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13 ottobre 2022

Antonio De Nino, Il Messia dell'Abruzzo (Oreste De Amicis).

Oreste De Amicis il frate eretico, di Rossano De Laurentiis.

Oreste De Amicis (Cappelle sul Tavo, 27 aprile 1824 – Cappelle sul Tavo, 20 settembre 1889), è stato un frate cappuccino, parroco e predicatore.

Sommario

Immaginario collettivo

Cenni biografici e cursus ecclesiastico

L’eterodossia

Rivalsa sociale

Bibliografia


Immaginario collettivo

Immortalato da D’Annunzio nel Trionfo della morte (1894), romanzo che narra in filigrana l’estate del 1889 trascorsa dal poeta con l’amante Barbara Leoni sulla riviera adriatica tra l’eremo di San Vito Chietino e il santuario di Casalbordino, Oreste da Cappelle proprio alla fine di quell’estate dovette rendere l’anima al suo Dio. Il cosiddetto “Messia d’Abruzzo” fu studiato dal demologo Antonio De Nino, di Sulmona, in una biografia con un taglio socio-culturale uscita l’anno seguente (si veda qui l'illustrazione della cop.). Avvertiva l’autore: «Quest’operetta non è già un romanzo, come potrebbe far credere il titolo […] risulta di fatti documentati e raccolti dalla viva voce di chi prese parte all’azione o ne fu testimonio» (p. 7), con qualche inevitabile concessione all’aneddotica.
È indubbio il fascino e la suggestione che Oreste De Amicis, «distinto forse da caratteri più notevoli di quelli che Giacomo Barzellotti illustrò in Davide Lazzaretti» (Trionfo cit., nota dannunziana ai libri IV e V, p. 1019), dovette esercitare sul Pescarese alla ricerca di “documenti veramente umani” per caratterizzare le sue pagine abruzzesi.
A un certo punto dell’esistenza di Oreste De Amicis si manifestarono delle «compromesse condizioni mentali», tali da spingerlo in un paio di occasioni a tentare il suicidio; e chissà che proprio per questi episodi biografici D’Annunzio l’abbia usato come controfigura per gli istinti di morte di Giorgio Aurispa, protagonista del romanzo ambientato negli stessi luoghi della predicazione di De Amicis. Scrive De Nino, che pure era in contatto con D’Annunzio e il cenacolo di Michetti: «lo studio dei fatti morbosi fa meglio risaltare il meccanismo dei fatti normali».

Cenni biografici e cursus ecclesiastico

Oreste De Amicis nacque da Agapito e Maria Raffaella De Philippis. La formazione scolastica di base gli viene impartita in famiglia dallo zio materno, il parroco don Vincenzo. Prosegue gli studi nel convento dei Minori osservanti di Rapino (Chieti), ancora seguìto da uno zio, fra Tommaso da Tollo. Questi lo portò con sé negli spostamenti presso i conventi di Francavilla e di Ripa Teatina. All’età di 17 anni, insomma, Oreste De Amicis era un predicatore bell’e pronto. Sulla originaria vocazione al sacerdozio calò il velo di una «nuova leggenda come s’era formata nella credenza delle popolazioni campestri» (Trionfo cit., p. 840), perché si disse che rifiutato come gendarme di cavalleria decidesse di prendere i voti «ispirato da un’immagine della Madonna» (D’Este).
Divenne adepto dell’ordine cappuccino, prima a Ortona, poi a Sulmona come novizio «col più stretto rigore» (De Nino). Nella valle peligna avvenne la radicalizzazione in direzione del messianesimo; una svolta segnata dall'incontro con un mistico esaltato di nome Simplicio Di Rienzo. Quest'ultimo è ugualmente ricordato dall'Aurispa dannunziano, «nella cui memoria si risvegliava il ricordo lontano e indistinto di quel Simplicio [in dial. Sembrì] sulmonese che cadeva in estasi affisando il sole» (Trionfo cit., p. 840).
Oreste De Amicis, dopo aver pronunciato i voti col nome di fra Vincenzo da Cappelle (1841), inizia a spostarsi tra la Marsica e il reatino. Trascorse tre anni nel convento aquilano di San Giuseppe, dove coltivò idee liberali leggendo Gioberti, Rosmini, Leopardi, Foscolo, Rossetti e avvicinandosi a riformisti locali come Luigi Dragonetti (1791-1871).
Nel 1850 da frate cappuccino si fa prete. Don Oreste torna nel paese d’origine per coadiuvare il parroco titolare, di cui prende il posto a partire dal 1856. Furono anni di intensa attività, trascorsi in «edificanti attività parrocchiali, prodigandosi nell’assistenza ai poveri, nell’insegnamento ai fanciulli e nell’animazione delle cerimonie religiose» (D’Este). De Amicis, favorevole all’Unità d’Italia, riuscì ad incontrare il re Vittorio Emanuele II, di passaggio a Silvi, per sottoporgli una supplica di sussidio monetario per la parrocchia.
Il definitivo ritiro a Cappelle ci mostra un De Amicis ormai contrito per gli anni vissuti in un'animosa predicazione: «Un simulatore astuto e cupido che tentava di trarre a suo profitto la credulità dei divoti?» (Trionfo cit., p. 848); ridotto a vivere di elemosine; e a implorare il sindaco perché gli fosse riservato un posto al manicomio di Teramo. Altri episodi bizzarri e pietosi, come la richiesta di un esorcista, caratterizzano gli ultimi anni di vita del predicatore, finché non si spense all’età di 65 anni «dopo aver fatto bruciare tutti i suoi scritti» (D’Este).

L’eterodossia

Nel servizio per la casa parrocchiale a Cappelle (allora sotto la diocesi di Penne) don Oreste comincia a manifestare le prime manie ascetiche, anche stravaganti, che lo spinsero a ricavare un ‘antro’, con tanto di giaciglio e nicchie votive: «in compagnia di scheletri, portando il cilicio, percotendosi giorno e notte con la disciplina [scil. mazzo di funicelle o di fili metallici]» (Trionfo cit., p. 840). Situato tra gli spazi contigui del cimitero e di una chiesa del paese, il posto venne chiamato “La Camaldola” e divenne il luogo di autoreclusione di De Amicis per sei-sette anni.
La carica visionaria e monomaniacale lo portava a dichiararsi ispirato da Gesù Cristo, visto in persona; a suggerire nuove pratiche devozionali: «Nei brevi [scil. letterina ripiegata da portare al collo per devozione] o scapolari di sua invenzione soleva scrivere parole ebraiche, e metteva anche copia di un novello vangelo che uno Spirito gli aveva dettato in latino» (De Nino, p. 71).
Poi fu la volta di un peregrinaggio nell’Alta Italia, con visite nei santuari più famosi e incontri con personaggi della società civile. La capitale Torino fu la base di questi spostamenti, tra i quali un viaggio in Svizzera. Al secondo ritorno a Cappelle, 1866, si ritrovò estromesso dalla parrocchia per iniziativa dell’amministrazione comunale. Era un assaggio delle ‘scomuniche’ dell’autorità ecclesiastica che lo avrebbero costretto a continui trasferimenti, «sbattuto come l’acqua del mare» (secondo le sue parole riportate da De Nino, p. 17). Reagì a questa decisione come un martire, «cingendosi il capo con una corona di spine» (D’Este) e con invettive rivolte al municipio, fino ad essere trascinato in giudizio e condannato nell’agosto di quell'anno dal pretore di Città Sant’Angelo a tre mesi di carcere, poi ridotti a una multa.
Decide così di riprendere l’attività di predicazione, partendo per una missione in Corsica. Durante il viaggio, nel 1870, matura il proposito di farsi apostolo di una radicale riforma religiosa, che si richiami agli aspetti primitivi del Cristianesimo, quale il culto mariano e la semplificazione dei rituali della fede, come l’abolizione del latino nelle funzioni religiose «perché incomprensibile alle masse dei fedeli» (D’Este).
Tornando in continente nel 1871, sbarcò a Napoli; dove chiese udienza presso il cardinale arcivescovo Sisto Riario Sforza per metterlo a parte delle sue idee di religiosità senza preti né frati; con l’effetto che possiamo immaginare. Altre visite egli fece presso la cattedrale di San Giustino a Chieti, e perfino alla basilica di San Pietro a Roma.
Ormai sempre più spesso in preda a raptus di grandezza durante i quali si dichiarava Apostolo d’Italia, d’Europa o Novello Messia, la tranquilla Cappelle gli stava stretta.
Egli «peregrinava per le campagne vestito d’una tunica rossa e d’un manto azzurro, con i capelli lunghi su le spalle e con la barba alla nazarena» (Trionfo cit., p. 841), impugnando una mazza di ferro dal grosso pomo (D’Este), in modo simile alle compagnie di pellegrini dirette verso il santuario della Madonna di Casalbordino, «addossati gli uni agli altri per modo che dal folto non emergevano se non le alte mazze in forma di croci» (Trionfo cit., p. 844).
In questo modo riuscì ad attirare degli adepti tra le classi più umili, come i contadini: «questa è una contrada trista – ripeteva Candia scotendo il capo. – Ma deve venire il Messia di Cappelle a purgare la terra…» (Trionfo cit., p. 839); insieme agli artigiani, ai braccianti e alle donne del popolo, nel circondario di Cappelle ma anche fuori regione. Il proselitismo poteva portare alla nomina, seduta stante, nelle processioni e durante le “messe”, di “apostoli”: «uomini che avevano abbandonato la vanga e l’aratro per dedicarsi al trionfo della nuova fede» (Trionfo cit., p. 841); di «novelle reginelle della Chiesa» (D’Este): «Anche le donne ricevevano il segno. Una donna […] per dimostrare al Messia l’ardenza della sua fede, aveva voluto rinnovellare il sacrificio di Abramo appiccando il fuoco a un pagliericcio su cui giacevano i figliuoli» (Trionfo cit., pp. 841-42).
Fino a tutto l’Ottocento «soltanto nelle chiese si poteva soddisfare la disposizione allo spettacolo che l’uomo ha innata» (Flaiano). E anche il Messia di Cappelle non fece mancare agli adepti una nuova liturgia con confessione pubblica prima della messa e il Credo recitato in italiano. «Sempre, all’alba, comparendo egli su la porta della casa dove aveva albergato, vedeva una gran turba in ginocchio aspettante»; «Le moltitudini traevano [scil. accorrevano] sul suo passaggio dai più lontani luoghi della marina e della montagna» (Trionfo cit., p. 842) per avere un consulto.

Rivalsa sociale

Il carisma che il Messia di Cappelle sprigionava destò preoccupazione nei rappresentanti dell’ordine costituito, non solo quello religioso, a causa delle aspettative di giustizia coltivate e fomentate nel popolo dei diseredati. «Arevà Criste pe’ lu munne» esclama il vecchio contadino Cola «con una voce calda d'intima fede» (Trionfo cit., p. 842). Ovviamente non mancarono episodi di scetticismo e diffidenza verso il suo verbo, come quella volta che a Spoltore fu preso a sassate dai paesani. Il declino della parabola del messia Oreste inizia nel 1877, quando viene arrestato a Tocco Casauria dai «gendarmi e condotto nelle carceri di San Valentino con alcuni suoi seguaci» (Trionfo cit., p. 957), dopo aver tenuto una predica, per evitare che «dal continuo affluire di persone in detto luogo, potessero nascere spiacevoli inconvenienti e suscitare un fanatismo religioso sulla classe proletaria» (si legge nel verbale). E il solito Cola commenta: «Anche Nostro Signore Gesù Cristo patì l'odio dei Farisei. - Era venuto Uno nelle campagne a portare la pace e l'abondanza; ed ecco, l'hanno carcerato!» (ibid.).
Questa condizione di eccentrico, di uno “spostato” – come ce ne sono sempre stati nei villaggi e nei paesi –, diventa un'opportunità per Oreste De Amicis di uscire dall’anonimato della storia, intercettando – forse senza neanche volerlo – alcuni fermenti di natura più sociale che religiosa tra gli strati umili della popolazione. Attraverso un accenno di proselitismo gli riuscì di gettare luce sulle condizioni materiali di vita dei più umili, in una prospettiva almeno di denuncia o di emersione di certe realtà, se non di lotta vera e propria. D’altronde già De Nino parlò di «natura epica del racconto» delle vicende di De Amicis. Non dimentichiamo che alla fine di quello scorcio di secolo che vide don Oreste autoproclamarsi “messia” ci fu la strage del generale Bava Beccaris per reprimere i moti del 1898 a Milano.

Bibliografia

  • Associazione culturale Flaiano, Il Messia d’Abruzzo. Atti del Convegno, Pescara, 4 maggio 1985; in appendice: Il messia dell’Abruzzo di Antonio De Nino, [Tipolit. G. Fabiani], Pescara 1986. [Introduce e coordina Raffaele Colapietra] (infra come Atti 1986).
  • Ivanos Ciani, "Il Messia dell'Abruzzo" di A. De Nino nel "Trionfo della morte" di G. d'Annunzio, in Atti 1986, pp. 27-38.
  • Gabriele D’Annunzio, Trionfo della morte (1894), in Id., Prose di romanzi, vol. I, a cura di Annamaria Andreoli, Mondadori, Milano 1988, pp. 637-1019.
  • Antonio De Nino, Il Messia dell’Abruzzo: saggio biografico-critico, Lanciano, R. Carabba editore, 1890 (ora online su Gallica); poi rist. in Id., Tradizioni popolari abruzzesi, vol. II, Japadre, L’Aquila 1972; e in appendice agli Atti 1986 (supra).
  • Stefano De Sanctis, Il Novello Messia d’Abruzzo, Presentazione di Eide Spedicato Iengo, Tabula Fati, Chieti s.a.
  • Carlo Maria D’Este, “Abruzzesi illustri”, Oreste De Amicis (1824-1889), religioso, online su CRBC - Centro Regionale Beni Culturali, 27 genn. 2016.
  • Alea di Artemisia, rec. a “Il Messia” di Ennio Flaiano, 22 febb. 2014, online su "Il Pickwick.it: culture, critica e narrazioni".
  • Remo Di Leonardo, Il messia dell’Abruzzo, s.n., 2011.
  • Alfonso M. Di Nola, Il Messia d'Abruzzo: un episodio all'interno dei conflitti ideologici e cristiani del secolo XIX, in Atti 1986, pp. 21-25.
  • Nicola Angelo Falcone, Un caso di epidemia mistica in Abruzzo, Nasuti, Lanciano 1910.
  • Ennio Flaiano, Don Oreste ovvero la vocazione eccessiva, in Id., Autobiografia del blu di Prussia, Rizzoli, Milano 1974; poi Adelphi, Milano 2003.
  • Ennio Flaiano, Il Messia, a cura di Emma Giammattei, All’Insegna del Pesce d’oro, Milano 1982.
  • Luigi e Alessandra Gasparroni, David Lazzaretti, il profeta del Monte Labbro; Oreste De Amicis, il messia dell’Abruzzo: due vite parallele, sta: In Maremma: atti del 47. congresso A.M.S.I. (Associazione medici scrittori italiani), Grosseto 20-24 maggio 1998, (Palestrina, Industria tipografica laziale), suppl. a "La serpe", n. 4, 1998.
  • Emma Giammattei, Flaiano, il 'popolare' e l'esotico, in Atti 1986, pp. 39-46.
  • Ottaviano Giannangeli, Il popolo riconosce i suoi profeti, in Atti 1986, pp. 47-48.
  • Mario Quinto Lupinetti, De Amicis Oreste, in Gente d’Abruzzo. Dizionario Biografico, vol. III, Andromeda, Castelli 2006.
  • Mario Quinto Lupinetti, I processi penali contro Oreste De Amicis il “Messia d’Abruzzo”, L’Aquila, "Bollettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria", 101, 2010, pp. 295-328.
  • Umberto Russo, Il "Messia dell'Abruzzo" nella realtà storica, in Atti 1986, pp. 9-17.
  • A. Santoro, Messia e popolo. Un caso di millenarismo nell'Abruzzo postunitario: Oreste De Amicis, tesi di laurea, Università di Chieti, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1979-80 [in appendice sono riprodotti vari documenti tratti dagli Archivi di Stato di Pescara e di Teramo].
  • Alberto Scarselli, Tipi dell'Ottocento: messia o avventuriero in veste talare, Tip. Il Progresso, Teramo 1949.

Article written by Rossano De Laurentiis

Da: Ereticopedia.it 
       Academia.edu

27 luglio 2022

Viaggio in Abruzzo - Documentari Rai.

VIAGGIO IN ABRUZZO 1 - La Terra si ammala ma non muore 



VIAGGIO IN ABRUZZO 2 - La più bella e la più brava d'Abruzzo



VIAGGIO IN ABRUZZO 3 - Terra di Santi e di Poeti, Flaiano, Silone, D'Annunzio, Celestino V



VIAGGIO IN ABRUZZO 4 - Abruzzo in cammino, economia tra sviluppo e arretratezza



VIAGGIO IN ABRUZZO 5 - Storie di emigrazione 



VIAGGIO IN ABRUZZO 6 - Grotte, Streghe, Serpenti, Farchie 



VIAGGIO IN ABRUZZO 7 - L'AQUILA la città delle 99 cannelle 



VIAGGIO IN ABRUZZO 8 - Inchieste sul Parco nazionale d'Abruzzo e Parco nazionale della Majella



VIAGGIO IN ABRUZZO 9 - Tempo di vacanze da Pescara a Scanno 

Da: Abruzzo storico 90


19 maggio 2022

Le Romanze di Gabriele D'Annunzio musicate da Francesco Paolo Tosti.



dal CD LE ROMANZE DI GABRIELE D'ANNUNZIO MUSICALE DA F.P. TOSTI, Ist. Naz. Tostiano, Ortona. FRANCESCO PAOLO TOSTI le Romanze su parole di Gabriele d'Annunzio baritono RENATO BRUSON ROBERTO COGNACCO al piano Parte 1 VISIONE! 1880 BUON CAPO D'ANNO 1882 VUOL NOTE O BANCONOTE? 1882 NOTTE BIANCA 1883 ARCANO! 1884 MALINCONIA 1887 VORREI 1885 PER MORIRE 1892 'A VUCCHELLA 1907 DUE PICCOLI NOTTURNI 1911 Parte 2 QUATTRO CANZONI D'AMARANTA 1907 NINNA NANNA 1912 LA SERA 1916 CONSOLAZIONE 1916

6 gennaio 2022

Francesco Paolo Tosti, Le Romanze.



                            Francesco Paolo Tosti, La serenata.


               Francesco Paolo Tosti, Romanza italiana. (Playlist)





1 TRISTEZZA canta Renato Bruson 2 NON T'AMO PIU' 3 VORREI MORIRE! 4 A SERA VOGATA 5 BECAUSE OF YOU 6 LUNA D'ESTATE canta Carlo Bergonzi 7 MALIA canta Carlo Bergonzi 8 PENSO canta Carlo Bergonzi 9 IL PESCATORE CANTA (Carlo Bergonzi) 10 IL SOGNO canta Carlo Bergonzi 11 CHITARRATA ABRUZZESE 12 DOPO (romanza) 13 CHANSON DE L'ADIEU 14 AMOUR 15 CHE MAI T'HO FATTO AMOR 16 TU NEL TUO LETTO A FAR SOGNI D'ORO 17 SE TU NON TORNI canta Josè Carreras 18 IDEALE canta Juan Diego Florez.



Francesco Paolo Tosti le Romanze su parole di Gabriele d'Annunzio

dal CD LE ROMANZE DI GABRIELE D'ANNUNZIO MUSICALE DA F.P. TOSTI, Ist. Naz. Tostiano, Ortona FRANCESCO PAOLO TOSTI le Romanze su parole di Gabriele d'Annunzio baritono RENATO BRUSON ROBERTO COGNACCO al piano Parte 1 VISIONE! 1880 BUON CAPO D'ANNO 1882 VUOL NOTE O BANCONOTE? 1882 NOTTE BIANCA 1883 ARCANO! 1884 MALINCONIA 1887 VORREI 1885 PER MORIRE 1892 'A VUCCHELLA 1907 DUE PICCOLI NOTTURNI 1911 Parte 2 QUATTRO CANZONI D'AMARANTA 1907 NINNA NANNA 1912 LA SERA 1916 CONSOLAZIONE 1916

13 dicembre 2020

Angelo Iocco, Breve storia della letteratura abruzzese.


 Breve storia della letteratura abruzzese

di Angelo Iocco

 

Nell'epoca romana ad Amiternum nacque Gaio Sallustio Crispo, storico romano che scrisse le monografie  De coniuratione Catilinae e il Bellum Iugurthinum. Sempre durante l'Impero romano vennero dall'Abruzzo importanti personalità quali Asinio Pollione da Teate e Publio Ovidio Nasone da Sulmona, che ricorderà la sua città nell'opera Tristia. Fu uno dei maggiori poeti dell'epoca classica romana, come dimostrano le opere Ars amatoria, le Metamorfosi e i Fasti.

Nel Medioevo vi fu uno stallo per la letteratura abruzzese, che trovò espressione solamente in alcuni esempi nella composizione di preghiere e libri a carattere giuridico-cattolico, come gli scritti di Tommaso da Celano e il Chonicon Casauriense di San Clemente a Casauria. Un unicum fu il manoscritto delle Cronache aquilane, redatte a più riprese e da diversi autori, sia medievali che rinascimentali, fra i quali Buccio di Ranallo e Antonio di Boetio.

La letteratura conobbe una florida ripresa soltanto nel XVIII secolo, con un'ampia produzione storiografica e trattatistica al livello giuridico-amministrativo, come nell'esempio di Niccolò Toppi di Chieti, che si specializzò nella storia antica della sua città.

Il più celebre letterato nella storia della regione fu Gabriele D'Annunzio, uno dei personaggi abruzzesi più rappresentativi e più conosciuti. Poeta, romanziere, novelliere e autore teatrale, D'Annunzio fu personalità di primo piano nella storia nazionale e in quella della cultura europea. Le prime composizioni poetiche e prosaiche sono rivolte al piccolo borgo pescarese (allora piccola cittadina, appena liberata dalle mura della grande fortezza), e a un universo idilliaco e cristallizzato di Abruzzo selvaggio, naturale e primordiale. Tali composizioni sono Primo vere (1879), Canto novo (1881), Il libro delle vergini (1884) e le storie de Le novelle della Pescara (1902). Successivamente il poeta si dedicò all'approfondimento naturalistico decadentista e superomistico dell'eroe dannunziano a confronto con la natura selvaggia nelle opere Il trionfo della morte (1894) e La figlia di Iorio (1904). Il primo è un romanzo ispirato a un viaggio di d'Annunzio nella Costa dei Trabocchi, e al pellegrinaggio a Casalbordino, il secondo è una tragedia che mostra ancora una volta il confronto tra un universo perfettamente conservato nella sua identità ancestrale, e gli estremi delle passioni dei propri esseri viventi, come i pastori che condannano a morte la ragazza Mila di Codra, rifugiatasi nella Grotta del Cavallone, accusata di stregoneria.

D'Annunzio si distinse nel panorama letterario per aver incarnato l'aspetto italiano di decadentismo, esposto nel romanzo Il piacere (1889) e nella raccolta poetica delle Laudi (1903).

Un altro scrittore e poeta famoso è Ignazio Silone, di Pescina, il quale fu sempre legato a un'idea astratta di comunismo e solidarietà sociale, nonché alla lotta contro il potere oppressore. Gran parte della sua produzione è ambientata in un Abruzzo povero e martoriato da carestie e terremoti, in particolare la piana del Fucino, dove i protagonisti delle storie sono poveri nullatenenti, che possono poggiarsi soltanto sui loro ideali di riscatto e comunanza quasi fraterna nel subire la propria disgrazia. È l'esempio di Fontamara (1933) e Vino e pane (1938), in cui i contadini di un paese di montagna, nel primo romanzo, lottano per i soprusi del podestà di Avezzano, che vuole deviare il fiume Giovenco; mentre la seconda storia vede protagonista il comunista Pietro Spina, che torna nel suo paese sotto le mentite spoglie di don Paolo, per sfuggire alla polizia fascista.

Nel corso del '900 ci furono altre importanti personalità letterarie, come Cesare De Titta di Sant'Eusanio del Sangro, che compose in dialetto un Canzoniere di stampo carducciano, e Modesto Della Porta di Guardiagrele, il quale compose la raccolta poetica Ta-Pu (1920), incentrata sulle avventure di un povero musicista, infarcita di massime locali e bozzetti di vita locale.

Un altro celebre pescarese fu Ennio Flaiano, scrittore, sceneggiatore e giornalista e personaggio unico nel panorama cinematografico, noto per la sua ironia pungente. Scrisse la sceneggiatura del film I vitelloni, diretto da Fellini, la cui storia era ispirata alle zingarate del Flaiano nella gioventù pescarese. Il regista però preferì ambientare il film a Rimini, più nota della località abruzzese al grande pubblico.
Nacque a 
Pescasseroli il filosofo e saggista Benedetto Croce, esponente del liberalismo e del neoidealismo. Oltre alla filosofia, incentrata sulla critica del pensiero di Hegel, Croce si occupò anche di saggistica del territorio di Napoli, ponendo attenzione sulla storia del regno partenopeo.


 In allegato la  Breve Storia della Letteratura Abruzzese.


12 dicembre 2020

Elisabetta Mancinelli, La storia del Parrozzo.

 

La storia del Parrozzo

L'antico pane dei pastori diventato il dolce simbolo di Pescara e dell'Abruzzo grazie a Luigi D'Amico,

di Elisabetta Mancinelli.

Il Parrozzo nasce ed affonda le sue origini nella società agricola. 

Era un antico pane delle mense contadine che, i pastori abruzzesi ricavavano dalla meno pregiata farina di mais, veniva poi cotto nel forno a legna. Nacque come dolce natalizio negli anni Venti per iniziativa del pescarese Luigi D’Amico titolare di un caffè del centro che ebbe l’idea di renderlo dolce e di produrlo nel suo laboratorio, rielaborando la ricetta senza stravolgerne le caratteristiche originali, infatti s’ispirò all’antico pane delle mense contadine utilizzando anche uno stampo a forma di cupola che ricordasse appunto le pagnotte contadine.

Il Parrozzo fu ideato e preparato per la prima volta nel 1919 da Luigi D’Amico, amico di D’Annunzio, il quale volle dare forma d’arte ad una trasposizione dolciaria di un’antica ricetta abruzzese fatta col latte delle greggi profumato di timo e di menta insieme alle mandorle della montagna: un pane rustico detto “Pan rozzo”.


7 luglio 2020

La Figlia di Jorio di Gabriele D'Annunzio, nella versione in dialetto abruzzese di Cesare De Titta.

 
La Figlia di Jorio di Gabriele D'Annunzio, nella versione in dialetto abruzzese di Cesare De Titta.

Rappresentazione della versificazione in dialetto abruzzese da parte di Cesare de Titta nel 1922, della tragedia immortale di Gabriele d'Annunzio del 1904, andata una prima volta in scena al festival della Settimana Abruzzese di Pescara del 1923, e poi in questo spettacolo, per la regia di Danilo Volponi, al Teatro Massimo di Pescara nella rassegna della Settembrata Abruzzese del 1999.