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13 dicembre 2023

La poesia del pescarese Oberdan Merciaro.

La poesia del pescarese Oberdan Merciaro
di Angelo Iocco

Grande abruzzese nativo di Pescara, vi nacque nel 1892, fu Presidente della Sezione Giovanile Autori Abruzzesi, fondò varie riviste, come “Giovani Faville” nel 1912, e “Ars Nova” con la casa editrice omonima pescarese. Nel 1921 pubblicava “Le novelle del mio Paese”, nel ’22 “Sogghigni – Versi”, poi sulla base dei versi Carducciani, compose la raccolta poetica “Juvenilia”, e più avanti negli anni pubblicherà la raccolta “Parlature paesane – Antologia di poeti abruzzesi”, ediz. Attraverso l’Abruzzo, Pescara, 1954; fu redattore capo delle riviste “Eccomi” di Roma, e “La Fonte” di Siena, rivista nata nel 1947. Con diversi altri giornali italiani in voga, Merciaro collaborò, corrispondente fu di “Voce Adriatica” di Ancona, de “Il Momento Sera” di Chieti dove scrisse numerosi articoli anche l’abruzzese Francesco Verlengia. Fondò il settimanale umoristico “Ficcanaso”.

Spartito musicale, per gentile concessione del M° Loretta D’Intino





Versione “giuliese” della canzone “Oh, Francaville!”, archivio Sandro Galantini 


Il Coro di Giulianova, archivio Sandro Galantini 


Prima Festa delle Canzoni di Giulianova, archivio Sandro Galantini





A parte il curriculum di scrittore e giornalista, Merciaro oggi è noto per aver dato vita alle prime maggiolate abruzzesi, in un certo senso fu l’antesignano della Maggiolata di Ortona, quando nel 1911 insieme a Tommaso Bruni, organizzava una Rassegna di canzoni, dove trionfò “Oh Francaville!”, musicatagli dall’amico inseparabile Francesco Tancredi di Francavilla al mare. I versi ancora oggi sono cantati dai cori locali: “Oh Francaville, nen te se scorde! Chet’aria doce e chistu ‘ddore, a tutte ci fa nnammurà!”. La canzone ebbe talmente successo, che una decina d’anni più tardi alle Feste della Canzone di Giulianova, avviate nel 1927, il M° Tancredi ne rielaborò il ritornello per trasformarla in “Oh Giulianove!”.

               

Le origini delle canzone abruzzese d’autore nella provincia di Chieti

In merito, desideriamo pubblicare uno stralcio di un articolo esauriente di Vito Moretti dal Catalogo del Premio Nazionale di Lettere, Arte e Scienze - Premio di Poesia G. Porto, Ed. 2017.

“Nella cittadina frentana [Lanciano] – e più esattamente nella contrada di Santa Liberata – la prima domenica di maggio del 1896 il poeta Luigi Renzetti aveva promosso, in omaggio ad una giovane maestrina di cui era innamorato, un raduno di poeti e un’audizione di canti dialettali inediti, scritti per l’occasione ed eseguiti dal coro locale con l’accompagnamento della banda di Lanciano. La «Festa campestre» di Santa Liberata si protrasse per alcune edizioni e si impose – per il successo che registrò – a “modello” delle altre iniziative canore, sorte a cavallo di secolo e nei primi anni del Novecento, come quella promossa a Francavilla a Mare nel 1911 dal Maestro Francesco Tancredi. E ancora a Francavilla, dopo la parentesi della guerra europea, operò con vasta eco anche il gruppo corale che Arturo De Cecco aveva costituito nel 1919 per la diffusione dei canti abruzzesi, sia popolari che d’autore, con testi della tradizione contadina ed altri nuovi, soprattutto di Antonio Di Iorio.

Ma l’impulso più consistente venne forse dal primo concorso di canti indetto a Lanciano nell’aprile del 1922 (presieduto da Camillo De Nardis, il quale scartò clamorosamente – oltre che Lucenacappèlle di Giulio Sigismondi e Giuseppe Gargarella – la canzone poi divenuta la più celebre d’Abruzzo, «Vola, vola, vola», di Luigi Dommarco e Guido Albanese) e dalla «Maggiolata» di Ortona, organizzata in forma di concorso il 22 maggio 1922 (e vinta proprio da «Vola, vola vola», su «Mare nostre» di De Titta-Di Iorio, composta, pare, come attesta l’autorità di Antonio Piovano (Storia del canto popolare abruzzese, Pescara, Editrice Emblema, 1968, p. 19), sul trenino della «Sangritana», in prossimità della costa di San Vito). Ad Ortona, del resto, fin dalle iniziative del ’20 (che recavano la dicitura di «Piedigrotta abruzzese» in omaggio alle parentele culturali con Napoli), era presente il sanvitese Vito Olivieri, autore fecondo di canti come «Vola, canzone», «Famme na fatture», «Ci po’ vinì…», «Tante salute», eccetera, su versi di poeti coetanei di area per lo più frentana.

Nel medesimo periodo, mentre le feste canore trovavano fioritura anche a Castellamare (odierna Pescara), ad Atri, a Guardiagrele e in altre località dell’entroterra, i nomi di una pattuglia di giovani musicisti (Camillo Renzetti, Pier Andrea Brasile, Pierino Liberati, Alvise D’Anniballe, Cesiano De Archangelis, Fanuccio Fiorentino) si imposero accanto a quelli di maestri già riconosciuti; ed erano nomi, peraltro, di coloro che avrebbero svolto un ruolo da protagonista alla I e alla II edizione della «Festa del mare» (organizzate a San Vito nel 1923 e nel 1926) e che avrebbero contribuito non poco a sottrarre la canzone abruzzese ai clichés e ai moduli della canzone partenopea, consolidando i tratti più propri ed originali dei nostri testi. Infatti, a differenza della canzone napoletana, monodica e disegnata sul genere della romanza d’opera o da camera, alla maniera percorsa – ad esempio – da Francesco Paolo Tosti (che, comunque, aveva ben grande personalità e sconfinato estro per un’operazione del genere), la canzone abruzzese venne da subito concepita come composizione “corale”, che scaturiva – al pari dei brani anonimi – dalla vita concreta dei suoi interpreti e dalla realtà di un racconto destinato non solo all’ascolto, quanto, e soprattutto, alla partecipazione, in una cornice che non era generalmente il salotto di casa ma i luoghi della stessa natura (il mare, la campagna, l’habitat della fatica quotidiana e dei sentimenti più spontanei ed autentici).

La Festa delle Canzoni a Francavilla dunque, sponsorizzata dal poeta e giornalista Tommaso Bruni di Francavilla, ebbe una sola edizione, purtroppo rimase una meteora, ripetuta nel 1919 dal Coro di De Cecco. Occorrerà aspettare poi la celebre Maggiolata di Albanese a Ortona del 1920 per vedere un certo avvio della Tradizione della canzone abruzzese d’autore. Fortunatamente di questo esperimento francavillese resta la canzone citata “Oh, Francaville!”, conservatasi, e oggi eseguita dal Coro “Francesco Paolo Tosti” diretto dal M° Loretta D’Intino, che con tata premura la conserva per i posteri!

Altre canzoni presentate furono “A lu tempe de lu ‘rane” e “Me voje fa cummare”, sempre del duo Merciaro-Tancredi. Merciaro partecipò nel 1922 anche alla Gara delle Canzoni di Pescara, e l’anno seguente in agosto alla Settimana abruzzese di Pescara, promossa dall’Idea abruzzese, periodico creato da Zopito Valentini. Merciaro portava da Pescara una ventata di freschezza e spirito vivace, se nel chietino noi abbiamo un Nino Saraceni (1894-1970) fossacesiano, che scrisse fiumi di canzonette spiritose con Attilio Fuggetta ed Ettore Montanaro, Pescara può vantare il duo Merciaro-Tancredi, che naturalmente parteciparono alle Maggiolate ortonesi con varie canzoni, tra cui la bellissima “Ssa risatelle”, riproposta alla Prima edizione della Settembrata Abruzzese di Pescara, istituita da Merciaro, Giannangeli, Tancredi, Fabiano, De Laurentiis, Fiorentino e altri come nuovo richiamo per i Cori abruzzesi, dopo i successi della Maggiolata di Ortona. Pescara allora risorgeva dalle ceneri della distruzione bellica, e così anche il canto abruzzese riprendeva il suo volo. Merciaro ebbe anche un altro valido collaboratore, Stefano “Fanuccio” Fiorentino, con cui scrisse diverse canzoni per le Settembrate. Fu amico del redattore Francesco Amoroso, con cui avviò una collana di quaderni di Poeti d’Abruzzo, scomparsi e viventi, con articoli commemorativi e saggi di studi per Giulio Sigismondi, Cesare de Titta, Italo Testa, Giuseppe Perrozzi, Modesto Della Porta e vari altri. A metà strada tra lo studio del folklore, dell’arte abruzzese, e delle raccolte di poesie dialettali, Merciaro pubblicò con le edizioni “Attraverso l’Abruzzo” dell’Amoroso la raccolta “Parlature paesane”, con poesie scritte da Federico Mola, Francesco Gileno, Merciaro stesso, Antonino Di Donato, Nino Saraceni, Antonio Misantoni, Luigi Illuminati, Evandro Marcolongo. Glorie insomma della poesia abruzzese, per chi è intenditore!

Scrisse anche commedie, come “La vedovella Gisile”, in abruzzese, e un’antologia di poesie dedicate alla sua Città: “Pescare me”. Ormai ultraottantenne, concluse i suoi giorni a Pescara confortato dal fatto che la sua creatura migliore, la Settembrata abruzzese, aveva preso definitivamente il timone del veliero dei Canti d’Abruzzo. Il Coro ACLI di Chieti di recente ha eseguito una canzone del Merciaro: “La sciannavelle”, ovvero “l’altalena”, su musica di Andrea Verrocchio, presentata alle Settembrate di Pescara, un’allegoria della vita, fatta di alti e bassi, come il movimento dell’altalena, e una volta anziani, non restano i ricordi, e i rimpianti per ciò che si è concluso, e ciò che si sarebbe potuto fare. Fortuna che anche questa canzone stata ripresa da qualche coro della valle pescarese, nonché dal Coro ACLI “F. D’Urbano” di Chieti-Fara Filiorum Petri, che di recente l’ha fatta riascoltare in diverse manifestazioni folkloristiche. Merciaro dopo una lunga vita attiva, morì a Pescara nel 1970.


11 dicembre 2023

Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween.

Particolare del quadro votivo offerto dalle parrocchie di Perloz e Lillianes, 1685

 Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween

di Angelo Iocco

Se qualcuno legge la novella aprente della raccolta Trecce Nere di Domenico Ciampoli, con l’identico titolo del volumetto, Tip. Treves, Milano, 1891, potrà piacevolmente ammirare le suggestioni dello storico atessano, nel riportare un’antica tradizione di Canzano nel teramano la notte di Ognissanti, quando nell’aia di una stalla i paesani banchettano insieme in onore dei Morti, aspettando che i defunti passino a far visita nel mondo dei vivi. Una suggestione premonitrice per la triste fine della ragazza protagonista, leggiamo insieme uno stralcio:

C’era il pranzo de’ morti e la fiaccolata. Secondo il costume, la mamma e Mariuccia si dettero un gran da fare per imbandire in mezzo alla casa una gran mensa: di quella notte le anime de’ parenti vengono a visitarci e per ognuno dev’essere un posto a tavola: a dritta le femmine, a mancina i maschi, a capo i nonni, in fondo i bambini; e come tutto è pronto, si spegne il fuoco, versando dell’acqua sui tizzoni e sulla brace: forse pensano che al mondo di là qualcuno può averne troppo, di fuoco. Poi si recitano le preghiere pe’ morti. A mezzanotte s’ode uno scampanio improvviso, un urlio terribile: tutte le finestre delle case illuminate, per le vie buie una turba di gente che grida, va picchiando gli usci, e porta in mano tante fiaccole strane: sono canne o pali in capo a’ quali è un teschio vuoto, dalle cui occhiaie esce la luce d’una candeletta; teschio, per così dire, ma in verità è una zucca bucata che ne fa le veci.”

Suggestioni che il Ciampoli in prima persona, nelle sue contrade, dovette vedere, e di cui si servì, sulla scorta degli studi dei suoi amici etnologi De Nino e Finamore. Si tratta di una delle più antiche testimonianze letterarie scritte sul Culto dei Morti in Abruzzo.

Halloween non è altro che la semplificazione di "All Hallows' Eve" = la vigilia di Tutti i Santi.

Molte delle nostre feste o ricorrenze (anche quelle religiose come Natale, Pasqua) sono incardinate a riti e tradizioni di origine pagana.

Il 25 dicembre, per esempio, è in realtà la antichissima festa del Sol Invictus, collegata al culto del dio Mitra.

Le nostre più belle Chiese sono state costruite su antichi templi pagani.

Gli aspetti di natura commerciale hanno abbondantemente condizionato tutte le nostre feste, comprese quelle considerate religiose.

La Festa di Halloween è una della celebrazioni più sentite e diffuse in tutto il mondo.

Per curiosità culturale, questa è la storia delle manifestazioni della notte di Ognissanti, con riti presenti da secoli anche sul territorio italiano.

Alcune ricerche in proposito raccontano che in varie regioni viene celebrata dalla notte dei tempi.

Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i primi Cristiani, vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore.

A Massafra in provincia di Taranto gli anziani raccontano che il 31 ottobre i morti di notte escono dal cimitero in processione e percorrono le vie del paese vecchio con il dito acceso a mo’ di candela. Se incontrano un passante che va al mattino presto a lavorare lo uccidono e lo portano con sé. Queste anime del purgatorio entrano nelle chiese per celebrare messa. Una leggenda narra che una volta un vivo entrò in chiesa e quando il prete si girò per la benedizione verso la navata, il vivo si accorse che non aveva il naso e solo allora fu sopraffatto dagli altri morti.

Le anime del purgatorio erano molto rispettate nelle case dei nonni. Oltre ad un’apposita preghiera pronunciata ogni giorno durante il Rosario, veniva loro riservato tutto l’anno un coperto vuoto a tavola, con tanto di sedia, forchetta o cucchiaio e tovagliolo. Le anime del purgatorio ritornano nel cimitero la notte dell’Epifania.

Vittorio Monaco, per quanto riguarda l’area Peligna e la Valle di Sulmona, raccolse diverse usanze, ispirandosi anche a quanto già scritto dal suo predecessore Antonio De Nino negli Usi e costumi abruzzesi, in Capetièmpe – Capodanni d’Abruzzo, Textus, L’Aquila 2011. Il volume in forma ciclica ripercorre le tradizioni dell’avvio di un periodo dell’anno, partendo dal Capetiempe dell’Ognissanti, arrivando all’Avvento di Natale, al Capodanno e all’Epifania, per concludere con Sant’Antonio abate e i riti della Santa Pasqua.

A SULMONA, si svolgeva il 2 novembre l’ufficio funebre più singolare, durato fino alla fine del 1800, il BANCHETTO FUNEBRE che ricordava la tradizione celtica e anche romana. La città seguiva “la processione” fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi la baldoria. Questo rientrava in quella concezione secondo cui il defunto potesse godere ancora dei piaceri della vita sprigionati accanto a lui. I giovani, durante la notte, scarabocchiavano tibie e teschi con gesso bianco sulle porte delle case per dire che i morti erano stati lì quella notte, come riporta De Nino nel I vol. degli Usi abruzzesi, 1879, con un rito simile all’Halloween che oggi conosciamo, anche se il motivo era differente da quello goliardico e consumistico. Le antiche usanze sono riportate in una bellissima e lunga poesia di Francesco Simonetti: Sulmona nei riti religiosi, Angeletti, Sulmona, 1901, ritrascritta in Sulmona Città d’arte e di poeti, a cura di E. Mattiocco, G. Papponetti, Carsa, Pescara, 1996.

 


Fino agli anni ‘40 a PRATOLA PELIGNA, nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato di farina bussavano alle porte delle case.

7 dicembre 2023

Carlo Pace scultore lancianese di monumenti e presepi.

Carlo Pace, ph di Vittoria De Cecco

 

Carlo Pace scultore lancianese di monumenti e presepi

di Angelo Iocco

Chi oggi entra al Teatro comunale “F. Fenaroli” di Lanciano, nell’atrio rimane estasiato nell’essere accolto da due busti in bronzo, ricavato dai calchi in gesso originali dello scultore Pace, essi ritraggono il musicista e maestro di cappella Francesco Paolo Masciangelo (1823-1906) e Fedele Fenaroli (1730-1818), maestro di contrappunto al Conservatorio di Napoli. Pace realizzò il calco in gesso anche per il monumento a Fenaroli del 1930 per il bicentenario della nascita, collocato nei giardini della stazione ferroviaria dove si trova la Villa delle Rose. Ma chi era Carlo Pace?

Carlo Pace nacque a Lanciano nel rione Borgo  il 4 dicembre 1859, quartiere antico di commercianti e artigiani. Figlio di Alessandro Pace e  Maria Luisa De Simone, studiò alla Scuola Regia di Belle Arti di Napoli, approfondendo l’arte della scultura. Tornato in Lanciano dopo il diploma, aprì uno studio, e insegnò presso l’Istituto Tecnico della Città; sotto di lui si formarono diversi artisti e lavoratori del ferro, come Nereo De Gennis, ingegnere e progettista di diverse cappelle e cancellate elaborate del cimitero comunale. Nel 1930 partecipa a una Mostra dell’Artigianato organizzata dall’Ente Agricoltura di Lanciano, presso il Liceo Ginnasio della Città, in cui sono coinvolte diverse personalità, come il Prof. Annio Lora e il poeta e medico Eduardo Di Loreto.  Oltre alle sculture per il cimitero e al famoso busto di Fenaroli, di cui si parlerò, il Pace fu amico del prof. Croce, che da lui prese diversi spunti per la realizzazione di sculture in cemento, nonché masselli e pavimenti per palazzi e chiese di Lanciano e dei dintorni, quando nell’ex convento di Santo Spirito di Lanciano sarà attiva, nella seconda metà del Novecento, la ditta “Cocco-Croce”. Nell’atrio del Polo Museale Santo Spirito di Lanciano si conserva un leone accovacciato, di gusto classico, sempre scultura del Pace. Nel 1930 la sua attività viene riconosciuta con la nomina di Cavaliere da parte di Re Vittorio Emanuele III. Visse nel rione della Sacca, in via Cavour, dove si spense il 23 maggio 1940.

Fu da sempre molto attivo nell’arte della sua bottega di terracotta, anche se definirlo semplice artigiano è poco. Lo dimostra una Mostra realizzata nel Natale 2019 presso il palazzo vescovile di Lanciano a cura dell’Associazione “Amici del Presepio”, con opere prestate da collezionisti privati (Madonne, Maddalene, Bambinelli, Pastori) che ha saputo coinvolgere vari lancianesi e non collezionisti d’arte, i quali si ritrovano delle terracotte dei pastori o di personaggi da presepio che furono fabbricati dalle abilissime mani di Pace. Carlo in questa nobile arte popolare era un vero maestro, e fu uno degli epigoni di un’arte che si andava spegnendo, quella semplice dei mastri della terracotta. Il presepe lancianese infatti vuole statue umilissime in terracotta, modellate nei riccioli, nelle pieghe delle vesti, con occhi bucati, non dipinte. Una reminiscenza dell’arte napoletana proiettata nella Lanciano dell’altra sponda del mare. Molti altri artigiani lancianesi e non si sono cimentati nell’arte del presepe, successivamente le umili statue di terracotta sono state dipinte, anche gli occhi sono stati abbelliti col bianco e il nero. La Mostra d’arte del 2019 ha permesso di ammirare come fosse meticoloso Carlo Pace nella realizzazione delle scenografia di gusto napoletano, le grotte, le rovine di antichi templi o chiese dove ambientare il Sacro Mistero della Nascita del Salvatore; i pastori e le figure varie di massaie, venditore d’acqua, pescatori, spaccapietre, viandanti, sono realizzati con vivo realismo e cura del dettaglio; perfino i vestiti sono abilmente ritagliati e cuciti nei manichini di terracotta. Se ciò può apparire cosa scontata e ovvia, Pace fu nella cura di questi particolari in vero maestro. Nella Mostra sono state esposte anche statuette di terracotta di uomini e donne nell’ambito tradizionale abruzzese, come quello di Scanno, di Pettorano, di Aquila, fornendo un degno omaggio a questo lancianese poco conosciuto.


Bozzetto per Busto di Fedele Fenaroli, dall’ex Museo civico lancianese - Foto dal libro di Giacomo de Crecchio “Piazza Plebiscito 1583-2023 a Lanciano”, Nuova Gutemberg, Lanciano 2023


Tra le sue opere pubbliche, per cui ebbe committenze anche da famiglie per le ricche cappelle del cimitero comunale, si ricorda forse il busto fatto realizzare per i 200 anni di nascita del musicista Fedele Fenaroli, nel 1930. Il busto fu modellato ispirandosi a un ritratto effettuato al Fenaroli quando era in vita, che lo mostra sorridente e gioviale; il busto in bronzo si trova all’ingresso della vecchia stazione ferroviaria Sangritana nell’area della Fiera. Pace ne realizzò due modelli in gesso, uno pubblicato sul giornale Corriere Frentano, e ripubblicato in allegato al volume miscellaneo “Fedele Fenaroli” edito dal Comune di Lanciano nel 1980 per i 250 anni dalla nascita. Il secondo, più bello, che mostra il compositore a braccia conserte, circondato da una schiera angelica che si innalza verso il cielo, è stato per qualche anno esposto nel Museo civico nel palazzo Brasile, a Lanciano, per poi finire ij un magazzino insieme a tutti gli altri cimeli del dismembrato Museo. Molte persone ci passano vicino, quanti sanno chi fu quell’uomo? Quanti sanno che in occasione dei grandi festeggiamenti dei 200 anni della nascita del grande musicista, l’opera fu commissionata a Carlo Pace?








25 novembre 2023

L’itinerario d’Arte Sacra Lancianese di Peppe Candeloro.

Particolare del Cristo, dal Discorso della Montagna, 1982, chiesa di San Pietro, Lanciano

L’itinerario d’Arte Sacra Lancianese di Peppe Candeloro

di Angelo Iocco

L’artista abruzzese Peppe Candeloro di Casoli, classe 1931, da sempre amante dell’affresco e del disegno, ha trovato negli anni ’70, una vera famiglia nel rione Cappuccini di Lanciano, dove ha insegnato per 30 anni nella scuola media “Umberto I”.

Nel corso della sua vita a Lanciano ha lasciato numerose opere, specialmente affreschi, li troviamo in una cappella del, cimitero comunale di Lanciano, in una cappella del cimitero di Frisa, nella sala consiliare del Comune di Lanciano, e nelle chiese.

L’Itinerario d’Arte Sacra si sviluppa così:

• Chiesa di Santa Chiara Sec XVII-XVIII , Largo Santa Chiara, poi inizio viale Cappuccini

• San Pietro Prima metà anni ‘50 – Largo San Pietro

• Ex convento San Bartolomeo Sec XVI  - viale Cappuccini – Largo San Bartolomeo

• Chiesetta Madonna delle Grazie di Marcianese, fine sec XIX  - rotatoria contrada Marcianese

• Parrocchia Maria SS. delle Grazie di Marcianese, 1999-2001 – via Marcianese

Tutte ubicate lungo una direttiva di circa 3 chilometri che inizia da Corso Roma (Largo Santa Chiara), attraversa Viale Cappuccini e raggiunge Contrada Marcianese: è la Strada Statale 8


XII - V - LXXXVIII Firenze

Caro Candeloro, La ringrazio della Sua lettera gentilissima che, purtroppo. mi raggiunge mentre sono indisposto e sotto cura. Perciò non posso dilungarmi nel risponderLe. Posso dirLe che apprezzo la Sua inventiva e il senso compositivo dei Suoi affreschi. Scendendo al particolare […] Ad ogni modo complimenti e buon lavoro. Con viva cordialità Suo, Pietro Annigoni Il LINGUAGGIO DELL’AFFRESCO […]Proprio rifacendosi ai trattati medioevali, meditando sui ricettari, sulle loro indicazioni e istruzioni, sulle loro regole, Peppe Candeloro ha recuperato quel linguaggio tecnico più antico e genuino che molti avevano dimenticato o travisato e ne ha fatto il mezzo per eccellenza per i suoi messaggi. Che non scendono mai ad arcaistiche riprese o imitazioni di fatti del passato, ma che si servono di quella tecnica per estrinsecare al meglio il suo mondo, le sue idee sulla vita e sull’uomo di oggi. Filtrando e investendo il proprio linguaggio di tutti i più saporiti succhi del suo colto esistere.

Firenze, giugno 1993 Umberto Baldini

Segue... 


13 novembre 2023

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento.

Cimitero comunale di Orsogna

Filippo Santoleri, architetto orsognese dell’Ottocento

di Angelo Iocco

Pochissimi lo conoscono o hanno sentito parlare di lui. Come ho accennato in un altro articolo sull’ingegnere Giacomo Torrese di Canosa, vissuto qualche trentennio prima di lui, il Santoleri operò alla fine dell’800, nell’area di Orsogna e dintorni. Ingegnere fu, lo studioso Armando de Grandis ci ha riferito che restaurò la chiesetta di San Rocco fuori il paese di Crecchio, che si trovava esattamente nel piazzale di ingresso al castello De Riseis, andata purtroppo distrutta nella seconda guerra mondiale. La cappella in una foto storica si mostra rettangolare con abside semicircolare; gli interni furono restaurati alla maniera neoclassica, con i capitelli ionici, le paraste, e i tipici stilemi di questa corrente che in Abruzzo giunse abbastanza tardi, esattamente dopo l’Unità d’Italia, salvo sporadici episodi di committenze colte, mi viene in mente il monumento a Michele Bassi d’Alanno, signore di Carpineto Sinello, nella seconda cappella di sinistra della chiesa di San Giovanni dei Cappuccini in Chieti, dove appaiono evidenti segni della massoneria, l’occhio di Dio, l’angelo con la fiaccola capovolta il sarcofago alla greca, e tanti altri elementi. Tonando a Santoleri, non possiamo ammirare la chiesa di Crecchio che restaurò, ma possiamo ammirare i cimiteri comunali che egli progettò per i paesi di Orsogna[1], forse Arielli, non molto distante dal piccolo paese di provenienza, e infine quello di Castelfrentano, Come ricorda lo storico Matteo Del Nobile nel suo libro La Madonna della Selva a Castel Frentano (2021), all’epoca nonostante le precise disposizioni di Napoleone sulle sepolture, a Castelfrentano e dintorni si continuava comodamente a seppellire i defunti in fosse comuni, oppure i più abbienti, nelle varie chiese e cappelle, ei diversi ossari, rischiando di generare epidemie di colera.

Foto storica di Villa Cavacini, archivio Marco Cavacini


Nell’ultimo decennio dell’800 il sindaco Fileno Cavacini a Castelfrentano dispose la costruzione di un cimitero pubblico dietro il santuario dell’Assunta, e così fu, il progetto fu affidato all’architetto Santoleri, che realizzò uno dei cimiteri molto comuni nell’area del chietino, impianto rettangolare, con un grande viale di accesso, l’ingresso monumentale a tempietto greco con arco, oppure colonne di ordine dorico, e architrave a timpano triangolare. Pochi elementi di aggetto e di ornamento, la spartanità dell’architettura greca del sentimento neoclassico trionfa. Poco altro si sa su questo Santoleri, nella speranza che chi ne sappia più di noi, possa condurre un ricerca più approfondita. Stando a quello che ci riferisce Marco Cavacini (che ringraziamo in questa sede con grande affetto per averci concesso le fotografia dei progetti originali, nel suo archivio, della Villa Cavacini della contrada Selva), proprietario della storica villa Cavacini lungo il viale del santuario a Castelfrentano, pare che il Santoleri progettò anche questa seconda residenza dei Cavacini. Questa famiglia possedeva un palazzo con cappella privata nel centro storico in Largo Chiesa, quella porzione orientale che tuttavia a causa dell’erosione del fiume Feltrino, nel luglio 1881 franò a valle, ingoiano diverse case e palazzi, compreso il monumentale palazzo Cavacini con la cappella privata.

5 novembre 2023

Ricordo di Michele Scioli, grande ricercatore della storia di Castel Frentano.

RICORDO DI MICHELE SCIOLI, GRANDE RICERCATORE DELLA STORIA DI CASTEL FRENTANO

di Angelo Iocco

Nel 2024 ricorrerà il decennale della scomparsa del dott. Michele Scioli. E' nato il 16 marzo 1935 a Castel Frentano (CH) dove risiedette per tutta la vita. Dopo aver conseguito la maturità classica a Lanciano, si è laureato in Lettere con indirizzo storico-archeologico. Come ha avuto modo di ricordare il suo “erede spirituale” Matteo De Nobile, che ne porta avanti la memoria attraverso le ricerche di storia a Castel Frentano, lo Scioli sin da fanciullo iniziò a coltivare la sua passione per le ricerche, frequentando la biblioteca comunale di Lanciano, tentando di rintracciare qualche nota sulla storia di Castel Frentano, che ai suoi tempi era pressocché inesistente presso le riviste, o le monografie. E appuntò delle note tratte dai manoscritti di Bocache e Pollidori su dei quaderni, che in seguito riutilizzerà, e saranno riutilizzati anche da Del Nobile per il suo manuale Da Guasto Superiore a Castel Frentano: un’esposizione storica, 2011.


Dopo la triste parentesi della Seconda guerra mondiale, in cui fu sfollato, lo Scioli giovanissimo ebbe un altro grave trauma, a 14 anni perse la cara madre. Scrisse una poesia, che qualche anno più tardi verrà messa in musica dal compositore locale Pierino Liberati (1894-1963), grande animatore delle Maggiolate ortonesi e delle rassegne canore castelline col dott. Di Loreto. La canzone è Mamme, tramandata a memoria da Maria Vittoria Di Nardo, figlia di Pierino, e fatta ritrascrivere dal compianto M° Panfilo de Laurentiis di Roccascalegna, ancora oggi eseguita con successo. Scioli col Liberati scriverà un’altra canzone, La giostra gire e gire, che però non avrà il successo della prima. Qui scopriamo come lo Scioli, oltre a essere principalmente noto per le sue ricerche di storia e di documenti antichi, da giovane fu assai appassionato della poesia dialettale, ma anche per la musica e per il teatro. Infatti nel 1968 partecipò a fondare il Premio di Poesia Dialettale “Eduardo Di Loreto”, che ancora oggi si svolge in Castel Frentano, fu lui nel 1978, per il decennale, a curare una pubblicazione con le poesie vincitrice delle annate, dal titolo Na penzate pe’ Di Lurete, salvando, ironia della sorte, dalla dispersione diverse poesie e materiale d’archivio di questa Rassegna dialettale così longeva, i cui documenti più antichi rimontano alle nuove edizioni riavviate dal 1992.

Scioli fu assistente alla regia, e attore anche nelle commedie presentate dalla Compagnia Teatrale Abruzzese 80, nata nel 1979, che ha riproposto i grandi successi della tradizione castellina: La feste di Sante Rocche e Lune e spose, tutte na cose. Amante della storia, collaborò alla ricostruzione del Monumento ai caduti del Colle della Vittoria, finanziato dal Sen. Raffaele Caporali. Frequentando gli archivio diocesani e comunale di Lanciano, sin dalla fine degli anni ’70 ha avviato il suo grande progetto di raccolta e regestazione dei documenti e protocolli notarili inerenti vendite, cause civili e criminali, affitti, rivele, proprietà e quant’altro riguardasse la comunità di Castel Frentano, o Castel Nuovo, come si chiamò sino al 1864. Il primitivo abbozzo ci fu con la pubblicazione di Castel Frentano: appunti di storia (1981), seguito di Sulle tracce di Castel Nuovo; presso il Bullettino di Storia Patrai in Abruzzo, pubblicò anche un resoconto della storia paesana: Castel Nuovo, una rifondazione del tardo Medioevo, ricerche sempre puntualmente corredate dai documenti, sfatando de facto quell’antico mito di Pietro Polidori che nel suo manoscritto sosteneva che il paese fosse di fondazione longobarda, a opera del Conte Petrino per conto del Conte Trasmondo di Chieti, notizia completamente inventata che indusse in errore diversi scrittori, compresi i valenti Emiliano Giancristofaro e Vittorina De Cecco nel lor volume Frentania sconosciuta. I volumetti, oggi rari, conservati nelle principali biblioteca della regione, compresa la comunale e la diocesana di Lanciano, hanno un ricco corredo fotografico, e riportano anche le note degli scavi archeologici degli anni ’80 della Soprintendenza di Chieti, effettuati in contrada Trastulli, nonché note di arte, Scioli fu uno dei primi a commentare l’opera artistica del locale Giuliano Crognale, le cui opere si trovano in tutte le chiese maggiori del paese, che era stato già ricordato, ma più per i sentimenti politici, da Raffaele Persiani in Alcuni ricordi politici per la massima parte Abruzzesi al cadere del 18mo e 19mo secolo, spoglio dalla Rivista abruzzese di Teramo, 1900. Lo Scioli, come farà nella trascrizione e pubblicazione dell’Autobiografia di Giuliano Crognale con alcuni inediti, Lanciano 2010, commentando le opere con corredo fotografico, non tralascerà nulla del suo paese che non sia da ricordare, vagliare, criticare con acume.

26 ottobre 2023

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore.

Francesco Paolo Marchiani, Sacra Famiglia, chiesa madre di Villamagna. Altare di patronato famiglia De Palma

I Marchiani di Ortona, Ignazio e Francesco Paolo, pittori del tardo classicismo abruzzese, con un appendice su Serafino Giannini e le sue pitture a San Valentino in Abruzzo Citeriore
di Angelo Iocco

La famiglia Marchiani si inserisce in un contesto abruzzese a cavallo tra tardo classicismo accademico settecentesco, e nuove influenze artistiche della capitale partenopea, che porteranno alla istituzione della Scuola di Posillipo. Precursori di quei pittori dalla pennellata vivida, a tinte accese e iper-naturalistiche dei pittori vastesi alla Palizzi, e del teramano alla Pagliaccetti e Celommi, i Marchiani furono tra gli ultimi rappresentanti di quella tradizione della pittura sacra in Abruzzo, che seppe trovar, a fasi alterne , spesso a fenomeni isolati, una propria strada, seguendo sempre le influenze della scuola napoletana e romana, ora del Solimena, ora di De Mura, ora del Preti.

Parliamo di un contesto artistico in cui, specialmente nella provincia di Chieti, che nel pescarese (mi riferisco a quella fascia che in quei tempi comprendeva nel chietino ancora i paesi della Majella occidentali quali Serramonacesca, Bolognano, Abbateggio, San Valentino), operava la bottega di Guardiagrele. Erano attivi soprattutto l’anziano Nicola Ranieri con le sue pitture ridotte ormai a imitazioni di sé stesso e delle sue tele antecedenti al 1799, quando i francesi, stando alle cronache, distrussero il suo studio con le stampe dei Santi a cui si ispirava per i quadri, e del suo fido discepolo Francesco Maria de Benedictis. Non c’è chiesa maggiore o minore nei paesi d’Abruzzo del chietino e del pescarese, almeno al sud del fiume Pescara, i di cui parroci o arciconfraternite non avessero commissionato a Ranieri o de Benedictis una tela, un santino, un trittico a un santo patrono, come nel caso della chiesa madre di Bucchianico. Ma quale palese imitazione di un concetto artistico ormai cristallizzato nel bozzetto! Quali stanche e solite ripetizioni in 3 o 4 quadri dello stesso tema, magari per chiese a pochi km di distanza l’una dall’altra! I Marchiani in un primo momento seppero dare una risposta a questa guazza. E lo vediamo con il capostipite della scuola.

Ignazio Marchiani nacque a Ortona alla fine del ‘700, studiò disegno e pittura, a Napoli, tornando poi in città, dove ebbe varie commissioni per palazzi e chiese ortonesi. Ebbe contatti anche con l’anziano Nicola Ranieri da Guardiagrele, che gli dette alcuni rudimenti, e probabilmente anche qualche stampa da cui trarre spunto. Ma le qualità delle opere dei due artisti sono assai differenti. In un quaderno dell’Associazione Ortonese di Storia Patria del 2004 sugli uomini illustri di Ortona, è riportato che Ignazio dipinse una veduta di Ortona dal colle di San Vito, con le principali chiese e palazzi, e San Tommaso benedicente (1824), collezione privata; nel 1832 dipinse per la chiesa della Madonna delle Grazie una Madonna col Bambino. Anche se non firmati, di lui si riconoscono dei quadri provenienti dalla demolita chiesa di San Domenico a Terravecchia, allestiti oggi nella biblioteca diocesana che sorge al posto della chiesa.

Ignazio Marchiani, veduta di Ortona e la processione di S. Tommaso, 1824

Ignazio si trasferì nei primi dell’800 a Chieti per insegnare disegno, ebbe vari allievi, tra cui Francesco Paolo Michetti, e fu lodato per il suo disegno preciso, la caratterizzazione corretta dei tratti anatomici, e l’originalità dell’uso del colore a tinte calde. Resta di lui anche un ritratto di Don Ludovico Del Giudice nella galleria degli Arcivescovi del palazzo vescovile a Chieti. La Madonna di Ortona è abbastanza statica, ma ha un candore nel viso, e nelle braccia del Bambino eretto sul ginocchio; l’accavallamento delle gambe della Vergine per mostrare il piede è una convenzione abbastanza usuale.

19 ottobre 2023

Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo.

Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 1: Le origini, il 1799, la Restaurazione fino all'anno 1801.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 2: La Chiesa durante il periodo della Restaurazione.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 3: La Rivolta di Città Sant'Angelo, 1814.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 4: i Moti Carbonari dal 1813 al 1820.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 5: La Massoneria.


Storia del Risorgimento e della Massoneria in Abruzzo, Parte 6:
Chieti ai tempi di Monsignor Saggese

17 ottobre 2023

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi.

Olindo Jannucci alla conquista delle Maggiolate abruzzesi
di Angelo Iocco

Nacque a Città Sant’Angelo il 17 novembre 1891, e morì a Pesaro il 22 marzo 1977.
Studiò musica con Bozzi e Ildebrando Pizzetti, si diplomò al Conservatorio di Pesaro in strumentazione per banda. Tornato nel suo paese, diresse per vari anni la locale banda civica, esibendosi in turnè. Insegnò contrappunto e musica presso il Conservatorio “Luisa d’Annunzio” di Pescara, e negli ultimi anni tornò al Conservatorio di Pesaro, fino al ritiro per raggiunti limiti di età e alla morte.
Scrisse anche musica da camera, per canto e per pianoforte. Purtroppo al momento, a parte queste brevi notizie desunte da alcuni giornali e dalla biografia scritta da Ottaviano Giannangeli per il volume “Canzuna nustre” a cura di Virgilio Sigismondi, che raccoglie l’opera omnia del padre Giulio (1893-1966), non siamo in grado ancora di fornire ulteriori ragguagli sull’attività musicale di Jannucci, specialmente sui pezzi per banda che scrisse, o i brani di musica da camera. Suo figlio fu presidente della provincia di Pescara per vari anni, ma non si occupò di scrivere qualcosa sul padre, così come attualmente non esiste un articolo che succintamente raccolga materiali sulla sua vita e produzione artistica. I libretti e gli articoli di giornale parlano attualmente per Olindo, insieme a qualcuno che lo ha conosciuto personalmente, come il M° Antonio Piovano e il M° Francesco Paolo Santacroce.
Piovano ricorda di averlo conosciuto personalmente alle Settembrate abruzzesi di Pescara degli anni ’60, così come Santacroce ricorda che nel 1957 circa Jannucci era presente con Antonio Di Jorio, celeberrimo musicista e suo amico, a un convegno sulla canzone a Lanciano, e ricorda il fare molto gentile ed elegante di questo personaggio, sempre ben vestito e molto in avanti nel vedere il futuro della canzone, rispetto a vari altri che si limitavano a proporre le solite canzonette per i vari concorsi. Jannucci iniziò la sua carriera nel mondo delle Maggiolate abruzzesi di Ortona. Alla 10° edizione del 1929, scrisse la canzone “‘N ti pozze vidè” su versi di Nicola Farinelli. Farinelli scriverà altre canzoni con Jannucci, nel 1930 pubblica “Li guè che mi de’ mojeme”, nel 1933 la canzone “Funtanella chiuse”. La seconda canzone di questo elenco è stata ripresentata varie volte dal Coro di Crecchio, sotto la direzione del M° Rosanna Meletti, ed è stata anche registrata su audiocassetta. Fa parte di quel filone delle canzone “di gusto fascista”, sulla scia di “Vivere senza malinconia” di Carlo Buti, in cui il marito cerca di evadere dalla monotonia di casa, ma la moglie riesce sempre a beccarlo e fargliela passare male! Jannucci sarà sempre molto vicino al M° Guido Albanese, l’anima vera delle Maggiolate, comparirà spesso tra i membri della commissione, e nel secondo dopoguerra, dopo la parentesi della direzione di Siro Garzarelli nei primissimi anni ’50, anche lui collaboratore dell’Albanese e compositore di varie canzoni alle Maggiolate, Jannucci dal 1955 prenderà in mano il timone delle famose Maggiolate, le quali purtroppo in quel periodo stavano attraversando una grave decadenza. Gli autori dei periodi d’oro degli anni ’20 e ’30 iniziavano a morire, non c’erano più Eduardo Di Loreto, don Evandro Marcolongo, le “anime” della Maggiolata; tuttavia entrarono nuove leve, come Cristo Sorrentino, Antonio Del Pizzo, Aniello Polsi, Domenico Ceccarossi, Plinio Silverii, a cercare di dare una ventata fresca ai vuoti che la morte aveva lasciato….vuoti che troppo spesso, come nell’edizione del 1958, venivano riempiti da riproposizioni e omaggi di varie altre canzoni che ebbero successo nelle prime edizioni. L’edizione del 1958 si ricorderà per il grande omaggio di pezzi che furono scritti da Di Loreto e Liberati, De Titta e Di Jorio, Marcolongo e Di Jorio, De Titta e Albanese, Dommarco e Albanese, e via dicendo. Questo fu il compito di Jannucci fino al 1966, quando diresse l’ultima volta la Maggiolata, che definitivamente, anche per contrasti con il comitato organizzatore, cadde inesorabilmente dopo oltre 40 anni di onorata attività; un’ultima edizione ci sarà nel 1976, ma il canto di Ortona era già morto da un pezzo.


10 ottobre 2023

Artisti Abruzzesi - La bottega dei Conti di Sulmona alla fine dell’800.

Artisti Abruzzesi - La bottega dei Conti di Sulmona alla fine dell’800
di Angelo Iocco


In questa piccola ricerca, desidero far qualche luce su questa bottega sulmonese di scultore e pittori di opere sacre, attiva tra la metà e la fine dell’800, che come i Falcucci di Atessa e i Salvini e Tenaglia di Orsogna, cercarono di riportare una ventata di freschezza neobarocca nel panorama pittorico abruzzese e nelle sue province.
Ringrazio degli amici, e in particolare la pagina ARTISTICO ABRUZZO per alcune notizie e le attribuzioni delle opere.
Non sappiamo molto sulle origini della famiglia Conti. Alcune fonti indicano un busto a Città Sant'Angelo, nella Chiesa collegiata, di un certo Andrea Conti, una statua di una Madonna del Carmine di un certo Raffaele Conti vicino L'Aquila e il quadro della Santissima Trinità di Taranta Peligna indicata come di Vincenzo Conti del 1892 (anche se è un dato impossibile dato che tutte le sue altre opere sono dell'inizio del secolo).

Il Quadro di Taranta Peligna

Molto ricordato, tra gli artisti di questa famiglia fu Vincenzo Conti, di lui Vincenzo Bindi scrisse alcune note biografiche nella relativa voce nel suo Dizionario degli Artisti Abruzzesi, ma non di particolare aiuto per l’attribuzione delle sue opere.

Vincenzo Conti, San Michele Arcangelo

Vincenzo Conti, San Giovanni Evangelista, chiesa parrocchiale di Campana di Fagnano, 1817