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4 agosto 2022

Loris Di Giovanni, Elso Simone Serpentini, “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo”, (Artemia Nova Editrice).


Dal Principe di San Severo a Gabriele Rossetti, ai legami con Ettore Ferrari, alla loggia Aeternum…Un saggio racconta la Massoneria in Abruzzo dal XVIII secolo.

Loris Di Giovanni ed Elso Simone Serpentini hanno da poco dato alle stampe il volume “La Libera Muratoria in Abruzzo dal XVIII al XX secolo” (Artemia Nova Editrice. Il quarto pubblicato dal Centro Studi sulla Storia della Massoneria in Abruzzo (Ce.S.S.M.A.), uscito per i tipi della casa editrice teramana diretta da Maria Teresa Orsini. Per quanto la letteratura sulla Massoneria sia abbondante, non si può certo dire che avesse finora trovato una collocazione in ambito scientifico, men che meno in Abruzzo, prima dell’opera dei due insigni studiosi e storici, che ricostruiscono la presenza in Abruzzo di uomini e associazioni che in qualche modo si richiamano ai valori libero-muratori, calandosi anche nel contesto socio-culturale e della vita politica di ogni periodo storico analizzato. Un vero e proprio manuale di storia di ben 542 pagine, nelle quali si succedono, oltre alle ricerche storiche, le immagini di illustri massoni abruzzesi, diplomi e brevetti, in un percorso che dalla seconda metà del XVIII secolo arriva fino agli anni Sessanta del secolo scorso.

Punto di partenza dello studio sono le logge napoletane e la figura del Principe di San Severo, per passare alle officine castrensi francesi insediate a Lanciano, i loro rapporti con l’Intendente d’Abruzzo Pierre Joseph Briot e i legami con la Carboneria. Il Grande Oriente murattiano e le sue prime logge nella regione precedono un rapido excursus delle singole logge a Teramo, Pescara, Chieti e L’Aquila. Ricostruita nel dettaglio è l’appartenenza alla Massoneria del gentiluomo di Atri Carlo Acquaviva d’Aragona, che nella seconda metà del Settecento aderì ad una loggia napoletana, ed i contatti di suo zio cardinale Troiano Acquaviva con Giacomo Casanova, che ospitò giovanissimo a Roma, nel suo palazzo a Piazza di Spagna. Pochi anni dopo Casanova verrà iniziato a 25 anni in una loggia di Lione.

Viene anche analizzato il carteggio massonico del marchese Gesualdo de Felici di Pianella, maestro venerabile della loggia teatina Vettio Catone, quello dello zio Camillo de Felici de’ baroni di Rosciano e i suoi rapporti con Giuseppe Garibaldi, strettissimi dopo aver salvato la vita a suo figlio Menotti; quindi la storia massonica della famiglia Delfico di Teramo, con la prova dell’affiliazione di Gian Filippo alla loggia Vittoria di Napoli, come delle frequentazioni del fratello Melchiorre con il danese Friedrich Münter e con i salotti latomici della capitale del Regno. Non è un caso che sulla copertina del volume campeggi il diploma di maestro massone di Filippo de Filippis Delfico, rilasciatogli da una loggia di Marsiglia, città nella quale si trovava in esilio.

Studiata poi nel dettaglio è la straordinaria figura di Costanzo Di Costanzo, figlio cadetto del Duca di Paganica, che si trasferì giovanissimo dal popoloso paese dell’aquilano in Germania per evitare d’entrare nella vita religiosa, come invece avevano dovuto fare i suoi numerosi fratelli e sorelle, eccetto il primogenito Giovanni destinato a succedere nel ducato al padre Ignazio. A Monaco di Baviera il giovane Costanzo indossò la divisa militare. Entrò nella massoneria, avviatovi dal cognato anch’egli militare, poi passò tra gli Illuminati di Baviera con il nome iniziatico di “Diomede”.

La figura di Gabriele Rossetti e suoi rapporti con la Carboneria e la Massoneria a Napoli sono studiati anche in relazione alla statua che la locale loggia – che ricordava il suo nome nel suo titolo distintivo – gli fece erigere a Vasto.

Stesso studio per la statua di Ovidio, su indicazione della loggia Panfilo Serafini. Il monumento al poeta Ovidio, , fu realizzato a Sulmona dal fratello Ettore Ferrari (Roma 1845-1929), che dal 1904 al 1917 ricoprì la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, e che fu importante scultore noto per la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori a Roma, inaugurata il 9 giugno 1889 con una grandiosa manifestazione pubblica e un tripudio di labari massonici, compresi quelli abruzzesi, oltre che per le statue di Garibaldi, Mazzini, Quintino Sella ed altre ancora.

La realizzazione della statua a Sulmona seguiva quella di Costanza, in Romania, l’antica Tomi dove Ovidio scontò l’intero suo esilio fino alla morte nel 17 d.C., realizzata per interessamento di Remus Opreanu. In quella giovane nazione Ferrari aveva scolpito nel 1881 anche la statua di Heliade Radulescu, padre della letteratura romena.
Furono proprio gli esponenti della Massoneria di Sulmona a convincere Ferrari a realizzare l’opera dedicata a Ovidio, accettando il solo rimborso delle spese. Pur se nominato cittadino onorario della cittadina abruzzese il 17 febbraio 1925, Ferrari il giorno dell’inaugurazione del monumento non volle esser presente, in quanto acceso repubblicano e antimonarchico. Invero, pochi giorni prima della cerimonia, si era recato nella città peligna per aggiungere alla mano destra della statua di Ovidio lo stiletto, realizzato in un secondo tempo.

Un’altra novità del volume consiste sicuramente nell’aver rintracciato il nome di Angelo Camillo De Meis da Bucchianico nel piedilista della loggia Felsinea di Bologna, nel 1867 accanto a quello di Giosuè Carducci. Lo scisma ferano del 1908 in Abruzzo, e le sue conseguenze, viene trattato con notizie finora inedite. L’inizio del ‘900 vedrà il susseguirsi di tante associazioni nate in terra abruzzese con il contributo della Massoneria: le società operaie e di mutuo soccorso, l’Associazione del Libero Pensiero “Giordano Bruno” a Teramo, i comitati massonici pro Cuba e Candia.

La nascita dei fasci di combattimento e del partito massonico della Stella Nera dividerà in due campi avversi i fratelli del Goi da quelli fedeli alla Gran Loggia d’Italia, nata il 21 marzo del 1910 da un percorso di scisma all’interno del Grande Oriente portato avanti da un gruppo di logge di rito scozzese capeggiato dal pastre evangelico Saverio Fera.

D’interesse anche le notizie dell’Archivio Centrale di Stato che riguardano la soppressione dell’Ordine in Abruzzo, durante il fascismo, e i documenti rinvenuti sui rapporti delle Prefetture, indicanti nel dettaglio i sequestri e le devastazioni nelle officine abruzzesi e molisane. I documenti riguardanti i massoni sono stati individuati seguendo la pista della sigla K3, con la quale il regime fascista indicava gli affiliati alle logge di qualsivoglia obbedienza.
Nel secondo dopoguerra l’attenzione si sofferma su un personaggio di Chieti, Romeo Giuffrida, già braccio destro di Raoul Palermi e direttore d’una rivista massonica importante che si stampava a Pescara, “Voce Fraterna”. Dalla Comunione Massonica spuria del Giuffrida nascerà la Loggia Aternum, poi regolarizzata dal Goi e loggia madre d’Abruzzo.
Gli anni della ricostruzione del Grande Oriente in Abruzzo e l’opera dei suoi pionieri Valentino Filiberto, Alfredo Diomede e Josè Guillem Guerra chiudono la trattazione. Di notevole valore storico è la ricostruzione di numerosi piedilista delle varie logge abruzzesi nelle quattro province, utilissimi, al pari dell’indice dei nomi e d’una ricca appendice documentale.
Ma la vera novità del volume è la scoperta dell’importanza avuta dai “fratelli” di fede protestante nella storia della Massoneria abruzzese. Nel 1907, seicentesimo anniversario della morte di Fra Dolcino, viene fondata una loggia, unica in Italia con questo titolo distintivo. Dove? A Lanciano. A scorrere il suo piedilista saltano all’occhio due fratelli di fede protestante: Camillo Pace e Federico Mecarozzi. All’evangelico Gabriele Rossetti è dedicata una loggia, dove, guarda caso, dopo essersi spostato dalla loggia di Lanciano e dal triangolo che stava principiando a Paglieta, il primo mastro venerabile è proprio il pastore evangelico Camillo Pace.
Nel 1927 un altro pastore protestante, Aurelio Cappello (in corrispondenza con Francesco Fausto Nitti), è costretto dal regime fascista a chiudere il circolo giovanile “Gabriele Rossetti” a Palombaro. Ma il contributo dato dai fratelli protestanti non si ferma alla statua dedicata al patriota vastese. A rialzare le colonne delle logge del Grande Oriente d’Italia in Abruzzo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, sarà un altro pastore protestante, Agostino Piccirillo, promotore della regolarizzazione di una loggia sorta dallo scisma ferano e aderente ad una struttura teatina di Giuffrida, che diverrà dopo pochi anni la “loggia madre” del nascente Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili abruzzesi. 
(fonte Corriere Nazionale)


28 aprile 2021

Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.


 Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.

di Angelo Iocco


Anche l'Abruzzo, terra ancora "misteriosa" e idilliaca, ha le sue leggende sul Sacro Graal, su monasteri perduti, castelli diroccati, personaggi oscuri, tutto materiale che ha sapore di leggenda, campato in aria di sana pianta. Invece ciò che poco si conosce è una pubblicazione degli anni '80, che ha cercato di fare vera luce sulla presenza dei Templari in Abruzzo, essendo la documentazione scarseggiante, tanto che gli stessi storici di fiducia abruzzesi, Antonio Antinori e Nunzio Fraglia, hanno scritto ben poco in merito, pur rimettendosi ai documenti da loro citati nelle opere pubblicate. Mi riferisco allo studio A. GILMOUR-BRYSON, "The Trial of the Templars in the Papal State and the Abruzzi", Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1982, che è al momento la raccolta più completa dei processi inerenti l'anno 1310, scritti in un tribunale della Basilica di Santa Maria di Collemaggio in Aquila, contro alcuni cavalieri Templari macchiatisi di sacrilegio e ignominia, come frate Cecco Nicolai Ragonis da Lanciano, e frate Andrea Armanni da Monteodorisio, che nel XIV secolo, all'epoca del processo, era sede di una contea.

Da questi atti del processo, pescati dalla Gilmour-Bryson da un faldone conservato nell'Archivio Segreto Vaticano, si apprende dalla confessione di questi due uomini, i cui capi d'accusa erano stati affissi presso le porte vescovili di Chieti, Sulmona e Penne, come fosse organizzato il sistema di magioni Templari nel Territorio di Abruzzo e Puglia, con un unico Gran Maestro, monasteri e relative grance.

 


Apprendiamo che probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.

A proposito di Vasto, lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti, ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum", ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero  Roberto Bordinus, e per la presenza di una parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.

 

S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino

Probabilmente grance Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio, patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola; giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.

 

29 marzo 2021

I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.

 

I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.

di Angelo Iocco

Siamo nella Settimana Santa, e la nostra intenzione è quella di fare un piccolo excursus storico artistico e devozionale sulle varie rappresentazioni del Venerdì Santo e della Santa Pasqua in Abruzzo.

IL TEMA DELLA SANTA PASSIONE DI CRISTO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE

Oltre a una tradizione “alta” della Passione di Cristo, con la sfilata in processione di Confraternite, le Quartant’Ore, i Sepolcri, abbiamo testimonianze, grazie allo studio dei demologi come Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Padre Tommaso Bartoletti, Omobono Bocache, Donatangelo Lupinetti, Domenico Di Virgilio, Elvira Nobilio, Emiliano Giancristofaro, Gabriella Campitelli, Carlo Di Silvestre, Domenico Marchesani…e  in parte anche Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Michetti, di una tradizione popolare abruzzese.

Quello che ci interessa, come ha studiato ad esempio Vincenzo De Bartholomaeis, è il collegamento di vari lamenti popolari e cantilene trascritte nell’800 e registrate negli anni ’60 e ’70, con una tradizione ben più antica, risalente al Medioevo del XIV-XV secolo, ovvero al tempo in cui le Confraternite dei Penitenti e dei Flagellanti, che ad esempio si installarono in Aquila, promuovevano delle rappresentazioni teatrali vere e proprie della Passione di Cristo in tempo di Settimana Santa; rappresentazioni teatrali che durarono sino al XVIII secolo, quando il Papa e il Re di Napoli iniziarono ad apporvi dei freni per il rischio di sconfinamento di queste cerimonie così sentite dal popolo in vere e proprie eresie. Il tema ricorrente nella maggior parte è quello del “lamento della Vergine Maria”, una figura che interpreta la Madonna che va per le porte delle case di Gerusalemme, in cerca del Figlio rapito dai Romani per il tradimento di Giuda, bussa alla porta di Caifa, per chiedere notizie, e Giuda dice di stingere Gesù con maggiori catene, poi la Madonna va dal fabbro chiedendo di fare chiodi piccoli piccoli per far soffrire di meno Cristo, ma interviene sempre Giuda, altre volte Pilato, comandando di fare chiodi enormi affinché il Nazareno patisca dolori indicibili, sicché la Vergine Maria, vinta dalla disperazione, crolla svenuta a terra. Il patetismo e l’esagerazione sono ben evidenti, leggendo questi copioni teatrali medievali, nonché le trascrizioni di Finamore, De Nino e Lupinetti, per non parlare dei canti registrati, si tratta del resto di letteratura orale popolare, in cui il cattivo di turno viene mostrato con carica di ferocia  sempre crescente, dato che il Nuovo Testamento è per il volgo la Storia delle Storie, con personaggi e caratteri agli antipodi, e la Verità una sola, così come viene ricalcato particolarmente il pianto e il dolore della Madonna in cerca del Figlio, e poi ai suoi piedi presso la Croce. Ricorrente è anche il tema dell’improvviso oscurarsi del Cielo e del Mondo al momento del Supremo Trapasso, fino alla presa di congedo finale dal canto, e l’invito a fare penitenza prendendo ad esempio il Sacrificio di Nostro Signore.

Ci piace riportare anche delle belle poesie in vernacolo abruzzese collegate al tema della Passione. Non c’è poeta dialettale abruzzese che non abbia raccontato la Processione del Venerdì Santo nel suo paese, come Alfredo Luciani, che addirittura replica il suono di morte dei tamburi, oppure un Cesare Fagiani per il Venerdì Santo a Lanciano, con note di disappunto per i “signoroni” che amano farsi vedere e mettersi in mostra in occasione del rito, o per alcune usanze ormai desuete, citando un’antica statua ormai logora, buttata dentro un ripostiglio della chiesa, Francesco Simonetti che in un lungo “Calendario liturgico sulmonese” racconta dall’inizio dell’anno alla fine tutte le principali ricorrenze religiose e popolari della città, soffermandosi particolarmente sul Venerdì Santo.

Tra le poesie più ricordate sul Venerdì Santo, ci sono quella di Raffaele Fraticelli del 1953 e quella di Renato Sciucchi del 1967, ambedue di Chieti, cariche di densa emozione e nostalgia la prima del Fraticelli, la seconda più descrittiva e borbottona, come fosse il racconto di un popolano di Chieti che si trova invischiato nella folla e nel vortice delle Confraternite che portano i Trofei.



E la Madonne nghe lu mante nere,
passè. Li viuline e li Canture
cantéve n'àtra vote... Miserere!...
"Mammà, quande so' grosse cante jé pure!..."
Chì sa pe' quanta tempe, quant'ancóre,
'stu jorne vè 'pparlà' dentr'a lu core!

Da “Vinirdì Sante” di Raffaele Fraticelli

Le differenze tra i paesi, impossibile canonizzare le provenienze dei testi, producono poi una varietà di tipi diversi per forma stilistica, per motivi musicali generalmente tristi, ma non sempre, e per la lunghezza del dettato.

27 marzo 2021

Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia, di Mario Setta.


 Sulmona, Morrone: 22 secoli di storia

di Mario Setta

Premessa: Succede che un luogo diventi parte importante della propria vita. Personalmente arrivai a Badia di Sulmona il primo ottobre 1970, nominato parroco, proveniente da Roma, dove, in qualità di cappellano del lavoro, mi occupavo dei lavoratori dell’edilizia, soprattutto pendolari abruzzesi, tanto che uno degli obiettivi assistenziali fu la creazione per loro di una casa di ospitalità durante la settimana. Ci riuscimmo, con gli stessi lavoratori, ed è durata venti anni. Giunto alla casa parrocchiale di Badia di Sulmona, aprii le porte e cercai di accogliere gli operai pendolari che lavoravano alla nuova fabbrica della Fiat. La casa divenne “centro di comunità”. Di sera, usavamo i locali come scuola per operai di preparazione alla terza media. Fu uno sconvolgimento per la gente delle frazioni (Fonte d’Amore, Badia, Case Lupi, San Pietro, Bagnaturo), anche se io studiavo sociologia alla Gregoriana, per acquisire strumenti scientifici nei rapporti con la gente. Capirono a fatica, ma con gioia, che cercavo di creare una comunità di fratelli. Vi rimasi nove anni, sempre in tensione con l’autorità ecclesiastica, sempre contraria ad ogni novità pastorale. Ero convinto e determinato per ciò che facevo. Incrementai con altri preti la linea di rinnovamento, sopprimendo le tariffe della Messa e dei sacramenti. Organizzammo un convegno di oltre settanta preti, laici e religiosi, alla casa parrocchiale, appellandoci all’esempio di Celestino V, tanto che alcuni salirono all’eremo, e tra loro un famoso gesuita insegnante all’Università Gregoriana, che tenne una conferenza in città. Sono rimasto fino al 7 aprile 1979.

Ho raccontato le mie vicende personali, e non solo, nel libro autobiografico “Il volto scoperto”, esprimendo la mia critica nei confronti dei dogmi ecclesiali, primo fra tutti quello del peccato originale, pubblicando “HOMO, Elogio di Eva”, un piccolo libro poetico-teologico.

Per essere sincero, e lo sono ancora, dopo la cacciata dalla casa parrocchiale di Badia, a me è andata benissimo, avendo cercato di superare le difficoltà. Ho insegnato storia e filosofia al Liceo Scientifico, abbiamo realizzato la manifestazione internazionale “Il sentiero della Libertà/Freedom Trail”, abbiamo pubblicato le testimonianze dei prigionieri del Campo 78, abbiamo ottenuto e pubblicato il diario del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, della sua traversata a piedi il 24 marzo 1944 da Sulmona a Casoli. Abbiamo creato l’associazione culturale “Il Sentiero Della Libertà/ Freedom Trail  e realizzate diciannove edizioni della Marcia.

Spero e mi auguro che queste storie diventino lezione di vita per ciascuno.

  

La Memoria del Morrone:

Lo Spazio-Il Tempo-Gli Uomini

Sul monte Morrone, contrafforte della Maiella, che domina la Valle Peligna, nello SPAZIO di pochi chilometri di perimetro, si conserva la memoria d’un TEMPO più che bimillenario: dall’era pre-cristiana del santuario di Ercole Curino al medioevo dell’Eremo di Pier da Morrone-Celestino V e l’Abbazia di Santo Spirito fino alle due guerre mondiali con il Campo di concentramento di Fonte d’Amore. Un territorio che unisce spiritualità religiosa e solidarietà umana.  “Epopea”, “Resistenza Umanitaria” è stata definita dagli storici la solidarietà dimostrata dalla gente  peligna ai prigionieri di guerra, che ricordano the Sulmona’s spirit, lo spirito di Sulmona” (cfr. AA.VV. (a cura di Rosalba Borri, Maria Luisa Fabiilli, Mario Setta, E si divisero il pane che non c’era, ed. Labor, Sulmona 1995: II  ed. Qualevita, Torre dei Nolfi  2009)

 

Santuario di Ercole Curino

Sul monte, luogo sacro già dai tempi precedenti alla nascita di Cristo, esisteva un santuario dedicato ad Ercole. Era il nome latinizzato dell’eroe greco Eracle, con l’appellativo di Curino o Quirino, “culto nazionale dei Peligni” e di cui si ammirava la straordinaria forza, avendo superato le famose 12 fatiche, ottenendo l’immortalità.  Il complesso monumentale si compone di due grandi terrazze addossate al pendio della montagna. L’accesso avveniva mediante scalinate. Sulla terrazza superiore, si trova un piccolo ambiente quadrato, di carattere cultuale, con pavimento a mosaico. In esso furono rinvenute due immagini votive di Ercole, l’una in bronzo, l’altra in marmo, rappresentante l’eroe sdraiato. Il santuario risale al primo secolo a.C. e sembra documentato che all’epoca delle guerre sociali (91 a.C.)  fungesse da  centro religioso della lega tra i popoli italici che nell’ 87 a.C. ottennero la cittadinanza romana. La festa nel santuario di Ercole Curino avveniva il 13 agosto (“Idi di agosto”), mediante un rito che prevedeva l’offerta, la purificazione nell’acqua, l’accesso al “Sancta sanctorum”, ed anche l’“incubatio”, cioè il pernottamento all’interno del luogo sacro per ottenere qualche grazia. Notevole, dal punto di vista architettonico, l’ Opus reticulatum. (Per informazioni più dettagliate: cfr.  Alessandro Bencivenga, “Luoghi, tempi e modi del culto di Ercole tra i Paeligni”)

 

Oratorio di S. Onofrio  (Alto medioevo)

L’oratorio, dedicato a S. Onofrio, risale ad un’epoca di passaggio dal paganesimo al cristianesimo. Vari furono i santuari dedicati a  santi eremiti della Tebaide, in particolare a S. Antonio Abate e a S. Onofrio.  Di S.Onofrio si sa ben poco. Anch’egli, probabilmente, era un eremita, vissuto  nei primi secoli del Cristianesimo. Una raffigurazione di S. Onofrio, nella Yilanli Kilise di Goreme, in Cappadocia (Turchia) lo presenta con lineamenti femminili, sulla base di una leggenda che ne parlava come di donna convertita e consacratasi alla vita eremitica. Anche qualche immagine e statua conservate nel santuario lo presenta con capelli lunghi  fino ai piedi,  quasi a nascondere i suoi lineamenti. Il monachesimo benedettino, nato in Occidente, tenderà a modificare lo stile di vita eremitica sintetizzandolo nel  motto “Ora et Labora” .

 

Eremo di Pietro da Morrone  (Basso medioevo)

Accanto alla chiesetta di S. Onofrio, raccogliendo e ravvivando lo spirito dell’anacoretismo, si stabilirà fra’ Pietro da Morrone, divenuto in seguito  papa Celestino V. Ignazio Silone, nel proemio al dramma dal titolo  L’avventura d’un povero cristiano, racconta la sua ascensione verso l’Eremo: «Una tenera luce verde dorata bagna i campi gli alberi i paesetti pedemontani, il grandioso scenario della Maiella e dà una proporzione armoniosa a ogni minimo oggetto. Benché nato e cresciuto in una valle attigua, da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca come questa. Elementi emotivi assai complessi si aggiungono all’ammirazione naturalistica. La Maiella è il Libano di noi abruzzesi». 

Nella Bibbia il Libano è simbolo di maestosità e di potenza, tanto che Mosè chiese a Dio di vederlo e non fu esaudito (Deut. 3,25-26).  Ma anche di gioia e di bellezza, come  viene  spesso descritto nel Cantico dei Cantici. Non solo il Morrrone e la Majella, ma in generale le montagne abruzzesi erano considerate luoghi di nascondiglio e di difesa dalle persecuzioni dei tiranni.  Angoli di speranza e di libertà. Gioacchino Volpe, famoso storico abruzzese, nel volume “Movimenti religiosi e sette ereticali”,  riferisce di una bolla di Bonifacio VIII  “contro quei bizochi o altrimenti chiamati che, ricoveratisi nei monti dell’Abruzzo, in abiti ovini, ma veri vampiri, spargevano eresia tra i semplici uomini”. Nella seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre, i tedeschi che occuparono il campo di prigionia di Fonte d’Amore, vi posero un cannone e distrussero l’eremo, ritenendo che vi fossero rifugiati i prigionieri alleati. Nel dopoguerra l’eremo fu ricostruito con la collaborazione dei cittadini delle frazioni morronesi.

Una questione aperta resta quella della proprietà. In un articolo su “Rivista Abruzzese” (Anno LXXI - 2018 - N. 1 Gennaio-Marzo), Roberto Carrozzo, responsabile dell’Archivio di Stato di Sulmona dal titolo  L’Eremo di S. Onofrio al Morrone, un monumento in cerca di proprietario” espone una ricerca precisa e documentata  sulla questione, concludendo: “A conclusione di questa breve esposizione si può ritenere che il Comune abbia continuato a detenere in proprietà l'edificio, così come dovrebbe detenerlo a tutt'oggi (salvo documenti che ne attestino il contrario, di cui si dubita però l'esistenza), mentre la gestione del culto religioso rimase affidata alla Diocesi. Infatti, questo giustificherebbe pienamente la lettera inviata nel 1986 dall'allora sindaco della città, La Civita, con la quale fece richiesta alla Cassa di Risparmio della Provincia dell'Aquila di un contributo speciale per la esecuzione di lavori di pronto intervento all'eremo per la sua salvaguardia, specificando che «sia questo Comune, proprietario dell'immobile, che la Curia Vescovile che lo tiene in uso gratuito, si trovano nell'impossibilità di far fronte alla spesa».