Pagine

28 aprile 2021

Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.


 Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.

di Angelo Iocco


Anche l'Abruzzo, terra ancora "misteriosa" e idilliaca, ha le sue leggende sul Sacro Graal, su monasteri perduti, castelli diroccati, personaggi oscuri, tutto materiale che ha sapore di leggenda, campato in aria di sana pianta. Invece ciò che poco si conosce è una pubblicazione degli anni '80, che ha cercato di fare vera luce sulla presenza dei Templari in Abruzzo, essendo la documentazione scarseggiante, tanto che gli stessi storici di fiducia abruzzesi, Antonio Antinori e Nunzio Fraglia, hanno scritto ben poco in merito, pur rimettendosi ai documenti da loro citati nelle opere pubblicate. Mi riferisco allo studio A. GILMOUR-BRYSON, "The Trial of the Templars in the Papal State and the Abruzzi", Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1982, che è al momento la raccolta più completa dei processi inerenti l'anno 1310, scritti in un tribunale della Basilica di Santa Maria di Collemaggio in Aquila, contro alcuni cavalieri Templari macchiatisi di sacrilegio e ignominia, come frate Cecco Nicolai Ragonis da Lanciano, e frate Andrea Armanni da Monteodorisio, che nel XIV secolo, all'epoca del processo, era sede di una contea.

Da questi atti del processo, pescati dalla Gilmour-Bryson da un faldone conservato nell'Archivio Segreto Vaticano, si apprende dalla confessione di questi due uomini, i cui capi d'accusa erano stati affissi presso le porte vescovili di Chieti, Sulmona e Penne, come fosse organizzato il sistema di magioni Templari nel Territorio di Abruzzo e Puglia, con un unico Gran Maestro, monasteri e relative grance.

 


Apprendiamo che probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.

A proposito di Vasto, lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti, ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum", ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero  Roberto Bordinus, e per la presenza di una parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.

 

S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino

Probabilmente grance Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio, patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola; giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.

 

Tuttavia alcuni storici locali hanno voluto congetturare sul toponimo di Quarte San Giovanni o Porta Monacisca (porta dei monaci), all'altezza della chiesa di Materdomini dei Cappuccini (eretta negli anni '50 sopra una chiesa più antica, a sua volta di origine longobarda come vuole la tradizione); e avrebbero supposto che un perduto monastero di San Giovanni dei Templari a Chieti fosse all'altezza del Largo del Pozzo romano, poi noto come Piazza Valignani, all'altezza dell'ex via Ulpia (prosecuzione del corso Marrucino verso la chiesa di San Francesco), oppure verso via Pollione. Una lapide trascritta dallo storico eminente Gennaro Ravizza, che parla del restauro di una "piramide" a Chieti nel 1818, con approvazione di Ferdinando I delle Due Sicilie, con dedica a Giuseppe Caracciolo VI Principe di Torella, ha fatto ugualmente dibattere, ma sicuramente questa piramide ha a che fare con la massoneria francese e inglese impiantata a Napoli alla fine del '700, e non con una presenza Templare a Chieti, anche se i dubbi sul nome di "Porta Monacisca" e Quartiere "San Giovanni" comunque rimangono, su circa la presenza di una chiesa perduta a Chieti, per cui forse si dovrebbero controllare le carte catastali all'Archivio di Stato, per individuare una strada che poteva essere dedicata a un San Giovanni.

 

E di Pescara, che già nel XII-XIII secolo era un fiorente porto nell'Adriatico sotto al giurisdizione di Chieti? Si ha menzione nei documenti di due edifici nell'antico trapezio del centro storico delimitato dalle tre strade di via delle Caserme, Corso Manthoné (strada grande) e via dei Bastioni con la curtis di Piazza Mercato; ossia l'ospedale di San Giovanni, che doveva sorgere verso metà strada del Corso, e poi la chiesa di Santa Gerusalemme, menzionata sempre nei documenti vescovili di Chieti e papali, a pianta circolare, di matrice chiaramente medievale, come dimostrano le basi delle due colonne dell'ambiente interno, riportate alla luce negli scavi archeologici di Ernesto Barbi e Andrea Staffa negli anni '90; chiesa che però, essendo decaduta e passata in secondo piano nei secoli, dopo che venne accanto ampliata la chiesetta di San Cetteo, dotata di torre campanaria proprio come quella coeva normanna di Santa Gerusalemme, che era posta all'incrocio dell'attuale Viale D'Annunzio con via dei Bastioni lato ovest. Dopo progetti di recupero falliti, di cui uno famoso del 1837 che avrebbe fatto assumere uno stile neoclassico alla chiesa, nel 1871 sino al 1892 ci furono lenti lavori di demolizione e apertura di due archi, per favorire il nuovo accesso stradale all'antica Pescara; la cupola fu abbattuta, sicché l'arcone a doppio fornice di ingresso che rimase in piedi, insieme a una cappella attigua volta su via dei Bastioni, fu detto "arco di Porta Nuova", per distinguerlo, quasi scherzosamente, dalle altre porte fortificate della Fortezza spagnola, che fino alla fine dell'800 rimarrà in piedi coi suoi poderosi bastioni angolari.

 

Incredibile che un monumento così rappresentativo per Pescara, quale lo sarebbe anche oggi, se fosse ancora in piedi, come Santa Gerusalemme, fu abbattuto nei primi del Novecento nel disinteresse, anzi applaudito, come liberazione per un ampio viale quale oggi è Via D'Annunzio, abbellito da nuovi palazzi che andarono a costituire il quartiere Portanuova. Ma ancora fa specie sottolineare lo stile e l'impianto architettonico che aveva questa chiesa, simile alla chiesa di San Cataldo a Palermo, o alla chiesa del Santo Sepolcro di Brindisi, visti i contatti dei Cavalieri Crociati che salpavano da Pescara con Gerusalemme, e vista anche la considerazione che la chiesa di Santa Gerusalemme, prima ancora di essere chiesa, tralasciando la leggenda popolare e di antica memoria della sinagoga ebraica con i sacerdoti ebrei che trafissero un'immaginetta di cera del Cristo crocifisso, che avrebbe grondato sangue, nel IV secolo d.C. poteva essere un tempio romano. Lo dimostra una lapide rinvenuta negli anni '90, ma già nota a storici e cartografi antichi come l'abate Giambattista Pacichelli, lapide con dedicata alla VITTORIA AUGUSTA, quindi la chiesa poteva essere stata un ninfeo, un tempio simile a quello della Minerva Medica a Roma, oppure simile alla chiesa di Sant'Elena Flavia, sempre nell'Urbe!

 

Tra gli ultimi possedimenti Templari di cui si ha menzione nelle fonti in Abruzzo, si ricordano la chiesa di Santa Maria de Pontis nell'area di Scurcola Marsicana, di cui oggi non c'è traccia, e la chiesa di San Nicola de Templo tra Pescasseroli e San Sebastiano, di cui restano ruderi. Per la prima chiesa, si fece confusione riguardo il toponimo "Pontis", a causa di male interpretazioni degli storici Febonio e Corsignani, che parlarono di chiesa eretta da Carlo d'Angiò nel 1268, per celebrare la vittoria della battaglia di Tagliacozzo contro Corradino di Svevai, dato che nelle cronache della battaglia celebre si parla di un ponte; in realtà si fece confusione con la vicinissima abbazia cistercense di Santa Maria della Vittoria di Scurcola, anch'essa caduta in disgrazia e in rovina troppo presto, onde impedire la confusione delle notizie, che solo il buon Antinori e il Faraglia hanno restituito come si presentavano nei documenti originali, senza le inutili dissertazioni erudite e posticce, che non han fatto altro che confondere le acque. Per San Nicola de Templo l'Agostinoni ha errato, pensando che la casa Templare fosse nel cuore di Pescasseroli, presso l'abbazia dei Santi Pietro e Paolo, dato che prima Pescasseroli era l'area del Castello Mancino; ma cadde anche lui in errore. Tuttavia un primo esame del rudere in aperto altopiano, e la volta a crociera della cappella accanto la casa, nonché il materiale, fa indurre a pensare a un edificio più tardo dell'epoca medievale.

 

Affreschi S.Maria ad Cryptas, Fossa

Testimonianze Templari, per cui si è scritto molto, senza però evitare l'abbandono alla leggenda e al mito del Sacro Graal, si hanno a L'Aquila presso Collemaggio, si è parlato del numero 99, dell'impianto urbanistico aquilano molto simile a quello di Gerusalemme, ai simboli e ai girali del pavimento della basilica, alla luce del rosone, a una cripta sotterranea con il tesoro di Celestino V, che si fece donare dai Templari di Lione quando partecipò al Concilio di Papa Gregorio IX. Fatti che andrebbero ugualmente presi con le pinze, magari i Templari passarono per L'Aquila, magari ci furono maestranze templari che per la decorazione degli ambienti interni e della pavimentazione furono influenzati da questa corrente architettonica, con precise simbologie, come l'esagono a stella e i girali, ecc.,  ma il confine tra la supposizione, e la leggenda è molto esile; così come leggende pie che si sono create per il cavaliere crociato che si fece ritratte con lo scudo di San Giorgio e la famiglia per il ciclo di affreschi della vicina chiesa di Santa Maria d Cryptas nel comune di FOSSA; qui siamo nella seconda metà del Duecento, e alcune maestranze attive in questa chiesa, che ha l'aspetto architettonico di diverse magioni Templari francesi, furono attive anche nella vicina ex abbazia di Santa Maria con chiesetta di San Pellegrino di BOMINACO.


S.Maria in Viano


Altri elementi Templari in Abruzzo? Ce ne sono, le Croci dei cavalieri tracciate sul sagrato della chiesetta di Santa Maria in Viano a FILETTO (Chieti), di antica memoria, la croce presso il finestrone dell'abside centrale delle tre presso l'abbazia di San Giovanni in Venere, il "Quadrato magico" del SATOR sulla facciata della chiesa collegiata di Santa Lucia in Magliano dei Marsi, studiato dal Piccirilli, coevo del Quadrato sulla facciata dell'ex abbazia di San Pietro in Oratorium di CAPESTRANO. Passaggi Templari sì, assodato, sin dagli storici d'arte di arte medievale che per primi si occuparono di abruzzesistica, come Gavini, De Nino (che salvò il portale della chiesa di San Salvatore di Paterno, oggi nel Castello di Celano), Piccirilli, i quali evidenziarono una presenza fortemente francese nell'Abruzzo, dopo l'arrivo dei Cistercensi, quando Carlo d'Angiò prese il Regno di Napoli...ma arrivare a sproloqui sul Sacro Graal, come detto, è molto facile per chi ama la leggenda.

 

Sator rovesciato, San Pietro in Oratorium, Capestrano

Ma di cosa si macchiarono in Abruzzo questi frati, per cui si celebrò un processo con tanto di condanne gravissime? Occorrerebbe riesaminare il saggio del 1982 e i documenti Vaticani, si sa soltanto che questi monaci erano stati accusati di sacrilegio e atti empi, come ad esempio violare il Crocifisso e alcune precise norme di Santa Madre Chiesa.

 

A riguardo le leggende sul Graal in Abruzzo, cosa dire? Se ne sono scritte molte, che ancora oggi contaminano l'immaginario popolare: il Miracolo eucaristico di Lanciano nella chiesetta di San Legonziano, sopra cui fu eretto nel 1258 il monastero di San Francesco, lo stesso nome di LANCIANO che deriverebbe, come dimostrerebbe apparentemente la stessa lancia riportata sullo stemma civico di Lanciano, insieme al sole e al giglio, i colli (tre, come a Gerusalemme!) ecc, ecc, non sono altro che pie leggende. Si è dimostrato come LANCIANO derivi dalla creazione dell'articolo determinativo L'A dalla preposizione latina AD + ANXANUM poi ANZANUM e infine L'ANZANO al cui Z geminò in C = L'ANCIANO = LANCIANO; e si è dimostrato come la lancia e i gigli non abbiano a che fare con un Graal nascosto sotto i cunicoli del centro storico romano; volendo farla breve per non confrontare i vari stemmi e raffigurazioni storiche degli stessi nei vari luoghi antichi di Lanciano, per cui Carabba Tettamanti e Del Bello hanno curato una relazione storica, lo stemma di Lanciano fu contaminato dal Governatore Regio Belmonte con il sole e i colli, sicché di recente si è proceduto al ripristino dell'originale.

 

Altre pie leggende: Il toponimo GUARDIAGRELE che a detta di alcuni sarebbe derivato da GUARDIA GRAAL, un presunto tempio della Dea Maja a forma ottagonale che sorgeva nel sito del Duomo di Santa Maria Maggiore, il nome antichissimo, come ricordato dagli storiografi patri, quali Nicolò Colagreco, Francesco Paolo Ranieri, Giuseppe Jezzi, Giacinto Vitocolonna, che deriverebbe da "Graelion" o da "Aelion", che in Greco significa "Sole", e che quindi a Guardiagrele c'era una millenaria colona di Greci che venerava nel piano di Guardiagrele in un tempio il Sole e altre baggianate simili, sono state prontamente smentite punto per punto di recente dallo storico Lucio Taraborrelli.

 

Al posto di andar cercando il Graal qui e lì, come a San Nicola di Colle Flocco (Atessa), a San Giovanni in Venere, a Lanciano (per una croce Templare, o per una leggenda non verificata e puntualmente smentita già in articoli storici di vecchia data, ma poco studiati), occorrerebbe cercare le fonti e le testimonianze negli antichi documenti, come ad esempio di recente è stato fatto dal compianto Michele Scioli per i documenti e carte geografiche storiche che parlando della chiesetta di SANTA MARIA DEL CASALE nell'attuale contrada Pietragrossa del comune di Castelfrentano; documenti che cantano chiaro, sulla presenza di una piccola grancia Templare in territorio frentano, oggi purtroppo scomparsa, ma "ben documentata".

 

E come non parlare e non sollecitare un intervento di ripristino per l'ex monastero priorale di San Giovanni Battista dei Templari a Penne, vicino Pescara?

S.Giovanni Battista, Penne

È una delle chiese più importanti d'Abruzzo, poiché è l'unica oggi rimanente dell'Ordine dei Cavalieri Templari di Malta consacrati a San Giovanni di Gerusalemme. La chiesa si trova nel cuore del centro storico, presso uno slargo ricavato dietro i portici monumentali dedicati a Cola Salconio di Penne, realizzati sopra altri edifici nel primo Novecento, lungo il corso dei Vestini sud, poi reintitolato al magistrato pennese Emilio Alessandrini. Inoltre è disdicevole che la chiesa, chiusa al culto da anni insieme al monastero, dopo le leggi piemontesi, non abbia subito interventi di restauro.

 

S.Giovanni Battista, Penne

La chiesa fu edificata insieme ad altri monasteri dell'Ordine di Malta in Abruzzo, come forse la chiesa di San Giovanni a Chieti, che si trovava probabilmente nei dintorni di Largo del Pozzo (oggi piazza Valignani), demolita nel 1876, la chiesa di Santa Gerusalemme a Pescara (l'ospedale si trovava in via dei Bastioni), di cui restano colonne sul viale D'Annunzio presso la Cattedrale, la chiesa dei Cavalieri di Malta a Vasto, che si trovava nei pressi del monastero del Carmine, scomparsa nel XIX secolo, ecc...
Il primo monastero di San Giovanni Battista a Penne fu eretto fuori dalle mura nel XIII secolo, per volere dei conti Trasmondi, ma essendo stata distrutta nel 1446 dalle truppe di Giacomo Caldora, durante la guerra tra L'Aquila e Penne, le monache ottennero il permesso di acquistare delle case sotto il colle del Duomo, edificando il monastero.
Esso fu però distrutto dal Caldora nel 1436, durante la guerra tra Angioini ed Aragonesi per il controllo dell'Italia Meridionale. In quell'occasione, le Gerosolomitane si trasferirono all'interno della città, in case in prossimità del Duomo, dove continuarono la loro opera di assistenza agli infermi ed ai derelitti. L'area vecchia dove sorgeva il convento doveva essere appena fuori Porta San Francesco, poiché si parla di un ospitale di San Nicola de Ferratis, dove in effetti si trova l'attuale chiesa cilindrica di San Nicola di Bari.
Nel 1523 le monache ottennero da Giuliano De Rodolphis, Gran Priore dell'Ordine, residente a Capua, il permesso di riedificare definitivamente il monastero dentro le mura, presso la chiesetta dell'Annunziata, che diventerà sede della Confraternita del Monte dei Morti. La chiesa fu rifatta in stile manierista barocco, terminata nel 1701, come testimoniato anche dallo storico Anton Ludovico Antinori, che parla della consacrazione il 24 giugno del 1701.
Fu la priora Maria Anna Lanuti di Chieti a volere il rinnovamento della chiesetta cinquecentesca, come attesta anche l'iscrizione sullo stemma dell'Ordine di Malta del portale maggiore: TEMPORE PRIORATUS SORORIS MARIAE ANNAE LANUTI. 1700.
I lavori furono eseguiti da Giovanni Bossi, Francesco e Donato Augustone su progetto delle maestranze lombardo ticinesi attive nell'Abruzzo Ulteriore e Citeriore, legate sicuramente a Giovan Battista Gianni, che però non progettò il restauro della chiesa, in quanto era stato assoldato dalla madre superiora delle Clarisse, monastero avverso alle monache di San Giovanni, per il restauro della chiesa.

La chiesa, seguendo i dettami dell'Ordine, presenta un impianto a croce greca con la cupola, con tre cappelle, il lato est è preceduto da un ambiente voltato a botte, terminante con altre due cappelle laterali e un vestibolo, dunque un allungamento longitudinale di una parte della croce, che fu realizzato per ospitare la cantoria della controfacciata. La facciata è scandita da una scalinata centrale, portale principale incorniciato con lo stemma, sovrastato al centro da un finestrone rettangolare, e timpano triangolare.
La chiesa conserva un impaginato di stucchi barocchi, le superfici alternano spazi pieni e vuoti, volti a dare plasticità all'edificio: i tre altari principali sono decorati da statue di santi, decorati con timpani spezzati, a ricciolo, medaglioni, figure allegoriche, festoni, che sembrano ispirarsi ai canoni barocchi romani del Bernini e di Ercole Ferrara e Pietro da Cortona. Tra le novità usate ci sono la valva di conchiglia di San Giovanni a ricordo del suo ruolo di battezzatore di Cristo, la stella a otto punte emblema dell'Ordine, riproposta di continuo sugli altri altari.
La presenza di stemmi nobiliari presso gli altari testimonia come la chiesa fosse particolarmente privilegiata in Abruzzo, frequentata dalle persone più facoltose, cui erano legate le stesse monache gerosolimitane.
Presso gli altari vi sono coppie di santi: Sant'Orsola/Santa Caterina, Santa Lucia/Santa Margherita da Cortona, San Biagio/San Liborio.
Si trovano anche affreschi, realizzati da Giambattista Gamba, attivo anche a Chieti, L'Aquila e Sulmona, qui realizzò le quattro tele che si trovano attualmente nel Museo civico diocesano: San Giovanni evangelista - San Carlo Borromeo, che stavano presso le due cappelle subito dopo l'accesso, nel vano centrale l'altare ospitava una tela del Samberlotti del 1617: San Giovanni in gloria, che affiancava la tela della Madonna assunta con San Francesco di Paola ai piedi: la tela fu voluta dalla priora Anna Lanuti, la Madonna in cielo, sorretta da angeli, porge il Bambino al santo paolotto, in secondo piano sulla tela è ritratto il Battesimo di Cristo, tutti elementi legati alla celebrazione di San Giovanni. L'altare sinistro è dedicato al Santissimo Crocifisso, con una lapide dell'indulgenza plenaria concessa da papa Benedetto XIV nei giorni della nascita e decollazione di San Giovanni
La chiesa subì un restauro nell'Ottocento, come testimonia l'iscrizione AMARIA RAPHAEL COSTANZO PRIORISSA A TEATE A.D. MDCCCXLIX. Fu realizzato un partito geometrico a triangoli rosa, bianchi e neri, collocati nel vestibolo allungato, poi un pavimento alla veneziana, con un granulato variopinto a scagliette di marmo e ciottoli di fiume, opera di Giovanni Pallarin, nel 1848. Nel 1866 il monastero fu sconsacrato, la chiesa rimase attiva, fino a rimanere sconsacrata anch'essa.

In presenza di un monumento così ancora ben integro e conservato, per cui si sollecita un interventi degli enti preposti atto a conservare il Bene, a che serve oggi parlare di facili e affascinanti invenzioni e leggende in Abruzzo sul misterioso Graal tra borghi arroccai sui monti, e castelli diruti, e rovine di cappelle tratturali? Quando, oltre a fortuiti ritrovamenti archeologici come Santa Gerusalemme a Pescara, o documenti che attendono una nuova lettura e riscoperta, non aspettano altro di essere riportati all’attenzione per nuovi studi di ricerca?



Nessun commento:

Posta un commento