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7 marzo 2024

Canti d'Abruzzo. Mix di Cori Ecam Lab.


I Canti:

1 Coro "Argento Vivo", Pescara – La Muntagna Nostre di Giuseppino Mincione e Antonio Piovano

2 Coro "Argento Vivo", Pescara – Joche Lu Vente

3 Coro Polifonico Folkloristico "Busc' Nostre", Bussi Sul Tirino – La Ballata Del Tirino

4 Coro Polifonico Folkloristico "Busc' Nostre", Bussi Sul TIrino – Luntane Cchiù Luntane di Luigi Illuminati e Antonio Di Jorio

5 A.C.C.A. - Associazione Culturale "Cantori Aprutini", Loreto Aprutino – Lurete E' Tutta Bbelle

6 A.C.C.A. - Associazione Culturale "Cantori Aprutini", Loreto Aprutino – L'Amore E' Pazziarelle

7 Associazione Culturale "Celiera", Villa Celiera – L'Uvicciolle

8 Associazione Culturale "Celiera", Villa Celiera – Fantasia Abruzzese

9 Coro Folk "Esperia", Tocco Da Casauria – E' Belle La Muntagne di Ottaviano Giannangeli e Padre Giuseppe Di Pasquale

10 Coro Folk "Esperia", Tocco Da Casauria – La Viuletta di Tommaso Bruni e Francesco Paolo Tosti

11 Coro Folkloristico di Picciano, Picciano – Dijorana

12 Coro Folkloristico di Picciano, Picciano – La Silvarola

13 Associazione Culturale Polifonica Folkloristica "Sant'Andrea", Pescara – J'Abbruzzu di G. Perrone, N. De Angelis

14 Associazione Culturale Polifonica Folkloristica "Sant'Andrea", Pescara – La Canzone De Lu Marinare di Giulio Sigismondi

15 Gruppo Corale Folkloristico "Sottolatorre", Cepagatti – Core Ferite di Luigi Illuminati e Antonio Di Jorio

16 Gruppo Corale Folkloristico "Sottolatorre", Cepagatti – Notte D'Estate a Caramaniche

17 Associazione Coro "Valpescara", Pescara – Marrocche e Frusce di Lamberdo de Carolis, Aniello Polsi

18 Associazione Coro "Valpescara", Pescara – La Savetarelle

19 Associazione Culturale "Val Tavo", Cappelle Sul Tavo – Arvì di A. Misantoni, E. Vetuschi

20 Associazione Culturale "Val Tavo", Cappelle Sul Tavo – La Sciannavella.

14 febbraio 2024

Canzoni abruzzesi. Coro folkloristico Giulio Sigismondi, 1980.


RASSEGNA DI CANZONI ABRUZZESI, CONCERTO DEL CORO "GIULIO SIGISMONDI" DI SAN VITO CHIETINO, 1980, direttore artistico Virgilio Sigismondi.

CANZUNA NUSTRE
canzone vincitrice alla Festa delle Canzoni di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Garagrella

'EME VULATE
canzone di Virgilio Sigismondi - Antonio Di Jorio

J'ABBRUZZU
canzone della Maggiolata di Ortona 1948
di Carlo Perrone - Nazzareno De Angelis

ALL'ORTE
popolare, elaboraz. Giuseppe Di Pasquale

AMORE AMORE 
popolare, elab. Di Pasquale

VULESSE
canzone presentata alla Festa di Lanciano 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gagarella

CANTO DELLE LAVANDAIE
popolare, elab. Di Pasquale

LA SALDARELLE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA SEMENE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA JERVE A LU CANNETE
popolare

L'ARIE DE LU METERE
popolare, elab. don Ottavio de Caesaris

L'ARTA CCHIU' PRELIBBATE
alla Festa delle canzoni di San Vito del 1947
di Giulio Sigismondi

LAMENTO DELLA VEDOVA
popolare, elab. Ennio Vetuschi

MO VE'...MO VA'
popolare

TUTTE LE FUNTANELLE
popolare

PAESE ME'
scritto nel 1949 da Antonio Di Jorio

LUCENACAPPELLE
presentata alla Festa di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gargarella

QUANDE LA FIJA ME'
popolare

VUCCUCCIA D'ORO
presentata alla Maggiolata del 1920
di Cesare De Titta - Antonio Di Jorio

S'UCCHIE
presentata alla Festa di Lanciano del 2922
di Pier Andrea Brasile

LA TRESCHE
scritta negli anni '20 per Orsonga
di Giulio Sigismondi - Gaetano Silvery

8 febbraio 2024

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena.

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena

di Angelo Iocco

Nella chiesa parrocchiale Madonna dei Raccomandati di Gessopalena, presso l’altare della Deposizione, si trovano due opere di uno sconosciuto pittore manierista, forse seguace di Pompeo Cesura, forse aquilano, che realizzò la Pala d’altare, incassata nella cornice di legno, che ospita altri suoi piccoli dipinti, insieme a un’altra tela che raffigura la Pentecoste. Resta ignoto il suo nome, ne parla Luigi Cicchitti nel suo libro Abruzzo delle meraviglie – Gessopalena e il Trittico della Misericordia, Ianieri, Pescara 2017, soffermandosi brevemente sull’iscrizione posta in basso a sinistra, che indica “Dio-aiutarà 1587”, ossia “Dio (ti) aiuterà”, una di quelle massime memento che costellano la pittura sacra. Ma chi fu questo pittore?








Difficile dirlo, in mancanza di documentazione. La sua Deposizione è simile, per certi canoni, a una Pietà conservata all’Aquila; al centro, leggermente a sinistra, il Cristo morto, a cui un’ancella sorregge l’avambraccio sinistro per ungerlo, forse la Maddalena, dietro il Cristo, San Giovanni, un’altra delle Marie, e la Madonna addolorata col velo, che incrocia le mani, in una posizione tipicamente tardo-gotica della pittura aquilana, che ha chiare reminiscenze del Maestro di Beffi e di Saturnino Gatti, basti ricordare il ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di San Silvestro all’Aquila; al centro della macchina scenica ben composta, in alto, la Croce, con due scale; la più grande sulla destra rompe la scena, e induce l’osservatore a guardare una delle guardie, che sta scendendo con in mano la corona di spine, un altro riferimento alla pittura fiorentina di tradizione manierista, impossibile non ricordarsi di Rosso Fiorentino e della sua Deposizione di Volterra. Il motivo scenico della scala sulla Croce, è presente anche nel dipinto cesuriano, ed è retta in questo quadro di Gessopalena, da un soldato romano dall’aspetto grottesco.


Giulio Cesare Bedeschini, Madonna incoronata Regina degli Angeli tra Santi, Chiesa dei Raccomandati, Gessopalena.

Questo pittore sconosciuto doveva far parte insieme a Giovanpaolo Cardone, a Giovanpaolo Donati e altri della cerchia manierista aquilana, che presto lascerà il posto a Giulio Cesare Bedeschini, anche lui di formazione romana e fiorentina. E il Bedeschini lavorò per Gessopalena, per conto della Confraternita della Madonna dei Raccomandati, consegnando una tela corale, con al centro la Madonna incoronata Regina dei Cieli dagli angeli, con ai lati in piedi San Carlo Borromeo e San Francesco d’Assisi, e in basso inginocchiati Sant’Antonio di Padova e Santa Rita da Cascia. Opera solenne, tra le più belle del Bedeschini, in uno scenario dorato che lascia immaginare l’Eterna Luce del Paradiso, ispirata probabilmente a un’altra tela del Bedeschini, per quanto riguarda il volto di San Carlo, presente nella Basilica della Madonna del Colle di Pescocostanzo.





Nel libro di Cicchitti, si segnalano altre opere, la citata Pentecoste, i due Santi Pietro e Paolo principi della Chiesa, collocati presso il catino absidale d’altare maggiore, dove si trova la Pala del Trittico della Madonna della Misericordia, della scuola di Pietro Alamanno, e ampiamente studiato dal Cicchitti. I due Santi hanno i loro attributi di riconoscimento, San Pietro, stempiato, anziano, con le chiavi del Paradiso e il Vangelo, San Paolo pelato, con la barba lunga e la spada della difesa della Chiesa…e del martirio!

Franco G. Maria Battistella, citato dal Cicchitti nella sua opera, si è occupato di questo pittore, citando altre opere da lui realizzate, come la tela della Deposizione nella chiesa di San Francesco a Loreto Aprutino. Nella chiesa di Gessopalena soffermiamoci ancora sulla tela della Pentecoste: la Madonna è al centro, attorniata dagli Apostoli, si riconoscono San Giacomo, San Pietro, San Filippo, le lingue di fuoco si sprigionano dal cielo, indorato, una lezione ancora aquilana che rimanda a Saturnino Gatti per la Pala del Rosario; i volti degli Apostoli sono leggermente allungati, come era solito fare il Cesura per le sue Madonne o Sacre Conversazioni, michelangioleschi e robusti i tratti degli zigomi, delle espressioni facciali, delle nodose dita, delle braccia tese e nerborute degli uomini, dolci i tratti femminili della Madonna.

Questo pittore pare che fu attivo anche a Ortona nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, dipingendo due opere conservate nel Museo diocesano, San Pietro Celestino (la chiesa era di fondazione Celestina), e San Benedetto abate. Le figure sono solenni, nelle vesti vescovili, San Pietro Celestino ha la mitra e il pastorale, l’espressione altera, San Benedetto con l’ispida barba si rifà ad altri modelli utilizzati da questo Anonimo “Dioaiutarà” per i volti dei Santi Pietro e Paolo a Gessopalena. Non si conoscono altre opere di questo pittore, resta comunque una bellissima traccia di manierismo aquilano al di qua dell’Abruzzo chietino.




26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa

5 gennaio 2024

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

     INTRODUZIONE

 Nel saggio in questione si riporta uno schema riassuntivo delle principali vicende di vita sociale e religiosa che hanno caratterizzato l’Abruzzo durante il ventennio fascista. Al fine di una piena e consapevole comprensione delle vicende regionali si ritiene opportuno iniziare la trattazione con alcuni paragrafi contenenti brevi richiami a fatti di maggior rilevanza nazionale.

  

IL FASCISMO E LA CHIESA.

L’inizio ufficiale dell’era fascista in Italia risale al mese di ottobre del 1922, quando dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Benito Mussolini di formare un nuovo governo. Il 3 gennaio 1925 con un famoso discorso alla Camera, Mussolini annunciò la nascita dello Stato totalitario che durò ininterrottamente sino al 1943.

I rapporti iniziali del fascismo con il cattolicesimo e i suoi rappresentanti non furono improntati alla reciproca collaborazione e rispetto. Infatti, inizialmente il fascismo era anticlericale e con le sue violente attività squadristiche colpì alcuni esponenti cattolici, le leghe bianche e nel 1925 anche l’Azione Cattolica in Emilia. In seguito l’atteggiamento dei gerarchi del regime cambiò e il suo capo usò strumentalmente la religione cattolica per rinforzare il potere.

Al primo gabinetto Mussolini collaborarono varie forze politiche tra cui il partito popolare che ottenne quattro sottosegretari e due ministeri. Dopo che nel 10 luglio 1923 don Luigi Sturzo lasciò la segreteria del partito popolare, alcuni suoi esponenti entrarono in quello fascista. Durante le elezioni politiche del 1924 il movimento conservatore dei cattolici nazionali affisse per le vie di Roma un proprio manifesto in cui invitava gli elettori ad appoggiare il fascismo.

Un’altra componente cattolica prese le distanze dal fascismo, gli dimostrò una netta opposizione e ne patì le conseguenze con le violenze squadristiche e il carcere.

Nel 1922 prima della marcia su Roma sulla rivista “Civiltà cattolica” fu pubblicato un articolo in cui si faceva presente che il fascismo ha caratteristiche di violenza e supera il socialismo per le prepotenze, le uccisioni e le barbarie. A loro volta diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva godere l'appoggio della Chiesa.

Una parte della Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi a causa  dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra sua parte, invece riteneva che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.

Durante il periodo di dittatura ebbe una svolta politica nei riguardi della Chiesa che portò all'abbandono di molte posizioni anticlericali assunte prima della presa del potere. Infatti, Mussolini e le autorità del regime adottarono nei confronti della gerarchia ecclesiastica e di tutto il mondo cattolico, un atteggiamento conciliante e di disponibilità che contrastava con il laicismo dei governi italiani precedenti e si tramutò in una serie di notevoli concessioni a favore della Chiesa stessa. Tenendo conto di tutte le iniziative intraprese, si può dire che l’avvento del fascismo fu caratterizzato dalla messa in atto una politica che si può definire di “riconfessionalizzazione cattolica” dello Stato che ebbe la sua massima espressione con la firma dei Patti Lateranensi avvenuta nel 1929.



Nel periodo 1923-1928 i rappresentanti del regime promulgarono varie leggi e decreti riguardanti i  rapporti con le gerarchie ecclesiastiche che nel loro complesso produssero i seguenti effetti: 1) l’ordine di ricollocare il crocifisso nelle aule giudiziarie, nelle caserme, nelle scuole e in tutti gli altri uffici pubblici; 2) il ripristino tra l’elenco delle feste civili di alcune importanti solennità religiose; 3) l’adozione e il riconoscimento di vari benefici economici a favore del clero; 4) lo stanziamento di una ingente cifra (tre milioni di lire dell’epoca) per il restauro e la ricostruzione delle chiese danneggiate durante la prima guerra mondiale; 4) l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado; 5) il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso e della relativa giurisdizione ecclesiastica; 6) la reintroduzione dei cappellani militari nelle forze armate; 7) il salvataggio del cattolico Banco di Roma.

Dopo queste concessioni migliorarono i rapporti tra Stato e Chiesa, mentre la gerarchia cattolica nel suo complesso si convinse che in Italia con l’avvento del fascismo si erano create le condizioni necessarie per favorire il processo di ricristianizzazione a cui ambiva il papa Pio XI. A tal proposito va rilevato che le concezioni religiose del pontefice, per diversi aspetti si conciliavano con le esigenze del regime poichè erano ispirate a una religiosità caratterizzata dall'ubbidienza, l'umiltà, la rassegnazione e il rispetto per l'ordine e la gerarchia.

Questo positivo rapporto di collaborazione ebbe il suo importante culmine nella firma dei Patti Lateranensi che avvenne l’11 febbraio del 1929 tra Benito Mussolini in rappresentanza del governo italiano e il cardinale Gasparri che a sua volta rappresentava la Santa Sede.

Con la stesura del Concordato innanzitutto avvenne la riapertura formale dei buoni rapporti bilaterali tra lo Stato Italiano e l’autorità pontificia. Inoltre dopo circa sessanta anni rinasceva uno “Stato della Chiesa” indipendente e riconosciuto da quello italiano che fu sottoposto all’esclusiva autorità della Santa Sede, fu chiamato Città del Vaticano e comprendeva i Palazzi del Vaticano, il Laterano e la villa papale di Castel Gandolfo. In questo modo fu chiusa la questione romana apertasi nel 1870 con la presa di Roma. Il secondo importante aspetto dei Patti Lateranensi riguarda il fatto che lo Stato Italiano cessava di essere laico e neutrale in campo religioso e diventava confessionale poiché riconosceva il cattolicesimo come religione di stato. Di conseguenza il suo insegnamento fu reso obbligatorio in tutte le scuole di ogni ordine e grado. La Chiesa ottenne il riconoscimento del libero esercizio del potere spirituale, del culto, della legislazione ecclesiastica, della validità agli effetti civili del matrimonio religioso, della libera comunicazione con tutto il mondo cattolico e della sua richiesta d’impedire ai sacerdoti scomunicati di insegnare nelle scuole e nelle università statali. L’ultimo aspetto riguarda una Convenzione finanziaria che impegnava lo Stato Italiano a versare alle casse vaticane l’ingente cifra di 750 milioni di lire e una rendita perpetua, a titolo d’indennizzo per la perdita di tutti i proventi che le autorità pontificie ricavavano dallo Stato della Chiesa prima del 1860.

Le concessioni del regime alla Chiesa continuarono anche dopo il Concordato. Infatti, il nuovo Codice Civile Rocco del 1930, con gli articoli dal 402 al 406 riconobbe come reati perseguibili penalmente tutte le offese fatte nei confronti della Chiesa Cattolica e il sentimento religioso degli italiani.

L’universo ecclesiastico dopo le concessioni fasciste ricambiò i favori con diversi appoggi, riconoscimenti e valutazioni positive sulle personalità e gli operati del regime. Infatti, dopo il Concordato, molti ordinari diocesani diffusero lettere pastorali d’invito alla collaborazione con le autorità fasciste. A sua volta il papa Pio XI definì Mussolini "L'Uomo della Provvidenza" poiché a suo avviso ebbe il merito di riconoscere e riportare alla ribalta i veri ed autentici valori nazionali quali erano quelli cristiano-cattolici. Inoltre l'apparato ecclesiastico mise a disposizione del regime le proprie forze e collaborò alla realizzazione di molte sue iniziative. Una prova tangibile di questo rapporto collaborativo è rappresentata dalla figura dell'assistente spirituale esercitata da un sacerdote che la gerarchia cattolica mise a disposizione di tutte le organizzazioni fasciste che la prevedevano.

Anche i parroci in questo periodo storico, per motivi vari collaborarono frequentemente con le autorità del regime. Infatti, spesso erano invitati a partecipare alle loro manifestazioni, a far suonare le campane in occasione di alcune solennità civili fasciste e a benedire le bandiere, i gagliardetti e le sedi del partito. Nel 1935 in molte diocesi nazionali fu organizzata la raccolta di metalli preziosi per la patria. Inoltre in occasione della guerra d'Etiopia molti ordinari e parroci appoggiarono l'impresa coloniale e dopo la sua conclusione bandirono quasi una crociata per la civilizzazione e cristianizzazione della popolazione abissina.

Mussolini e i suoi gerarchi si servirono della Chiesa per l’appoggio ad altre loro iniziative e campagne propagandistiche tra cui quella dello sviluppo demografico. In questo caso tutti i giornali dell'epoca fiancheggiatori del regime per invogliare le coppie italiane a una maggiore procreatività ricordavano spesso i canoni e le leggi ecclesiastiche riguardanti la famiglia e il matrimonio e altrettanto fecero diversi parroci durante le loro omelie domenicali.

Nonostante gli episodi riportati, il rapporto di collaborazione tra lo Stato Fascista e la Chiesa durante l’intero ventennio non fu sempre pienamente positivo e idilliaco poiché, come ha rilevato Quazza, fu accompagnato da connotazioni ambivalenti, momenti di tensione e diverse sfumature. Queste ambiguità e ambivalenze sono molto evidenti quando si tiene conto che mentre da un lato le autorità del regime formalmente rendevano omaggio e manifestavano rispetto alla Chiesa, dall’altro s’impegnavano per sottrarle il controllo della gioventù e per l'eliminazione di tutte le forze cattoliche che si opponevano ai loro progetti politici. In quest'ambito si collocano tutte le iniziative delle autorità fasciste contro l’Azione Cattolica che era il principale strumento di cui si serviva la Chiesa per imprimere il suo segno sull’educazione religiosa giovanile. I gerarchi fascisti la guardavano sempre con notevole sospetto poiché la ritenevano un’istituzione concorrente che intralciava contro la loro ambizione di assicurarsi il monopolio dell'educazione dei giovani. Le violenze squadristiche contro alcune sedi dell’Azione Cattolica iniziarono nel 1921 e proseguirono nei primi anni del ventennio. In seguito si attenuarono ma dallo scontro fisico si passò a quello legale poiché le violenze furono sostituite dai decreti e le leggi che avevano il fine di sciogliere i gruppi cattolici giovanili. Uno dei primi provvedimenti che autorizzava lo scioglimento dell'Azione Cattolica fu il regio decreto del 9/1/1927. Dopo la sua promulgazione nacque un duro scontro con le autorità ecclesiastiche e il papa Pio XI con l'enciclica "Non abbiamo bisogno" prese posizione contro il regime. Mussolini per non compromettere il buon esito dei Patti Lateranensi fu costretto a fare marcia indietro e a ritirare il decreto. Nonostante questo tentativo conciliante, i contrasti tra la Santa Sede e il Regime a causa dell’Azione Cattolica non si attenuarono, ripresero tra il 1930 e il 1931 e, Mussolini emanò un nuovo decreto di scioglimento dei circoli della gioventù e delle federazioni universitarie cattoliche. 

Negli anni 1938-1939 si riaccesero i contrasti tra la Chiesa e il regime a causa di nuove restrizioni e limiti imposti alle associazioni cattoliche, il divieto ai giovani di portare il distintivo di adesione alla Gioventù Italiana di Azione cattolica e le leggi razziali. In particolare, quest’ultime furono osteggiate da diversi chierici e credenti di molte località italiane poiché erano ritenute contrarie alla Chiesa che invece predica l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio. A tal proposito il 28 luglio 1938, Pio XI disse: “Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali”.

A conclusione del presente paragrafo si fa presente che QQQQdurante l’arco del ventennio, le autorità del regime impedirono al movimento cattolico di svolgere qualsiasi attività politica. Di conseguenza esso si concentrò su iniziative culturali, educative e prettamente religiose: l’apostolato degli ordini religiosi e delle congregazioni, la struttura parrocchiale, delle associazioni giovanili ed altro.

 

L’Abruzzo e il fascismo

In Abruzzo le prime sedi fasciste iniziarono ad essere fondate agli inizi del 1921 ma l’affermazione definitiva del movimento in regione avvenne negli anni successivi. Alcune sue fasi furono: il congresso regionale del partito che si organizzò a Pescara nel mese di agosto del 1922; una festa regionale organizzata nel 1923 a Castellamare Adriatico; le elezioni provinciali e politiche che si tennero in regione sino al 1924. Alcune squadre di fascisti provenienti da diverse località abruzzesi parteciparono anche alla marcia di Roma[1].

In Abruzzo il fascismo assunse propri connotati e caratteristiche specifiche. A tal proposito, Amodei ha fatto presente che “Il fascismo abruzzese si caratterizzò per due fattori specifici. In primo luogo, per il rapporto strettissimo con il notabilato locale, che intese il fascismo come uno strumento di mantenimento dello status quo, delle proprie posizioni e dei propri poteri. Lo stesso fascismo, d’altro canto, si servì delle reti locali preesistenti l’avvento del fascismo nella regione come cinghia di trasmissione tra potere centrale e humus locale. Nella città di Chieti, per esempio, il notabilato aveva guidato il fascismo al potere e cogestì l’azione politica con i rappresentanti fascisti: prima dello scioglimento del Consiglio Provinciale, nel 1926, i liberali detenevano il governo della provincia mentre i fascisti reggevano la città[2]. Ad ulteriore precisazione di questi connotati Amodei aggiunge altre importanti osservazioni. Nella prima di esse ha fatto presente che il fascismo in Abruzzo “conservò, nel piano locale e non solo, le normali distinzioni cetuali, gli antagonismi personali e i tradizionali privilegi accordati agli elementi di spicco del tessuto sociale microlocale”[3]. Nella sua seconda osservazione lo studioso ha affermato che “Nelle sue prime fasi di affermazione, il fascismo abruzzese scelse di acquisire una precisa identità: quella di forza patriottica, oppositrice di qualsiasi politica internazionalista che mettesse in secondo piano, relativizzandoli, gli interessi regionali e nazionali[4].

In Abruzzo durante le elezioni politiche del 1924, il fascismo ottenne un largo successo elettorale con circa l’86% dei consensi a suo favore. L’anno dopo il prefetto di Chieti al fine di giustificare l’ampio successo che il partito raggiunse in Provincia scrisse: “Per naturale inclinazione e per innata tendenza queste popolazioni sono propense a seguire il partito che comanda, che assicura ordine e disciplina per potersi dedicare assiduamente al lavoro ed alle cure della famiglia che qui ha salde radici. A ciò si aggiunga il profondo sentimento di amor patrio e di devozione alla monarchia ed alle istituzioni che ci reggono. È naturale quindi che il partito fascista che tali principi esalta, sostiene e difende ad oltranza raccolga ovunque consensi[5].

Dopo questi momenti iniziali anche in Abruzzo il fascismo continuò la sua affermazione e perseguì una politica completamente ispirata ed aderente alle finalità nazionali.

 

13 dicembre 2023

Marino Valentini, Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo.


Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo
di Marino Valentini


Esattamente 45 anni fa Chieti e l'Abruzzo vennero visitati dagli alieni.
Verso la fine degli anni ’70 il mondo trattò, parodiando il famoso Triangolo delle Bermude , il fenomeno del triangolo italiano extraterrestre che si trovava nella nostra regione ed anche Chieti fu interessata da questo inspiegabile caso.
Il triangolo si estendeva dalle coste meridionali delle Marche fino a quelle dell'Abruzzo chietino, avendo come vertice il Gran Sasso. Strani episodi si registrarono a cadenza giornaliera, avvistamenti nel cielo e nel mare di globi luminosi, di colonne colorate d'acqua che si alzavano per venti metri, addirittura pure la morte di due esperti marinai affondati al largo di Martinsicuro col loro peschereccio, il cui decesso non venne mai chiarito per quali cause, certamente non per annegamento, fenomeni magnetici inspiegabili con radar oscurati, bussole impazzite strane interferenze sulle tv e sugli apparecchi radio, non solo quelli civili ma anche quelli ad uso delle forze dell'ordine, insomma fatti inspiegabili si registrarono un po' in tutta la Regione, Chieti compresa: era il 1978 e fu l'anno degli Ufo in Abruzzo.
Gli episodi furono tantissimi e forse è il caso di ricordare quelli che riguardarono la nostra città, soprattutto negli ultimi mesi dell'anno, tenendo presente che i fenomeni poi si arrestarono di colpo ma gli "alieni" torneranno negli anni successivi, anche nel secolo attuale, a visitare la città di Achille.
Intanto è importante la testimonianza di José Maria Alegre, un giornalista spagnolo di un giornale catalano che il suo redattore di Barcellona mandò in Abruzzo per scoprire cosa accadeva in questa parte d'Italia, al centro dell'attenzione mondiale sugli avvistamenti di Ufo.
Alegre stabilì la propria base operativa proprio a Chieti, dove un nostro concittadino lo ospitò; il giornalista era uno scettico ed arrivò in Abruzzo per fare un reportage pensando trattarsi di fenomeni naturali che solo l'autosuggestione e una voglia di protagonismo accreditavano come di derivazione aliena, ma sarà a ricredersi. Il reporter spagnolo cominciò ad interrogare le persone e i pescatori e venne colpito da una caratteristica comune in tutti gli intervistati: la paura nel narrare quei fatti.
A fine novembre Alegre si trovava sul balcone di un condominio di Chieti perché il suo amico gli aveva assicurato che da diverse sere assisteva ad avvistamenti di luci in movimento nel cielo di Chieti e forse gli stessi fenomeni avrebbero potuto replicarsi anche in quella sera.
Infatti arrivarono puntuali i viaggiatori dello spazio e Alegre, armato di macchina fotografica, teleobiettivo e attrezzatura capace di scattare anche foto ad infrarossi, fotografò gli ufo di Chieti, foto che poi vennero pubblicate sul Catalunya Expres di Barcellona. Il giornalista, nonostante l’iniziale suo scetticismo, si dichiarò impressionato dagli avvenimenti abruzzesi e dall'avvistamento avvenuto davanti al suo teleobiettivo; ecco la sua testimonianza pubblicata sul giornale: «Mi trovavo a casa di un amico di Chieti (Abruzzo) che mi aveva invitato per farmi assistere al fenomeno poiché lui lo aveva già osservato con un binocolo. Oltre al padrone di casa e a sua moglie vi erano altre quattro persone in casa. Non erano stelle. Lo posso dire con certezza perché nel luogo dove mi trovavo potevo osservare chiaramente dei movimenti molto lenti ma evidenti. Erano due oggetti luminosi ad una distanza considerevole e che mi fu possibile fotografare con il teleobiettivo. Al principio erano di un colore chiaro e di intensità variabile, a volte notevole. Entrambi presentavano dei riflessi rossi e verdi ugualmente intensi ma l'alternanza di questa mutazione dei colori non era regolare».
Di seguito si riportano le testimonianze di avvistamenti avvenuti nel cielo di Chieti: alle 22:30 del 13/11/78, il centralino del 113 di Chieti cominciò a registrare numerose chiamate di cittadini che segnalavano avvistamenti di oggetti volanti non identificati. Il maresciallo di PS Formichetti e l'appuntato Chiola, in servizio notturno presso la sala operativa, nel palazzo della Prefettura di Chieti, si recarono nella stanza più alta e panoramica. Notarono qualcosa di luminoso nel cielo, sospeso in lontananza in direzione nord-est, approssimativamente sulla perpendicolare di Silvi Marina, che emetteva fasci di luce di differenti colori, alternativamente: sembrarono segnali dettati, tipo linguaggio Morse. I colori di questi fasci mutarono dal blu al viola, al rosso e al giallo.
Contemporaneamente notarono un altro oggetto in direzione Gran Sasso, molto più visibile dell'altro, che emetteva fasci molto intensi di luce tra il giallo chiaro ed il bianco. Nel frattempo l'oggetto sul mare cominciò a muoversi verso sud est. Tali avvistamenti continuarono ad essere avvertiti dalla popolazione di Chieti per tre/quattro notti di seguito e tantissimi testimoniarono i fatti, tra i quali il Dott. Verdenelli, corrispondente de Il Messaggero che scattò alcune foto in bianco e nero pubblicate sul suo quotidiano; lo stesso oggetto venne osservato anche dal giornalista Maurizio Pervenegri dello stesso giornale, che curò un altro articolo a sua firma.
Ma è dicembre il mese degli avvistamenti su Chieti, sin dal primo giorno quando venne avvistata una coppia di corpi celesti che cambiarono colore, spostandosi lentamente in direzione di Venere, il 5 notte alcuni giovani, che si trovavano lungo una strada della periferia di Chieti, avvistarono un disco luminoso che atterrò a poca distanza da loro per poi ripartire velocemente.
Il 12 dicembre il prof. Antonio Campana (da me conosciuto personalmente, per il quale posso mettere le mani sul fuoco sulla sua assoluta onestà e serietà), alle ore 10 avvistò a Chieti per parecchio tempo una sfera luminosa che emetteva fasci di luce intensa. Nella notte dello stesso giorno il giornalista Massimo Pirozzi avvistò a Chieti un oggetto luminoso in direzione est (mare) che si spostava rapidamente verso sud, per poi scomparire di colpo subito dopo aver virato verso est.
Nella stessa notte alcuni testimoni osservarono a Chieti un gigantesco oggetto che descrissero come un "palazzo illuminato" che si sollevò in cielo verso il Gran Sasso. Tra le 6 e le 6:30 del 13 dicembre il corrispondente de Il Tempo Giampiero Perrotti osservò e fotografò un oggetto luminoso in lento movimento da Sud est a Nord Ovest. Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre un ragazzo di 14 anni di Chieti (Mauro Pettinelli) avvistò e fotografò da casa sua un corpo luminoso avente l'aspetto di una grossa macchia ad ellisse emanante luci colorate.
Il 18 dicembre da Chieti diversi cittadini notarono un corpo luminoso sferico in cielo circondato da un alone, in quel momento il direttore della sede Rai di Pescara, Edoardo Tiboni, assistette allo stesso fenomeno notando che l'oggetto si era nel frattempo posizionato sulla verticale delle antenne Rai di San Silvestro.
Dopo dicembre gli avvistamenti cessarono ma gli ufo fecero ritorno nell'estate successiva, quando il 7 agosto del 79 alle 11:30 un paio di pattuglie della squadra mobile di Chieti, avvisate dalla centrale operativa che aveva ricevuto numerose telefonate dai cittadini, avvistarono sulla verticale di Chieti Scalo un oggetto luminoso che sprigionava scintille: il fenomeno durò circa mezzora.
Gli altri avvistamenti: 4/9/85, verso mezzogiorno due studenti fotografarono un oggetto discoidale con cupola che si spostava rapidamente sul cielo di Chieti. 2/8/87, alle ore 1:15 a Chieti due giovani, che si trovavano all'aperto, di notte guardarono in cielo, vedendo passare un oggetto sferico giallo con scia rossa che si diresse veloce verso il mare, rimanendo visibile per almeno mezzo minuto.
27 gennaio 93, ore 22, diversi cittadini di Chieti videro sul versante chietino della Majella un lampo luminoso, poi una scia luminosa che si alzava in cielo, come un razzo di segnalazione, alzandosi ed abbassandosi per alcuni secondi prima di scomparire. La stessa scena venne testimoniata da cittadini di Guardiagrele, Rapino e Pennapiedimonte e perfino da chi in quel momento percorreva l'autostrada; c'è chi adombrò il sospetto che si sia trattato di un "lampo sismico", un fenomeno naturale simile all'aurora boreale ma certamente più raro di un avvistamento di ufo.
15/9/95, ore 11:30, un commerciante di Chieti Scalo e un suo cliente osservarono stupiti in cielo dalla vetrata del negozio una luce discoidale intensissima, di un bianco accecante, che dopo aver cambiato forma diventando una specie di palla, aveva compiuto alcuni movimenti, allontanandosi in meno di un minuto.

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