle immagini devozionali molto ben rifinite, citiamo Sant’Emidio che protegge Chieti dal terremoto di Orsogna del 1881, dove figura il grande santo che appare in cielo, nel proteggere dalla rovina la chiesa della Trinità di Chieti.

Abbiamo individuato del Marchiani anche una tela di Santa Giusta presso la cappella omonima nella chiesa di San Domenico di Atessa. Un altro suo dipinto raffigurante Sant’Alfonso dei Liguori si trova nella chiesa parrocchiale di Tocco Casauria. Il Santo è ritratto nella tarda età, già piegato dal male.


Le opere di Marchiani si distinguono facilmente da quelle, con cui facilmente potrebbe essere confuso, di Nicola Ranieri o Francesco Maria de Benedictis ambedue di Guardiagrele; mentre il loro stile è squisitamente “rude” e con vari errori nella resa del disegno tecnico e della prospettiva, il Marchiani è l’unico, nell’area chietina in questo periodo storico, a rappresentare le qualità del buon pittore d’ispirazione ancora prevalentemente classica, ma che almeno riesce a dare una organicità e un senso di candore, bellezza e serenità alle sue opere. Realizzò anche diversi dipinti su commissione di palazzo, come i ritratti di Papa Leone XIII.
Enrico Marchiani fu l’ultimo discendente di questa scuola pittorica. Formatosi a Chieti, come detto continuò a mantenere stretti i rapporti con Pianella: dei suoi quadri adornavano le stanze di Palazzo de Felici: il marchese Nicola de Felici e sua moglie Concetta Monaco La Valletta, discendente dalla celebre famiglia che aveva il suo palazzo a Chieti presso la chiesa della Trinità. Essi, scrive Loris Di Giovanni, erano rispettivamente padre e madre di Gesualdo III de Felici e suoceri di Silvina Olivieri, figlia di Silvino Olivieri celebre patriota dio Caramanico. 

Litografia Marchiani, Sant’Emidio salva Chieti dal terremoto del 1881


Il figlio Enrico continuerà l’attività paterna, dipingendo prevalentemente ritratti, come quello degli Olivieri di Pianella, come illustrato da Loris Di Giovanni in un suo scritto in internet. Fu attivo ovviamente a Chieti, dove, come ha scritto anche Raffaele Bigi in Chieti, passato, presente e futuro, Lanciano 2012, dipinse un quadro nella cappella privilegiata di San Giustino nel Duomo di Chieti, che ha per tema San Nicola di Bari nelle vesti di vescovo tra i tre bambini che ha salvato dall’annegamento, nelle vesti orientali dell’Asia. 


Realizzò due versioni della celebre pittura della Madonna di Pompei, una di queste si conserva nella chiesa di Santa Maria in Basilica a Villa S. Maria. Del 1898 è il celebre quadro della Madonna delle Grazie, che si trova a Vacri, e che i fedeli ogni volta portano in processione solenne fino a Francavilla, dove si trova a l’antico santuario domenicano della Madonna, distrutto dai tedeschi nel 1944.


Il Bambinello in questo quadro già dimostra tutte quelle caratteristiche delle stampe dei santini tardo ottocenteschi riguardanti la Madonna, il Bambinello, il Sacro Cuore. Del 1881 è un dipinto di Sant’Emidio che protegge i terremotati, presente nella chiesa della Trinità, realizzato in onore del Santo che salvò Chieti dal sisma di Orsogna. Ricordiamo la citata stampa litografata della ditta Marchiani per lo stesso evento luttuoso. Il Santo è in posizione centrale, leggermente verso destra, mentre con sguardo imperioso comanda a un edificio in crollo di arrestare la caduta di un capitello verso la popolazione inerme e in preda al panico. In alto due angioletti fermano il grande capitello, mentre a terra un vecchio estatico ringrazia il Santo per il miracolo avvenuto. Opera tuttavia abbastanza nota, per il tema trattato da diversi altri pittori del ‘600 e del ‘700, specialmente il metodo di raffigurare il Santo verso destra o verso sinistra della scena, mentre con una mano impone alla maceria di arrestarsi, per non crollare addosso ai derelitti. 

Un’altra tela del Marchiani ritrae il Santissimo Rosario, presente nella chiesa di Sant’Antonio abate a Porta Sant’Anna di Chieti, è la classica stampa della Vergine del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina, che abbiamo imparato a riconoscere nei santini napoletani, oltreché nelle pitture di Pompei.

Tra le sue ultime opere, il celebre dipinto di Gabriele d’Annunzio in divisa da “ardito”, conservato nel Vittoriale degli Italiani. D’Annunzio contempla con divisa, la città di Fiume appena conquistata, con sguardo fiero e altero.



APPENDICE: SERAFINO GIANNINI A SAN VALENTINO IN ABRUZZO CITERIORE

Vogliamo trattare di questo sconosciuto pittore, nato a Napoli nel 1810: Serafino Gaetano Pasquale, e chiamato a lavorare al cantiere del Duomo dei Santi Valentino e Damiano in San Valentino in Abruzzo Citeriore, inviando alcuni quadri. Già attivo negli anni ’30 nella diocesi di Teggiano-Policarpo, a confine con la Basilicata, realizzò per la parrocchia di Sant’Antonio a Vibonati un bel quadro di Sant’Antonio abate in gloria, sorretto da angeli, mentre vigila sul paese ai suoi piedi. Il paesello sembra quasi un presepio, ed è questo un motivo che il Giannini utilizzerà anche per il suo quadro più bello, la Gloria dei Santi Martiri Valentino e Damiano nel Duomo di San Valentino, nell’altare del transetto in cornu evangelio, datato 1868. Nel napoletano non figurano molte sue opere, e realizzò probabilmente dei quadri privati.

Duomo di San Valentino, altare maggiore opera di Alessandro Terzani.

La sua fama giunse nel piccolo paese abruzzese di San Valentino probabilmente per qualche contatto con l’ex Capitale del Regno, essendo l’Abruzzo da pochi anni passato al Regno Sabaudo. Per il Duomo dunque, il Nostro realizzò, ai capialtare del transetto il citato quadro dei Santi Patroni Valentino ed Emidio, datato 1868, corrispondente al quadro della Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina, commissionato dalla Congrega del Rosario; infine nel primo altare in cornu evangelio il quadro di San Giuseppe col Bambino, firmato 1865, commissionato dalla Confraternita della Buona Morte.

Quest’ultimo è il meno riuscito della produzione abruzzese del Giannini, San Giuseppe è in uno scenario palustre, con un rudere di casa all’orizzonte, è seduto col Bambino fra le braccia, e ai lati ci sono due angeli, uno regge il bastone da cui fiorisce il giglio, attributo del Santo, l’altro sta indicando il miracolo dello Spirito Santo, ma la sua mossa appare spenta e priva di enfasi. Il quadro dei Santi Valentino ed Emidio, incastonato nella macchina d’altare di Alessandro Terzani[1], realizzato alla fine del Settecento (completamento nel 1791), e rimasto inizialmente senza pale (bisognerebbe verificare nell’archivio parrocchiale se esistessero altre tele ammalorate che sono andate distrutte o gettate per essere sostituite dai nuovi quadri del Giannini), è il più bello della chiesa.


Somiglia per l’impostazione a quello del Sant’Antonio di Vibonati, ma la scena è più movimentata, San Valentino  sulla destra ha la tipica dalmatica rossa del martirio, fluttua insieme a Sant’Emidio vescovo, che sta per ricevere da un angelo il pastorale e la mitra, mentre in alto altri angeli sventolano delle palme, simbolo del martirio, e altri portano una corona di fiori. La cittadina di San Valentino si staglia in primo piano all’orizzonte, nella stessa tecnica del quadro di Vibonati, ma qui vediamo una ricercatezza maggiore, una padronanza più sicura del Giannini rispetto al 1838.


Questa veduta di San Valentino è altresì molto importante per comprendere come fosse il paese in quei tempi, vediamo la città cinta di mura, oggi quai del tutto scomparse specialmente nella Piazza San Nicola con Porta da Capo; sulla sinistra vediamo il complesso agostiniano di San Nicola da Tolentino, a seguire il paese che si staglia a ventaglio, arrampicandosi fino alla parte più alta, dominata dal castello-palazzo farnese, e dalla chiesa madre, senza i caratteristici campanili gemelli di Antonino Liberi; sulla sinistra nella parte alta del paese, notiamo una torre a scarpa, la torre sud dell’antica cerchia muraria, nell’attuale via Matteotti, mentre nell’estrema destra notiamo la chiesa di San Donato.

Il quadro corrispondente, nel transetto in cornu epistulae, è quello del Rosario. Una composizione triangolare abbastanza convenzionale per il tema ritratto, la Madonna al centro, e in basso i due santi domenicani, con la fiamma dello Spirito Santo, il cane che regge la candela, l’angelo con il modellino della Santa Casa, e infine i cori angelici.

Serafino Giannini, a quanto ci sembra dalle nostre scarne ricerche, pittore ancora da scoprire, merita un posto di considerazione, per quanto locale, in questo panorama di indagine che riguarda la metà dell’Ottocento, insieme al Ranieri, al De Benedictis, e ai Marchiani.



[1] Alessandro Terzani e suo fratello Giuseppe da Como furono gli ultimi rappresentanti di quella scuola di maestranze lombardo-ticinesi giunte in Abruzzo nei primi anni del ‘700, a iniziare da Giovan Battista Gianni, architetto e stuccatore, che fu maestro di Giovan Girolamo Rizza e Carlo e Pietro Piazzoli, stuccatori, che impiantarono una ditta itinerante tra Chieti e Penne, attivi in diversi cantieri di chiese e cattedrali dell’area chietino-vestina-lancianese. Formarono diversi capomastri muratori in Abruzzo, come Domenico Poma, Giovanni Antonio Fontana, e Pietro e Agnello Francia di Penne, oltre a portare dal nord i capomastri Carlo Mambrini di Cabiaglio, o il capomastro e architetto Marco Marchi di Casasco, i quali realizzarono le statue in stucco, le scagliole, le macchine d’altare delle chiese di Chieti (Duomo, Sant’Agostino, Santa Chiara, Sant’Agostino, San Raffaele, San Gaetano, San Domenico al Corso, San Domenico vecchio, Santa Maria della Civitella), Penne (Duomo, Sant’Agostino, San Domenico, Chiesa del Carmine, Chiesa di Colleromano, San Giovanni evangelista, Santa Chiara, San Giovanni delle Gerosolimitane), Spoltore (chiesa parrocchiale, convento San Panfilo), Lanciano (Cattedrale, Sant’Agostino, Purgatorio), Castel Frentano (chiesa del Rosario), Pianella (Sant’Antonio, San Domenico), Moscufo (chiesa parrocchiale), e infine San Valentino e a Bisenti nelle rispettive chiese parrocchiali. Ultimo grande architetto della seconda metà del ‘700 nell’Abruzzo chietino e pescarese, fu Michele Clerici, architetto milanese attivo nel Regno di Napoli quando Carlo Piazzoli fu richiamato a lavorare al nord col fratello Pietro. Tra le parature a stucco più belle, ricordiamo quelle della chiesa di Sant’Agostino di Chieti, e quelle della chiesa di San Francesco a Lanciano, per non parlare di alcuni suoi interventi nelle chiese di Ortona, andati quasi tutti perduti con le distruzioni belliche. Per queste notizie ringrazio sentitamente l’architetto Franco G. Maria Battistella, che già ampiamente di questa scuola lombarda trattò nel suo saggio Note su alcune fabbriche attribuite a Francesco di Sio napoletano attivo in Abruzzo tra il 7° e il 9° decennio del 18° secolo. Fascicolo monografico della Rivista abruzzese, 1 gennaio 1989.

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