I riti della settimana santa, del venerdì santo e della santa Pasqua in Abruzzo: confraternite e tradizioni popolari.
di Angelo Iocco
Siamo nella Settimana Santa, e la nostra intenzione è quella di fare un piccolo excursus storico artistico e devozionale sulle varie rappresentazioni del Venerdì Santo e della Santa Pasqua in Abruzzo.
IL TEMA DELLA SANTA PASSIONE DI CRISTO NELLA TRADIZIONE ORALE ABRUZZESE
Oltre a una tradizione “alta” della Passione di Cristo, con la sfilata in processione di Confraternite, le Quartant’Ore, i Sepolcri, abbiamo testimonianze, grazie allo studio dei demologi come Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Padre Tommaso Bartoletti, Omobono Bocache, Donatangelo Lupinetti, Domenico Di Virgilio, Elvira Nobilio, Emiliano Giancristofaro, Gabriella Campitelli, Carlo Di Silvestre, Domenico Marchesani…e in parte anche Gabriele d’Annunzio e Francesco Paolo Michetti, di una tradizione popolare abruzzese.
Quello che ci
interessa, come ha studiato ad esempio Vincenzo De Bartholomaeis, è il
collegamento di vari lamenti popolari e cantilene trascritte nell’800 e
registrate negli anni ’60 e ’70, con una tradizione ben più antica, risalente
al Medioevo del XIV-XV secolo, ovvero al tempo in cui le Confraternite dei
Penitenti e dei Flagellanti, che ad esempio si installarono in Aquila,
promuovevano delle rappresentazioni teatrali vere e proprie della Passione di
Cristo in tempo di Settimana Santa; rappresentazioni teatrali che durarono sino
al XVIII secolo, quando il Papa e il Re di Napoli iniziarono ad apporvi dei
freni per il rischio di sconfinamento di queste cerimonie così sentite dal
popolo in vere e proprie eresie. Il tema ricorrente nella maggior parte è
quello del “lamento della Vergine Maria”, una figura che interpreta la Madonna
che va per le porte delle case di Gerusalemme, in cerca del Figlio rapito dai
Romani per il tradimento di Giuda, bussa alla porta di Caifa, per chiedere notizie,
e Giuda dice di stingere Gesù con maggiori catene, poi la Madonna va dal fabbro
chiedendo di fare chiodi piccoli piccoli per far soffrire di meno Cristo, ma
interviene sempre Giuda, altre volte Pilato, comandando di fare chiodi enormi
affinché il Nazareno patisca dolori indicibili, sicché la Vergine Maria, vinta
dalla disperazione, crolla svenuta a terra. Il patetismo e l’esagerazione sono
ben evidenti, leggendo questi copioni teatrali medievali, nonché le
trascrizioni di Finamore, De Nino e Lupinetti, per non parlare dei canti
registrati, si tratta del resto di letteratura orale popolare, in cui il
cattivo di turno viene mostrato con carica di ferocia sempre crescente, dato che il Nuovo
Testamento è per il volgo la Storia delle Storie, con personaggi e caratteri
agli antipodi, e la Verità una sola, così come viene ricalcato particolarmente
il pianto e il dolore della Madonna in cerca del Figlio, e poi ai suoi piedi
presso la Croce. Ricorrente è anche il tema dell’improvviso oscurarsi del Cielo
e del Mondo al momento del Supremo Trapasso, fino alla presa di congedo finale
dal canto, e l’invito a fare penitenza prendendo ad esempio il Sacrificio di
Nostro Signore.
Ci piace riportare anche delle belle poesie in vernacolo abruzzese collegate al tema della Passione. Non c’è poeta dialettale abruzzese che non abbia raccontato la Processione del Venerdì Santo nel suo paese, come Alfredo Luciani, che addirittura replica il suono di morte dei tamburi, oppure un Cesare Fagiani per il Venerdì Santo a Lanciano, con note di disappunto per i “signoroni” che amano farsi vedere e mettersi in mostra in occasione del rito, o per alcune usanze ormai desuete, citando un’antica statua ormai logora, buttata dentro un ripostiglio della chiesa, Francesco Simonetti che in un lungo “Calendario liturgico sulmonese” racconta dall’inizio dell’anno alla fine tutte le principali ricorrenze religiose e popolari della città, soffermandosi particolarmente sul Venerdì Santo.
Tra le poesie più ricordate sul Venerdì Santo, ci sono quella di Raffaele Fraticelli del 1953 e quella di Renato Sciucchi del 1967, ambedue di Chieti, cariche di densa emozione e nostalgia la prima del Fraticelli, la seconda più descrittiva e borbottona, come fosse il racconto di un popolano di Chieti che si trova invischiato nella folla e nel vortice delle Confraternite che portano i Trofei.
E la Madonne nghe lu mante nere,
passè. Li viuline e li Canture
cantéve n'àtra vote... Miserere!...
"Mammà, quande so' grosse cante jé pure!..."
Chì sa pe' quanta tempe, quant'ancóre,
'stu jorne vè 'pparlà' dentr'a lu core!
Da “Vinirdì Sante” di Raffaele Fraticelli
Le differenze tra i paesi, impossibile canonizzare le provenienze dei testi, producono poi una varietà di tipi diversi per forma stilistica, per motivi musicali generalmente tristi, ma non sempre, e per la lunghezza del dettato.
Così si può asserire
con certezza che anche l'arte (poesia, musica, pittura, scultura, ecc.) è
veicolo, supporto, tramite al passaggio del misterioso fluido sacrale della
fede religiosa di secolo in secolo, di generazione in generazione, di sangue in
sangue. Millenni di storia, di cultura e di arte si trovano così bene
conservati nel prezioso scrigno della tradizione popolare, che basta un pizzico
di vero amore per farli gustare e rivivere in modo gratuito e spontanei.
Possiamo distinguere
i Canti di Passione in tre differenti tipologie:
• La passijone di
Criste;
• Ore della
Passijone;
• I pianti o Lamenti
di Maria.
Nel primo gruppo
comprendiamo le narrazioni del momento del dramma del Calvario e i dialoghi tra
Figlio e Madre (le cosiddette Urazioni). Questi canti si incentrano
essenzialmente sui dolori dell'Uomo-Dio, hanno un loro preciso e caratteristico
andamento e una particolare melodia.
Il secondo gruppo
comprende i canti che mettono in risalto i momenti salienti delle ventiquattro
ore della giornata: Lu rellogge della Passijone, tra cui è famosissimo Lu
Criste a nn'ore de notte. Ricordano i momenti salienti del racconto evangelico
nelle ventiquattro ore, solitamente a scopo devozionale e ancor più mnemonico.
Infine nel terzo
gruppo sono compresi i racconti sulla Madonna Addolorata, che assumono un
particolare andamento sia dal punto di vista letterario che da quello musicale:
questi ultimi pongono un accento del tutto peculiare all'affanno della Madre
Addolorata che cerca un sollievo al martirio del Figlio.
I Canti del Giovedì
Santo assumono quindi una loro peculiarità e specificità, come quelli del
Venerdì Santo i quali, però, vengono cantati dietro la processione della Via
Crucis e non casa per casa. Infatti la Passijone viene “portata” di casa in
casa, a volte iniziando anche il mercoledì, da li passiunire che assumono, a
Pasqua, la stessa valenza degli zampognari a Natale. Un gruppo, la squadre, di
giovani e meno giovani, cantori e suonatori, variante per numero da un minimo
di due ad un massimo di venti, solitamente sei o otto, porta nelle case il
canto: il popolo lo accoglie di cuore, con una attenzione devota e poi dona
quello che ha, generosamente, dalle uova ai dolci di Pasqua, ai soldi.
Data la lunghezza dei
testi, e il numero di case in cui “portare” la Passijone, i cantori si dividono
in due gruppi, alternandosi nel canto: alle prime luci dell'alba del venerdì,
dopo innumerevoli “tappe”, dolci e bicchieri, la squadre si ritira.
È senz'altro una
delle tradizioni più radicate e ancora profondamente sentite tra le popolazioni
abruzzesi.
Per la realizzazione di queste schede ringraziamo la collaborazione di G. Scordella e la pagina Artistico Abruzzo
LA PROCESSIONE DEL VENERDI’ SANTO A SULMONA
Il rito è molto antico, collegato strettamente alla chiesa della Congrega della Santissima Trinità sul corso Ovidio, detta anche "congrega dei Nobili". Quest'area del Sestiere Porta Molina era il nucleo della società nobile sulmonese, in lotta da secoli con i confratelli della Madonna di Loreto di Santa Maria della Tomba, che non è un sestiere ma un "borgo", sorto nel XIV-XV secolo con l'edificazione della seconda cerchia muraria, e ritenuti per questo dei Trinitari dei "rozzi popolani". Onde evitare continue dispute che sfociavano anche nel sangue, nel XVIII secolo il vescovo di Napoli in visita a Sulmona, decretò che la Settimana Santa, negli Statuti Trinitari, si sarebbe svolta con la processione del Venerdì Santo da parte dei confratelli della Trinità, e la domenica per la Pasqua di Resurrezione, la statua della Madonna che scappa, sarebbe stata portata dai confratelli Lauretani.
La processione attuale segue lo statuto riordinato della processione del
13 aprile 1827. Il feretro del Cristo morto è fatto uscire della chiesa della
Trinità, la statua è circondata da 33 garofani rossi quanti furono gli anni di Gesù;
il corteo è aperto dai portatori di fanali a lampioncini con il
"cingo" di cuoio a mo' di cilicio stretto alla vita, impugnati dai
portatori con fazzoletti bordati a lutto, che compongono un quadrato umano, al
centro del quale vi è la Croce foderata di velluto rosso, ornata con tralci di
vite in argento e grappoli d'uva ricamati.
Il secondo ordine di confratelli in processione, che portano i fanali, è
disposto a doppia T; il terzo drappello della processione è composto da
confratelli che procedono a file parallele, intonando il "Miserere"
del 1913 di Federico Barone e Raffaele Scotti, intonato dai confratelli che
vestono il saio rosso; seguono i simulacri del Cristo Morto e dell'Addolorata.
La statua del Cristo è del 1750 di anonimo napoletano, adagiata su un lettino
con quattro piccoli angeli a guardia, che recano i simboli della Passione, come
il Calice dell'Ultima Cena, la Corina, la Lancia con la spugna di aceto, la
Scala di Giuseppe d'Arimatea.
La Madonna Addolorata è vestita di nero e ha una spada trafitta nel
cuore d'argento. In segno della pace tra le due confraternite rivali, in piazza
Garibaldi sotto i "tre archi" dell'acquedotto medievale, avviene lo
scambio dei confratelli Trinitari ai Lauretani delle statue del Cristo e della
Madonna, per portarli lungo il secondo troncone del corso Ovidio sino a Porta
Napoli; compiuto il giro di ritorno in piazza, c'è il nuovo scambio di statue.
Lo scambio avviene davanti alla facciata della chiesa di Santa Maria della
Tomba, dove avviene
una cascata di "sangue" a mo' di petali rossi, in segno di monito
contro i confratelli Lauretani, che furono minacciati di scomunica nei secoli
passati perché si avvinazzavano durante la processione.
Le musiche intonate sono la marcia per banda di Amedeo Vella “Una lacrima sulla tomba di
mia madre”, a seguire il Miserere composto da Federico Barcone nel 1913, a
seguire i movimenti Amplius e Tibi soli composti da Raffaele Scotti,
accompagnati dallo struscio dei Confratelli che portano i simboli della
Passione e il Feretro. I movimenti del Salmo 50 del Miserere sono eseguiti a
cadenza bisestile.
IL VENERDI’ SANTO A L’AQUILA
La Processione all'Aquila fu ufficializzata nel 1456 dalla Confraternita
dell'Annunziata, mentre prima nel 1380 ad esempio, era organizzata dal vescovo
del Duomo. Nel 1505 si costituì una confraternita vera e propria, di San
Leonardo, nella processione venivano portate le figure del Cristo, di Nicodemo
e Giuseppe d'Arimatea, la Madonna Addolorata, Giovanni apostolo, la Maddalena e
l'altra Maria. Anche gli storici convengono che nel 1505 ci fu la nascita vera
e propria della processione. La confraternita fu rinominata del
Santissimo Sacramento; nel 1601 iniziarono, come si legge dalle memorie dei
vescovi, delle controversie tra le confraternita che partecipavano al rito, per
la questione del portare le torce, alla fine si decise che a sorte si sarebbero
dovute portare 8 torce.
Le controversie continuarono, sino a sfociare in zuffe tra i
confratelli, sicché il vescovo Ludovico Sabbatini emanò il 10 aprile 1754 una
legge, che ordinava di intervenire il giorno 12 del Venerdì di quell'anno, con
i misteri, non più fatti da persone che interpretavano Cristo, l'Addolorata
ecc...ma figure dipinte, e il ritrovo era il sagrato della Cattedrale. Oggi si
celebra infatti ancora così, mezz'ora dopo il tramonto le campane suonano a
morto, e la processione esce. Tuttavia all'epoca ci furono ancora disordini,
sicché il re di Napoli ordinò nel 1768 che le processioni notturne si
vietassero, sicché L'Aquila rimase senza la processione del Venerdì santo sino
al 1954, quando per interessamento dei frati Minori Osservanti di San
Bernardino è stata ripristinata in forme diverse, ispirandosi molto, anche per
il Miserere del Selecchy intonato, a quella di Chieti.
Vengono portati in sfilata i gonfaloni dei Quattro Quarti storici, poi
un catafalco istoriato che mostra le stazioni della Via Crucis, e infine il sontuoso
feretro col Cristo morto e l'Addolorata. Il percorso parte dalla Basilica di San Bernardino, segue nel corso Vittorio Emanuele,
arriva in Piazza Duomo, percorre via Sassa, via Roma, corso Umberto I, corso
Vittorio Emanuele, piazza San Bernardino.
Ovviamente ci sono
caratteristiche che sono comuni a più parti della regione o che, originarie di
una precisa zona, si sono estese a tal punto da diventare una caratteristica
tipica di quasi tutte le processioni abruzzesi (in particolare alcune delle
caratteristiche della processione di Chieti, come i “Trofei della Passione” e
il “Miserere” di Saverio Selecchy, sono state esportate, a volte anche fuori
regione, tanto da diventare simboli per eccellenza dei riti abruzzesi del
Venerdì Santo).
Per quanto riguarda
il “Miserere” di Selecchy ne parlerò quando tratterò della processione teatina,
mentre per i “Trofei della Passione” mi sembra giusto almeno introdurli
soprattutto a chi da fuori regione non sa di cosa si stia parlando, ma la
storia di questi verrà trattata anch’essa nella parte dedicata a Chieti.
Al contrario delle
processioni del Sud Italia in Abruzzo mancano i cosiddetti “misteri”, veri e
propri gruppi statuari rappresentanti i vari momenti della passione di Cristo,
sostituiti invece da sculture allegoriche formate dai vari strumenti della
Passione. Per cui se in una processione ad esempio pugliese è normale avere
anche fino a 40 gruppi di statue, più statue del cristo (cristo all’orto,
cristo alla colonna, ecce homo, cristo portacroce) come se fosse un vero e
proprio racconto della Passione per immagini, in Abruzzo tutto ciò non è
esplicitato, ma ricordato da queste composizioni allegoriche della Passione.
Per praticità riporto
subito l’elenco dei Trofei originari della Processione di Chieti: “L’Angelo”,
“Le Lance”, “Il gallo”, Il Sasso”, “Il volto santo”, “Le Scale”, “La croce”.
La processione del Venerdì santo di Chieti è considerata fra le processioni più antiche d'Italia[1] La sua origine, secondo delle leggende tratte da Girolamo Nicolino, risalirebbe all'842 d.C., anno in cui si concluse ufficialmente la ricostruzione della prima cattedrale dedicata a San Tommaso (attualmente parte della vecchia cattedrale costituisce la cripta della nuova dedicata a San Giustino[2]), che era stata distrutta nell'801 da re Pipino. Con la ricostruzione della cattedrale sarebbe nata la processione del Venerdì santo. La sua conformazione attuale risale però solo al XVI secolo, quando nacque L'arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti con sede nella cattedrale, che ne cura l'allestimento e la preparazione.
La tesi del Vicoli appena esposta non è però suffragata da alcun
elemento certo, se non dall'appassionata, ma discutibile, affermazione del
Nicolino.
Solo nel 1650 si hanno notizie certe mediante documenti, sulla
confraternita della cattedrale, riguardanti un pellegrinaggio che il Monte dei
Morti organizzò in Roma in occasione dell'Anno santo e nel quale vennero portati in
processione uno stendardo nero con il simbolo del sodalizio, una
"Morte" a grandezza naturale e un catafalco ricoperto in velluto
damascato e sul quale era adagiato la statua di Cristo. Sono proprio l'estrema
povertà e la caratteristica funerea e penitente della processione in quel
periodo, la sua essenzialità e brevità in contrasto con la ricchezza e la pomposità
rinascimentale e poi barocca delle moltissime altre processioni nate in quegli
ultimi secoli che fornirebbero un ulteriore indizio sulle origini
altomedievali.
Tra il '700 e '800 avvennero importanti modifiche riguardanti
l'introduzione del coro (all'inizio del XVIII sec.), dato che il compositore e
maestro di cappella Saverio Selecchy musicò il Salmo biblico n. 50 ossia il
"Miserere", dei "simboli della Passione" (nel 1855)
realizzati da Raffaele Del Ponte, e della statua dell'Addolorata (1833), oltre
all'eliminazione dal corteo della Morte. Inoltre nel 1850 circa la processione
fu spostata dal mattino alla sera.
Una delle tradizioni della processione di Chieti è che questa si debba
sempre svolgere, anche in condizioni atmosferiche pessime o durante accadimenti
rilevanti, come avvenne durante la seconda guerra mondiale: nel 1944 infatti,
nonostante fosse stato emanato il divieto dai nazisti di effettuare la
processione, questa si svolse ugualmente, sebbene in versione ridotta, girando
per la piazza Duomo, uscendo dal portone della cattedrale e rientrando dalla
cripta. I militari tedeschi entrarono poi in cattedrale per rastrellare gli
uomini che vi avevano preso parte, senza successo perché i confratelli
riuscirono a scappare dalle varie uscite secondarie della cattedrale (attuale
piazza Zuccarini già largo della pescheria, via Arniense, e cunicoli
sotterranei).
Ad oggi l’unico annullamento registrato è nel 2020 a causa della
pandemia da diffusione del virus Covid-19; soltanto l'arcivescovo
Monsignor Bruno Forte scortato da due prelati, ha portato il Crocifisso
in processione dalla piazza mediante il corso Marrucino a piazza Trinità, per
poi tornare indietro nella cattedrale.
La processione ha inizio la sera del Venerdì santo, all’imbrunire, dalla cattedrale di San Giustino con le persone già in attesa sulla piazza antistante, lungo il corso principale e le altre vie dove il lungo corteo si snoda. Lungo gran parte del percorso sono presenti i tripodi accesi con fuoco di cera, un tempo necessari per bruciarvi incensi ed aromi (difatti, prima della diffusione dell'illuminazione elettrica, la processione si svolgeva di giorno). Intanto, in cattedrale, alla fine della sacra funzione, sulla scalinata del presbiterio si esibisce, diretto dal maestro Loris Medoro, il coro per tenori primi, tenori secondi e bassi e composto da oltre 160 elementi che intona il Miserere composto intorno al 1740 da Saverio Selecchy, maestro di cappella della cattedrale. L'orchestra conta circa duecento elementi con violini, viole, violoncelli, flauti traversi, clarinetti, fagotti e, dalle ultime edizioni, anche sassofoni.
Al crepuscolo inoltrato comincia la vera e propria processione. Apre lo stendardo a lutto dell'Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti. Escono quindi le varie confraternite cittadine, ognuna con il proprio stendardo e crocifisso, alcune con propri simboli, tutte con le lanterne (dette fanali), con i confratelli nella mozzetta tradizionale di ciascuna confraternita. Salvo la Misericordia, che sfila con il caratteristico saio e cappuccio nero, e la confraternita della Cintura, composta da sole donne, anch'essa in tunica nera, le altre confraternite hanno tutti abiti e cappucci bianchi per non confondersi con l'arciconfraternita. Dopo l'uscita delle varie confraternite seguono i religiosi che hanno inteso partecipare in ordine crescente di grado e anzianità, poi il capitolo metropolitano e i membri dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro insieme all'arcivescovo di Chieti-Vasto. È poi il turno dei membri dell'arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, vestiti con una tunica nera, mozzetta gialla e cappuccio nero. Infine è il turno dei musici e dei cantori. I membri (aggregati) dell'arciconfraternita del Sacro Monte, inoltre, riempiono quello spazio che separa i membri di una confraternita dell'altra portando i simulacri rappresentanti i simboli della Passione di Gesù, scortati anche da valletti e vigili del fuoco. Durante la processione i fratelli effettivi circondano le statue di Cristo e della Madonna addolorata: a loro spetta anche il compito di trasportare questi sacri simboli, secondo una tradizione di successione salica. Sono scortati da carabinieri in alta uniforme.
Terminata la processione seguono i fedeli, con
nelle prime file le autorità locali.
Questa bellissima processione fu immortalata anche dal pittore Francesco Paolo Michetti, con “Il Venerdì Santo a Chieti”, nel quale appare uno scorcio del Corso Marrucino all’altezza della chiesa degli Scolopi, con i devoti assembrati attorno al portatore del Gonfalone dell’Arciconfraternita e ai Trofei seguenti, Michetti ritrasse anche altri episodi legati alla Passione in Abruzzo, come la “Domenica delle Palme”, ritraendo un gruppo di fedeli che esce dall’abbazia di San Giovanni in Venere, e “Il Corpus Domini a Chieti”, un vero inno alla vita e alla resurrezione a differenza della tela del Venerdì Santo, scena ambientata nel cortile di una chiesa con figure femminili e maschile che escono in un tripudio di colori, emblematica la figura di una madre gioiosa che stringe tra le mani il bambino.
L’ARCICONFRATERNITA DEL SACRO MONTE DEI MORTI
Il Sacro Monte dei Morti è probabilmente nato, come vuole la leggenda tra i secoli IX e X nella Cripta della cattedrale, sulla tomba di san Giustino, con lo scopo di far celebrare sante messe in suffragio delle anime dei fratelli defunti. I fratelli si dedicavano anche al compito pietoso di seppellire i corpi, disseminati per le vie e i campi, delle vittime delle tante guerre del tempo. “Sacro” si riferisce agli scopi di natura cristiana. “Monte” sta ad indicare che vi erano beni di proprietà da destinare alle attività.
Secondo notizie non sufficientemente documentate, che cadono nella
leggenda, si sarebbe svolta a Chieti una processione a ricordo della Passione
di Cristo fin dal IX secolo. Se ciò fosse vero, sarebbe stata la prima in
Italia.
L'Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti è sorta nel 1603] in
qualità di aggregata all'Arciconfraternita romana dell'Orazione e Morte sorta
nel 1539.
Sempre nel 1603 l'arcivescovo del tempo autorizza la costruzione
dell'oratorio del Sacro Monte dei Morti a fianco della cattedrale. Solo nel
1648 il sodalizio teatino si rese giuridicamente autonomo con la pubblicazione
di un suo Statuto e con l'elezione dei propri rappresentanti. Il primo
governatore (insieme ad Alessandro e Giovanni Andrea Valignani e Blasio Grampa)
risulta essere stato il capitano della milizia urbana Pietro Gigante che, dopo
aver vissuto gli orrori delle guerre, fu molto benevolo nei riguardi della pia
associazione.
L'Arciconfraternita, come si è detto, era aggregata alla compagnia
romana dell'Orazione e Morte e su suo invito partecipò all'anno santo del 1650:
per l'occasione venne scolpita una “Morte” in legno a grandezza naturale che
nella mano sinistra reggeva un crocifisso e nella destra una falce col
motto Nemini parco ("non risparmio nessuno"). Mille
e cento persone raggiunsero Roma, a piedi, in quattro giorni. L'ingresso in
città fu quanto mai solenne: la compagnia, preceduta dai musici, fu ricevuta
dai governatori e dai fratelli dell'Arciconfraternita romana. Papa Innocenzo X ne
rimase evidentemente ben impressionato in quanto volle vederla due volte e
benedire tutti i partecipanti.
LE ALTRE CONFRATERNITE CHE PARTECIPANO ALLA PROCESSIONE
DI CHIETI
Di
seguito un elenco, in ordine di sfilata, delle Confraternite della città
di Chieti che
partecipano alla Processione, oltre l'organizzatrice Arciconfraternita del
Sacro Monte dei Morti.
1.
Confraternita di San Francesco Caracciolo, già Confraternita
di Santa Maria del Tricalle - l'abito, i guanti, il cingolo ed il cappuccio
sono bianchi; la mozzetta è
color granata, con frangia e bordo dorato. Ha sede nella parrocchia di San
Francesco Caracciolo.
2.
Confraternita di San Gaetano e San Giuseppe Falegname
- l'abito è bianco; la mozzetta è rossa; ha sede nella chiesa di San Gaetano
Thiene.
3.
Confraternita delle Crocelle, già Confraternita
dell'Addolorata - gli abiti sono sia bianchi che neri; la mozzetta è color
amaranto con bordo dorato.
4.
Congregazione della Cintura - l'abito è nero; la
mozzetta è in argento con bordo nero; ha sede nell'ex convento della Santissima
Annunziata.
5.
Confraternita di Santa Maria Calvona - l'abito è
bianco; la mozzetta è rossa con il bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.
6.
Confraternita di Santa Barbara,
già compagnia della Croce - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa con il bordo
bianco per la prima, e abito bianco, mozzetta celeste con bordo bianco per la
seconda; ha sede nella chiesa omonima.
7.
Confraternita della Madonna delle
Grazie - l'abito è bianco; la mozzetta è rossa con il
bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.
8.
Confraternita della Madonna del Freddo - l'abito è
bianco; la mozzetta è celeste con bordo dorato; ha sede nella chiesa omonima.
9.
Arciconfraternita di Santa Maria di Costantinopoli - l'abito è
bianco; la mozzetta è azzurra scuro e stellata, con bordo dorato; ha sede nella
chiesa di Sant'Antonio abate, in precedenza era situata nella chiesa di Santa
Caterina o San Gaetano, poi nella chiesa di Santa Chiara.
10. Confraternita
di Santa Maria della Vittoria - l'abito è bianco; la mozzetta è viola, con
fregi circolari dorati; sede nella chiesa omonima.
11. Confraternita
di Maria SS.ma del Rosario, già Arciconfraternita del SS.mo Rosario - l'abito è
bianco; la mozzetta è nera con grani bianchi del rosario; ha sede nella chiesa
di San Domenico.
12. Fraternità
della Misericordia - l'abito è un saio nero, con cordone nero e rosario
pendente, senza mozzetta; ha sede nella chiesa di Maria Santissima degli
Angeli.
13. Ordine Equestre del Santo Sepolcro;
ha sede in uno stabile in piazza Malta, in ricordo dell'antico Ordine dei
Cavalieri di Malta che aveva sede in un monastero scomparso di San Giovanni
Battista, a Chieti
I TROFEI SACRI DELLA PASSIONE DI RAFFAELE DEL PONTE
I Simboli o "Trofei" che oggi sono esposti, sono stati realizzati nel XIX secolo dal pittore e scultore teatino Raffaele Del Ponte:
IL VENERDI’ SANTO A LANCIANO E ORTONA
La Confraternita dell'Orazione e Morte a Lanciano nacque nel 1608,
stante dapprima nel rione Lancianovecchia nella chiesa di San Martino, oggi
scomparsa, assumendosi il compito di curare la sepoltura dei morti. Nel corso degli
anni cambiò varie sedi, stando sino al 1952 presso l'ex chiesa di San Giuseppe
o San Filippo Neri in via dei Tribunali, sicché alla fine non ebbe la sede
definitiva nell'ex convento di Santa Chiara.
La processione è una delle più suggestive d'Abruzzo, conservatasi
abbastanza fedelmente all'originale, che dovette essere impostata come la si
vede oggi nel XVIII secolo. Gennaro Finamore dedica un lungo capitolo delle
sue Tradizioni popolari alla processione, ricordando come ai
primi dell'800 ci fossero ancora delle pantomime teatrali che rappresentassero
con maggiore patetismo la morte di Cristo. Oggi ci si limita, il Giovedì Santo,
con la processione degli Incappucciati, i confratelli vestiti interamente di
nero, con il medaglione col simbolo della confraternita (teschio nero tra due
ossa incrociate), che sfilano parallelamente per le vie del centro storico,
partendo dalla chiesa, e recando i simboli del Tradimento di Cristo, come i
denaro di Giuda, il Gallo, e il Cireneo che porta la croce.
La stessa processione, in forme più pompose, si svolge il Venerdì Santo,
con i confratelli che escono dalla chiesa all'imbrunire, accompagnati dal Miserere composto
dal lancianese Francesco Masciangelo, con l’Elegia introduttiva di Alfredo
Ravazzoni, e il Christus (l’ultimo movimento del Miserere Grande del
Masciangelo) suonati dalla banda civica; i simboli della Passione sono
condotti, sfilano poi il feretro col Cristo morto e le Tre Marie dietro, tra
cui l'Addolorata, statua in grandezze più evidenti; il percorso riguarda sempre
il centro storico della città, fino al rientro nella chiesa di Santa Chiara.
Nel 2019 è stato ripristinato il rito della "Posata", cioè della
sosta in piazza Plebiscito del feretro, dove i musici intonano un inno funebre.
In passato la Posata si effettuava nelle varie piazzette del centro storico,
intonando a ogni sosta un brano del Miserere Grande di Francesco Masciangelo e
Francesco Paolo Bellini.
Il Masciangelo nel 1846 compose anche un Miserere per la città di
Ortona, ancora oggi intonato dalle consorelle, in abito e velo nero a lutto,
dell’Associazione Passio Christi avente sede nella Parrocchia di Santa Maria
delle Grazie (ex convento dei Minori Osservanti), da dove parte il feretro del
Cristo morto con i gonfaloni e i Trofei.
IL VENERDI’ SANTO AD ATESSA
La Processione parte della chiesa dell’Addolorata in piazza Oberdan,
precedentemente intitolata a San Bartolomeo, così come la chiesa stessa; la
Confraternita nacque nella Chiesa Collegiata di San Leucio, successivamente divenne
consorella dell’Arciconfraternita del Monte dei Morti di Chieti, e poi
dell’Orazione e Morte di Roma, collegandosi sempre di più alla consorella di
Lanciano nella chiesa di San Filippo Neri, proprio come la consorella
lancianese, dopo la pestilenza del 1656-57, si adoperò assai per dare dignitosa
sepoltura ai Morti. Anche la Processione del Cristo Morto in Atessa vede la
sfilata dei Trofei della Passione, e dei Gonfaloni delle altre Confraternite
cittadine, come quella di San Michele, di San Leucio, del Carmine, della
Madonna Immacolata della Cintura.
La processione è organizzata dalla Confraternita del Monte dei Morti che partecipa con la Confraternita della Madonna Immacolata della Cintura.
Il Miserere è stato scritto dal celebre musicista Antonio Di Jorio, l'altro Miserere è quello di Vincenzo Tobia Bellini senior.
LA SACRA SPINA A VASTO
La Sacra Spina della corona di Cristo è un dono del marchese Francesco Ferdinando d'Avalos alla città, donatagli da papa Pio IV,
poiché il Marchese del Vasto era delegato del re Filippo II di Spagna quale delegato del Concilio
Ecumenico Tridentino. I d'Avalos poi
donarono la Spina alla chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore a Vasto.
La processione si celebra il venerdì che precede la Domenica delle palme, poiché una leggenda vuole che la
Spina nell'intervallo tra l'ora sesta e la nona del Venerdì santo, mostri delle
macchie di sangue e un capello del Redentore. Luigi Marchesani ricorda che la
processione si svolgeva di mattina, citando lo storico Nicolalfonso Viti, dei
devoti sfilavano scalzi, mentre le donne indossavano calze semplici, venivano
portati dei ceri colorati detti "torce", e presso i quattro punti
cardinali della città ossia Porta Palazzo, Portanuova, corso Italia e Porta
Catena venivano eretti dei "Sepolcri" a rituale benedizione della
terra.
L’AREA PESCARESE E
TERAMANA
La prima zona d’interesse è quella che chiameremo “area pescarese” con tutti i limiti che questa definizione comporta, data la particolare storia non solo della città di Pescara, che verrà affrontata successivamente, ma anche delle vicissitudini delle varie diocesi che si sono avvicendate in queste porzione d’Abruzzo. Con questa definizione non intendo parlare quindi di quella che oggi è la Provincia di Pescara, ma di quella che è la parte “teramana” di essa, che fino al 1949 era sotto la Diocesi di Atri-Penne, unione esistente fin dal 1252 e terminata con l’istituzione della Diocesi di Pescara-Penne nel 1950 e la conseguente perdita di rilievo della Diocesi di Atri fino alla sua unione a quella di Teramo nel 1986. Va unita a quest’area anche la parte meridionale e occidentale della Provincia di Teramo, corrispondente ai comuni che furono sotto la diocesi di Atri-Penne.
Questo territorio,
oggi diviso tra le province di Teramo e Pescara, è cresciuto per circa 700 anni
con caratteristiche proprie che hanno dato origine a una precisa estetica per
le processioni del Venerdì Santo, diversa da quella dalle processioni
propriamente teramane e da quelle del chietino, pensando che ciò possa appunto
essere causato dall’appartenenza a diverse diocesi.
Le caratteristiche
che osserveremo ci portano a suddividere quest’area in ulteriori parti (per
comodità 3), la parte della provincia di Teramo che si adagia sul versante
orientale del Gran Sasso, confinante con la provincia dell’Aquila, la parte
meridionale della provincia di Pescara, confinante con quella di Chieti, e
infine il vero cuore di quest’area che ruota intorno al triangolo formato dai
comuni di Loreto Aprutino, Penne e Atri.
Per quanto riguarda
la zona più interna, relativa al versante del Gran Sasso, la semplicità delle
processioni è probabilmente dovuta all’isolamento causato dalla posizione
geografica: completamente assente è l’influsso della vicina processione
aquilana, in quanto soppressa dal 1768 fino al 1954; minimi gli influssi dalla
processione chietina, probabilmente a causa della lontananza della città;
persino la teatralità tipica delle processione teramane non si riscontra in
questa porzione di territorio, ciò probabilmente perché fino al 1949 non era
ancora parte della diocesi di Teramo.
Queste processioni
(prendendo ad esempio quelle di Isola del Gran Sasso e di Castelli) prevedono
lo sfilare delle sole due immagini del Cristo Morto (quasi sempre su una lunga
coltre ricamata) e della Vergine Addolorata, sulle note delle marce funebri
intonate dal complesso bandistico. Caratteristica di questa processione è lo
sfilare di numerosi stendardi di modeste dimensioni, come per esempio a
Castelli o a Fano a Corno, frazione di Isola del Gran Sasso.
La porzione
meridionale della provincia di Pescara, confinante con quella di Chieti, è
ovviamente caratterizzata da una forte somiglianza con la processione teatina.
Ciò è particolarmente evidente nelle aree più moderne (Pescara, Montesilvano,
Alanno scalo) che per forza di cose hanno assorbito la fama sempre crescente
della processione teatina adottandone la forma e l’uso dei “Trofei”, ma anche
in borghi con una storia già consolidatasi (come può essere ad esempio Moscufo
che nella sua processione vede sfilare delle repliche esatte dei simulacri di
Chieti). Se nella zona costiera e più vicina a Chieti è maggiore l’uso dei
“Trofei”, ma non del “Miserere” di Selecchy, invece proseguendo verso
l’interno, e allontanandoci quindi da Chieti, diventa più raro l’uso dei
“Trofei”, la processione ritorna ad essere più semplice con le sole statue del
Cristo e della Vergine, ma l’influenza teatina torna a percepirsi nell’uso del
Miserere di Selecchy (come ad esempio nella processione di Tocco da Casauria);
allo stesso tempo iniziano ad avvertirsi anche le influenze della famosa processione
sulmonese (come ad esempio l'uso del "Tronco" con i tralci di vite,
tipico della processione di Sulmona e riproposto anche a Tocco da Casauria)
Prima di esplorare la
parte più caratteristica di quest’area, ovvero quella tra Loreto Aprutino,
Penne e Atri, è doveroso parlare delle Processioni del Venerdì Santo di
Pescara, non perché siano particolarmente scenografiche o altro, ma perché sono
nel loro interno un esempio di quella che è la differenza tra le processioni a
Nord del fiume Pescara e quelle a Sud di esso.
A Città Sant'Angelo l'Addolorata aspetta il Cristo morto a San Francesco, anche se non si tratta della statua effettivamente lì conservata ma di quella più nota nella Collegiata (dove poi rientra). La Croce con i simboli della Passione c'è anche lì, pur mischiata a qualche trofeo. La Croce con i simboli della Passione è praticamente presente dappertutto di solito in apertura, almeno nell'ex Diocesi di Atri (quindi Comuni di Atri, Pineto, Silvi con relative frazioni) è così. Anche ad Atri, fino a un secolo fa, l'Addolorata e il Cristo morto avevano provenienze diverse per ragioni abbastanza complicate di natura confraternale.
I canti dei personaggi viventi sono caratteristica anche di quelle parti delle valli del Vomano e del Mavone parte, un tempo o ancora oggi, della diocesi di Penne (ci sono a Basciano e Villa Petto, solo per fare due esempi) e che sicuramente, per ragioni geografiche, erano meglio collegate con Teramo. A Teramo pure, fino al 1854, i trofei della Passione era allegorie viventi.
LA PROCESSIONE DEL CRISTO MORTO A PESCARA
Per capire la
conformazione delle processioni pescaresi dobbiamo innanzitutto ricordare
l’origine dell’attuale città di Pescara, formata nel 1927 dall’unione di
Pescara (a sud del fiume e in provincia di Chieti) e Castellammare Adriatico (a
nord del fiume e in provincia di Teramo). Sebbene diverse siano le processioni
che animano i vari quartieri della città, due sono le principali: la
processione che attraversa il centro cittadino dalla chiesa del Sacro Cuore
fino alla Cattedrale di San Cetteo (che giunge quindi nei luoghi della “Pescara
Vecchia”) e la processione che parte dal Santuario della Madonna dei Sette
Dolori (nucleo originario di Castellammare Adriatico)
Queste due
processioni sono diverse nella loro estetica, se la processione del centro è
prettamente riconducibile al modello chietino, quella dei colli (quindi di
Castellammare) non lo è, in quanto Castellammare faceva parte del distretto di
Penne. Ovviamente essendo Castellammare l’estremità del distretto, come si è
visto con altre aree lontane dai centri maggiori, la Processione che ne risulta
è molto semplice, composta da tre sole immagini: la Croce, il Cristo Morto e la
veneratissima statua della Madonna dei Sette Dolori.
Per quanto riguarda
la Processione del centro, la principale della Città, bisogna dire che non è
stata sempre di stampo chietino. Dalla descrizione della Processione che
Gabriele D’Annunzio ci propone nelle “Novelle della Pescara”, precisamente in
“La vergine Anna”; si possono ricostruire gli elementi che la componevano: il
crocifero (probabilmente simile all’odierno Cireneo di Lanciano), gli
incappucciati, gli stendardi portati sul mento o sulla fronte, le varie
confraternite, i figuranti e ovviamente le immagini del Cristo Morto e
dell’Addolorata. Purtroppo di questa processione nulla resta se non la
descrizione, a causa della perdita dei luoghi di culto dovuta ai bombardamenti
durante la seconda guerra mondiale. Nella successiva ricostruzione della città
e delle sue tradizioni, la processione ha adottato l’estetica teatina in
particolare dal 1963 con la realizzazione dei 13 Trofei della Passione
(L’Angelo, I Rami d’ulivo, La Lanterna con i Trenta Denari, Le Spade, Il Gallo,
Il Catino, La Colonna, La Corona di Spine, La Veronica, Le Vesti, La Sindone,
La Scala, La Croce) da aggiungere alle tradizionali immagini del Cristo Morto e
dell’Addolorata. In entrambe le processioni è da notare l’assenza del complesso
bandistico.
IL VENERDI’ SANTO A PENNE
La Processione del Venerdì Santo a Penne venne istituita in forma
solenne nel 1570 dal Cappuccino umbro Padre Girolamo da Montefiore. Il rito
liturgico è ancora oggi molto sentito dalla popolazione, che partecipa numerosa
all'evento. La processione percorre le vie del centro storico, trasportando la
statua del Cristo Morto, la statua della Vergine Addolarata e il gruppo ligneo
della Passione, mentre drappi su balconi e finestre delle dimore storiche sono
esposti in segno di lutto. Il corteo degli incappucciati, il coro del Miserere
scritto da Nicola Monti e la banda accompagnano la processione rendendo
l'evento ancora più suggestivo.
La coperta funebre, di dimensioni considerevoli (4,16 x 5,05 m), è ricca
di ricami in oro, argento e fili di seta variopinti applicati ad una base di
velluto nero. Particolarmente interessanti sono i ricami dei quattro medaglioni
d'angolo che raffigurano la Croce raggiata, l'Albero della conoscenza del bene
e del male, l'Arca dell'Alleanza, Calice con Ostia solare. Fu commissionata nel
1860 dalla famiglia Assergi e donata alla Chiesa dell'Annunziata. La leggenda
popolare racconta che alcune monache siano rimaste cieche dopo anni di
minuzioso ricamo.
IL VENERDI’ SANTO A TERAMO
Il rito di Teramo è molto antico, vi è nella Settimana la visita ai
Sepolcri il Giovedì Santo, allestiti nelle principali chiese del entro storico:
il Duomo, la chiesa dell'Annunziata, di San Domenico, di Sant'Agostino, di
Sant'Antonio, di Santa Maria del Carmine e di Santo Spirito; prima della
demolizione partecipava attivamente anche la chiesa di San Matteo delle
Benedettine sul corso San Giorgio. La processione della Madonna addolorata è
detta "della Desolata", ha origini medievali. Il corteo
che si svolge di chiesa in chiesa per il centro storico del Venerdì santo è una
reminiscenza di un'antica processione teatrale medievale molto più partecipata,
in cui si deve "raccontare" mimando con attori il dolore della
Madonna che va alla ricerca del Figlio catturati dai Romani e flagellato. La
Madonna indossa una tunica nera, porta in mano una croce, simbolo di
premonizione del destino del Figlio; la statua è portata da delle donne che
sono parti di una confraternita apposita che organizza la processione, e anche
esse sono velate di nero. La processione inizia uscendo dalla Cattedrale di San Berardo lato piazza Martiri della Libertà, e si snoda per il centro,
attraversando le chiese, in cerca del Figlio, da Sant'Agostino, voltando poi
per San Domenico a Porta Romana, Santo Spirito, Santa Maria del Carmine, San
Francesco e poi la chiesa dell'Annunziata, dove la Desolata trova il feretro
del Cristo morto.
Nel tardo pomeriggio del Venerdì, si allestisce la processione vera e
propria, dei macellai teramani, scelti appositamente per ricordare che Cristo
morì in mano a macellai uomini, escono dalla chiesa della Confraternita della
Santissima Annunziata, con la statua del Cristo, insieme ad altri confratelli
che portano i simboli della Passione: la Tunica, i Dadi, il Calvario, la
Corona, la Colonna. Il corteo attraversa il Corso Cerulli da piazza Orsini e
piega verso piazza Martiri, con il Vescovo che benedice la comunità, per poi
rientrare nella chiesa.
LA PASQUA IN ABRUZZO
La Madonna che scappa a Sulmona -
Domenica di Pasqua
Madonna che scappa a Sulmona
In
seguito alla processione del Cristo morto a Sulmona, da parte della
confraternita della Santissima Trinità, la Domenica di Resurrezione la seconda
principale confraternita cittadina, della Madonna di Loreto stante nella chiesa
di Santa Maria della Tomba, organizza il rito della statua che corre verso il
Cristo risorto. Ignazio Di Pietro, storico sulmonese, fa risalire insieme a
Faraglia, il rito all'epoca di Celestino V, ma solo nel 1621 è documentata la
confraternita; i diplomi sono andati dispersi a causa delle distruzioni del
terremoto del 1706, per cui è difficile ricostruire con accuratezza la storia
della confraternita, che era collegata anche alla Lauretana di Roma.
La
Domenica, dopo la Santa Messa celebrata dal vescovo in piazza Mercato, alle ore
12:00 dei confratelli, portando le statue di Pietro e Giovanni apostoli verso
la chiesa di San Filippo Neri, posta dal lato opposto della piazza, mentre il
Cristo è sistemato presso gli archi dell'acquedotto medievale, bussano alla
porta due volte, senza ricevere risposta. Alla terza bussata, la porta si apre,
viene inscenata la venuta dei due apostoli alla casa della Vergine, recanti la
buona novella della Resurrezione, benché Maria non creda alle loro parole. La
Madonna esce vestita di nero, portata sopra il catafalco dai confratelli, che
sfilano lentamente, ondulando il passo, a simboleggiare la Madonna ancora
incredula e in lutto per la morte del figlio, a metà piazza, la Madonna
riconosce il figlio, e mediante un meccanismo di fili, il vestito nero viene
tirato giù e compare il manto verde, simbolo della resurrezione, al posto del
fazzoletto bianco di lutto sulla mano compare un mazzo di papaveri rossi, e
allo stesso tempo escono dei colombi dal vestito, mentre i confratelli corrono
verso la statua del Cristo, posizionandosi infine accanto.
La "Madonna che véle" a Introdacqua -
Domenica di Pasqua
Il
rito è molto simile alla Madonna che scappa di Sulmona, infatti il termine
dialettale "che véle" vuole dire "che vola, che corre"
verso la statua del Cristo risorto, mentre il mantello a lutto colorato di nero
si stacca e lascia apparire il manto verde della speranza e della resurrezione.
La statua è portata dai confratelli della chiesa collegiata della Santissima
Annunziata. Il rito si è conformato come si vede oggi a metà dell'800.
Lo scuocchio di Pasqua - Spoltore
Anche
Spoltore ha collegamenti con Sulmona, già per il fatto che il santo patrono è
il vescovo Panfilo, venerato nella cattedrale sulmonese; la processione dello
"scuocchio", cioè della corsa della Madonna verso il Figlio risorto,
è una chiara ripresa della "Madonna che scappa" sulmonese.
Incontro della Madonna con i Santi - Lanciano
(Domenica di Pasqua)
Piazza Plebiscito a Lanciano, dove avviene in Pasqua l'incontro dei Santi e della Madonna
Pianella,
chiesa del Carmine
Anche
questo rito, benché Finamore e De Nino non lo suppongano, dovrebbe derivare
dalla famosa Madonna che scappa di Sulmona. La mattina le confraternite delle parrocchie
di Santa aria Maggiore, Sant'Agostino e del Purgatorio, scendono da punti
diversi della città: da via dei Frentani, da via Corsea, risalendo in piazza e
dal corso Roma, per l'incontro nella piazza. La Madonna proviene dalla
cattedrale, dopo che le statue dei santi Pietro e Giovanni apostoli vanno per
tre volte dalla Madonna ad annunciare la buona novella, la Vergine si fa
persuasa della resurrezione del Figlio, e gli va incontro, senza correre,
mentre la banda intona inni sacri e scoppiano mortaretti, affilandosi in fila
per tre nella piazza, e poi rompere le fila per tornare alle proprie parrocchie
di provenienza. Tuttavia fino al Martedì dopo Pasqua, le statue rimangono in
esposizione ai fedeli dentro la cattedrale.
Il Buon Giorno (lu Bbonjòrne) - Pianella (Lunedì
dell'Angelo)
La
tradizione si è codificata nell'Ottocento, nel 1925 quando fu rifondata la
banda civica "Diavoli Rossi" (l'originale era del 1863), la
tradizione della sfilata carnascialesca d'ambito popolare si è ancora di più
arricchita. Alcuni popolani vogliono che la tradizione risalga all'epoca
longobarda, quando i signori presso le contrade di Piano di Coccia, San
Desiderio, Fontegallo pretesero l'Ave Mattutina romana; i popolano risposero
alle angherie dei potenti con battute e stornelli, soprattutto quando in
Abruzzo nel XII-XIII secolo peregrinavano i menestrelli. Nello Statuto del 1549
si fa riferimento alla festa del "Buongiorno", legato alle ricorrenze
della mietitura e della Pasqua.
In
sostanza il Lunedì dell'Angelo, i popolani pianellesi si raccolgono in piazza,
o sopra i balconi, o anche fuori Porta Santa Maria, quando c'è la festa di San
Silvestro, intonando versi salaci e pungenti contro il potere, esibendosi anche
in lazzi stile Commedia dell'arte.
Foto dell'affresco della chiesa della Madonna del Rifugio, o Madonna Nera (largo San Nicola), andata distrutta durante la guerra. Nella chiesa esisteva la Congrega del Rifugio, che promosse la rappresentazione allegorica dei Talami.
Sfilata dei Talami di Orsogna (Lunedì
dell'Angelo)
La
sfilata, nello statuto attuale, si celebra il Lunedì dell'Angelo e il 15 di
agosto. La sfilata è molto antica, già come ipotizzato da Finamore che ne parla
nelle Curiosità popolari abruzzesi; in origine prima del XVI
secolo, pare che si facessero delle sfilate in chiave pantomimica a
rappresentare gli episodi della Vita di Cristo, tradizione consolidatasi poi
nel 1590 con l'allestimento del catafalco (6 in tutto) davanti alla chiesa oggi
scomparsa della Madonna del Riparo, o della Madonna del Suffragio. Esisteva una
confraternita che organizzava la sfilata dei "talami", che aveva sede
nella chiesa, che stava davanti alla parrocchia di San Nicola, e che fu
distrutta dagli alleati nel 1943; la confraternita era devota a un affresco
tardo medievale raffigurante la Madonna di Loreto, che proteggeva dei fedeli
col suo mantello, per questo detta "del Rifugio"; oggi una statua
moderna la ricorda dentro la parrocchia di San Nicola.
Oggi,
quando la cerimonia è stata modificata, cioè i catafalchi vengono fatti sfilare
da quattro diversi punti del centro orsognese, i "quarti" del Piano
Castello (San Nicola), del Quarto a Monte, del Quarto della scuola elementare
(quartiere nuovo di San Rocco), del Quarto a Valle (zona villa comunale) e del
Quarto San Giovanni, per poi sfilare in piazza Mazzini e allinearsi.
I
carri con i catafalchi e il telo scenico, mostrano attualmente vari episodi
della Bibbia, dell'Antico e Nuovo Testamento, soprattutto scene riguardanti la
Vita di Cristo, eccettuata la Crocifissione; i figuranti sono immobili, in
costume antico, in ogni talamo c'è al centro in alto il simbolo dello Spirito
Santo, con davanti legata una Madonnina, ossia una ragazzina che inscena una
piccola Madonna.
La Madonna della Candelicchia - Trasacco -
Martedì di Pasqua
Santuario
della Madonna di Candelicchia a Trasacco
In
passato, secondo Tito Lucarelli, la processione si svolgeva dal 5 all'8 maggio;
la processione è riservata solamente agli uomini. La processione risale alla
fine dell'800, quando il santuario era punto di ricovero dei viandanti
trasaccani. Nel 1890 accadde una lite tra i pellegrini di Trasacco, arrivati in
ritardo a causa delle piogge, e i pellegrini di paesi limitrofi, che avevano
occupato il convento. L'abate della basilica di San Cesidio a Trasacco, don
Ercolano Ciofani, allora stabilì che la festa si sarebbe tenuta il Martedì di
Pasqua presso il santuario. Nel 1902 durante la processione l'addetto ai fuochi
artificiali, che si stava esercitando contro il muro coi petardi, scivolò a
causa del terreno bagnato,con tutta la bisaccia dei petardi a terra, e saltò
per aria, morendo.
La
processione comprende la partenza da piazza Umberto I, la piazza maggiore di
Trasacco, e l'imbocco della strada per il santuario, sostando, adorando la
Madonna all'interno della chiesa, e consumando cibo.
Pellegrinaggio alla Madonna d'Appari - Paganica -
Martedì di Pasqua
Comprende
il pellegrinaggio dei paesani di Paganica e di altre contrade aquilane. Alcune
testimonianze ricordano come negli anni '50 i pellegrini erano soliti appendere
ex voto all'altare, come simulacri di cera e legno di mani, piedi, gambe, in
ricordo di interventi chirurgici ben riusciti, oppure quadri ex voto di
miracoli fatti realizzare appositamente dai pellegrini. I pellegrini, alla stessa
maniera di come scrisse Gabriele
d'Annunzio nel Trionfo della morte in
merito alla visita al santuario dei Miracoli di Casalbordino (Chieti),
avanzavano lentamente verso l'altare maggiore, strusciandosi sul pavimento e
intonando litanie e preghiere.
Altri
ex voto consistono in preghiere, canti, reperti di oggetti salvifici.
Festa della Madonna di Pietrabona - Castel di Ieri -
Martedì di Pasqua
La
chiesa si trova presso un bosco, viene citata per la prima volta nel 1183
da papa Lucio
III, poi nel 1188 da Clemente III, poi nel 1223 da papa
Onorio III. La leggenda vuole che nel luogo si fosse riparato un pastore,
durante una tremenda alluvione, e che costui si fosse salvato dal pericolo
invocando la Madonna, che gli apparve nell'antro della spelonca; altri vogliono
che la chiesetta fosse stata costruita sopra un tempio romano dedicato alla dea
Bona, ossia dell'abbondanza. La festa riguarda un pellegrinaggio di devoti
da Castel di
Ieri, costoro "offrono" i bambini alla Madonna,
protettrice dei mali dell'infanzia, la statua viene portata in processione dal
santuario, alla chiesa della Madonna del Soccorso, appena fuori Castel di Ieri,
per tornare poi al santuario di origine.
Pellegrinaggio di rito ortodosso alla Fonte Almerinda
- Villa Badessa di Rosciano -
Martedì di Pasqua
La
Domenica di Pasqua avviene una pantomima simile a quella della Madonna che
scappa a Sulmona: il presbitero, detto in ortodosso "Papas", si reca
davanti alla chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta nel paesetto, bussando
alla porta chiusa, e scacciando il Demonio, che aveva trascinato Cristo nelle
tenebre degli Inferi dopo la sua Morte il Venerdì santo. La Madonna può entrare
nella chiesa.
Il
Martedì c'è il pellegrinaggio nella località Fonte Almerinda con il
tradizionale ballo della pupa, un fantoccio a forma di Madonna, che viene fatto
danzare da una persona che la sorregge, in un cerchio di persone.
Festa della Pace di Teramo ovvero "I
Trionfi" - Domenica in Albis
Festa
non molto apprezzata in città e nel resto d'Abruzzo, benché sia antica. Fu
istituita nel marzo 1559 dal
vescovo in seguito a un periodo di conflitti e minacce di occupazione da parte
degli Spagnoli, che minarono lo stesso equilibro municipale della città, più
volte a rischio infeudamento sotto il Viceré, con tasse e occupazioni
"forzate" della città per l'alloggiamento delle truppe, durante la
guerra del sale sul Tronto. Nel territorio teramano si scontrarono le truppe di
don Fernando Loffredo e del duca d'Alba, e
l'esercito francese di Antonio Carafa; in questi scontri aumentò anche lo
scontento popolare, e si verificò un forte fenomeno di banditismo, sicché
furono ridotti i privilegi a Teramo e le esenzioni fiscali.
Il
vescovo Giacomo Silverio Piccolomini promosse un'azione di pace, le donne
teramane si recano nelle abitazioni dei cittadini che erano stati
"offesi" con privazioni e omicidi, per convincerli a non rispondere
con la violenza; tale iniziativa di pace fu ben accolta in una città stremata,
e il Governatore spagnolo che soggiornava a Teramo fu favorevole, così don
Ferdinando Alvarez di Toledo in accordo del vescovo Piccolomini e con il
governatore municipale Cristobal Santo Stefano, istituì la festa della Pace, da
celebrarsi la domenica in Albis, ossia quella dopo la Pasqua.
Da
quell'anno in poi, attualmente sono in chiave di rievocazione folkloristica in
costume, furono eletti per ciascuno dei quattro quartieri antichi di Teramo due
gentildonne e due gentiluomini rappresentanti: Paciere e Pacieri, costoro
andavano per la città a raccogliere le offerte per seppellire i defunti morti
violentemente durante il triste periodo di soprusi su Teramo, nonché per i
morti dei secoli passati dei casati teramani, che ancora attendevano nel
Purgatorio per arrivare al Paradiso, in modo che tutti i casati faziosi della
città stessero in pace reciprocamente
Il
giorno della festa si tiene la Santa Messa presso la Cattedrale, al vescovo i
delegati dei quattro quartieri offrono i ceri benedetti per il patrono San
Berardo; dopo i Vespri le nobildonne rappresentatrici, anticamente il
patriziato municipale era composto da 48 membri delle varie famiglie, si
riuniscono nella chiesa di San Giovanni a Scorzione (piazza Verdi), per poi
dirigersi mediante il corso De Michetti fuori Porta Reale al santuario della Madonna delle Grazie,
con i "servitori" che recano altri ceri benedetti per il Padre
Guardiano, che li accoglieva davanti alla croce stazionaria di ingresso al
piazzale, detta "della Pace".
L'usanza
fu celebrata ininterrottamente sino al 1767, quando i Pacieri furono soppressi,
e ci fu solo la sacra cerimonia in Duomo da svolgersi la mattina. Successivamente
il patriziato dei 48 membri, essendosi ridotto a causa dell'estinzione di molte
famiglie nobili, fu abolito, sicché la festa è caduta in abbandono sino al 1993
quando c'è stata la prima rievocazione storica, promossa dall'Associazione
culturale "Teramo nostra", che ripropone lo stesso percorso dei
rappresentanti dei quattro quartieri, che vanno a messa nel Duomo, e poi con i
ceri benedetti si recano al santuario della Madonna delle Grazie per la
benedizione.
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