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29 marzo 2021

I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.

 

I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.

di Angelo Iocco

Siamo nella Settimana Santa, e la nostra intenzione è quella di fare un piccolo excursus storico artistico e devozionale sulle varie rappresentazioni del Venerdì Santo e della Santa Pasqua in Abruzzo.

IL TEMA DELLA SANTA PASSIONE DI CRISTO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE

Oltre a una tradizione “alta” della Passione di Cristo, con la sfilata in processione di Confraternite, le Quartant’Ore, i Sepolcri, abbiamo testimonianze, grazie allo studio dei demologi come Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Padre Tommaso Bartoletti, Omobono Bocache, Donatangelo Lupinetti, Domenico Di Virgilio, Elvira Nobilio, Emiliano Giancristofaro, Gabriella Campitelli, Carlo Di Silvestre, Domenico Marchesani…e  in parte anche Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Michetti, di una tradizione popolare abruzzese.

Quello che ci interessa, come ha studiato ad esempio Vincenzo De Bartholomaeis, è il collegamento di vari lamenti popolari e cantilene trascritte nell’800 e registrate negli anni ’60 e ’70, con una tradizione ben più antica, risalente al Medioevo del XIV-XV secolo, ovvero al tempo in cui le Confraternite dei Penitenti e dei Flagellanti, che ad esempio si installarono in Aquila, promuovevano delle rappresentazioni teatrali vere e proprie della Passione di Cristo in tempo di Settimana Santa; rappresentazioni teatrali che durarono sino al XVIII secolo, quando il Papa e il Re di Napoli iniziarono ad apporvi dei freni per il rischio di sconfinamento di queste cerimonie così sentite dal popolo in vere e proprie eresie. Il tema ricorrente nella maggior parte è quello del “lamento della Vergine Maria”, una figura che interpreta la Madonna che va per le porte delle case di Gerusalemme, in cerca del Figlio rapito dai Romani per il tradimento di Giuda, bussa alla porta di Caifa, per chiedere notizie, e Giuda dice di stingere Gesù con maggiori catene, poi la Madonna va dal fabbro chiedendo di fare chiodi piccoli piccoli per far soffrire di meno Cristo, ma interviene sempre Giuda, altre volte Pilato, comandando di fare chiodi enormi affinché il Nazareno patisca dolori indicibili, sicché la Vergine Maria, vinta dalla disperazione, crolla svenuta a terra. Il patetismo e l’esagerazione sono ben evidenti, leggendo questi copioni teatrali medievali, nonché le trascrizioni di Finamore, De Nino e Lupinetti, per non parlare dei canti registrati, si tratta del resto di letteratura orale popolare, in cui il cattivo di turno viene mostrato con carica di ferocia  sempre crescente, dato che il Nuovo Testamento è per il volgo la Storia delle Storie, con personaggi e caratteri agli antipodi, e la Verità una sola, così come viene ricalcato particolarmente il pianto e il dolore della Madonna in cerca del Figlio, e poi ai suoi piedi presso la Croce. Ricorrente è anche il tema dell’improvviso oscurarsi del Cielo e del Mondo al momento del Supremo Trapasso, fino alla presa di congedo finale dal canto, e l’invito a fare penitenza prendendo ad esempio il Sacrificio di Nostro Signore.

Ci piace riportare anche delle belle poesie in vernacolo abruzzese collegate al tema della Passione. Non c’è poeta dialettale abruzzese che non abbia raccontato la Processione del Venerdì Santo nel suo paese, come Alfredo Luciani, che addirittura replica il suono di morte dei tamburi, oppure un Cesare Fagiani per il Venerdì Santo a Lanciano, con note di disappunto per i “signoroni” che amano farsi vedere e mettersi in mostra in occasione del rito, o per alcune usanze ormai desuete, citando un’antica statua ormai logora, buttata dentro un ripostiglio della chiesa, Francesco Simonetti che in un lungo “Calendario liturgico sulmonese” racconta dall’inizio dell’anno alla fine tutte le principali ricorrenze religiose e popolari della città, soffermandosi particolarmente sul Venerdì Santo.

Tra le poesie più ricordate sul Venerdì Santo, ci sono quella di Raffaele Fraticelli del 1953 e quella di Renato Sciucchi del 1967, ambedue di Chieti, cariche di densa emozione e nostalgia la prima del Fraticelli, la seconda più descrittiva e borbottona, come fosse il racconto di un popolano di Chieti che si trova invischiato nella folla e nel vortice delle Confraternite che portano i Trofei.



E la Madonne nghe lu mante nere,
passè. Li viuline e li Canture
cantéve n'àtra vote... Miserere!...
"Mammà, quande so' grosse cante jé pure!..."
Chì sa pe' quanta tempe, quant'ancóre,
'stu jorne vè 'pparlà' dentr'a lu core!

Da “Vinirdì Sante” di Raffaele Fraticelli

Le differenze tra i paesi, impossibile canonizzare le provenienze dei testi, producono poi una varietà di tipi diversi per forma stilistica, per motivi musicali generalmente tristi, ma non sempre, e per la lunghezza del dettato.


Tornando al tono minore delle melodie possiamo affermare che la scala minore, se viene usata nei tre modi naturale, armonica e melodica, riesce ad esprimere bene le sensazioni del dolore fisico e morale, le situazioni psicologiche fortemente drammatiche e le condizioni negative e drammatiche della vita di ogni essere umano. Se esaminiamo tecnicamente le note su cui generalmente viene creata la melodia, troviamo che la flessione tonale esistente tra il II e III grado della scala minore (invece del III e IV grado della scala maggiore) si fa immediata e consona alla stessa diminuzione di tono morale-psichico in cui già versa il soggetto traumatizzato e provato dall'esperienza del male intesa in senso assoluto. La modulazione armonica, invece, come sostegno della melodia, si sviluppa attraverso accordi minori di triade (tre note sovrapposte per triade) nelle frasi musicali descrittive e strofiche e anche attraverso speciali accordi diminuiti di quadriade (quattro note sovrapposte per terne minori) o di settima diminuita per rendere più vivo il pathos melodico ed a esso più sincrono la dissonanza armonica. Tale impianto propriamente tecnico, come risulta nella cultura musicale popolare, a volte non è stato né previsto né inteso dall'autore che, per quanto spesso dimenticato e anonimo, ha naturalmente creato e scritto per istintiva e alta ispirazione, senza razionalismi, senza tener conto di canoni tecnici musicali e rispetto di metriche poetiche.

Così si può asserire con certezza che anche l'arte (poesia, musica, pittura, scultura, ecc.) è veicolo, supporto, tramite al passaggio del misterioso fluido sacrale della fede religiosa di secolo in secolo, di generazione in generazione, di sangue in sangue. Millenni di storia, di cultura e di arte si trovano così bene conservati nel prezioso scrigno della tradizione popolare, che basta un pizzico di vero amore per farli gustare e rivivere in modo gratuito e spontanei.

Possiamo distinguere i Canti di Passione in tre differenti tipologie:

• La passijone di Criste;

• Ore della Passijone;

• I pianti o Lamenti di Maria.

Nel primo gruppo comprendiamo le narrazioni del momento del dramma del Calvario e i dialoghi tra Figlio e Madre (le cosiddette Urazioni). Questi canti si incentrano essenzialmente sui dolori dell'Uomo-Dio, hanno un loro preciso e caratteristico andamento e una particolare melodia.

Il secondo gruppo comprende i canti che mettono in risalto i momenti salienti delle ventiquattro ore della giornata: Lu rellogge della Passijone, tra cui è famosissimo Lu Criste a nn'ore de notte. Ricordano i momenti salienti del racconto evangelico nelle ventiquattro ore, solitamente a scopo devozionale e ancor più mnemonico.

Infine nel terzo gruppo sono compresi i racconti sulla Madonna Addolorata, che assumono un particolare andamento sia dal punto di vista letterario che da quello musicale: questi ultimi pongono un accento del tutto peculiare all'affanno della Madre Addolorata che cerca un sollievo al martirio del Figlio.

I Canti del Giovedì Santo assumono quindi una loro peculiarità e specificità, come quelli del Venerdì Santo i quali, però, vengono cantati dietro la processione della Via Crucis e non casa per casa. Infatti la Passijone viene “portata” di casa in casa, a volte iniziando anche il mercoledì, da li passiunire che assumono, a Pasqua, la stessa valenza degli zampognari a Natale. Un gruppo, la squadre, di giovani e meno giovani, cantori e suonatori, variante per numero da un minimo di due ad un massimo di venti, solitamente sei o otto, porta nelle case il canto: il popolo lo accoglie di cuore, con una attenzione devota e poi dona quello che ha, generosamente, dalle uova ai dolci di Pasqua, ai soldi.

Data la lunghezza dei testi, e il numero di case in cui “portare” la Passijone, i cantori si dividono in due gruppi, alternandosi nel canto: alle prime luci dell'alba del venerdì, dopo innumerevoli “tappe”, dolci e bicchieri, la squadre si ritira.

È senz'altro una delle tradizioni più radicate e ancora profondamente sentite tra le popolazioni abruzzesi.

 

 LE PROCESSIONI DEL VENERDI’ SANTO

 AREA AQUILANA

Per la realizzazione di queste schede ringraziamo la collaborazione di G. Scordella e la pagina Artistico Abruzzo

LA PROCESSIONE DEL VENERDI’ SANTO A SULMONA

Il rito è molto antico, collegato strettamente alla chiesa della Congrega della Santissima Trinità sul corso Ovidio, detta anche "congrega dei Nobili". Quest'area del Sestiere Porta Molina era il nucleo della società nobile sulmonese, in lotta da secoli con i confratelli della Madonna di Loreto di Santa Maria della Tomba, che non è un sestiere ma un "borgo", sorto nel XIV-XV secolo con l'edificazione della seconda cerchia muraria, e ritenuti per questo dei Trinitari dei "rozzi popolani". Onde evitare continue dispute che sfociavano anche nel sangue, nel XVIII secolo il vescovo di Napoli in visita a Sulmona, decretò che la Settimana Santa, negli Statuti Trinitari, si sarebbe svolta con la processione del Venerdì Santo da parte dei confratelli della Trinità, e la domenica per la Pasqua di Resurrezione, la statua della Madonna che scappa, sarebbe stata portata dai confratelli Lauretani.

La processione attuale segue lo statuto riordinato della processione del 13 aprile 1827. Il feretro del Cristo morto è fatto uscire della chiesa della Trinità, la statua è circondata da 33 garofani rossi quanti furono gli anni di Gesù; il corteo è aperto dai portatori di fanali a lampioncini con il "cingo" di cuoio a mo' di cilicio stretto alla vita, impugnati dai portatori con fazzoletti bordati a lutto, che compongono un quadrato umano, al centro del quale vi è la Croce foderata di velluto rosso, ornata con tralci di vite in argento e grappoli d'uva ricamati.

Il secondo ordine di confratelli in processione, che portano i fanali, è disposto a doppia T; il terzo drappello della processione è composto da confratelli che procedono a file parallele, intonando il "Miserere" del 1913 di Federico Barone e Raffaele Scotti, intonato dai confratelli che vestono il saio rosso; seguono i simulacri del Cristo Morto e dell'Addolorata. La statua del Cristo è del 1750 di anonimo napoletano, adagiata su un lettino con quattro piccoli angeli a guardia, che recano i simboli della Passione, come il Calice dell'Ultima Cena, la Corina, la Lancia con la spugna di aceto, la Scala di Giuseppe d'Arimatea.

La Madonna Addolorata è vestita di nero e ha una spada trafitta nel cuore d'argento. In segno della pace tra le due confraternite rivali, in piazza Garibaldi sotto i "tre archi" dell'acquedotto medievale, avviene lo scambio dei confratelli Trinitari ai Lauretani delle statue del Cristo e della Madonna, per portarli lungo il secondo troncone del corso Ovidio sino a Porta Napoli; compiuto il giro di ritorno in piazza, c'è il nuovo scambio di statue. Lo scambio avviene davanti alla facciata della chiesa di Santa Maria della Tomba, dove avviene una cascata di "sangue" a mo' di petali rossi, in segno di monito contro i confratelli Lauretani, che furono minacciati di scomunica nei secoli passati perché si avvinazzavano durante la processione.

 

Le musiche intonate sono la marcia per banda  di Amedeo Vella “Una lacrima sulla tomba di mia madre”, a seguire il Miserere composto da Federico Barcone nel 1913, a seguire i movimenti Amplius e Tibi soli composti da Raffaele Scotti, accompagnati dallo struscio dei Confratelli che portano i simboli della Passione e il Feretro. I movimenti del Salmo 50 del Miserere sono eseguiti a cadenza bisestile.

 

IL VENERDI’ SANTO A L’AQUILA

La Processione all'Aquila fu ufficializzata nel 1456 dalla Confraternita dell'Annunziata, mentre prima nel 1380 ad esempio, era organizzata dal vescovo del Duomo. Nel 1505 si costituì una confraternita vera e propria, di San Leonardo, nella processione venivano portate le figure del Cristo, di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea, la Madonna Addolorata, Giovanni apostolo, la Maddalena e l'altra Maria. Anche gli storici convengono che nel 1505 ci fu la nascita vera e propria della processione. La confraternita fu rinominata del Santissimo Sacramento; nel 1601 iniziarono, come si legge dalle memorie dei vescovi, delle controversie tra le confraternita che partecipavano al rito, per la questione del portare le torce, alla fine si decise che a sorte si sarebbero dovute portare 8 torce.

Le controversie continuarono, sino a sfociare in zuffe tra i confratelli, sicché il vescovo Ludovico Sabbatini emanò il 10 aprile 1754 una legge, che ordinava di intervenire il giorno 12 del Venerdì di quell'anno, con i misteri, non più fatti da persone che interpretavano Cristo, l'Addolorata ecc...ma figure dipinte, e il ritrovo era il sagrato della Cattedrale. Oggi si celebra infatti ancora così, mezz'ora dopo il tramonto le campane suonano a morto, e la processione esce. Tuttavia all'epoca ci furono ancora disordini, sicché il re di Napoli ordinò nel 1768 che le processioni notturne si vietassero, sicché L'Aquila rimase senza la processione del Venerdì santo sino al 1954, quando per interessamento dei frati Minori Osservanti di San Bernardino è stata ripristinata in forme diverse, ispirandosi molto, anche per il Miserere del Selecchy intonato, a quella di Chieti.

Vengono portati in sfilata i gonfaloni dei Quattro Quarti storici, poi un catafalco istoriato che mostra le stazioni della Via Crucis, e infine il sontuoso feretro col Cristo morto e l'Addolorata. Il percorso parte dalla Basilica di San Bernardino, segue nel corso Vittorio Emanuele, arriva in Piazza Duomo, percorre via Sassa, via Roma, corso Umberto I, corso Vittorio Emanuele, piazza San Bernardino.

 

 LA PROCESSIONE DEL CRISTO MORTO DI CHIETI

Ovviamente ci sono caratteristiche che sono comuni a più parti della regione o che, originarie di una precisa zona, si sono estese a tal punto da diventare una caratteristica tipica di quasi tutte le processioni abruzzesi (in particolare alcune delle caratteristiche della processione di Chieti, come i “Trofei della Passione” e il “Miserere” di Saverio Selecchy, sono state esportate, a volte anche fuori regione, tanto da diventare simboli per eccellenza dei riti abruzzesi del Venerdì Santo).

Per quanto riguarda il “Miserere” di Selecchy ne parlerò quando tratterò della processione teatina, mentre per i “Trofei della Passione” mi sembra giusto almeno introdurli soprattutto a chi da fuori regione non sa di cosa si stia parlando, ma la storia di questi verrà trattata anch’essa nella parte dedicata a Chieti.

Al contrario delle processioni del Sud Italia in Abruzzo mancano i cosiddetti “misteri”, veri e propri gruppi statuari rappresentanti i vari momenti della passione di Cristo, sostituiti invece da sculture allegoriche formate dai vari strumenti della Passione. Per cui se in una processione ad esempio pugliese è normale avere anche fino a 40 gruppi di statue, più statue del cristo (cristo all’orto, cristo alla colonna, ecce homo, cristo portacroce) come se fosse un vero e proprio racconto della Passione per immagini, in Abruzzo tutto ciò non è esplicitato, ma ricordato da queste composizioni allegoriche della Passione.

Per praticità riporto subito l’elenco dei Trofei originari della Processione di Chieti: “L’Angelo”, “Le Lance”, “Il gallo”, Il Sasso”, “Il volto santo”, “Le Scale”, “La croce”.

La processione del Venerdì santo di Chieti è considerata fra le processioni più antiche d'Italia[1] La sua origine, secondo delle leggende tratte da Girolamo Nicolino, risalirebbe all'842 d.C., anno in cui si concluse ufficialmente la ricostruzione della prima cattedrale dedicata a San Tommaso (attualmente parte della vecchia cattedrale costituisce la cripta della nuova dedicata a San Giustino[2]), che era stata distrutta nell'801 da re Pipino. Con la ricostruzione della cattedrale sarebbe nata la processione del Venerdì santo. La sua conformazione attuale risale però solo al XVI secolo, quando nacque L'arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti con sede nella cattedrale, che ne cura l'allestimento e la preparazione.

La tesi del Vicoli appena esposta non è però suffragata da alcun elemento certo, se non dall'appassionata, ma discutibile, affermazione del Nicolino.

Solo nel 1650 si hanno notizie certe mediante documenti, sulla confraternita della cattedrale, riguardanti un pellegrinaggio che il Monte dei Morti organizzò in Roma in occasione dell'Anno santo e nel quale vennero portati in processione uno stendardo nero con il simbolo del sodalizio, una "Morte" a grandezza naturale e un catafalco ricoperto in velluto damascato e sul quale era adagiato la statua di Cristo. Sono proprio l'estrema povertà e la caratteristica funerea e penitente della processione in quel periodo, la sua essenzialità e brevità in contrasto con la ricchezza e la pomposità rinascimentale e poi barocca delle moltissime altre processioni nate in quegli ultimi secoli che fornirebbero un ulteriore indizio sulle origini altomedievali.

Tra il '700 e '800 avvennero importanti modifiche riguardanti l'introduzione del coro (all'inizio del XVIII sec.), dato che il compositore e maestro di cappella Saverio Selecchy musicò il Salmo biblico n. 50 ossia il "Miserere", dei "simboli della Passione" (nel 1855) realizzati da Raffaele Del Ponte, e della statua dell'Addolorata (1833), oltre all'eliminazione dal corteo della Morte. Inoltre nel 1850 circa la processione fu spostata dal mattino alla sera.

Una delle tradizioni della processione di Chieti è che questa si debba sempre svolgere, anche in condizioni atmosferiche pessime o durante accadimenti rilevanti, come avvenne durante la seconda guerra mondiale: nel 1944 infatti, nonostante fosse stato emanato il divieto dai nazisti di effettuare la processione, questa si svolse ugualmente, sebbene in versione ridotta, girando per la piazza Duomo, uscendo dal portone della cattedrale e rientrando dalla cripta. I militari tedeschi entrarono poi in cattedrale per rastrellare gli uomini che vi avevano preso parte, senza successo perché i confratelli riuscirono a scappare dalle varie uscite secondarie della cattedrale (attuale piazza Zuccarini già largo della pescheria, via Arniense, e cunicoli sotterranei).

Ad oggi l’unico annullamento registrato è nel 2020 a causa della pandemia da diffusione del virus Covid-19; soltanto l'arcivescovo Monsignor Bruno Forte scortato da due prelati, ha portato il Crocifisso in processione dalla piazza mediante il corso Marrucino a piazza Trinità, per poi tornare indietro nella cattedrale.

La processione ha inizio la sera del Venerdì santo, all’imbrunire, dalla cattedrale di San Giustino con le persone già in attesa sulla piazza antistante, lungo il corso principale e le altre vie dove il lungo corteo si snoda. Lungo gran parte del percorso sono presenti i tripodi accesi con fuoco di cera, un tempo necessari per bruciarvi incensi ed aromi (difatti, prima della diffusione dell'illuminazione elettrica, la processione si svolgeva di giorno). Intanto, in cattedrale, alla fine della sacra funzione, sulla scalinata del presbiterio si esibisce, diretto dal maestro Loris Medoro, il coro per tenori primi, tenori secondi e bassi e composto da oltre 160 elementi che intona il Miserere composto intorno al 1740 da Saverio Selecchy, maestro di cappella della cattedrale. L'orchestra conta circa duecento elementi con violini, viole, violoncelli, flauti traversi, clarinetti, fagotti e, dalle ultime edizioni, anche sassofoni.

Al crepuscolo inoltrato comincia la vera e propria processione. Apre lo stendardo a lutto dell'Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti. Escono quindi le varie confraternite cittadine, ognuna con il proprio stendardo e crocifisso, alcune con propri simboli, tutte con le lanterne (dette fanali), con i confratelli nella mozzetta tradizionale di ciascuna confraternita. Salvo la Misericordia, che sfila con il caratteristico saio e cappuccio nero, e la confraternita della Cintura, composta da sole donne, anch'essa in tunica nera, le altre confraternite hanno tutti abiti e cappucci bianchi per non confondersi con l'arciconfraternita. Dopo l'uscita delle varie confraternite seguono i religiosi che hanno inteso partecipare in ordine crescente di grado e anzianità, poi il capitolo metropolitano e i membri dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro insieme all'arcivescovo di Chieti-Vasto. È poi il turno dei membri dell'arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, vestiti con una tunica nera, mozzetta gialla e cappuccio nero. Infine è il turno dei musici e dei cantori. I membri (aggregati) dell'arciconfraternita del Sacro Monte, inoltre, riempiono quello spazio che separa i membri di una confraternita dell'altra portando i simulacri rappresentanti i simboli della Passione di Gesù, scortati anche da valletti e vigili del fuoco. Durante la processione i fratelli effettivi circondano le statue di Cristo e della Madonna addolorata: a loro spetta anche il compito di trasportare questi sacri simboli, secondo una tradizione di successione salica. Sono scortati da carabinieri in alta uniforme.

Terminata la processione seguono i fedeli, con nelle prime file le autorità locali.

Questa bellissima processione fu immortalata anche dal pittore Francesco Paolo Michetti, con “Il Venerdì Santo a Chieti”, nel quale appare uno scorcio del Corso Marrucino all’altezza della chiesa degli Scolopi, con i devoti assembrati attorno al portatore del Gonfalone dell’Arciconfraternita e ai Trofei seguenti, Michetti ritrasse anche altri episodi legati alla Passione in Abruzzo, come la “Domenica delle Palme”, ritraendo un gruppo di fedeli che esce dall’abbazia di San Giovanni in Venere, e “Il Corpus Domini a Chieti”, un vero inno alla vita e alla resurrezione a differenza della tela del Venerdì Santo, scena ambientata nel cortile di una chiesa con figure femminili e maschile che escono in un tripudio di colori, emblematica la figura di una madre gioiosa che stringe tra le mani il bambino.

 

L’ARCICONFRATERNITA DEL SACRO MONTE DEI MORTI

Il Sacro Monte dei Morti è probabilmente nato, come vuole la leggenda tra i secoli IX e X nella Cripta della cattedrale, sulla tomba di san Giustino, con lo scopo di far celebrare sante messe in suffragio delle anime dei fratelli defunti. I fratelli si dedicavano anche al compito pietoso di seppellire i corpi, disseminati per le vie e i campi, delle vittime delle tante guerre del tempo. “Sacro” si riferisce agli scopi di natura cristiana. “Monte” sta ad indicare che vi erano beni di proprietà da destinare alle attività.

Secondo notizie non sufficientemente documentate, che cadono nella leggenda, si sarebbe svolta a Chieti una processione a ricordo della Passione di Cristo fin dal IX secolo. Se ciò fosse vero, sarebbe stata la prima in Italia.

L'Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti è sorta nel 1603] in qualità di aggregata all'Arciconfraternita romana dell'Orazione e Morte sorta nel 1539.

Sempre nel 1603 l'arcivescovo del tempo autorizza la costruzione dell'oratorio del Sacro Monte dei Morti a fianco della cattedrale. Solo nel 1648 il sodalizio teatino si rese giuridicamente autonomo con la pubblicazione di un suo Statuto e con l'elezione dei propri rappresentanti. Il primo governatore (insieme ad Alessandro e Giovanni Andrea Valignani e Blasio Grampa) risulta essere stato il capitano della milizia urbana Pietro Gigante che, dopo aver vissuto gli orrori delle guerre, fu molto benevolo nei riguardi della pia associazione.

L'Arciconfraternita, come si è detto, era aggregata alla compagnia romana dell'Orazione e Morte e su suo invito partecipò all'anno santo del 1650: per l'occasione venne scolpita una “Morte” in legno a grandezza naturale che nella mano sinistra reggeva un crocifisso e nella destra una falce col motto Nemini parco ("non risparmio nessuno"). Mille e cento persone raggiunsero Roma, a piedi, in quattro giorni. L'ingresso in città fu quanto mai solenne: la compagnia, preceduta dai musici, fu ricevuta dai governatori e dai fratelli dell'Arciconfraternita romana. Papa Innocenzo X ne rimase evidentemente ben impressionato in quanto volle vederla due volte e benedire tutti i partecipanti.

 

LE ALTRE CONFRATERNITE CHE PARTECIPANO ALLA PROCESSIONE DI CHIETI

 

Di seguito un elenco, in ordine di sfilata, delle Confraternite della città di Chieti che partecipano alla Processione, oltre l'organizzatrice Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti.

1.     Confraternita di San Francesco Caracciolo, già Confraternita di Santa Maria del Tricalle - l'abito, i guanti, il cingolo ed il cappuccio sono bianchi; la mozzetta è color granata, con frangia e bordo dorato. Ha sede nella parrocchia di San Francesco Caracciolo.

2.     Confraternita di San Gaetano e San Giuseppe Falegname - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa; ha sede nella chiesa di San Gaetano Thiene.

3.     Confraternita delle Crocelle, già Confraternita dell'Addolorata - gli abiti sono sia bianchi che neri; la mozzetta è color amaranto con bordo dorato.

4.     Congregazione della Cintura - l'abito è nero; la mozzetta è in argento con bordo nero; ha sede nell'ex convento della Santissima Annunziata.

5.     Confraternita di Santa Maria Calvona - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa con il bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.

6.     Confraternita di Santa Barbara, già compagnia della Croce - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa con il bordo bianco per la prima, e abito bianco, mozzetta celeste con bordo bianco per la seconda; ha sede nella chiesa omonima.

7.     Confraternita della Madonna delle Grazie - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa con il bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.

8.     Confraternita della Madonna del Freddo - l'abito è bianco; la mozzetta è celeste con bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.

9.     Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli - l'abito è bianco; la mozzetta è azzurra scuro e stellata, con bordo dorato; ha sede nella chiesa di Sant'Antonio abate, in precedenza era situata nella chiesa di Santa Caterina o San Gaetano, poi nella chiesa di Santa Chiara.

10. Confraternita di Santa Maria della Vittoria - l'abito è bianco; la mozzetta è viola, con fregi circolari dorati; sede nella chiesa omonima.

11. Confraternita di Maria SS.ma del Rosario, già Arciconfraternita del SS.mo Rosario - l'abito è bianco; la mozzetta è nera con grani bianchi del rosario; ha sede nella chiesa di San Domenico.

12. Fraternità della Misericordia - l'abito è un saio nero, con cordone nero e rosario pendente, senza mozzetta; ha sede nella chiesa di Maria Santissima degli Angeli.

13. Ordine Equestre del Santo Sepolcro; ha sede in uno stabile in piazza Malta, in ricordo dell'antico Ordine dei Cavalieri di Malta che aveva sede in un monastero scomparso di San Giovanni Battista, a Chieti

 

I TROFEI SACRI DELLA PASSIONE DI RAFFAELE DEL PONTE

I Simboli o "Trofei" che oggi sono esposti, sono stati realizzati nel XIX secolo dal pittore e scultore teatino Raffaele Del Ponte:


- L'Addolorata. La statua della Madonna Addolorata di Chieti è caratterizzata soprattutto dal suo vestito: un abito di pesante seta e velluto, tutto nero, con alcuni ricami d'oro, ed un manto in seta nero scende dalla testa. Il volto è sofferente, le braccia tese, nella mano sinistra stringe un fazzoletto. Un velo in tulle nero trapunto di stelle d'oro copre tutto il capo e scende fino ai piedi. La statua della Vergine risale al 1910 e sostituisce quella usata fin dal 1833. Alla moglie del governatore dell'Arciconfraternita, a quelle dei suoi predecessori ed alla priora è riservato, nella mattina del Mercoledì santo, il compito di “vestire” la statua della Madonna Addolorata che è conservata, con gli “abiti di casa”, nell'armadio ligneo settecentesco della sagrestia dell'oratorio dell'Arciconfraternita.

- Il Cristo è una scultura lignea del '700, posta su un catafalco barocco coperto da un pesante velluto nero ricamato d'oro. La caratteristica del Cristo, conservato nello stesso oratorio summenzionato, è la sua "copertura", un velo bianco con ricami d'oro. Il Cristo a seguire, L'"Addolorata" sono i due simboli più importanti e sono gli ultimi ad uscire e chiudono la processione. Sono portati e scortati dai fratelli effettivi dell'Arciconfraternita. Gli altri simboli, portati e scortati dai Fratelli aggregati e tutti opera dell'artista teatino Raffaele Del Ponte, sono:

- L'angelo alato. Ha in mano l'amaro calice della Passione di Gesù.

- Le lance. Appartengono ai soldati inviati dal Sinedrio, con una daga, delle torce, una lanterna e il sacchetto dei trenta denari, compenso di Giuda, in ricordo dell'arresto di Gesù nell'orto del Getsemani.

- La colonna. Vi fu legato Gesù; Su di essa è posto il gallo del rinnegamento di Pietro e gli strumenti della flagellazione con la mano torturatrice.

- Il sasso. Vi sono collocati la tunica di Gesù con i dadi che servirono ai soldati per giocarsela, lo scettro di canna e la corona di spine col quale venne beffeggiato Cristo e un catino e una brocca, in ricordo del gesto compiuto da Ponzio Pilato (Io me ne lavo le mani). Il catino e la brocca d'argento vengono affidati ogni anno dalla famiglia Obletter all'Arciconfraternita. Essi furono utilizzati per il battesimo del Servo di Dio padre Gabriele M. Obletter, frate francescano morto nel 1964 e ora sepolto nella chiesa cittadina del Sacro Cuore che egli provvide a far costruire con i suoi beni. - Il volto santo che rappresenta l'episodio della Veronica. È una copia del Volto Santo di Manoppello.

- La scala. Ha appese le tenaglie, il martello e i chiodi della crocifissione, ma anche la canna con una spugna bagnata di aceto e la lancia di Cassio Longino (militare romano poi convertitosi e divenuto santo) che ferì pietosamente Gesù al costato per accelerarne la morte.

- La croce. Rude e pesantissima, ai cui piedi è posto il serpente del peccato originale e il cranio del primo peccatore, Adamo, cioè i motivi del sacrificio di Cristo.

IL VENERDI’ SANTO A LANCIANO E ORTONA

La Confraternita dell'Orazione e Morte a Lanciano nacque nel 1608, stante dapprima nel rione Lancianovecchia nella chiesa di San Martino, oggi scomparsa, assumendosi il compito di curare la sepoltura dei morti. Nel corso degli anni cambiò varie sedi, stando sino al 1952 presso l'ex chiesa di San Giuseppe o San Filippo Neri in via dei Tribunali, sicché alla fine non ebbe la sede definitiva nell'ex convento di Santa Chiara.

La processione è una delle più suggestive d'Abruzzo, conservatasi abbastanza fedelmente all'originale, che dovette essere impostata come la si vede oggi nel XVIII secolo. Gennaro Finamore dedica un lungo capitolo delle sue Tradizioni popolari alla processione, ricordando come ai primi dell'800 ci fossero ancora delle pantomime teatrali che rappresentassero con maggiore patetismo la morte di Cristo. Oggi ci si limita, il Giovedì Santo, con la processione degli Incappucciati, i confratelli vestiti interamente di nero, con il medaglione col simbolo della confraternita (teschio nero tra due ossa incrociate), che sfilano parallelamente per le vie del centro storico, partendo dalla chiesa, e recando i simboli del Tradimento di Cristo, come i denaro di Giuda, il Gallo, e il Cireneo che porta la croce.

La stessa processione, in forme più pompose, si svolge il Venerdì Santo, con i confratelli che escono dalla chiesa all'imbrunire, accompagnati dal Miserere composto dal lancianese Francesco Masciangelo, con l’Elegia introduttiva di Alfredo Ravazzoni, e il Christus (l’ultimo movimento del Miserere Grande del Masciangelo) suonati dalla banda civica; i simboli della Passione sono condotti, sfilano poi il feretro col Cristo morto e le Tre Marie dietro, tra cui l'Addolorata, statua in grandezze più evidenti; il percorso riguarda sempre il centro storico della città, fino al rientro nella chiesa di Santa Chiara. Nel 2019 è stato ripristinato il rito della "Posata", cioè della sosta in piazza Plebiscito del feretro, dove i musici intonano un inno funebre. In passato la Posata si effettuava nelle varie piazzette del centro storico, intonando a ogni sosta un brano del Miserere Grande di Francesco Masciangelo e Francesco Paolo Bellini.

 

Il Masciangelo nel 1846 compose anche un Miserere per la città di Ortona, ancora oggi intonato dalle consorelle, in abito e velo nero a lutto, dell’Associazione Passio Christi avente sede nella Parrocchia di Santa Maria delle Grazie (ex convento dei Minori Osservanti), da dove parte il feretro del Cristo morto con i gonfaloni e i Trofei.

 

IL VENERDI’ SANTO AD ATESSA

La Processione parte della chiesa dell’Addolorata in piazza Oberdan, precedentemente intitolata a San Bartolomeo, così come la chiesa stessa; la Confraternita nacque nella Chiesa Collegiata di San Leucio, successivamente divenne consorella dell’Arciconfraternita del Monte dei Morti di Chieti, e poi dell’Orazione e Morte di Roma, collegandosi sempre di più alla consorella di Lanciano nella chiesa di San Filippo Neri, proprio come la consorella lancianese, dopo la pestilenza del 1656-57, si adoperò assai per dare dignitosa sepoltura ai Morti. Anche la Processione del Cristo Morto in Atessa vede la sfilata dei Trofei della Passione, e dei Gonfaloni delle altre Confraternite cittadine, come quella di San Michele, di San Leucio, del Carmine, della Madonna Immacolata della Cintura. 

La processione è organizzata dalla Confraternita del Monte dei Morti che partecipa con la Confraternita della Madonna Immacolata della Cintura.

Il Miserere è stato scritto dal celebre musicista Antonio Di Jorio, l'altro Miserere è quello di Vincenzo Tobia Bellini senior.

 

LA SACRA SPINA  A VASTO

La Sacra Spina della corona di Cristo è un dono del marchese Francesco Ferdinando d'Avalos alla città, donatagli da papa Pio IV, poiché il Marchese del Vasto era delegato del re Filippo II di Spagna quale delegato del Concilio Ecumenico Tridentino. I d'Avalos poi donarono la Spina alla chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore a Vasto.

La processione si celebra il venerdì che precede la Domenica delle palme, poiché una leggenda vuole che la Spina nell'intervallo tra l'ora sesta e la nona del Venerdì santo, mostri delle macchie di sangue e un capello del Redentore. Luigi Marchesani ricorda che la processione si svolgeva di mattina, citando lo storico Nicolalfonso Viti, dei devoti sfilavano scalzi, mentre le donne indossavano calze semplici, venivano portati dei ceri colorati detti "torce", e presso i quattro punti cardinali della città ossia Porta Palazzo, Portanuova, corso Italia e Porta Catena venivano eretti dei "Sepolcri" a rituale benedizione della terra.

  

L’AREA PESCARESE E TERAMANA

La prima zona d’interesse è quella che chiameremo “area pescarese” con tutti i limiti che questa definizione comporta, data la particolare storia non solo della città di Pescara, che verrà affrontata successivamente, ma anche delle vicissitudini delle varie diocesi che si sono avvicendate in queste porzione d’Abruzzo. Con questa definizione non intendo parlare quindi di quella che oggi è la Provincia di Pescara, ma di quella che è la parte “teramana” di essa, che fino al 1949 era sotto la Diocesi di Atri-Penne, unione esistente fin dal 1252 e terminata con l’istituzione della Diocesi di Pescara-Penne nel 1950 e la conseguente perdita di rilievo della Diocesi di Atri fino alla sua unione a quella di Teramo nel 1986. Va unita a quest’area anche la parte meridionale e occidentale della Provincia di Teramo, corrispondente ai comuni che furono sotto la diocesi di Atri-Penne.

Questo territorio, oggi diviso tra le province di Teramo e Pescara, è cresciuto per circa 700 anni con caratteristiche proprie che hanno dato origine a una precisa estetica per le processioni del Venerdì Santo, diversa da quella dalle processioni propriamente teramane e da quelle del chietino, pensando che ciò possa appunto essere causato dall’appartenenza a diverse diocesi.

Le caratteristiche che osserveremo ci portano a suddividere quest’area in ulteriori parti (per comodità 3), la parte della provincia di Teramo che si adagia sul versante orientale del Gran Sasso, confinante con la provincia dell’Aquila, la parte meridionale della provincia di Pescara, confinante con quella di Chieti, e infine il vero cuore di quest’area che ruota intorno al triangolo formato dai comuni di Loreto Aprutino, Penne e Atri.

Per quanto riguarda la zona più interna, relativa al versante del Gran Sasso, la semplicità delle processioni è probabilmente dovuta all’isolamento causato dalla posizione geografica: completamente assente è l’influsso della vicina processione aquilana, in quanto soppressa dal 1768 fino al 1954; minimi gli influssi dalla processione chietina, probabilmente a causa della lontananza della città; persino la teatralità tipica delle processione teramane non si riscontra in questa porzione di territorio, ciò probabilmente perché fino al 1949 non era ancora parte della diocesi di Teramo.

Queste processioni (prendendo ad esempio quelle di Isola del Gran Sasso e di Castelli) prevedono lo sfilare delle sole due immagini del Cristo Morto (quasi sempre su una lunga coltre ricamata) e della Vergine Addolorata, sulle note delle marce funebri intonate dal complesso bandistico. Caratteristica di questa processione è lo sfilare di numerosi stendardi di modeste dimensioni, come per esempio a Castelli o a Fano a Corno, frazione di Isola del Gran Sasso.

La porzione meridionale della provincia di Pescara, confinante con quella di Chieti, è ovviamente caratterizzata da una forte somiglianza con la processione teatina. Ciò è particolarmente evidente nelle aree più moderne (Pescara, Montesilvano, Alanno scalo) che per forza di cose hanno assorbito la fama sempre crescente della processione teatina adottandone la forma e l’uso dei “Trofei”, ma anche in borghi con una storia già consolidatasi (come può essere ad esempio Moscufo che nella sua processione vede sfilare delle repliche esatte dei simulacri di Chieti). Se nella zona costiera e più vicina a Chieti è maggiore l’uso dei “Trofei”, ma non del “Miserere” di Selecchy, invece proseguendo verso l’interno, e allontanandoci quindi da Chieti, diventa più raro l’uso dei “Trofei”, la processione ritorna ad essere più semplice con le sole statue del Cristo e della Vergine, ma l’influenza teatina torna a percepirsi nell’uso del Miserere di Selecchy (come ad esempio nella processione di Tocco da Casauria); allo stesso tempo iniziano ad avvertirsi anche le influenze della famosa processione sulmonese (come ad esempio l'uso del "Tronco" con i tralci di vite, tipico della processione di Sulmona e riproposto anche a Tocco da Casauria)

Prima di esplorare la parte più caratteristica di quest’area, ovvero quella tra Loreto Aprutino, Penne e Atri, è doveroso parlare delle Processioni del Venerdì Santo di Pescara, non perché siano particolarmente scenografiche o altro, ma perché sono nel loro interno un esempio di quella che è la differenza tra le processioni a Nord del fiume Pescara e quelle a Sud di esso.

A Città Sant'Angelo l'Addolorata aspetta il Cristo morto a San Francesco, anche se non si tratta della statua effettivamente lì conservata ma di quella più nota nella Collegiata (dove poi rientra). La Croce con i simboli della Passione c'è anche lì, pur mischiata a qualche trofeo. La Croce con i simboli della Passione è praticamente presente dappertutto di solito in apertura, almeno nell'ex Diocesi di Atri (quindi Comuni di Atri, Pineto, Silvi con relative frazioni) è così. Anche ad Atri, fino a un secolo fa, l'Addolorata e il Cristo morto avevano provenienze diverse per ragioni abbastanza complicate di natura confraternale.

I canti dei personaggi viventi sono caratteristica anche di quelle parti delle valli del Vomano e del Mavone parte, un tempo o ancora oggi, della diocesi di Penne (ci sono a Basciano e Villa Petto, solo per fare due esempi) e che sicuramente, per ragioni geografiche, erano meglio collegate con Teramo. A Teramo pure, fino al 1854, i trofei della Passione era allegorie viventi.

 

LA PROCESSIONE DEL CRISTO MORTO A PESCARA

Per capire la conformazione delle processioni pescaresi dobbiamo innanzitutto ricordare l’origine dell’attuale città di Pescara, formata nel 1927 dall’unione di Pescara (a sud del fiume e in provincia di Chieti) e Castellammare Adriatico (a nord del fiume e in provincia di Teramo). Sebbene diverse siano le processioni che animano i vari quartieri della città, due sono le principali: la processione che attraversa il centro cittadino dalla chiesa del Sacro Cuore fino alla Cattedrale di San Cetteo (che giunge quindi nei luoghi della “Pescara Vecchia”) e la processione che parte dal Santuario della Madonna dei Sette Dolori (nucleo originario di Castellammare Adriatico)

Queste due processioni sono diverse nella loro estetica, se la processione del centro è prettamente riconducibile al modello chietino, quella dei colli (quindi di Castellammare) non lo è, in quanto Castellammare faceva parte del distretto di Penne. Ovviamente essendo Castellammare l’estremità del distretto, come si è visto con altre aree lontane dai centri maggiori, la Processione che ne risulta è molto semplice, composta da tre sole immagini: la Croce, il Cristo Morto e la veneratissima statua della Madonna dei Sette Dolori.

Per quanto riguarda la Processione del centro, la principale della Città, bisogna dire che non è stata sempre di stampo chietino. Dalla descrizione della Processione che Gabriele D’Annunzio ci propone nelle “Novelle della Pescara”, precisamente in “La vergine Anna”; si possono ricostruire gli elementi che la componevano: il crocifero (probabilmente simile all’odierno Cireneo di Lanciano), gli incappucciati, gli stendardi portati sul mento o sulla fronte, le varie confraternite, i figuranti e ovviamente le immagini del Cristo Morto e dell’Addolorata. Purtroppo di questa processione nulla resta se non la descrizione, a causa della perdita dei luoghi di culto dovuta ai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Nella successiva ricostruzione della città e delle sue tradizioni, la processione ha adottato l’estetica teatina in particolare dal 1963 con la realizzazione dei 13 Trofei della Passione (L’Angelo, I Rami d’ulivo, La Lanterna con i Trenta Denari, Le Spade, Il Gallo, Il Catino, La Colonna, La Corona di Spine, La Veronica, Le Vesti, La Sindone, La Scala, La Croce) da aggiungere alle tradizionali immagini del Cristo Morto e dell’Addolorata. In entrambe le processioni è da notare l’assenza del complesso bandistico.

  

IL VENERDI’ SANTO A PENNE

La Processione del Venerdì Santo a Penne venne istituita in forma solenne nel 1570 dal Cappuccino umbro Padre Girolamo da Montefiore. Il rito liturgico è ancora oggi molto sentito dalla popolazione, che partecipa numerosa all'evento. La processione percorre le vie del centro storico, trasportando la statua del Cristo Morto, la statua della Vergine Addolarata e il gruppo ligneo della Passione, mentre drappi su balconi e finestre delle dimore storiche sono esposti in segno di lutto. Il corteo degli incappucciati, il coro del Miserere scritto da Nicola Monti e la banda accompagnano la processione rendendo l'evento ancora più suggestivo.

La coperta funebre, di dimensioni considerevoli (4,16 x 5,05 m), è ricca di ricami in oro, argento e fili di seta variopinti applicati ad una base di velluto nero. Particolarmente interessanti sono i ricami dei quattro medaglioni d'angolo che raffigurano la Croce raggiata, l'Albero della conoscenza del bene e del male, l'Arca dell'Alleanza, Calice con Ostia solare. Fu commissionata nel 1860 dalla famiglia Assergi e donata alla Chiesa dell'Annunziata. La leggenda popolare racconta che alcune monache siano rimaste cieche dopo anni di minuzioso ricamo.

 

IL VENERDI’ SANTO A TERAMO

Il rito di Teramo è molto antico, vi è nella Settimana la visita ai Sepolcri il Giovedì Santo, allestiti nelle principali chiese del entro storico: il Duomo, la chiesa dell'Annunziata, di San Domenico, di Sant'Agostino, di Sant'Antonio, di Santa Maria del Carmine e di Santo Spirito; prima della demolizione partecipava attivamente anche la chiesa di San Matteo delle Benedettine sul corso San Giorgio. La processione della Madonna addolorata è detta "della Desolata", ha origini medievali. Il corteo che si svolge di chiesa in chiesa per il centro storico del Venerdì santo è una reminiscenza di un'antica processione teatrale medievale molto più partecipata, in cui si deve "raccontare" mimando con attori il dolore della Madonna che va alla ricerca del Figlio catturati dai Romani e flagellato. La Madonna indossa una tunica nera, porta in mano una croce, simbolo di premonizione del destino del Figlio; la statua è portata da delle donne che sono parti di una confraternita apposita che organizza la processione, e anche esse sono velate di nero. La processione inizia uscendo dalla Cattedrale di San Berardo lato piazza Martiri della Libertà, e si snoda per il centro, attraversando le chiese, in cerca del Figlio, da Sant'Agostino, voltando poi per San Domenico a Porta Romana, Santo Spirito, Santa Maria del Carmine, San Francesco e poi la chiesa dell'Annunziata, dove la Desolata trova il feretro del Cristo morto.

Nel tardo pomeriggio del Venerdì, si allestisce la processione vera e propria, dei macellai teramani, scelti appositamente per ricordare che Cristo morì in mano a macellai uomini, escono dalla chiesa della Confraternita della Santissima Annunziata, con la statua del Cristo, insieme ad altri confratelli che portano i simboli della Passione: la Tunica, i Dadi, il Calvario, la Corona, la Colonna. Il corteo attraversa il Corso Cerulli da piazza Orsini e piega verso piazza Martiri, con il Vescovo che benedice la comunità, per poi rientrare nella chiesa.

 

LA PASQUA IN ABRUZZO

La Madonna che scappa a Sulmona - Domenica di Pasqua


Madonna che scappa a Sulmona


In seguito alla processione del Cristo morto a Sulmona, da parte della confraternita della Santissima Trinità, la Domenica di Resurrezione la seconda principale confraternita cittadina, della Madonna di Loreto stante nella chiesa di Santa Maria della Tomba, organizza il rito della statua che corre verso il Cristo risorto. Ignazio Di Pietro, storico sulmonese, fa risalire insieme a Faraglia, il rito all'epoca di Celestino V, ma solo nel 1621 è documentata la confraternita; i diplomi sono andati dispersi a causa delle distruzioni del terremoto del 1706, per cui è difficile ricostruire con accuratezza la storia della confraternita, che era collegata anche alla Lauretana di Roma.

La Domenica, dopo la Santa Messa celebrata dal vescovo in piazza Mercato, alle ore 12:00 dei confratelli, portando le statue di Pietro e Giovanni apostoli verso la chiesa di San Filippo Neri, posta dal lato opposto della piazza, mentre il Cristo è sistemato presso gli archi dell'acquedotto medievale, bussano alla porta due volte, senza ricevere risposta. Alla terza bussata, la porta si apre, viene inscenata la venuta dei due apostoli alla casa della Vergine, recanti la buona novella della Resurrezione, benché Maria non creda alle loro parole. La Madonna esce vestita di nero, portata sopra il catafalco dai confratelli, che sfilano lentamente, ondulando il passo, a simboleggiare la Madonna ancora incredula e in lutto per la morte del figlio, a metà piazza, la Madonna riconosce il figlio, e mediante un meccanismo di fili, il vestito nero viene tirato giù e compare il manto verde, simbolo della resurrezione, al posto del fazzoletto bianco di lutto sulla mano compare un mazzo di papaveri rossi, e allo stesso tempo escono dei colombi dal vestito, mentre i confratelli corrono verso la statua del Cristo, posizionandosi infine accanto.

La "Madonna che véle" a Introdacqua - Domenica di Pasqua

Il rito è molto simile alla Madonna che scappa di Sulmona, infatti il termine dialettale "che véle" vuole dire "che vola, che corre" verso la statua del Cristo risorto, mentre il mantello a lutto colorato di nero si stacca e lascia apparire il manto verde della speranza e della resurrezione. La statua è portata dai confratelli della chiesa collegiata della Santissima Annunziata. Il rito si è conformato come si vede oggi a metà dell'800.

Lo scuocchio di Pasqua - Spoltore

Anche Spoltore ha collegamenti con Sulmona, già per il fatto che il santo patrono è il vescovo Panfilo, venerato nella cattedrale sulmonese; la processione dello "scuocchio", cioè della corsa della Madonna verso il Figlio risorto, è una chiara ripresa della "Madonna che scappa" sulmonese.

 

Incontro della Madonna con i Santi - Lanciano (Domenica di Pasqua)

Piazza Plebiscito a Lanciano, dove avviene in Pasqua l'incontro dei Santi e della Madonna


Pianella, chiesa del Carmine

Anche questo rito, benché Finamore e De Nino non lo suppongano, dovrebbe derivare dalla famosa Madonna che scappa di Sulmona. La mattina le confraternite delle parrocchie di Santa aria Maggiore, Sant'Agostino e del Purgatorio, scendono da punti diversi della città: da via dei Frentani, da via Corsea, risalendo in piazza e dal corso Roma, per l'incontro nella piazza. La Madonna proviene dalla cattedrale, dopo che le statue dei santi Pietro e Giovanni apostoli vanno per tre volte dalla Madonna ad annunciare la buona novella, la Vergine si fa persuasa della resurrezione del Figlio, e gli va incontro, senza correre, mentre la banda intona inni sacri e scoppiano mortaretti, affilandosi in fila per tre nella piazza, e poi rompere le fila per tornare alle proprie parrocchie di provenienza. Tuttavia fino al Martedì dopo Pasqua, le statue rimangono in esposizione ai fedeli dentro la cattedrale.

Il Buon Giorno (lu Bbonjòrne) - Pianella (Lunedì dell'Angelo)

La tradizione si è codificata nell'Ottocento, nel 1925 quando fu rifondata la banda civica "Diavoli Rossi" (l'originale era del 1863), la tradizione della sfilata carnascialesca d'ambito popolare si è ancora di più arricchita. Alcuni popolani vogliono che la tradizione risalga all'epoca longobarda, quando i signori presso le contrade di Piano di Coccia, San Desiderio, Fontegallo pretesero l'Ave Mattutina romana; i popolano risposero alle angherie dei potenti con battute e stornelli, soprattutto quando in Abruzzo nel XII-XIII secolo peregrinavano i menestrelli. Nello Statuto del 1549 si fa riferimento alla festa del "Buongiorno", legato alle ricorrenze della mietitura e della Pasqua.

In sostanza il Lunedì dell'Angelo, i popolani pianellesi si raccolgono in piazza, o sopra i balconi, o anche fuori Porta Santa Maria, quando c'è la festa di San Silvestro, intonando versi salaci e pungenti contro il potere, esibendosi anche in lazzi stile Commedia dell'arte.


Foto dell'affresco della chiesa della Madonna del Rifugio, o Madonna Nera (largo San Nicola), andata distrutta durante la guerra. Nella chiesa esisteva la Congrega del Rifugio, che promosse la rappresentazione allegorica dei Talami.


Sfilata dei Talami di Orsogna (Lunedì dell'Angelo)

La sfilata, nello statuto attuale, si celebra il Lunedì dell'Angelo e il 15 di agosto. La sfilata è molto antica, già come ipotizzato da Finamore che ne parla nelle Curiosità popolari abruzzesi; in origine prima del XVI secolo, pare che si facessero delle sfilate in chiave pantomimica a rappresentare gli episodi della Vita di Cristo, tradizione consolidatasi poi nel 1590 con l'allestimento del catafalco (6 in tutto) davanti alla chiesa oggi scomparsa della Madonna del Riparo, o della Madonna del Suffragio. Esisteva una confraternita che organizzava la sfilata dei "talami", che aveva sede nella chiesa, che stava davanti alla parrocchia di San Nicola, e che fu distrutta dagli alleati nel 1943; la confraternita era devota a un affresco tardo medievale raffigurante la Madonna di Loreto, che proteggeva dei fedeli col suo mantello, per questo detta "del Rifugio"; oggi una statua moderna la ricorda dentro la parrocchia di San Nicola.

Oggi, quando la cerimonia è stata modificata, cioè i catafalchi vengono fatti sfilare da quattro diversi punti del centro orsognese, i "quarti" del Piano Castello (San Nicola), del Quarto a Monte, del Quarto della scuola elementare (quartiere nuovo di San Rocco), del Quarto a Valle (zona villa comunale) e del Quarto San Giovanni, per poi sfilare in piazza Mazzini e allinearsi.

I carri con i catafalchi e il telo scenico, mostrano attualmente vari episodi della Bibbia, dell'Antico e Nuovo Testamento, soprattutto scene riguardanti la Vita di Cristo, eccettuata la Crocifissione; i figuranti sono immobili, in costume antico, in ogni talamo c'è al centro in alto il simbolo dello Spirito Santo, con davanti legata una Madonnina, ossia una ragazzina che inscena una piccola Madonna.

La Madonna della Candelicchia - Trasacco - Martedì di Pasqua

Santuario della Madonna di Candelicchia a Trasacco

In passato, secondo Tito Lucarelli, la processione si svolgeva dal 5 all'8 maggio; la processione è riservata solamente agli uomini. La processione risale alla fine dell'800, quando il santuario era punto di ricovero dei viandanti trasaccani. Nel 1890 accadde una lite tra i pellegrini di Trasacco, arrivati in ritardo a causa delle piogge, e i pellegrini di paesi limitrofi, che avevano occupato il convento. L'abate della basilica di San Cesidio a Trasacco, don Ercolano Ciofani, allora stabilì che la festa si sarebbe tenuta il Martedì di Pasqua presso il santuario. Nel 1902 durante la processione l'addetto ai fuochi artificiali, che si stava esercitando contro il muro coi petardi, scivolò a causa del terreno bagnato,con tutta la bisaccia dei petardi a terra, e saltò per aria, morendo.

La processione comprende la partenza da piazza Umberto I, la piazza maggiore di Trasacco, e l'imbocco della strada per il santuario, sostando, adorando la Madonna all'interno della chiesa, e consumando cibo.

Pellegrinaggio alla Madonna d'Appari - Paganica - Martedì di Pasqua

Comprende il pellegrinaggio dei paesani di Paganica e di altre contrade aquilane. Alcune testimonianze ricordano come negli anni '50 i pellegrini erano soliti appendere ex voto all'altare, come simulacri di cera e legno di mani, piedi, gambe, in ricordo di interventi chirurgici ben riusciti, oppure quadri ex voto di miracoli fatti realizzare appositamente dai pellegrini. I pellegrini, alla stessa maniera di come scrisse Gabriele d'Annunzio nel Trionfo della morte in merito alla visita al santuario dei Miracoli di Casalbordino (Chieti), avanzavano lentamente verso l'altare maggiore, strusciandosi sul pavimento e intonando litanie e preghiere.

Altri ex voto consistono in preghiere, canti, reperti di oggetti salvifici.

Festa della Madonna di Pietrabona - Castel di Ieri - Martedì di Pasqua

La chiesa si trova presso un bosco, viene citata per la prima volta nel 1183 da papa Lucio III, poi nel 1188 da Clemente III, poi nel 1223 da papa Onorio III. La leggenda vuole che nel luogo si fosse riparato un pastore, durante una tremenda alluvione, e che costui si fosse salvato dal pericolo invocando la Madonna, che gli apparve nell'antro della spelonca; altri vogliono che la chiesetta fosse stata costruita sopra un tempio romano dedicato alla dea Bona, ossia dell'abbondanza. La festa riguarda un pellegrinaggio di devoti da Castel di Ieri, costoro "offrono" i bambini alla Madonna, protettrice dei mali dell'infanzia, la statua viene portata in processione dal santuario, alla chiesa della Madonna del Soccorso, appena fuori Castel di Ieri, per tornare poi al santuario di origine.


Un costume arbëreshë nel museo civico di Villa Badessa


Pellegrinaggio di rito ortodosso alla Fonte Almerinda - Villa Badessa di Rosciano - Martedì di Pasqua

La Domenica di Pasqua avviene una pantomima simile a quella della Madonna che scappa a Sulmona: il presbitero, detto in ortodosso "Papas", si reca davanti alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta nel paesetto, bussando alla porta chiusa, e scacciando il Demonio, che aveva trascinato Cristo nelle tenebre degli Inferi dopo la sua Morte il Venerdì santo. La Madonna può entrare nella chiesa.

Il Martedì c'è il pellegrinaggio nella località Fonte Almerinda con il tradizionale ballo della pupa, un fantoccio a forma di Madonna, che viene fatto danzare da una persona che la sorregge, in un cerchio di persone.

Festa della Pace di Teramo ovvero "I Trionfi" - Domenica in Albis

Festa non molto apprezzata in città e nel resto d'Abruzzo, benché sia antica. Fu istituita nel marzo 1559 dal vescovo in seguito a un periodo di conflitti e minacce di occupazione da parte degli Spagnoli, che minarono lo stesso equilibro municipale della città, più volte a rischio infeudamento sotto il Viceré, con tasse e occupazioni "forzate" della città per l'alloggiamento delle truppe, durante la guerra del sale sul Tronto. Nel territorio teramano si scontrarono le truppe di don Fernando Loffredo e del duca d'Alba, e l'esercito francese di Antonio Carafa; in questi scontri aumentò anche lo scontento popolare, e si verificò un forte fenomeno di banditismo, sicché furono ridotti i privilegi a Teramo e le esenzioni fiscali.

Il vescovo Giacomo Silverio Piccolomini promosse un'azione di pace, le donne teramane si recano nelle abitazioni dei cittadini che erano stati "offesi" con privazioni e omicidi, per convincerli a non rispondere con la violenza; tale iniziativa di pace fu ben accolta in una città stremata, e il Governatore spagnolo che soggiornava a Teramo fu favorevole, così don Ferdinando Alvarez di Toledo in accordo del vescovo Piccolomini e con il governatore municipale Cristobal Santo Stefano, istituì la festa della Pace, da celebrarsi la domenica in Albis, ossia quella dopo la Pasqua.

Da quell'anno in poi, attualmente sono in chiave di rievocazione folkloristica in costume, furono eletti per ciascuno dei quattro quartieri antichi di Teramo due gentildonne e due gentiluomini rappresentanti: Paciere e Pacieri, costoro andavano per la città a raccogliere le offerte per seppellire i defunti morti violentemente durante il triste periodo di soprusi su Teramo, nonché per i morti dei secoli passati dei casati teramani, che ancora attendevano nel Purgatorio per arrivare al Paradiso, in modo che tutti i casati faziosi della città stessero in pace reciprocamente


Santuario della Madonna delle Grazie a Teramo, dove avviene la benedizione dei ceri per la festa della Domenica di Pace.


Il giorno della festa si tiene la Santa Messa presso la Cattedrale, al vescovo i delegati dei quattro quartieri offrono i ceri benedetti per il patrono San Berardo; dopo i Vespri le nobildonne rappresentatrici, anticamente il patriziato municipale era composto da 48 membri delle varie famiglie, si riuniscono nella chiesa di San Giovanni a Scorzione (piazza Verdi), per poi dirigersi mediante il corso De Michetti fuori Porta Reale al santuario della Madonna delle Grazie, con i "servitori" che recano altri ceri benedetti per il Padre Guardiano, che li accoglieva davanti alla croce stazionaria di ingresso al piazzale, detta "della Pace".

L'usanza fu celebrata ininterrottamente sino al 1767, quando i Pacieri furono soppressi, e ci fu solo la sacra cerimonia in Duomo da svolgersi la mattina. Successivamente il patriziato dei 48 membri, essendosi ridotto a causa dell'estinzione di molte famiglie nobili, fu abolito, sicché la festa è caduta in abbandono sino al 1993 quando c'è stata la prima rievocazione storica, promossa dall'Associazione culturale "Teramo nostra", che ripropone lo stesso percorso dei rappresentanti dei quattro quartieri, che vanno a messa nel Duomo, e poi con i ceri benedetti si recano al santuario della Madonna delle Grazie per la benedizione.

 

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