14 febbraio 2024
Pasquale Celommi, "La tarantella", 1878.
Pasquale Celommi, (Montepagano, 6 gennaio 1851 – Roseto degli Abruzzi, 9 agosto 1928)
"La tarantella", 1878
Olio su tela, cm 43,5x60
Collezione privata.
Canzoni abruzzesi. Coro folkloristico Giulio Sigismondi, 1980.
8 febbraio 2024
Pasquale Celommi, "La tarantella", 1878.
Pasquale Celommi, (Montepagano, 6 gennaio 1851 – Roseto degli Abruzzi, 9 agosto 1928)
Olio su tavola, cm 40x67
Collezione privata.
4 febbraio 2024
Raffaello Celommi “Preparativi per la pesca”.
Raffaello Celommi (Firenze, 1881 – Roseto degli Abruzzi, 1957)
“Preparativi per la pesca”
Piatto in ceramica - Bontempo ceramiche.
30 gennaio 2024
Pasquale Celommi, Ritorno dalla pesca.
Pasquale Celommi, (Montepagano 1851 - Roseto degli Abruzzi 1928)
"Ritorno dalla pesca"
Olio su tela
Collezione privata.
Pasquale Celommi, Ritorno dalla pesca.
"Ritorno dalla pesca"
Olio su tela, cm 63 x 112,8
Collezione privata.
Abruzzo Terra d'oro. Folklore abruzzese, De Rosa - Di Nella.
14 gennaio 2024
Lamberto De Carolis, Maestro, musica. Piccola storia delle bande d'Abruzzo.
10 gennaio 2024
Omaggio al Prof. Giuseppe Profeta (1924-2024)
Il 6 gennaio del 2024, a quasi cent’anni, se ne è andato Giuseppe Profeta, per molti anni professore ordinario di Discipline Demoetnoantropologiche in diversi Atenei italiani. Il decesso è avvenuto nella sua casa-museo di Teramo, piena di collezioni di oggetti antropologici, costituite da quasi cinquemila bottiglie e vasi antropomorfi.
Nato nel 1924 ad Arsita (TE), nipote di mezzadri e figlio di un sarto, diventa maestro e direttore didattico, seguendo contemporaneamente le lezioni di Paolo Toschi a Roma, consegue la libera docenza in Storia delle tradizioni popolari e ben presto arriva all’ordinariato in Sociologia generale e Demo-Etno-Antropologia. Insegna nelle Università della Calabria, dell’Aquila, di Chieti e di Teramo; dirige istituti universitari; è preside di Facoltà. Dirige, per oltre un ventennio, la sezione italiana della Internationale Volkskundliche Bibliographie, coordina collane e presiede la Federazione Italiana Tradizioni Popolari. Al pensionamento viene onorato con l’opera Centiscriptio, curata da Marcello De Giovanni.
Le sue ricerche si incentrano sull’Abruzzo, a cominciare dai Canti nuziali nel folklore italiano (Olschki, 1964), per continuare con la Bibliografia delle tradizioni popolari abruzzesi (Ed. dell’Ateneo, 1964), tema ripreso quarant’anni dopo con la monumentale Bibliografia della cultura tradizionale del popolo abruzzese (Colacchi, 2005). Si segnala soprattutto La logica del recipiente e l’antropomorfismo vascolare (Olschki, 1973), ripubblicato nel 2020 con prefazione di Pietro Clemente.
Giuseppe Profeta studia il culto di San Domenico abate a Cocullo, del quale, tramite un profondo lavoro d’archivio, individua motivazioni e funzioni. Un culto pastorale sull’Appennino (Libreria dell’Università, 1988), Lupari, incantatori di serpenti e santi guaritori (Japadre, 1995), Il serpente sull’altare. Ecologia e demopsicologia di un culto (Japadre, 1998), e S. Domenico abate di Sora e di Cocullo (Colacchi, 2011), che nel 2014 ottiene il Premio Costantino Nigra, sono lavori molto apprezzati da Alfonso M. di Nola e che ci riportano, oggi, al lessico demologico di cui è intessuta la storia dell’antropologia italiana. Importanti, in tal senso, sono le pagine teoriche che dedica alla letteratura popolare, come Poesia e popolo nell’opera di Modesto Della Porta (1964), Magia, politica e società (1995), Le Sette Madonne Sorelle e la magnificazione del nume (1997), Le facce e l’anima del folklore. La logica della cultura tradizional-popolare (2000), Le Sette Madonne Sorelle e la magnificazione del nume. Avvio ad una demopsicologia delle credenze (Japadre, 1997).
Nel 2022, dona alla Biblioteca Regionale “Melchiorre Dèlfico” di Teramo biblioteca e archivio, dopo averli pazientemente riordinati secondo quell’intreccio sottile e raffinato tra interpretazione simbolica, materialismo culturale e museografia che contraddistingue la sua impostazione di “antropologo di altri tempi”.
9 gennaio 2024
Mare maje e Vola vola vola, Corale Verdi di Teramo, vinile LP.
Cesare De Cesaris, Acquerelli Abruzzesi, Lu Piante de le fojje.
5 gennaio 2024
Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.
Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.
Nel saggio in questione si riporta uno schema
riassuntivo delle principali vicende di vita sociale e religiosa che hanno
caratterizzato l’Abruzzo durante il ventennio fascista. Al fine di una piena e
consapevole comprensione delle vicende regionali si ritiene opportuno iniziare
la trattazione con alcuni paragrafi contenenti brevi richiami a fatti di
maggior rilevanza nazionale.
IL FASCISMO E LA
CHIESA.
L’inizio
ufficiale dell’era fascista in Italia risale al mese di ottobre del 1922,
quando dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Benito
Mussolini di formare un nuovo governo. Il 3 gennaio 1925 con un famoso discorso
alla Camera, Mussolini annunciò la nascita dello Stato totalitario che durò
ininterrottamente sino al 1943.
I rapporti
iniziali del fascismo con il cattolicesimo e i suoi rappresentanti non furono
improntati alla reciproca collaborazione e rispetto. Infatti, inizialmente il
fascismo era anticlericale e con le sue violente attività squadristiche colpì
alcuni esponenti cattolici, le leghe bianche e nel 1925 anche l’Azione
Cattolica in Emilia. In seguito l’atteggiamento dei gerarchi del regime cambiò
e il suo capo usò strumentalmente la religione cattolica per rinforzare il
potere.
Al primo gabinetto
Mussolini collaborarono varie forze politiche tra cui il partito popolare che
ottenne quattro sottosegretari e due ministeri. Dopo che nel 10 luglio 1923 don
Luigi Sturzo lasciò la segreteria del partito popolare, alcuni suoi esponenti
entrarono in quello fascista. Durante le elezioni politiche del 1924 il
movimento conservatore dei cattolici nazionali affisse per le vie di Roma un
proprio manifesto in cui invitava gli elettori ad appoggiare il fascismo.
Un’altra
componente cattolica prese le distanze dal fascismo, gli dimostrò una netta
opposizione e ne patì le conseguenze con le violenze squadristiche e il
carcere.
Nel 1922 prima
della marcia su Roma sulla rivista “Civiltà cattolica” fu pubblicato un
articolo in cui si faceva presente che il fascismo ha caratteristiche di
violenza e supera il socialismo per le prepotenze, le uccisioni e le barbarie.
A loro volta diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime
diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua
natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva
godere l'appoggio della Chiesa.
Una parte della
Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo,
alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse
un’ideologia sviluppatasi a causa
dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel
mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra sua parte, invece riteneva
che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione
della società che perseguiva il papa Pio
XI.
Durante il periodo
di dittatura ebbe una svolta politica nei riguardi della Chiesa che portò
all'abbandono di molte posizioni anticlericali assunte prima della presa del
potere. Infatti, Mussolini e le autorità del regime adottarono nei confronti
della gerarchia ecclesiastica e di tutto il mondo cattolico, un atteggiamento
conciliante e di disponibilità che contrastava con il laicismo dei governi
italiani precedenti e si tramutò in una serie di notevoli concessioni a favore
della Chiesa stessa. Tenendo conto di tutte le iniziative intraprese, si può
dire che l’avvento del fascismo fu caratterizzato dalla messa in atto una
politica che si può definire di “riconfessionalizzazione cattolica” dello Stato
che ebbe la sua massima espressione con la firma dei Patti Lateranensi avvenuta nel 1929.
Nel periodo
1923-1928 i rappresentanti del regime promulgarono varie leggi e decreti
riguardanti i rapporti con le gerarchie
ecclesiastiche che nel loro complesso produssero i seguenti effetti: 1) l’ordine
di ricollocare il crocifisso nelle aule giudiziarie, nelle caserme, nelle
scuole e in tutti gli altri uffici pubblici; 2) il ripristino tra l’elenco
delle feste civili di alcune importanti solennità religiose; 3) l’adozione e il
riconoscimento di vari benefici economici a favore del clero; 4) lo
stanziamento di una ingente cifra (tre milioni di lire dell’epoca) per il
restauro e la ricostruzione delle chiese danneggiate durante la prima guerra
mondiale; 4) l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole
di ogni ordine e grado; 5) il riconoscimento degli effetti civili del
matrimonio religioso e della relativa giurisdizione ecclesiastica; 6) la
reintroduzione dei cappellani militari nelle forze armate; 7) il salvataggio
del cattolico Banco di Roma.
Dopo queste
concessioni migliorarono i rapporti tra Stato e Chiesa, mentre la gerarchia
cattolica nel suo complesso si convinse che in Italia con l’avvento del
fascismo si erano create le condizioni necessarie per favorire il processo di
ricristianizzazione a cui ambiva il papa Pio XI. A tal proposito va rilevato
che le concezioni religiose del pontefice, per diversi aspetti si conciliavano
con le esigenze del regime poichè erano ispirate a una religiosità
caratterizzata dall'ubbidienza, l'umiltà, la rassegnazione e il rispetto per
l'ordine e la gerarchia.
Questo positivo
rapporto di collaborazione ebbe il suo importante culmine nella firma dei Patti
Lateranensi che avvenne l’11 febbraio del 1929 tra Benito Mussolini in
rappresentanza del governo italiano e il cardinale Gasparri che a sua volta
rappresentava la Santa Sede.
Con la stesura
del Concordato innanzitutto avvenne la riapertura formale dei buoni rapporti
bilaterali tra lo Stato Italiano e l’autorità pontificia. Inoltre dopo circa sessanta
anni rinasceva uno “Stato della Chiesa” indipendente e riconosciuto da quello
italiano che fu sottoposto all’esclusiva autorità della Santa Sede, fu chiamato
Città del Vaticano e comprendeva i Palazzi del Vaticano, il Laterano e la villa
papale di Castel Gandolfo. In questo modo fu chiusa la questione romana apertasi nel 1870 con
la presa di Roma. Il secondo importante aspetto dei Patti Lateranensi riguarda
il fatto che lo Stato Italiano cessava di essere laico e neutrale in campo
religioso e diventava confessionale poiché riconosceva il cattolicesimo come
religione di stato. Di conseguenza il suo insegnamento fu reso obbligatorio in
tutte le scuole di ogni ordine e grado. La Chiesa ottenne il riconoscimento del
libero esercizio del potere spirituale, del culto, della legislazione
ecclesiastica, della validità agli effetti civili del matrimonio religioso,
della libera comunicazione con tutto il mondo cattolico e della sua richiesta
d’impedire ai sacerdoti scomunicati di insegnare nelle scuole e nelle
università statali. L’ultimo aspetto riguarda una Convenzione finanziaria che impegnava lo Stato Italiano a versare alle
casse vaticane l’ingente cifra di 750 milioni di lire e una rendita perpetua, a
titolo d’indennizzo per la perdita di tutti i proventi che le autorità
pontificie ricavavano dallo Stato della Chiesa prima del 1860.
Le concessioni del regime alla Chiesa
continuarono anche dopo il Concordato. Infatti, il nuovo Codice Civile Rocco del 1930, con
gli articoli dal 402 al 406 riconobbe come reati perseguibili penalmente tutte
le offese fatte nei confronti della Chiesa Cattolica e il sentimento religioso
degli italiani.
L’universo
ecclesiastico dopo le concessioni fasciste ricambiò i favori con diversi
appoggi, riconoscimenti e valutazioni positive sulle personalità e gli operati
del regime. Infatti, dopo il Concordato, molti ordinari diocesani diffusero
lettere pastorali d’invito alla collaborazione con le autorità fasciste. A sua
volta il papa Pio XI definì Mussolini "L'Uomo della Provvidenza" poiché
a suo avviso ebbe il merito di riconoscere e riportare alla ribalta i veri ed
autentici valori nazionali quali erano quelli cristiano-cattolici. Inoltre
l'apparato ecclesiastico mise a disposizione del regime le proprie forze e
collaborò alla realizzazione di molte sue iniziative. Una prova tangibile di
questo rapporto collaborativo è rappresentata dalla figura dell'assistente
spirituale esercitata da un sacerdote che la gerarchia cattolica mise a
disposizione di tutte le organizzazioni fasciste che la prevedevano.
Anche i parroci
in questo periodo storico, per motivi vari collaborarono frequentemente con le
autorità del regime. Infatti, spesso erano invitati a partecipare alle loro
manifestazioni, a far suonare le campane in occasione di alcune solennità
civili fasciste e a benedire le bandiere, i gagliardetti e le sedi del partito.
Nel 1935 in molte diocesi nazionali fu organizzata la raccolta di metalli
preziosi per la patria. Inoltre in occasione della guerra d'Etiopia molti
ordinari e parroci appoggiarono l'impresa coloniale e dopo la sua conclusione
bandirono quasi una crociata per la civilizzazione e cristianizzazione della
popolazione abissina.
Mussolini e i
suoi gerarchi si servirono della Chiesa per l’appoggio ad altre loro iniziative
e campagne propagandistiche tra cui quella dello sviluppo demografico. In
questo caso tutti i giornali dell'epoca fiancheggiatori del regime per
invogliare le coppie italiane a una maggiore procreatività ricordavano spesso i
canoni e le leggi ecclesiastiche riguardanti la famiglia e il matrimonio e
altrettanto fecero diversi parroci durante le loro omelie domenicali.
Nonostante gli
episodi riportati, il rapporto di collaborazione tra lo Stato Fascista e la
Chiesa durante l’intero ventennio non fu sempre pienamente positivo e idilliaco
poiché, come ha rilevato Quazza, fu accompagnato da connotazioni ambivalenti,
momenti di tensione e diverse sfumature. Queste ambiguità e ambivalenze sono
molto evidenti quando si tiene conto che mentre da un lato le autorità del regime
formalmente rendevano omaggio e manifestavano rispetto alla Chiesa, dall’altro
s’impegnavano per sottrarle il controllo della gioventù e per l'eliminazione di
tutte le forze cattoliche che si opponevano ai loro progetti politici. In
quest'ambito si collocano tutte le iniziative delle autorità fasciste contro
l’Azione Cattolica che era il principale strumento di cui si serviva la Chiesa
per imprimere il suo segno sull’educazione religiosa giovanile. I gerarchi
fascisti la guardavano sempre con notevole sospetto poiché la ritenevano
un’istituzione concorrente che intralciava contro la loro ambizione di
assicurarsi il monopolio dell'educazione dei giovani. Le violenze squadristiche
contro alcune sedi dell’Azione Cattolica iniziarono nel 1921 e proseguirono nei
primi anni del ventennio. In seguito si attenuarono ma dallo scontro fisico si
passò a quello legale poiché le violenze furono sostituite dai decreti e le
leggi che avevano il fine di sciogliere i gruppi cattolici giovanili. Uno dei
primi provvedimenti che autorizzava lo scioglimento dell'Azione Cattolica fu il
regio decreto del 9/1/1927. Dopo la sua promulgazione nacque un duro scontro
con le autorità ecclesiastiche e il papa Pio XI con l'enciclica "Non
abbiamo bisogno" prese posizione contro il regime. Mussolini per non compromettere il buon esito dei Patti Lateranensi fu costretto a fare
marcia indietro e a ritirare il decreto. Nonostante questo tentativo
conciliante, i contrasti tra la Santa Sede e il Regime a causa dell’Azione
Cattolica non si attenuarono, ripresero tra il 1930 e il 1931 e, Mussolini
emanò un nuovo decreto di scioglimento dei circoli della gioventù e delle
federazioni universitarie cattoliche.
Negli anni
1938-1939 si riaccesero i contrasti tra la Chiesa e il regime a causa di nuove
restrizioni e limiti imposti alle associazioni cattoliche, il divieto ai
giovani di portare il distintivo di adesione alla Gioventù Italiana di Azione
cattolica e le leggi razziali. In particolare, quest’ultime furono osteggiate
da diversi chierici e credenti di molte località italiane poiché erano ritenute
contrarie alla Chiesa che invece predica l'uguaglianza di tutti gli uomini
davanti a Dio. A tal proposito il 28 luglio
1938, Pio XI disse: “Il genere umano non è che una sola e
universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali”.
A conclusione del presente paragrafo si fa presente che QQQQdurante l’arco del ventennio, le autorità del regime impedirono al movimento cattolico di svolgere qualsiasi attività politica. Di conseguenza esso si concentrò su iniziative culturali, educative e prettamente religiose: l’apostolato degli ordini religiosi e delle congregazioni, la struttura parrocchiale, delle associazioni giovanili ed altro.
L’Abruzzo e il fascismo
In
Abruzzo le prime sedi fasciste iniziarono ad essere fondate agli inizi del 1921
ma l’affermazione definitiva del movimento in regione avvenne negli anni
successivi. Alcune sue fasi furono: il congresso regionale del partito che si
organizzò a Pescara nel mese di agosto del 1922; una festa regionale
organizzata nel 1923 a Castellamare Adriatico; le elezioni provinciali e
politiche che si tennero in regione sino al 1924. Alcune squadre di fascisti
provenienti da diverse località abruzzesi parteciparono anche alla marcia di
Roma[1].
In Abruzzo il
fascismo assunse propri connotati e caratteristiche specifiche. A tal
proposito, Amodei ha fatto presente che “Il fascismo abruzzese si
caratterizzò per due fattori specifici. In primo luogo, per il rapporto
strettissimo con il notabilato locale, che intese il fascismo come uno
strumento di mantenimento dello status quo, delle proprie posizioni e dei propri
poteri. Lo stesso fascismo, d’altro canto, si servì delle reti locali
preesistenti l’avvento del fascismo nella regione come cinghia di trasmissione
tra potere centrale e humus locale. Nella città di Chieti, per esempio, il
notabilato aveva guidato il fascismo al potere e cogestì l’azione politica con
i rappresentanti fascisti: prima dello scioglimento del Consiglio Provinciale,
nel 1926, i liberali detenevano il governo della provincia mentre i fascisti
reggevano la città” [2]. Ad
ulteriore precisazione di questi connotati Amodei aggiunge altre importanti
osservazioni. Nella prima di esse ha fatto presente che il fascismo in Abruzzo
“conservò, nel piano locale e non solo, le normali distinzioni cetuali, gli
antagonismi personali e i tradizionali privilegi accordati agli elementi di
spicco del tessuto sociale microlocale”[3].
Nella sua seconda osservazione lo studioso ha affermato che “Nelle sue prime
fasi di affermazione, il fascismo abruzzese scelse di acquisire una precisa
identità: quella di forza patriottica, oppositrice di qualsiasi politica
internazionalista che mettesse in secondo piano, relativizzandoli, gli
interessi regionali e nazionali” [4].
In Abruzzo
durante le elezioni politiche del 1924, il fascismo ottenne un largo successo
elettorale con circa l’86% dei consensi a suo favore. L’anno dopo il prefetto
di Chieti al fine di giustificare l’ampio successo che il partito raggiunse in
Provincia scrisse: “Per naturale inclinazione e per innata tendenza queste
popolazioni sono propense a seguire il partito che comanda, che assicura ordine
e disciplina per potersi dedicare assiduamente al lavoro ed alle cure della
famiglia che qui ha salde radici. A ciò si aggiunga il profondo sentimento di
amor patrio e di devozione alla monarchia ed alle istituzioni che ci reggono. È
naturale quindi che il partito fascista che tali principi esalta, sostiene e
difende ad oltranza raccolga ovunque consensi”[5].
Dopo questi
momenti iniziali anche in Abruzzo il fascismo continuò la sua affermazione e
perseguì una politica completamente ispirata ed aderente alle finalità
nazionali.
2 gennaio 2024
18 dicembre 2023
13 dicembre 2023
Marino Valentini, Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo.
Gruppo Magia. Abruzzesistica.info. Raccolta, catalogazione e digitalizzazione di materiali per la conoscenza dell’Abruzzo e dell’abruzzesistica (storia, bibliografia, fotografie, voci e immagini, documenti d’epoca, pubblicazioni antiche e moderne.
12 dicembre 2023
11 dicembre 2023
Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween.
Particolare del quadro votivo offerto dalle parrocchie di Perloz e Lillianes, 1685 |
Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween
di Angelo Iocco
Se qualcuno legge la novella aprente della raccolta Trecce Nere di
Domenico Ciampoli, con l’identico titolo del volumetto, Tip. Treves, Milano,
1891, potrà piacevolmente ammirare le suggestioni dello storico atessano, nel
riportare un’antica tradizione di Canzano nel teramano la notte di Ognissanti,
quando nell’aia di una stalla i paesani banchettano insieme in onore dei Morti,
aspettando che i defunti passino a far visita nel mondo dei vivi. Una
suggestione premonitrice per la triste fine della ragazza protagonista,
leggiamo insieme uno stralcio:
“C’era
il pranzo de’ morti e la fiaccolata. Secondo il costume, la mamma e Mariuccia
si dettero un gran da fare per imbandire in mezzo alla casa una gran mensa: di
quella notte le anime de’ parenti vengono a visitarci e per ognuno dev’essere
un posto a tavola: a dritta le femmine, a mancina i maschi, a capo i nonni, in
fondo i bambini; e come tutto è pronto, si spegne il fuoco, versando dell’acqua
sui tizzoni e sulla brace: forse pensano che al mondo di là qualcuno può averne
troppo, di fuoco. Poi si recitano le preghiere pe’ morti. A mezzanotte s’ode
uno scampanio improvviso, un urlio terribile: tutte le finestre delle case
illuminate, per le vie buie una turba di gente che grida, va picchiando gli
usci, e porta in mano tante fiaccole strane: sono canne o pali in capo a’ quali
è un teschio vuoto, dalle cui occhiaie esce la luce d’una candeletta; teschio,
per così dire, ma in verità è una zucca bucata che ne fa le veci.”
Suggestioni che il Ciampoli in prima persona, nelle sue contrade, dovette vedere, e di cui si servì, sulla scorta degli studi dei suoi amici etnologi De Nino e Finamore. Si tratta di una delle più antiche testimonianze letterarie scritte sul Culto dei Morti in Abruzzo.
Halloween non è altro che la semplificazione di "All Hallows' Eve" = la vigilia di Tutti i Santi.
Molte delle nostre feste o ricorrenze (anche quelle religiose come Natale,
Pasqua) sono incardinate a riti e tradizioni di origine pagana.
Il 25 dicembre, per esempio, è in realtà la antichissima festa del Sol
Invictus, collegata al culto del dio Mitra.
Le nostre più belle Chiese sono state costruite su antichi templi pagani.
Gli aspetti di natura commerciale hanno abbondantemente condizionato tutte
le nostre feste, comprese quelle considerate religiose.
La Festa di Halloween è una della celebrazioni più sentite e diffuse in
tutto il mondo.
Per curiosità culturale, questa è la storia delle manifestazioni della
notte di Ognissanti, con riti presenti da secoli anche sul territorio italiano.
Alcune ricerche in proposito raccontano che in varie regioni viene
celebrata dalla notte dei tempi.
Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i
primi Cristiani, vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato
“pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai
defunti del donatore.
A Massafra in provincia di Taranto gli anziani raccontano che il 31 ottobre
i morti di notte escono dal cimitero in processione e percorrono le vie del
paese vecchio con il dito acceso a mo’ di candela. Se incontrano un passante
che va al mattino presto a lavorare lo uccidono e lo portano con sé. Queste
anime del purgatorio entrano nelle chiese per celebrare messa. Una leggenda
narra che una volta un vivo entrò in chiesa e quando il prete si girò per la
benedizione verso la navata, il vivo si accorse che non aveva il naso e solo
allora fu sopraffatto dagli altri morti.
Le anime del purgatorio erano molto rispettate nelle case dei nonni. Oltre
ad un’apposita preghiera pronunciata ogni giorno durante il Rosario, veniva
loro riservato tutto l’anno un coperto vuoto a tavola, con tanto di sedia,
forchetta o cucchiaio e tovagliolo. Le anime del purgatorio ritornano nel
cimitero la notte dell’Epifania.
Vittorio Monaco, per quanto riguarda l’area Peligna e la Valle di Sulmona, raccolse diverse usanze, ispirandosi anche a quanto già scritto dal suo predecessore Antonio De Nino negli Usi e costumi abruzzesi, in Capetièmpe – Capodanni d’Abruzzo, Textus, L’Aquila 2011. Il volume in forma ciclica ripercorre le tradizioni dell’avvio di un periodo dell’anno, partendo dal Capetiempe dell’Ognissanti, arrivando all’Avvento di Natale, al Capodanno e all’Epifania, per concludere con Sant’Antonio abate e i riti della Santa Pasqua.
A SULMONA, si svolgeva il 2 novembre l’ufficio funebre più singolare, durato fino alla fine del 1800, il BANCHETTO FUNEBRE che ricordava la tradizione celtica e anche romana. La città seguiva “la processione” fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi la baldoria. Questo rientrava in quella concezione secondo cui il defunto potesse godere ancora dei piaceri della vita sprigionati accanto a lui. I giovani, durante la notte, scarabocchiavano tibie e teschi con gesso bianco sulle porte delle case per dire che i morti erano stati lì quella notte, come riporta De Nino nel I vol. degli Usi abruzzesi, 1879, con un rito simile all’Halloween che oggi conosciamo, anche se il motivo era differente da quello goliardico e consumistico. Le antiche usanze sono riportate in una bellissima e lunga poesia di Francesco Simonetti: Sulmona nei riti religiosi, Angeletti, Sulmona, 1901, ritrascritta in Sulmona Città d’arte e di poeti, a cura di E. Mattiocco, G. Papponetti, Carsa, Pescara, 1996.
Fino agli anni ‘40 a PRATOLA PELIGNA, nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato
di farina bussavano alle porte delle case.