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14 febbraio 2024

Pasquale Celommi, "La tarantella", 1878.



Pasquale Celommi, (Montepagano, 6 gennaio 1851 – Roseto degli Abruzzi, 9 agosto 1928)
"La tarantella", 1878
Olio su tela, cm 43,5x60
Collezione privata.

Canzoni abruzzesi. Coro folkloristico Giulio Sigismondi, 1980.


RASSEGNA DI CANZONI ABRUZZESI, CONCERTO DEL CORO "GIULIO SIGISMONDI" DI SAN VITO CHIETINO, 1980, direttore artistico Virgilio Sigismondi.

CANZUNA NUSTRE
canzone vincitrice alla Festa delle Canzoni di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Garagrella

'EME VULATE
canzone di Virgilio Sigismondi - Antonio Di Jorio

J'ABBRUZZU
canzone della Maggiolata di Ortona 1948
di Carlo Perrone - Nazzareno De Angelis

ALL'ORTE
popolare, elaboraz. Giuseppe Di Pasquale

AMORE AMORE 
popolare, elab. Di Pasquale

VULESSE
canzone presentata alla Festa di Lanciano 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gagarella

CANTO DELLE LAVANDAIE
popolare, elab. Di Pasquale

LA SALDARELLE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA SEMENE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA JERVE A LU CANNETE
popolare

L'ARIE DE LU METERE
popolare, elab. don Ottavio de Caesaris

L'ARTA CCHIU' PRELIBBATE
alla Festa delle canzoni di San Vito del 1947
di Giulio Sigismondi

LAMENTO DELLA VEDOVA
popolare, elab. Ennio Vetuschi

MO VE'...MO VA'
popolare

TUTTE LE FUNTANELLE
popolare

PAESE ME'
scritto nel 1949 da Antonio Di Jorio

LUCENACAPPELLE
presentata alla Festa di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gargarella

QUANDE LA FIJA ME'
popolare

VUCCUCCIA D'ORO
presentata alla Maggiolata del 1920
di Cesare De Titta - Antonio Di Jorio

S'UCCHIE
presentata alla Festa di Lanciano del 2922
di Pier Andrea Brasile

LA TRESCHE
scritta negli anni '20 per Orsonga
di Giulio Sigismondi - Gaetano Silvery

8 febbraio 2024

Pasquale Celommi, "La tarantella", 1878.



Pasquale Celommi, (Montepagano, 6 gennaio 1851 – Roseto degli Abruzzi, 9 agosto 1928)
"La tarantella", 1878
Olio su tavola, cm 40x67
Collezione privata.

4 febbraio 2024

Raffaello Celommi “Preparativi per la pesca”.



Raffaello Celommi (Firenze, 1881 – Roseto degli Abruzzi, 1957)

“Preparativi per la pesca”

Piatto in ceramica - Bontempo ceramiche.

10 gennaio 2024

Omaggio al Prof. Giuseppe Profeta (1924-2024)

Giuseppe Profeta (1924-2024)

Il 6 gennaio del 2024, a quasi cent’anni, se ne è andato Giuseppe Profeta, per molti anni professore ordinario di Discipline Demoetnoantropologiche in diversi Atenei italiani. Il decesso è avvenuto nella sua casa-museo di Teramo, piena di collezioni di oggetti antropologici, costituite da quasi cinquemila bottiglie e vasi antropomorfi.

Nato nel 1924 ad Arsita (TE), nipote di mezzadri e figlio di un sarto, diventa maestro e direttore didattico, seguendo contemporaneamente le lezioni di Paolo Toschi a Roma, consegue la libera docenza in Storia delle tradizioni popolari e ben presto arriva all’ordinariato in Sociologia generale e Demo-Etno-Antropologia. Insegna nelle Università della Calabria, dell’Aquila, di Chieti e di Teramo; dirige istituti universitari; è preside di Facoltà. Dirige, per oltre un ventennio, la sezione italiana della Internationale Volkskundliche Bibliographie, coordina collane e presiede la Federazione Italiana Tradizioni Popolari. Al pensionamento viene onorato con l’opera Centiscriptio, curata da Marcello De Giovanni.

Le sue ricerche si incentrano sull’Abruzzo, a cominciare dai Canti nuziali nel folklore italiano (Olschki, 1964), per continuare con la Bibliografia delle tradizioni popolari abruzzesi (Ed. dell’Ateneo, 1964), tema ripreso quarant’anni dopo con la monumentale Bibliografia della cultura tradizionale del popolo abruzzese (Colacchi, 2005). Si segnala soprattutto La logica del recipiente e l’antropomorfismo vascolare (Olschki, 1973), ripubblicato nel 2020 con prefazione di Pietro Clemente.

Giuseppe Profeta studia il culto di San Domenico abate a Cocullo, del quale, tramite un profondo lavoro d’archivio, individua motivazioni e funzioni. Un culto pastorale sull’Appennino (Libreria dell’Università, 1988), Lupari, incantatori di serpenti e santi guaritori (Japadre, 1995), Il serpente sull’altare. Ecologia e demopsicologia di un culto (Japadre, 1998), e S. Domenico abate di Sora e di Cocullo (Colacchi, 2011), che nel 2014 ottiene il Premio Costantino Nigra, sono lavori molto apprezzati da Alfonso M. di Nola e che ci riportano, oggi, al lessico demologico di cui è intessuta la storia dell’antropologia italiana. Importanti, in tal senso, sono le pagine teoriche che dedica alla letteratura popolare, come Poesia e popolo nell’opera di Modesto Della Porta (1964), Magia, politica e società (1995), Le Sette Madonne Sorelle e la magnificazione del nume (1997), Le facce e l’anima del folkloreLa logica della cultura tradizional-popolare (2000), Le Sette Madonne Sorelle e la magnificazione del nume. Avvio ad una demopsicologia delle credenze (Japadre, 1997).

Nel 2022, dona alla Biblioteca Regionale “Melchiorre Dèlfico” di Teramo biblioteca e archivio, dopo averli pazientemente riordinati secondo quell’intreccio sottile e raffinato tra interpretazione simbolica, materialismo culturale e museografia che contraddistingue la sua impostazione di “antropologo di altri tempi”.

Da: www.siacantropologia.it

5 gennaio 2024

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

     INTRODUZIONE

 Nel saggio in questione si riporta uno schema riassuntivo delle principali vicende di vita sociale e religiosa che hanno caratterizzato l’Abruzzo durante il ventennio fascista. Al fine di una piena e consapevole comprensione delle vicende regionali si ritiene opportuno iniziare la trattazione con alcuni paragrafi contenenti brevi richiami a fatti di maggior rilevanza nazionale.

  

IL FASCISMO E LA CHIESA.

L’inizio ufficiale dell’era fascista in Italia risale al mese di ottobre del 1922, quando dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Benito Mussolini di formare un nuovo governo. Il 3 gennaio 1925 con un famoso discorso alla Camera, Mussolini annunciò la nascita dello Stato totalitario che durò ininterrottamente sino al 1943.

I rapporti iniziali del fascismo con il cattolicesimo e i suoi rappresentanti non furono improntati alla reciproca collaborazione e rispetto. Infatti, inizialmente il fascismo era anticlericale e con le sue violente attività squadristiche colpì alcuni esponenti cattolici, le leghe bianche e nel 1925 anche l’Azione Cattolica in Emilia. In seguito l’atteggiamento dei gerarchi del regime cambiò e il suo capo usò strumentalmente la religione cattolica per rinforzare il potere.

Al primo gabinetto Mussolini collaborarono varie forze politiche tra cui il partito popolare che ottenne quattro sottosegretari e due ministeri. Dopo che nel 10 luglio 1923 don Luigi Sturzo lasciò la segreteria del partito popolare, alcuni suoi esponenti entrarono in quello fascista. Durante le elezioni politiche del 1924 il movimento conservatore dei cattolici nazionali affisse per le vie di Roma un proprio manifesto in cui invitava gli elettori ad appoggiare il fascismo.

Un’altra componente cattolica prese le distanze dal fascismo, gli dimostrò una netta opposizione e ne patì le conseguenze con le violenze squadristiche e il carcere.

Nel 1922 prima della marcia su Roma sulla rivista “Civiltà cattolica” fu pubblicato un articolo in cui si faceva presente che il fascismo ha caratteristiche di violenza e supera il socialismo per le prepotenze, le uccisioni e le barbarie. A loro volta diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva godere l'appoggio della Chiesa.

Una parte della Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi a causa  dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra sua parte, invece riteneva che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.

Durante il periodo di dittatura ebbe una svolta politica nei riguardi della Chiesa che portò all'abbandono di molte posizioni anticlericali assunte prima della presa del potere. Infatti, Mussolini e le autorità del regime adottarono nei confronti della gerarchia ecclesiastica e di tutto il mondo cattolico, un atteggiamento conciliante e di disponibilità che contrastava con il laicismo dei governi italiani precedenti e si tramutò in una serie di notevoli concessioni a favore della Chiesa stessa. Tenendo conto di tutte le iniziative intraprese, si può dire che l’avvento del fascismo fu caratterizzato dalla messa in atto una politica che si può definire di “riconfessionalizzazione cattolica” dello Stato che ebbe la sua massima espressione con la firma dei Patti Lateranensi avvenuta nel 1929.



Nel periodo 1923-1928 i rappresentanti del regime promulgarono varie leggi e decreti riguardanti i  rapporti con le gerarchie ecclesiastiche che nel loro complesso produssero i seguenti effetti: 1) l’ordine di ricollocare il crocifisso nelle aule giudiziarie, nelle caserme, nelle scuole e in tutti gli altri uffici pubblici; 2) il ripristino tra l’elenco delle feste civili di alcune importanti solennità religiose; 3) l’adozione e il riconoscimento di vari benefici economici a favore del clero; 4) lo stanziamento di una ingente cifra (tre milioni di lire dell’epoca) per il restauro e la ricostruzione delle chiese danneggiate durante la prima guerra mondiale; 4) l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado; 5) il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso e della relativa giurisdizione ecclesiastica; 6) la reintroduzione dei cappellani militari nelle forze armate; 7) il salvataggio del cattolico Banco di Roma.

Dopo queste concessioni migliorarono i rapporti tra Stato e Chiesa, mentre la gerarchia cattolica nel suo complesso si convinse che in Italia con l’avvento del fascismo si erano create le condizioni necessarie per favorire il processo di ricristianizzazione a cui ambiva il papa Pio XI. A tal proposito va rilevato che le concezioni religiose del pontefice, per diversi aspetti si conciliavano con le esigenze del regime poichè erano ispirate a una religiosità caratterizzata dall'ubbidienza, l'umiltà, la rassegnazione e il rispetto per l'ordine e la gerarchia.

Questo positivo rapporto di collaborazione ebbe il suo importante culmine nella firma dei Patti Lateranensi che avvenne l’11 febbraio del 1929 tra Benito Mussolini in rappresentanza del governo italiano e il cardinale Gasparri che a sua volta rappresentava la Santa Sede.

Con la stesura del Concordato innanzitutto avvenne la riapertura formale dei buoni rapporti bilaterali tra lo Stato Italiano e l’autorità pontificia. Inoltre dopo circa sessanta anni rinasceva uno “Stato della Chiesa” indipendente e riconosciuto da quello italiano che fu sottoposto all’esclusiva autorità della Santa Sede, fu chiamato Città del Vaticano e comprendeva i Palazzi del Vaticano, il Laterano e la villa papale di Castel Gandolfo. In questo modo fu chiusa la questione romana apertasi nel 1870 con la presa di Roma. Il secondo importante aspetto dei Patti Lateranensi riguarda il fatto che lo Stato Italiano cessava di essere laico e neutrale in campo religioso e diventava confessionale poiché riconosceva il cattolicesimo come religione di stato. Di conseguenza il suo insegnamento fu reso obbligatorio in tutte le scuole di ogni ordine e grado. La Chiesa ottenne il riconoscimento del libero esercizio del potere spirituale, del culto, della legislazione ecclesiastica, della validità agli effetti civili del matrimonio religioso, della libera comunicazione con tutto il mondo cattolico e della sua richiesta d’impedire ai sacerdoti scomunicati di insegnare nelle scuole e nelle università statali. L’ultimo aspetto riguarda una Convenzione finanziaria che impegnava lo Stato Italiano a versare alle casse vaticane l’ingente cifra di 750 milioni di lire e una rendita perpetua, a titolo d’indennizzo per la perdita di tutti i proventi che le autorità pontificie ricavavano dallo Stato della Chiesa prima del 1860.

Le concessioni del regime alla Chiesa continuarono anche dopo il Concordato. Infatti, il nuovo Codice Civile Rocco del 1930, con gli articoli dal 402 al 406 riconobbe come reati perseguibili penalmente tutte le offese fatte nei confronti della Chiesa Cattolica e il sentimento religioso degli italiani.

L’universo ecclesiastico dopo le concessioni fasciste ricambiò i favori con diversi appoggi, riconoscimenti e valutazioni positive sulle personalità e gli operati del regime. Infatti, dopo il Concordato, molti ordinari diocesani diffusero lettere pastorali d’invito alla collaborazione con le autorità fasciste. A sua volta il papa Pio XI definì Mussolini "L'Uomo della Provvidenza" poiché a suo avviso ebbe il merito di riconoscere e riportare alla ribalta i veri ed autentici valori nazionali quali erano quelli cristiano-cattolici. Inoltre l'apparato ecclesiastico mise a disposizione del regime le proprie forze e collaborò alla realizzazione di molte sue iniziative. Una prova tangibile di questo rapporto collaborativo è rappresentata dalla figura dell'assistente spirituale esercitata da un sacerdote che la gerarchia cattolica mise a disposizione di tutte le organizzazioni fasciste che la prevedevano.

Anche i parroci in questo periodo storico, per motivi vari collaborarono frequentemente con le autorità del regime. Infatti, spesso erano invitati a partecipare alle loro manifestazioni, a far suonare le campane in occasione di alcune solennità civili fasciste e a benedire le bandiere, i gagliardetti e le sedi del partito. Nel 1935 in molte diocesi nazionali fu organizzata la raccolta di metalli preziosi per la patria. Inoltre in occasione della guerra d'Etiopia molti ordinari e parroci appoggiarono l'impresa coloniale e dopo la sua conclusione bandirono quasi una crociata per la civilizzazione e cristianizzazione della popolazione abissina.

Mussolini e i suoi gerarchi si servirono della Chiesa per l’appoggio ad altre loro iniziative e campagne propagandistiche tra cui quella dello sviluppo demografico. In questo caso tutti i giornali dell'epoca fiancheggiatori del regime per invogliare le coppie italiane a una maggiore procreatività ricordavano spesso i canoni e le leggi ecclesiastiche riguardanti la famiglia e il matrimonio e altrettanto fecero diversi parroci durante le loro omelie domenicali.

Nonostante gli episodi riportati, il rapporto di collaborazione tra lo Stato Fascista e la Chiesa durante l’intero ventennio non fu sempre pienamente positivo e idilliaco poiché, come ha rilevato Quazza, fu accompagnato da connotazioni ambivalenti, momenti di tensione e diverse sfumature. Queste ambiguità e ambivalenze sono molto evidenti quando si tiene conto che mentre da un lato le autorità del regime formalmente rendevano omaggio e manifestavano rispetto alla Chiesa, dall’altro s’impegnavano per sottrarle il controllo della gioventù e per l'eliminazione di tutte le forze cattoliche che si opponevano ai loro progetti politici. In quest'ambito si collocano tutte le iniziative delle autorità fasciste contro l’Azione Cattolica che era il principale strumento di cui si serviva la Chiesa per imprimere il suo segno sull’educazione religiosa giovanile. I gerarchi fascisti la guardavano sempre con notevole sospetto poiché la ritenevano un’istituzione concorrente che intralciava contro la loro ambizione di assicurarsi il monopolio dell'educazione dei giovani. Le violenze squadristiche contro alcune sedi dell’Azione Cattolica iniziarono nel 1921 e proseguirono nei primi anni del ventennio. In seguito si attenuarono ma dallo scontro fisico si passò a quello legale poiché le violenze furono sostituite dai decreti e le leggi che avevano il fine di sciogliere i gruppi cattolici giovanili. Uno dei primi provvedimenti che autorizzava lo scioglimento dell'Azione Cattolica fu il regio decreto del 9/1/1927. Dopo la sua promulgazione nacque un duro scontro con le autorità ecclesiastiche e il papa Pio XI con l'enciclica "Non abbiamo bisogno" prese posizione contro il regime. Mussolini per non compromettere il buon esito dei Patti Lateranensi fu costretto a fare marcia indietro e a ritirare il decreto. Nonostante questo tentativo conciliante, i contrasti tra la Santa Sede e il Regime a causa dell’Azione Cattolica non si attenuarono, ripresero tra il 1930 e il 1931 e, Mussolini emanò un nuovo decreto di scioglimento dei circoli della gioventù e delle federazioni universitarie cattoliche. 

Negli anni 1938-1939 si riaccesero i contrasti tra la Chiesa e il regime a causa di nuove restrizioni e limiti imposti alle associazioni cattoliche, il divieto ai giovani di portare il distintivo di adesione alla Gioventù Italiana di Azione cattolica e le leggi razziali. In particolare, quest’ultime furono osteggiate da diversi chierici e credenti di molte località italiane poiché erano ritenute contrarie alla Chiesa che invece predica l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio. A tal proposito il 28 luglio 1938, Pio XI disse: “Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali”.

A conclusione del presente paragrafo si fa presente che QQQQdurante l’arco del ventennio, le autorità del regime impedirono al movimento cattolico di svolgere qualsiasi attività politica. Di conseguenza esso si concentrò su iniziative culturali, educative e prettamente religiose: l’apostolato degli ordini religiosi e delle congregazioni, la struttura parrocchiale, delle associazioni giovanili ed altro.

 

L’Abruzzo e il fascismo

In Abruzzo le prime sedi fasciste iniziarono ad essere fondate agli inizi del 1921 ma l’affermazione definitiva del movimento in regione avvenne negli anni successivi. Alcune sue fasi furono: il congresso regionale del partito che si organizzò a Pescara nel mese di agosto del 1922; una festa regionale organizzata nel 1923 a Castellamare Adriatico; le elezioni provinciali e politiche che si tennero in regione sino al 1924. Alcune squadre di fascisti provenienti da diverse località abruzzesi parteciparono anche alla marcia di Roma[1].

In Abruzzo il fascismo assunse propri connotati e caratteristiche specifiche. A tal proposito, Amodei ha fatto presente che “Il fascismo abruzzese si caratterizzò per due fattori specifici. In primo luogo, per il rapporto strettissimo con il notabilato locale, che intese il fascismo come uno strumento di mantenimento dello status quo, delle proprie posizioni e dei propri poteri. Lo stesso fascismo, d’altro canto, si servì delle reti locali preesistenti l’avvento del fascismo nella regione come cinghia di trasmissione tra potere centrale e humus locale. Nella città di Chieti, per esempio, il notabilato aveva guidato il fascismo al potere e cogestì l’azione politica con i rappresentanti fascisti: prima dello scioglimento del Consiglio Provinciale, nel 1926, i liberali detenevano il governo della provincia mentre i fascisti reggevano la città[2]. Ad ulteriore precisazione di questi connotati Amodei aggiunge altre importanti osservazioni. Nella prima di esse ha fatto presente che il fascismo in Abruzzo “conservò, nel piano locale e non solo, le normali distinzioni cetuali, gli antagonismi personali e i tradizionali privilegi accordati agli elementi di spicco del tessuto sociale microlocale”[3]. Nella sua seconda osservazione lo studioso ha affermato che “Nelle sue prime fasi di affermazione, il fascismo abruzzese scelse di acquisire una precisa identità: quella di forza patriottica, oppositrice di qualsiasi politica internazionalista che mettesse in secondo piano, relativizzandoli, gli interessi regionali e nazionali[4].

In Abruzzo durante le elezioni politiche del 1924, il fascismo ottenne un largo successo elettorale con circa l’86% dei consensi a suo favore. L’anno dopo il prefetto di Chieti al fine di giustificare l’ampio successo che il partito raggiunse in Provincia scrisse: “Per naturale inclinazione e per innata tendenza queste popolazioni sono propense a seguire il partito che comanda, che assicura ordine e disciplina per potersi dedicare assiduamente al lavoro ed alle cure della famiglia che qui ha salde radici. A ciò si aggiunga il profondo sentimento di amor patrio e di devozione alla monarchia ed alle istituzioni che ci reggono. È naturale quindi che il partito fascista che tali principi esalta, sostiene e difende ad oltranza raccolga ovunque consensi[5].

Dopo questi momenti iniziali anche in Abruzzo il fascismo continuò la sua affermazione e perseguì una politica completamente ispirata ed aderente alle finalità nazionali.

 

13 dicembre 2023

Marino Valentini, Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo.


Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo
di Marino Valentini


Esattamente 45 anni fa Chieti e l'Abruzzo vennero visitati dagli alieni.
Verso la fine degli anni ’70 il mondo trattò, parodiando il famoso Triangolo delle Bermude , il fenomeno del triangolo italiano extraterrestre che si trovava nella nostra regione ed anche Chieti fu interessata da questo inspiegabile caso.
Il triangolo si estendeva dalle coste meridionali delle Marche fino a quelle dell'Abruzzo chietino, avendo come vertice il Gran Sasso. Strani episodi si registrarono a cadenza giornaliera, avvistamenti nel cielo e nel mare di globi luminosi, di colonne colorate d'acqua che si alzavano per venti metri, addirittura pure la morte di due esperti marinai affondati al largo di Martinsicuro col loro peschereccio, il cui decesso non venne mai chiarito per quali cause, certamente non per annegamento, fenomeni magnetici inspiegabili con radar oscurati, bussole impazzite strane interferenze sulle tv e sugli apparecchi radio, non solo quelli civili ma anche quelli ad uso delle forze dell'ordine, insomma fatti inspiegabili si registrarono un po' in tutta la Regione, Chieti compresa: era il 1978 e fu l'anno degli Ufo in Abruzzo.
Gli episodi furono tantissimi e forse è il caso di ricordare quelli che riguardarono la nostra città, soprattutto negli ultimi mesi dell'anno, tenendo presente che i fenomeni poi si arrestarono di colpo ma gli "alieni" torneranno negli anni successivi, anche nel secolo attuale, a visitare la città di Achille.
Intanto è importante la testimonianza di José Maria Alegre, un giornalista spagnolo di un giornale catalano che il suo redattore di Barcellona mandò in Abruzzo per scoprire cosa accadeva in questa parte d'Italia, al centro dell'attenzione mondiale sugli avvistamenti di Ufo.
Alegre stabilì la propria base operativa proprio a Chieti, dove un nostro concittadino lo ospitò; il giornalista era uno scettico ed arrivò in Abruzzo per fare un reportage pensando trattarsi di fenomeni naturali che solo l'autosuggestione e una voglia di protagonismo accreditavano come di derivazione aliena, ma sarà a ricredersi. Il reporter spagnolo cominciò ad interrogare le persone e i pescatori e venne colpito da una caratteristica comune in tutti gli intervistati: la paura nel narrare quei fatti.
A fine novembre Alegre si trovava sul balcone di un condominio di Chieti perché il suo amico gli aveva assicurato che da diverse sere assisteva ad avvistamenti di luci in movimento nel cielo di Chieti e forse gli stessi fenomeni avrebbero potuto replicarsi anche in quella sera.
Infatti arrivarono puntuali i viaggiatori dello spazio e Alegre, armato di macchina fotografica, teleobiettivo e attrezzatura capace di scattare anche foto ad infrarossi, fotografò gli ufo di Chieti, foto che poi vennero pubblicate sul Catalunya Expres di Barcellona. Il giornalista, nonostante l’iniziale suo scetticismo, si dichiarò impressionato dagli avvenimenti abruzzesi e dall'avvistamento avvenuto davanti al suo teleobiettivo; ecco la sua testimonianza pubblicata sul giornale: «Mi trovavo a casa di un amico di Chieti (Abruzzo) che mi aveva invitato per farmi assistere al fenomeno poiché lui lo aveva già osservato con un binocolo. Oltre al padrone di casa e a sua moglie vi erano altre quattro persone in casa. Non erano stelle. Lo posso dire con certezza perché nel luogo dove mi trovavo potevo osservare chiaramente dei movimenti molto lenti ma evidenti. Erano due oggetti luminosi ad una distanza considerevole e che mi fu possibile fotografare con il teleobiettivo. Al principio erano di un colore chiaro e di intensità variabile, a volte notevole. Entrambi presentavano dei riflessi rossi e verdi ugualmente intensi ma l'alternanza di questa mutazione dei colori non era regolare».
Di seguito si riportano le testimonianze di avvistamenti avvenuti nel cielo di Chieti: alle 22:30 del 13/11/78, il centralino del 113 di Chieti cominciò a registrare numerose chiamate di cittadini che segnalavano avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Il maresciallo di PS Formichetti e l'appuntato Chiola, in servizio notturno presso la sala operativa, nel palazzo della Prefettura di Chieti, si recarono nella stanza più alta e panoramica. Notarono qualcosa di luminoso nel cielo, sospeso in lontananza in direzione nord-est, approssimativamente sulla perpendicolare di Silvi Marina, che emetteva fasci di luce di differenti colori, alternativamente: sembrarono segnali dettati, tipo linguaggio Morse. I colori di questi fasci mutarono dal blu al viola, al rosso e al giallo.
Contemporaneamente notarono un altro oggetto in direzione Gran Sasso, molto più visibile dell'altro, che emetteva fasci molto intensi di luce tra il giallo chiaro ed il bianco. Nel frattempo l'oggetto sul mare cominciò a muoversi verso sud est. Tali avvistamenti continuarono ad essere avvertiti dalla popolazione di Chieti per tre/quattro notti di seguito e tantissimi testimoniarono i fatti, tra i quali il Dott. Verdenelli, corrispondente de Il Messaggero che scattò alcune foto in bianco e nero pubblicate sul suo quotidiano; lo stesso oggetto venne osservato anche dal giornalista Maurizio Pervenegri dello stesso giornale, che curò un altro articolo a sua firma.
Ma è dicembre il mese degli avvistamenti su Chieti, sin dal primo giorno quando venne avvistata una coppia di corpi celesti che cambiarono colore, spostandosi lentamente in direzione di Venere, il 5 notte alcuni giovani, che si trovavano lungo una strada della periferia di Chieti, avvistarono un disco luminoso che atterrò a poca distanza da loro per poi ripartire velocemente.
Il 12 dicembre il prof. Antonio Campana (da me conosciuto personalmente, per il quale posso mettere le mani sul fuoco sulla sua assoluta onestà e serietà), alle ore 10 avvistò a Chieti per parecchio tempo una sfera luminosa che emetteva fasci di luce intensa. Nella notte dello stesso giorno il giornalista Massimo Pirozzi avvistò a Chieti un oggetto luminoso in direzione est (mare) che si spostava rapidamente verso sud, per poi scomparire di colpo subito dopo aver virato verso est.
Nella stessa notte alcuni testimoni osservarono a Chieti un gigantesco oggetto che descrissero come un "palazzo illuminato" che si sollevò in cielo verso il Gran Sasso. Tra le 6 e le 6:30 del 13 dicembre il corrispondente de Il Tempo Giampiero Perrotti osservò e fotografò un oggetto luminoso in lento movimento da Sud est a Nord Ovest. Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre un ragazzo di 14 anni di Chieti (Mauro Pettinelli) avvistò e fotografò da casa sua un corpo luminoso avente l'aspetto di una grossa macchia ad ellisse emanante luci colorate.
Il 18 dicembre da Chieti diversi cittadini notarono un corpo luminoso sferico in cielo circondato da un alone, in quel momento il direttore della sede Rai di Pescara, Edoardo Tiboni, assistette allo stesso fenomeno notando che l'oggetto si era nel frattempo posizionato sulla verticale delle antenne Rai di San Silvestro.
Dopo dicembre gli avvistamenti cessarono ma gli ufo fecero ritorno nell'estate successiva, quando il 7 agosto del 79 alle 11:30 un paio di pattuglie della squadra mobile di Chieti, avvisate dalla centrale operativa che aveva ricevuto numerose telefonate dai cittadini, avvistarono sulla verticale di Chieti Scalo un oggetto luminoso che sprigionava scintille: il fenomeno durò circa mezzora.
Gli altri avvistamenti: 4/9/85, verso mezzogiorno due studenti fotografarono un oggetto discoidale con cupola che si spostava rapidamente sul cielo di Chieti. 2/8/87, alle ore 1:15 a Chieti due giovani, che si trovavano all'aperto, di notte guardarono in cielo, vedendo passare un oggetto sferico giallo con scia rossa che si diresse veloce verso il mare, rimanendo visibile per almeno mezzo minuto.
27 gennaio 93, ore 22, diversi cittadini di Chieti videro sul versante chietino della Majella un lampo luminoso, poi una scia luminosa che si alzava in cielo, come un razzo di segnalazione, alzandosi ed abbassandosi per alcuni secondi prima di scomparire. La stessa scena venne testimoniata da cittadini di Guardiagrele, Rapino e Pennapiedimonte e perfino da chi in quel momento percorreva l'autostrada; c'è chi adombrò il sospetto che si sia trattato di un "lampo sismico", un fenomeno naturale simile all'aurora boreale ma certamente più raro di un avvistamento di ufo.
15/9/95, ore 11:30, un commerciante di Chieti Scalo e un suo cliente osservarono stupiti in cielo dalla vetrata del negozio una luce discoidale intensissima, di un bianco accecante, che dopo aver cambiato forma diventando una specie di palla, aveva compiuto alcuni movimenti, allontanandosi in meno di un minuto.

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Gruppo Magia. Abruzzesistica.info. Raccolta, catalogazione e digitalizzazione di materiali per la conoscenza dell’Abruzzo e dell’abruzzesistica (storia, bibliografia, fotografie, voci e immagini, documenti d’epoca, pubblicazioni antiche e moderne.

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11 dicembre 2023

Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween.

Particolare del quadro votivo offerto dalle parrocchie di Perloz e Lillianes, 1685

 Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween

di Angelo Iocco

Se qualcuno legge la novella aprente della raccolta Trecce Nere di Domenico Ciampoli, con l’identico titolo del volumetto, Tip. Treves, Milano, 1891, potrà piacevolmente ammirare le suggestioni dello storico atessano, nel riportare un’antica tradizione di Canzano nel teramano la notte di Ognissanti, quando nell’aia di una stalla i paesani banchettano insieme in onore dei Morti, aspettando che i defunti passino a far visita nel mondo dei vivi. Una suggestione premonitrice per la triste fine della ragazza protagonista, leggiamo insieme uno stralcio:

C’era il pranzo de’ morti e la fiaccolata. Secondo il costume, la mamma e Mariuccia si dettero un gran da fare per imbandire in mezzo alla casa una gran mensa: di quella notte le anime de’ parenti vengono a visitarci e per ognuno dev’essere un posto a tavola: a dritta le femmine, a mancina i maschi, a capo i nonni, in fondo i bambini; e come tutto è pronto, si spegne il fuoco, versando dell’acqua sui tizzoni e sulla brace: forse pensano che al mondo di là qualcuno può averne troppo, di fuoco. Poi si recitano le preghiere pe’ morti. A mezzanotte s’ode uno scampanio improvviso, un urlio terribile: tutte le finestre delle case illuminate, per le vie buie una turba di gente che grida, va picchiando gli usci, e porta in mano tante fiaccole strane: sono canne o pali in capo a’ quali è un teschio vuoto, dalle cui occhiaie esce la luce d’una candeletta; teschio, per così dire, ma in verità è una zucca bucata che ne fa le veci.”

Suggestioni che il Ciampoli in prima persona, nelle sue contrade, dovette vedere, e di cui si servì, sulla scorta degli studi dei suoi amici etnologi De Nino e Finamore. Si tratta di una delle più antiche testimonianze letterarie scritte sul Culto dei Morti in Abruzzo.

Halloween non è altro che la semplificazione di "All Hallows' Eve" = la vigilia di Tutti i Santi.

Molte delle nostre feste o ricorrenze (anche quelle religiose come Natale, Pasqua) sono incardinate a riti e tradizioni di origine pagana.

Il 25 dicembre, per esempio, è in realtà la antichissima festa del Sol Invictus, collegata al culto del dio Mitra.

Le nostre più belle Chiese sono state costruite su antichi templi pagani.

Gli aspetti di natura commerciale hanno abbondantemente condizionato tutte le nostre feste, comprese quelle considerate religiose.

La Festa di Halloween è una della celebrazioni più sentite e diffuse in tutto il mondo.

Per curiosità culturale, questa è la storia delle manifestazioni della notte di Ognissanti, con riti presenti da secoli anche sul territorio italiano.

Alcune ricerche in proposito raccontano che in varie regioni viene celebrata dalla notte dei tempi.

Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i primi Cristiani, vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore.

A Massafra in provincia di Taranto gli anziani raccontano che il 31 ottobre i morti di notte escono dal cimitero in processione e percorrono le vie del paese vecchio con il dito acceso a mo’ di candela. Se incontrano un passante che va al mattino presto a lavorare lo uccidono e lo portano con sé. Queste anime del purgatorio entrano nelle chiese per celebrare messa. Una leggenda narra che una volta un vivo entrò in chiesa e quando il prete si girò per la benedizione verso la navata, il vivo si accorse che non aveva il naso e solo allora fu sopraffatto dagli altri morti.

Le anime del purgatorio erano molto rispettate nelle case dei nonni. Oltre ad un’apposita preghiera pronunciata ogni giorno durante il Rosario, veniva loro riservato tutto l’anno un coperto vuoto a tavola, con tanto di sedia, forchetta o cucchiaio e tovagliolo. Le anime del purgatorio ritornano nel cimitero la notte dell’Epifania.

Vittorio Monaco, per quanto riguarda l’area Peligna e la Valle di Sulmona, raccolse diverse usanze, ispirandosi anche a quanto già scritto dal suo predecessore Antonio De Nino negli Usi e costumi abruzzesi, in Capetièmpe – Capodanni d’Abruzzo, Textus, L’Aquila 2011. Il volume in forma ciclica ripercorre le tradizioni dell’avvio di un periodo dell’anno, partendo dal Capetiempe dell’Ognissanti, arrivando all’Avvento di Natale, al Capodanno e all’Epifania, per concludere con Sant’Antonio abate e i riti della Santa Pasqua.

A SULMONA, si svolgeva il 2 novembre l’ufficio funebre più singolare, durato fino alla fine del 1800, il BANCHETTO FUNEBRE che ricordava la tradizione celtica e anche romana. La città seguiva “la processione” fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi la baldoria. Questo rientrava in quella concezione secondo cui il defunto potesse godere ancora dei piaceri della vita sprigionati accanto a lui. I giovani, durante la notte, scarabocchiavano tibie e teschi con gesso bianco sulle porte delle case per dire che i morti erano stati lì quella notte, come riporta De Nino nel I vol. degli Usi abruzzesi, 1879, con un rito simile all’Halloween che oggi conosciamo, anche se il motivo era differente da quello goliardico e consumistico. Le antiche usanze sono riportate in una bellissima e lunga poesia di Francesco Simonetti: Sulmona nei riti religiosi, Angeletti, Sulmona, 1901, ritrascritta in Sulmona Città d’arte e di poeti, a cura di E. Mattiocco, G. Papponetti, Carsa, Pescara, 1996.

 


Fino agli anni ‘40 a PRATOLA PELIGNA, nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato di farina bussavano alle porte delle case.