13 ottobre 2022
Antonio De Nino, Il Messia dell'Abruzzo (Oreste De Amicis).
2 ottobre 2022
Le Canzoni Abruzzesi di Ottaviano Giannangeli e Benedetto Bianchi.
7 settembre 2022
31 agosto 2022
Ignazio Carlo Gavini, Storia dell'architettura in Abruzzo, 3 voll., Milano-Roma, Bestetti e Tumminelli, 1927.
9 agosto 2022
8 agosto 2022
Luigi Pellegrini, I Cappuccini tra XVI e XX secolo. Annotazione dagli Annali dei Cappuccini d’Abruzzo.
4 agosto 2022
Loris Di Giovanni, Elso Simone Serpentini, “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo”, (Artemia Nova Editrice).
Loris Di Giovanni ed Elso Simone Serpentini hanno da poco dato alle stampe il volume “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo” (Artemia Nova Editrice. Il quarto pubblicato dal Centro Studi sulla Storia della Massoneria in Abruzzo (Ce.S.S.M.A.), uscito per i tipi della casa editrice teramana diretta da Maria Teresa Orsini. Per quanto la letteratura sulla Massoneria sia abbondante, non si può certo dire che avesse finora trovato una collocazione in ambito scientifico, men che meno in Abruzzo, prima dell’opera dei due insigni studiosi e storici, che ricostruiscono la presenza in Abruzzo di uomini e associazioni che in qualche modo si richiamano ai valori libero-muratori, calandosi anche nel contesto socio-culturale e della vita politica di ogni periodo storico analizzato. Un vero e proprio manuale di storia di ben 542 pagine, nelle quali si succedono, oltre alle ricerche storiche, le immagini di illustri massoni abruzzesi, diplomi e brevetti, in un percorso che dalla seconda metà del XVIII secolo arriva fino agli anni Sessanta del secolo scorso.
19 luglio 2022
31 maggio 2022
Storie del silenzio, La Madonna depone il velo (Sulmona - Lanciano - Spoltore), a cura di Emiliano Giancristofaro.
9 marzo 2022
I Riti della Settimana Santa: Lanciano, Sulmona, Teramo, di Emiliano Giancristofaro.
13 luglio 2021
28 aprile 2021
Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
di Angelo Iocco
Apprendiamo che
probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi
quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo
preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere
insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di
Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il
tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di
Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San
Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi
Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da
liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di
cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano
in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di
quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in
tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto
abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la
fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme
del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e
il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per
l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.
A proposito di Vasto,
lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti,
ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una
dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San
Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei
possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha
congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum",
ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere
l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo
feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero Roberto Bordinus, e per la presenza di una
parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non
regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero
dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto
d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica
strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero
citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una
bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del
XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.
S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino |
Probabilmente grance
Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San
Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località
Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio,
patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di
Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei
Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola;
giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano
scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in
situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di
Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con
l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui
si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a
Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un
monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei
Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di
Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in
parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini
presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a
Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della
Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache
Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San
Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.
25 aprile 2021
20 aprile 2021
Abate Giovan Battista Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici Province, 1703. Abruzzo, parte terza.
Abruzzo Ultra |
Abruzzo Citra |
L'Aquila |
L'Aquila |
Teramo |
Chieti |
Atri |
Campli |
Scanno |
Sulmona |
Lanciano |
Ortona |
Penne |
Borella |
Pollutri |
Molise |
Termoli |
Da: Biblioteca del Senato della Repubblica
6 aprile 2021
Pasqua 2008. Riti popolari arcaici del sulmonese di Vittorio Monaco - Quadeno peligno n.8 a cura di Vittorio Monaco e Concettina Falcone.
29 marzo 2021
I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.
I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.
di Angelo Iocco
Siamo nella Settimana Santa, e la nostra intenzione è quella di fare un piccolo excursus storico artistico e devozionale sulle varie rappresentazioni del Venerdì Santo e della Santa Pasqua in Abruzzo.
IL TEMA DELLA SANTA PASSIONE DI CRISTO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE
Oltre a una tradizione “alta” della Passione di Cristo, con la sfilata in processione di Confraternite, le Quartant’Ore, i Sepolcri, abbiamo testimonianze, grazie allo studio dei demologi come Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Padre Tommaso Bartoletti, Omobono Bocache, Donatangelo Lupinetti, Domenico Di Virgilio, Elvira Nobilio, Emiliano Giancristofaro, Gabriella Campitelli, Carlo Di Silvestre, Domenico Marchesani…e in parte anche Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Michetti, di una tradizione popolare abruzzese.
Quello che ci
interessa, come ha studiato ad esempio Vincenzo De Bartholomaeis, è il
collegamento di vari lamenti popolari e cantilene trascritte nell’800 e
registrate negli anni ’60 e ’70, con una tradizione ben più antica, risalente
al Medioevo del XIV-XV secolo, ovvero al tempo in cui le Confraternite dei
Penitenti e dei Flagellanti, che ad esempio si installarono in Aquila,
promuovevano delle rappresentazioni teatrali vere e proprie della Passione di
Cristo in tempo di Settimana Santa; rappresentazioni teatrali che durarono sino
al XVIII secolo, quando il Papa e il Re di Napoli iniziarono ad apporvi dei
freni per il rischio di sconfinamento di queste cerimonie così sentite dal
popolo in vere e proprie eresie. Il tema ricorrente nella maggior parte è
quello del “lamento della Vergine Maria”, una figura che interpreta la Madonna
che va per le porte delle case di Gerusalemme, in cerca del Figlio rapito dai
Romani per il tradimento di Giuda, bussa alla porta di Caifa, per chiedere notizie,
e Giuda dice di stingere Gesù con maggiori catene, poi la Madonna va dal fabbro
chiedendo di fare chiodi piccoli piccoli per far soffrire di meno Cristo, ma
interviene sempre Giuda, altre volte Pilato, comandando di fare chiodi enormi
affinché il Nazareno patisca dolori indicibili, sicché la Vergine Maria, vinta
dalla disperazione, crolla svenuta a terra. Il patetismo e l’esagerazione sono
ben evidenti, leggendo questi copioni teatrali medievali, nonché le
trascrizioni di Finamore, De Nino e Lupinetti, per non parlare dei canti
registrati, si tratta del resto di letteratura orale popolare, in cui il
cattivo di turno viene mostrato con carica di ferocia sempre crescente, dato che il Nuovo
Testamento è per il volgo la Storia delle Storie, con personaggi e caratteri
agli antipodi, e la Verità una sola, così come viene ricalcato particolarmente
il pianto e il dolore della Madonna in cerca del Figlio, e poi ai suoi piedi
presso la Croce. Ricorrente è anche il tema dell’improvviso oscurarsi del Cielo
e del Mondo al momento del Supremo Trapasso, fino alla presa di congedo finale
dal canto, e l’invito a fare penitenza prendendo ad esempio il Sacrificio di
Nostro Signore.
Ci piace riportare anche delle belle poesie in vernacolo abruzzese collegate al tema della Passione. Non c’è poeta dialettale abruzzese che non abbia raccontato la Processione del Venerdì Santo nel suo paese, come Alfredo Luciani, che addirittura replica il suono di morte dei tamburi, oppure un Cesare Fagiani per il Venerdì Santo a Lanciano, con note di disappunto per i “signoroni” che amano farsi vedere e mettersi in mostra in occasione del rito, o per alcune usanze ormai desuete, citando un’antica statua ormai logora, buttata dentro un ripostiglio della chiesa, Francesco Simonetti che in un lungo “Calendario liturgico sulmonese” racconta dall’inizio dell’anno alla fine tutte le principali ricorrenze religiose e popolari della città, soffermandosi particolarmente sul Venerdì Santo.
Tra le poesie più ricordate sul Venerdì Santo, ci sono quella di Raffaele Fraticelli del 1953 e quella di Renato Sciucchi del 1967, ambedue di Chieti, cariche di densa emozione e nostalgia la prima del Fraticelli, la seconda più descrittiva e borbottona, come fosse il racconto di un popolano di Chieti che si trova invischiato nella folla e nel vortice delle Confraternite che portano i Trofei.
E la Madonne nghe lu mante nere,
passè. Li viuline e li Canture
cantéve n'àtra vote... Miserere!...
"Mammà, quande so' grosse cante jé pure!..."
Chì sa pe' quanta tempe, quant'ancóre,
'stu jorne vè 'pparlà' dentr'a lu core!
Da “Vinirdì Sante” di Raffaele Fraticelli
Le differenze tra i paesi, impossibile canonizzare le provenienze dei testi, producono poi una varietà di tipi diversi per forma stilistica, per motivi musicali generalmente tristi, ma non sempre, e per la lunghezza del dettato.
27 marzo 2021
Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia, di Mario Setta.
Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia
di Mario
Setta
Premessa: Succede che un luogo diventi parte importante della propria vita. Personalmente arrivai a Badia di Sulmona il primo ottobre 1970, nominato parroco, proveniente da Roma, dove, in qualità di cappellano del lavoro, mi occupavo dei lavoratori dell’edilizia, soprattutto pendolari abruzzesi, tanto che uno degli obiettivi assistenziali fu la creazione per loro di una casa di ospitalità durante la settimana. Ci riuscimmo, con gli stessi lavoratori, ed è durata venti anni. Giunto alla casa parrocchiale di Badia di Sulmona, aprii le porte e cercai di accogliere gli operai pendolari che lavoravano alla nuova fabbrica della Fiat. La casa divenne “centro di comunità”. Di sera, usavamo i locali come scuola per operai di preparazione alla terza media. Fu uno sconvolgimento per la gente delle frazioni (Fonte d’Amore, Badia, Case Lupi, San Pietro, Bagnaturo), anche se io studiavo sociologia alla Gregoriana, per acquisire strumenti scientifici nei rapporti con la gente. Capirono a fatica, ma con gioia, che cercavo di creare una comunità di fratelli. Vi rimasi nove anni, sempre in tensione con l’autorità ecclesiastica, sempre contraria ad ogni novità pastorale. Ero convinto e determinato per ciò che facevo. Incrementai con altri preti la linea di rinnovamento, sopprimendo le tariffe della Messa e dei sacramenti. Organizzammo un convegno di oltre settanta preti, laici e religiosi, alla casa parrocchiale, appellandoci all’esempio di Celestino V, tanto che alcuni salirono all’eremo, e tra loro un famoso gesuita insegnante all’Università Gregoriana, che tenne una conferenza in città. Sono rimasto fino al 7 aprile 1979.
Ho raccontato le mie vicende personali, e non solo, nel libro autobiografico “Il volto scoperto”, esprimendo la mia critica nei confronti dei dogmi ecclesiali, primo fra tutti quello del peccato originale, pubblicando “HOMO, Elogio di Eva”, un piccolo libro poetico-teologico.
Per essere sincero, e lo sono ancora, dopo la cacciata dalla casa parrocchiale di Badia, a me è andata benissimo, avendo cercato di superare le difficoltà. Ho insegnato storia e filosofia al Liceo Scientifico, abbiamo realizzato la manifestazione internazionale “Il sentiero della Libertà/Freedom Trail”, abbiamo pubblicato le testimonianze dei prigionieri del Campo 78, abbiamo ottenuto e pubblicato il diario del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della sua traversata a piedi il 24 marzo 1944 da Sulmona a Casoli. Abbiamo creato l’associazione culturale “Il Sentiero Della Libertà/ Freedom Trail” e realizzate diciannove edizioni della Marcia.
Spero e mi auguro
che queste storie diventino lezione di vita per ciascuno.
La Memoria del Morrone:
Lo Spazio-Il Tempo-Gli Uomini
Sul monte Morrone, contrafforte della Maiella, che
domina la Valle Peligna, nello SPAZIO di pochi chilometri di perimetro, si
conserva la memoria d’un TEMPO più che bimillenario: dall’era pre-cristiana del
santuario di Ercole Curino al medioevo dell’Eremo di Pier da Morrone-Celestino
V e l’Abbazia di Santo Spirito fino alle due guerre mondiali con il Campo di
concentramento di Fonte d’Amore. Un territorio che unisce spiritualità
religiosa e solidarietà umana. “Epopea”,
“Resistenza Umanitaria” è stata definita dagli storici la solidarietà
dimostrata dalla gente peligna ai
prigionieri di guerra, che ricordano “the
Sulmona’s spirit, lo spirito di Sulmona” (cfr. AA.VV. (a cura di
Rosalba Borri, Maria Luisa Fabiilli, Mario Setta, E si divisero il pane che non c’era, ed. Labor, Sulmona 1995: II ed. Qualevita, Torre dei Nolfi 2009)
Santuario di Ercole Curino
Sul monte, luogo
sacro già dai tempi precedenti alla nascita di Cristo, esisteva un santuario
dedicato ad Ercole. Era il nome latinizzato dell’eroe greco Eracle, con
l’appellativo di Curino o Quirino, “culto nazionale dei Peligni” e di cui si
ammirava la straordinaria forza, avendo superato le famose 12 fatiche,
ottenendo l’immortalità. Il complesso
monumentale si compone di due grandi terrazze addossate al pendio della
montagna. L’accesso avveniva mediante scalinate. Sulla terrazza superiore, si
trova un piccolo ambiente quadrato, di carattere cultuale, con pavimento a
mosaico. In esso furono rinvenute due immagini votive di Ercole, l’una in
bronzo, l’altra in marmo, rappresentante l’eroe sdraiato. Il santuario risale
al primo secolo a.C. e sembra documentato che all’epoca delle guerre sociali
(91 a.C.) fungesse da centro religioso della lega tra i popoli italici
che nell’ 87 a.C. ottennero la cittadinanza romana. La festa nel santuario di
Ercole Curino avveniva il 13 agosto (“Idi di agosto”), mediante un rito che
prevedeva l’offerta, la purificazione nell’acqua, l’accesso al “Sancta
sanctorum”, ed anche l’“incubatio”,
cioè il pernottamento all’interno del luogo sacro per ottenere qualche grazia.
Notevole, dal punto di vista architettonico, l’ Opus
reticulatum. (Per informazioni più dettagliate: cfr. Alessandro Bencivenga, “Luoghi, tempi e modi del culto di Ercole tra i Paeligni”)
Oratorio di S. Onofrio (Alto medioevo)
L’oratorio,
dedicato a S. Onofrio, risale ad un’epoca di passaggio dal paganesimo al
cristianesimo. Vari furono i santuari dedicati a santi eremiti della Tebaide, in particolare a
S. Antonio Abate e a S. Onofrio. Di
S.Onofrio si sa ben poco. Anch’egli, probabilmente, era un eremita,
vissuto nei primi secoli del
Cristianesimo. Una raffigurazione di S. Onofrio, nella Yilanli Kilise di
Goreme, in Cappadocia (Turchia) lo presenta con lineamenti femminili, sulla
base di una leggenda che ne parlava come di donna convertita e consacratasi
alla vita eremitica. Anche qualche immagine e statua conservate nel santuario
lo presenta con capelli lunghi fino ai
piedi, quasi a nascondere i suoi
lineamenti. Il monachesimo benedettino, nato in Occidente, tenderà a modificare
lo stile di vita eremitica sintetizzandolo nel
motto “Ora et Labora” .
Eremo di Pietro da Morrone (Basso medioevo)
Accanto alla chiesetta di S.
Onofrio, raccogliendo e ravvivando lo spirito dell’anacoretismo, si stabilirà
fra’ Pietro da Morrone, divenuto in seguito
papa Celestino V. Ignazio Silone, nel proemio al dramma dal titolo L’avventura d’un povero cristiano,
racconta la sua ascensione verso l’Eremo: «Una tenera luce verde dorata bagna i
campi gli alberi i paesetti pedemontani, il grandioso scenario della Maiella e
dà una proporzione armoniosa a ogni minimo oggetto. Benché nato e cresciuto in
una valle attigua, da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca
come questa. Elementi emotivi assai complessi si aggiungono all’ammirazione
naturalistica. La Maiella è il Libano di noi abruzzesi».
Nella Bibbia il Libano è
simbolo di maestosità e di potenza, tanto che Mosè chiese a Dio di vederlo e
non fu esaudito (Deut. 3,25-26). Ma
anche di gioia e di bellezza, come
viene spesso descritto nel
Cantico dei Cantici. Non solo il Morrrone e la Majella, ma in generale le
montagne abruzzesi erano considerate luoghi di nascondiglio e di difesa dalle
persecuzioni dei tiranni. Angoli di
speranza e di libertà. Gioacchino Volpe, famoso storico abruzzese, nel volume “Movimenti religiosi e sette ereticali”, riferisce di una bolla di Bonifacio VIII “contro quei bizochi o altrimenti chiamati
che, ricoveratisi nei monti dell’Abruzzo, in abiti ovini, ma veri vampiri,
spargevano eresia tra i semplici uomini”. Nella seconda guerra mondiale, dopo
l’8 settembre, i tedeschi che occuparono il campo di prigionia di Fonte d’Amore,
vi posero un cannone e distrussero l’eremo, ritenendo che vi fossero rifugiati
i prigionieri alleati. Nel dopoguerra l’eremo fu ricostruito con la
collaborazione dei cittadini delle frazioni morronesi.
Una questione
aperta resta quella della proprietà. In un articolo su “Rivista Abruzzese”
(Anno LXXI - 2018 - N. 1 Gennaio-Marzo), Roberto Carrozzo, responsabile
dell’Archivio di Stato di Sulmona dal titolo
“L’Eremo di S. Onofrio al Morrone,
un monumento in cerca di proprietario” espone una ricerca precisa e
documentata sulla questione,
concludendo: “A conclusione di questa breve esposizione si può ritenere che il
Comune abbia continuato a detenere in proprietà l'edificio, così come dovrebbe
detenerlo a tutt'oggi (salvo documenti che ne attestino il contrario, di cui si
dubita però l'esistenza), mentre la gestione del culto religioso rimase
affidata alla Diocesi. Infatti, questo giustificherebbe pienamente la lettera
inviata nel 1986 dall'allora sindaco della città, La Civita, con la quale fece
richiesta alla Cassa di Risparmio della Provincia dell'Aquila di un contributo
speciale per la esecuzione di lavori di pronto intervento all'eremo per la sua
salvaguardia, specificando che «sia questo Comune, proprietario dell'immobile,
che la Curia Vescovile che lo tiene in uso gratuito, si trovano
nell'impossibilità di far fronte alla spesa».