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13 novembre 2022

Antonio Ambrosini e altri poeti di Chieti del dialetto d’Abruzzo.

Antonio Ambrosini e altri poeti di Chieti del dialetto d’Abruzzo
di Angelo Iocco

Oggi Chieti non considera abbastanza i suoi poeti dialettali, salvo due casi recenti, e parliamo di Raffaele Fraticelli (1924-2021) e Renato Sciucchi, che tanto lustro hanno dato non solo alla città, ma all’Abruzzo, soprattutto il simpatico “Zi Carminucce” ovvero il personaggio che Fraticelli proponeva alla Radio Pescara. Ma Chieti ebbe prima di loro altri poeti quasi del tutto dimenticati, attualmente, che però merita una menzione. 

Il primo di cui parliamo è Giustino Razionale detto il “Cieco Di Chieti” (1834-1884) a causa del male alla vista che lo rese non vedente. Visse nell’arco del passaggio dal Regno Borbonico a quello d’Italia unita. Fece parte dei vari circoli letterari della città, ebbe vari amici, tra cui Pasquale De Virgilii e il medico di San Martino sulla Marrucina, Tito Livio De Sanctis (1817-1883), uno dei medici più illustri del Mezzogiorno Italiano, a cui il razionale dedicò dei versi. 
Il Cieco di Chieti, di cui si occupò lo studioso Nicola Fiorentino, aveva sempre la battuta pronta, e alternava rime colte a quelle più conviviali del dialetto locale.

Pubblichiamo una foto inviataci da Tonino Di Pasquale di una poesia del Razionale:


Nella poesia ritroviamo la critica tipica al vanaglorioso e al presuntuoso di provincia, che farà spesso anche lo Sciucchi con “Lu Chijetine a Chiete”. 

Un altro versificatore, più che poeta, si tratta di Lelio Petaccia (1857-1938), che volle trasporre in dialetto una novella del Boccaccio: “Lu fatte di Calandrine”, pubblicata nel libricino “Più in là che Abruzzi” a cura della Libreria De Luca, Chieti. 
Trascurato completamente dagli studiosi di letteratura abruzzese, come il Giammarco, il Petaccia con questa pubblicazione entra nel panorama dei dialettali di Chieti, avendo avuto il pregio di esserci cimentato nella trasposizione della letteratura colta toscana, così come faranno Angelo Umberto Scarano di Cepagatti e Giuseppe Perrozzi di Vasto con la versificazione di alcuni canti dell’Inferno di Dante.

L’ultimo di cui parliamo è Antonio Ambrosini di Chieti (1881 – 1934), orologiaio in via degli Orefici, con grande passione per la poesia e la canzone. Sbaglia lo studioso di folklore padre Donatangelo Lupinetti (1909-2000) ad aver rimproverato nei suoi studi la città di Chieti per essersi “rinchiusa” nelle sue mura, rispetto alle varie città d’Abruzzo che negli anni '20 seguivano i successi della Maggiolata di Ortona, sfornando concerti e concorsi di canzoni abruzzesi, come la Settimana abruzzese di Pescara, la festa delle Canzoni di Lanciano, le Sagre dell’Uva a Poggiofiorito ecc. 
Chieti ebbe il suo rappresentante degno, l’Ambrosini, che a partire dalle primissime Maggiolate di Ortona, creò un sodalizio coi musicisti Attilio Fuggetta di Sulmona, Carlo Massangioli di Lanciano, Giuseppe Paparella, Tommaso Ciampella e altri, con cui presentare le sue canzoni. I libretti d’epoca ce lo testimoniano; l’Ambrosini partecipò anche alle Feste del Mare di San Vito, e negli anni ’30 soprattutto alle Feste dell’Uva di Poggiofiorito stringendo amicizia col M° Tommaso Coccione, valente fisarmonicista.


Vediamo le canzoni “Ggioja me’” con musica di Coccione per la 5° Festa dell’Uva del 1934, “Fenestra” per la 6° Festa dell’Uva del 1935, e infine una canzone postuma del 1939, ripresentate anche alle Feste del Grano di Caldari degli anni ’40, la “Saltarella paisana” dedicata alla patria Poggese, con l’indimenticabile e allegra musica di Coccione. Oggi la Saltarella è ancora eseguita dal Coro di Poggiofiorito, ed è immancabile nelle rassegne canore di questo gruppo, ed è stata salvata dall’oblio grazie alle fatiche valenti di Vincenzo e Camillo Coccione.
L’Ambrosini scrisse tanti altri versi, molti sicuramente andati perduti per sciaguratezza e oblio, altri forse editi, ma non conosciuti da noi. Morì a causa di un male, il Nostro, nel 1934.

Di Antonio Ambrosini, "La storie di Chiete", per gentile concessione di Leonardo Porreca.