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13 ottobre 2022

Canzoni abruzzesi. Coro Pierino Liberati di Castel Frentano.


Dirige il M° Francesco Paolo Santacroce, tra le canzoni: Arvì (Misantoni-Vetuschi), A core a core (Di Loreto-Liberati), Tuppe e tuppe (Di Loreto-Liberati), Marrocche e frusce (De Carolis-Polsi), Stanotte è na notte d'incante (Miccoli-Liberati), Lu Fusare nnammurate (Sigismondi), La partenza de li pecurele (Sigismondi-De Cecco), L'Avemmarije (Di Loreto-Olivieri), Mare nostre (Illuminati-Di Jorio) ...

A core a core, canzone abruzzese, versi di Eduardo Di Loreto, musica di Pierino Liberati.


A core a core, canzone abruzzese, versi di Eduardo Di Loreto, musica di Pierino Liberati, canta il Coro P. Liberati di Castel Frentano.





3 ottobre 2022

Il Concorso delle Canzoni Abruzzesi di Lanciano del 18-19 aprile 1922.

Il Concorso delle Canzoni Abruzzesi di Lanciano del 18-19 aprile 1922.

di Angelo Iocco

Quando a Ortona nacque la Prima Piedigrotta Abruzzese nel 1920 sotto l’egida dei musicisti Guido Albanese, Antonio Di Jorio e padre Settimio Zimarino, le città circonvicine non si lasciarono sfuggire l’occasione di proporre anch’esse delle rassegne canore abruzzesi. 

Chi conosce anche vagamente cosa siano le Maggiolate di Ortona, e quale fu il sentimento comune di costituire dei Cori per proporre un repertorio di canzoni abruzzesi d’autore, con pubblico concorso, per la selezione della categoria dilettanti – medie – professionisti, per assegnare alla fine il premio, sa di cosa trattiamo.

Ebbene dopo le Canzoni abruzzesi della Prima Maggiolata, quasi tutte tratte dai versi di Cesare de Titta, già nel 1921 venivano proposte delle rassegne di canzoni a Castel Frentano, a Orsogna, a Lanciano con i propri cori.

Nel caso di Lanciano abbiamo un libretto della Festa delle Canzoni Settembrine, per la festa della Madonna del Ponte, del 1921. 

Le canzoni in gran parte sono successi tratti dalla prima e seconda Maggiolata di Ortona del biennio 1920-21: La nnazzecarelle di De Titta e Zimarino, Lu piante de le fojje di De Titta e Albanese, L’acquabbelle di De Titta e Albanese che fu l’aprente della Prima Piedigrotta; dall’altro lato abbiamo qualche canzone nuove di artisti frentani, quali Amore vecchie, amore nove di Modesto Della Porta con musica di Carlo Massangioli, e La sirinate de lu suspette, versi del poeta e storico Luigi Renzetti, e musica del fratello Camillo.

Notiamo qui come il poeta Modesto fosse stato battezzato nella rassegna delle canzoni abruzzesi con questa composizione, di cui però purtroppo si è perso lo spartito (resta una versione tarda rimusicata da Vincenzo Coccione di Poggiofiorito); dall’altro lato vediamo lo storico e intellettuale lancianese Luigi Renzetti classe 1860 alle prese con lo spettacolo e il teatro, da lui sempre amato. 

Renzetti a quell’epoca era in decadenza fisica, morirà infatti cieco dieci anni dopo questo concorso, e pare che sin dal 1895 si fosse cimentato con degli esperimenti canori con un Gruppo corale in contrada Santa Liberata.

Questa rassegna di canzoni settembrine fu l’antesignana di un vero e proprio concorso bandito in aprile 1922, con presidente della commissione il musicista valente Camillo De Nardis. 

Leggendo gli articoli di giornale del Fuoco, dell’Idea abruzzese, ecc., scopriamo con stupore che due canzoni oggi celeberrime furono scartate dalla giuria, non degne di quel sentimento, di quel tema che rappresentasse lo spirito della canzone di tradizione abruzzese richiesto dalla giuria, e che pertanto furono presentate e acclamate alle Maggiolate di Ortona di quello stesso anno; parliamo di Din don di Cesare de Titta e Antonio Di Jorio, e di A la fonte di Luigi Illuminati e del Di Jorio; due canzoni che, se ascoltate, certamente avrebbero vinto, o conquistato almeno il secondo o il terzo posto in questa Festa delle Canzoni di Lanciano. Ma c’è di peggio, a quanto attestano i documenti dell’archivio Albanese di Ortona, e ad esempio la testimonianza dell’attore lancianese Alfredo Bontempi (1893-1983); la commissione scartò la celeberrima Vola vola vola su versi del Dommarco, oggi considerato l’inno d’Abruzzo! E l’Albanese ne ebbe a male, e scrisse e pubblicò sul giornale una lettera, scrivendo che la sua “Vola vola spiccherà il volo” anche fuori i confini d’Abruzzo; parole profetiche, perché così fu al Festival Internazionale delle Canzoni del 1953. 

Insomma, un concorso delle canzoni che ebbe diversi torbidi, e che partì non sotto buoni auspici, e su pareri contrastanti tra gli stessi giurati.

Chi erano i partecipanti? I nomi dei poeti più famosi del periodo “classico abruzzese”, Giulio Sigismondi di San Vito con Giuseppe Gargarella di Lanciano, il giovane futuro professore di latino Pier Andrea Brasile (1900-1973) di illustre famiglia lancianese, Evandro Marcolongo, Cesare de Titta, Carlo Mariani e Arturo Colizzi da Rocca San Giovanni e qualche altro… sconosciuto, come Modesto Della Porta da Guardiagrele. 

Le canzoni sono presentate in piazza Plebiscito col Coro di Lanciano, tra questi titoli figurano Canzuna nustre di Sigismondi-Gargarella, Vulesse della stessa coppia, tra l’altro ispirata alla fresca acqua della storica Fonte del Borgo, Lucenacappelle della stessa coppia (già queste tre canzoni, a giudicare dalla fama che oggi hanno nell’essere riproposte dai cori, avrebbero fatto aggiudicare primo, secondo e terzo premio ai due giovani poeti!). 

Poi c’è la barcarola Voga voghe di Mariani e Colizzi, ancora oggi molto riproposta fra i cori, e un’accorata e andante canzone amorosa del giovane Brasile: S’ucchie (Brasile ebbe modo di farsi valere alle altre Maggiolate di Ortona, e alle Feste della Canzone abruzzese molisana di Vasto, ad esempio con Lu mbrimbimbì su musica dell’amico Aniello Polsi, benché la sua predilezione fosse la ricerca, l’erudizione, e lo studio del latino e della grammatica).

Di fronte  a tutto questo repertorio, il mite sarto Della Porta con cosa si presenta? Con Carufine, una canzonetta che parla di fiori, di garofani a un balcone, con musica del purtroppo quasi sconosciuto Massangioli. 

La giuria si riunisce, esce il verdetto finale, Della Porta e Massangioli vincono il primo premio della Festa delle canzoni di Lanciano con Carufine

De Titta uscì secondo… e s’infuriò da morire. Lui, che era l’aedo trilingue d’Abruzzo, lui, il sacerdote, il poeta dell’amore platonico, della contemplazione del paesaggio campestre di Fiorinvalle di Terra d’Oro! Gli articoli di giornale immediatamente accolgono le proteste dei poeti concorrenti, Sigismondi con Lu Cuncurse di Lanciane sbeffeggia Della Porta e la giuria, dicendo che adesso l’arte è finita in mano a scarpari e sarti, don Evandro Marcolongo è fuori di sé, in una poesia paragona Della Porta a un tacchino che vuole passare per gallo, il professore e critico Federico Mola di Orsogna si scaglia senza pietà contro Della Porta, arrivando a dire che è stato “favorito” dallo scrittore chietino Giuseppe Mezzanotte membro della giuria, e dal presidente De Nardis. 

Della Porta si difende con uno scritto in cui rivendica i suoi talenti poetici, dato che qualche anno prima era stato fragorosamente applaudito con i suoi versi ai teatri di Ortona e Lanciano, ma come ricostruisce Mario Palmerio nella sua recente biografia su Modesto, il Mola rincara la dose, arrivando quasi all’insulto, definendo Modesto, dopo averlo canzonato come “il poeta di Mezzanotte”, “la Mezzanotte del poeta”, ovvero dopo averlo accusato di connivenza, adesso lo bolla come un poeta finito, che non ha più nulla da dire. 

Inutile dire che i poeti facevano il tifo per De Titta, che si tenne a parte da questa gazzarre giornalistica, ma il primo premio è stato assegnato, con tutto questo strascico polemico,



Un Concorso di Canzoni a Lanciano non si terrà mai più, non sorgerà nemmeno più un coro, nonostante qualche timido tentativo nel secondo dopoguerra, alla morte di Brasile e Renzetti, non ci sarà qualche poeta dell’estro di Sigismondi o di un De Titta che sia di patria lancianese, e che parteciperà ai concorsi di canzoni, salvo alcune canzoni di Francesco Brasile, che per lo più saranno rimusicate da Roberto Mancinoni del gruppo “Lu Cantastorie”. 

Un fatto assai spiazzante per una città come Lanciano, assai più spiazzante se si pensa a Chieti, il capoluogo di provincia, che come scrisse lo studioso padre Donatangelo Lupinetti, si tenne alla larga da questi Concorso canori, snobbandoli addirittura, e non comprendendone il significato del messaggio che stavano costruendo, dell’identità Canora d’Abruzzo che stavano forgiando!

Lanciano fu seconda a Chieti nella negligenza di aver organizzato altri concorsi di canto.

Così il Concorso delle Canzoni di Lanciano verrà ricordato come uno dei più controversi, e dove piovvero più polemiche in un panorama storico della canzone abruzzese; mentre a San Vito, a Castel Frentano, perfino a Poggiofiorito, Caldari, Frisa, prima e dopo la guerra, sorgevano “maggiolate”, cloni della Maggiolata di Ortona, Chieti e Lanciano sono rimaste a guardare, nella loro indifferenza, la nascita della Canzone d’Abruzzo.



18 settembre 2022

Le glorie di un capocomico, Alfredo Bontempi di Lanciano.


Le glorie di un capocomico, Alfredo Bontempi di Lanciano
di Angelo Iocco

Quanti a Lanciano ricordano il maestro elementare e commediografo Alfredo Bontempi? (1893-1983) Nacque nel rione Borgo, poco si sa dell’infanzia, ma della sua attività teatrale molto parla il libro di P. Verratti e L. Bontempi pubblicato a Castel Frentano nel 2007. 
Dopo aver conseguito la licenza elementare, iniziò a insegnare nelle scuole di Lanciano, stringendo amicizia con il maestro Cesare Fagiani, poco più giovane di lui, e vari altri rappresentanti della cultural lancianese. 


Appassionati di teatro, negli anni dell’amministrazione Sigismondi del teatro comunale Fenaroli, Bontempi iniziò a formare delle Filodrammatiche per portare in scena delle farse, degli atti unici, o intermezzi tra uno spettacolo e il cinematografo. Alla brigata si unirono anche Domenico Bomba detto Mimì come suggeritore, il piccolo Federico Mola (1881-1978), Ugo Di Santo e il poeta Giulio Sigismondi da Guardiagrele, che con le sue farse e i suoi monologhi farà sganasciare dalle risate innumerevoli spettatori. 
In quegli anni Bontempi spalleggiò anche l’amministrazione Gerardo Berenga, alle soglie del fascismo.


Il 3 e 4 marzo del 1923, in pieno periodo fascista, fu rappresentata al teatro comunale di Castel Frentano e poi a Lanciano anche E' na cosa pazziarelle, favola dialettale-teatrale in due quadri composta dal duo Di Loreto-Liberati, purtroppo andata persa; nelle stesse serate fu rappresentata anche I Balilla, commedia in due atti scritta da Alfredo Bontempi, attore e scrittore lancianese amico del Maestro.
Bontempi era uno dei principali mattatori della Filodrammatica del teatro Lancianese in quegli anni, insieme al poeta Cesare Fagiani, oltre che come lui maestro di scuola, e dirigeva la rivista satirica “Il Beffardo”, su cui anche Di Loreto scrisse alcuni bozzetti, firmandosi con pseudonimo femminile; era direttore di una compagnia di comici di Lanciano, scriveva e dirigeva le sue commedie, come Delirio…parziale (1927), I Balilla (1928), Lu nide negli anni ’50 per il teatro di Milano, con poesie cantate di Nino Saraceni di Fossacesia, e rappresentata anche a Lanciano. 
Personaggio poco ricordato oggi il Bontempi, fu attivo in diverse riviste, anche dopo la guerra, con Nuvole a Lanciano, la quale si occupava di vari argomenti, anche culturali, dando importanza soprattutto agli storici musicisti locali, dai Sabini a Fenaroli, a Masciangelo. Questa commedia fu scelta in un Concorso del teatro italiano bandito a Milano, e Bontempi ebbe modo di rilanciare il teatro abruzzese, che allora dopo alcuni sprazzi di notorietà nell’era fascista, stava ricadendo pericolosamente nell’ambito localistico e provinciale. L’opera in sé è una veduta nostalgica della vita semplice di campagna, del matrimonio felice tra i due sposini, che provano ad andare nella grande città a Roma, sentendosi però dei pesci fuor d’acqua e preferendo ritornare nel piccolo cantuccio paesano, senza i problemi quotidiani. Le deliziose canzoni scritte da Saraceni allietano i 3 atti, testimonianza della spiccata versatilità del Teatro Frentano alla commedia teatrale brillante con intermezzi musicali, dove il musicista di turno (maestri furono Antonio Pancella, Nicola Benvenuto, Ugo Di Santo, Pierino Liberati) poteva far cantare il cuore abruzzese in questi momenti della scena rappresentata, consacrando de facto Lanciano a questo primato.


Carnevale del 1949 a Lanciano, Filodrammatica “L. Renzetti”, da sinistra Cesare Fagiani, Giovanni Nativio, Vituccio Iavicoli, il Maestro Alfredo Buontempi, Ugo Di Santo, Ferdinando Mercadante, Tanino La Barba, Gigino Carinci (la Pizecca), Mario De Matteo, Mauro Volpe.

Bontempi era ben inserito nel mondo sociale colto di Lanciano, intrattenendo rapporti con Gennaro Finamore, il poeta e storico locale Luigi Renzetti e suo fratello Camillo che parteciparono anche alle Maggiolate di Ortona, Domenico Bielli compilatore di un vocabolario abruzzese, Federico Mola professore orsognese e studioso dei temi più disparati, Modesto della Porta il poeta sarto di Guardiagrele, il consigliere comunale e poeta Giulio Sigismondi[1] di San Vito, e poi i rapporti col senatore Paolucci, Ciampoli, Pantini, le compagnie filodrammatiche Alfieri di Lanciano, quella Dopolavorista del Marrucino di Chieti ecc.[2] 
Mola e Bontempi diressero per pochi numeri inoltre una rivista: le “Città d’Abruzzo illustrate”, dove si ripromettevano di descrivere, con l’ausilio di vari studiosi locali, le maggiori città abruzzesi; progetto molto ambizioso che però si ridusse solo all’area frentana e pescarese, parlando di Lanciano, Orsogna, Guardiagrele, Castel Frentano, San Vito e qualche altro centro. Ciononostante, questi libretti, quasi tutti conservati nella biblioteca comunale di Lanciano, sono preziosi per scoprire varie particolarità e curiosità di questi paesi, specialmente Guardiagrele, che era oltre a Lanciano una delle città più ricche e belle descritte. L’intento era proprio quello di illustrare, con leggerezza, quasi una guida turistica, alcune realtà poco conosciute dell’Abruzzo. Mentre Lanciano risaltò per la bellezza dei monumenti e delle secolari tradizioni, Guardiagrele risaltò per la bottega dei fratelli Ranieri esperiti nella lavorazione del ferro, per gli oggetti d’arte sacra e per la maestria di Nicola da Guardiagrele, oltre che per l’erezione recente del Sacrario ai Caduti d’Abruzzo nel 1923. Ciò che cercarono Mola e Bontempi fu proprio la collaborazione con studiosi d’arte e storia locale come Giuseppe Iezzi, don Filippo Ferrari, Luigi Renzetti, Francesco Verlengia nel redigere queste piccole e pregiate guide dei paesi abruzzesi, che sarebbero state veramente deliziose, se si fossero estese alle cittadine del teramano, dell’aquilano, della valle Peligna. Peccato davvero! Nel numero di Castel Frentano si spaziava dalle notizie storiche finora note a quelle storico artistiche, a quelle curiose sulla presenza del corpo di don Iginio Vergily, a quelle del teatro e della musica, dove si elogiavamo i giovani talenti di Liberati e Di Loreto. Se Eduardo Di Loreto intraprese a metà anni ’20 la via del teatro, un po’ lo ha dovuto anche alla sapienza e all’intraprendenza vulcanica del Bontempi, che appunto meriterebbe un po’ più di attenzione e riconoscimento, insieme a tutte quelle altre eminenti personalità che “forgiarono” l’identità Abruzzese nel primo trentennio del ‘900.


Tra le ultime opere scritte da Bontempi, Noi siamo le colonne, nella quale c’è sempre un contrasto tra società dagli antichi valori, e società moderna e consumistica degli anni ’60, e infine Girandole, del 1982, una commedia per bambini in cui si rievocano le vecchie glorie del nostro anziano capocomico, dal volto paffuto e solare, che si spegnerà novantenne  un anno più tardi. Allo stato attuale a Lanciano non c’è nemmeno uno slargo o una strada intitolata a questo valente comico e maestro di teatro!







[1] Ci piace ricordare che anche Sigismondi si inserì nel dibattito del teatro dialettale abruzzese, tanto da pubblicare col titolo: “Teatro Abruzzese – Passa l’Angele e dice ammèn” a cura di Virgilio Sigismondi, una sua raccolta di testi teatrali, poi riedita in anastatica a cura del figlio Virgilio.

[2] Ricordi di un filodrammatico in Lanciano, o cara, a cura di Giovanni Nativio, Itinerari, Lanciano 1979.

11 settembre 2022

Giuliano Crognale di Castel Nuovo, un pittore di provincia.


Giuliano Crognale di Castel Nuovo, un pittore di provincia
di Angelo Iocco


Autoritratto
Giuliano Crognale, pittore, poeta, nasce il 10 luglio 1770 a Castel Frentano, e vi muore il 20 luglio 1862. Per la precisione lui nacque a Castel Nuovo, tale era il nome del paese sino al 1863, quando cambierà nome in Castel Frentano per evitare casi di omonima nel nuovo Regno d’Italia, ma il novantaduenne Giuliano non riuscirà ad assistere a tale cambio, per lui Castel Frentano fu sempre, così come per i castellini veraci, Castel Nuovo, o anche “Castannove”. 
Suo padre era un medico, Giuliano discendeva da una delle famiglie più facoltose di Castel Frentano, originatesi dal canonico don Domenico Crognale, che fu arciprete, vicario del vescovo di Lanciano, e che acquisì con il denaro il titolo di Marchese di Castel Nuovo.

Disegno dell’Apollo Belvedere per Antonio Madonna,
dal libro di G. De Crecchio “Il triangolo della giustizia a Lanciano”, 2010


Ha inizialmente studiato letteratura e classici in una scuola religiosa e seminario a Lanciano. Nel 1787 si trasferì a Napoli per studiare legge. Gravitava per studiare pittura con Raffaele Ciappa. Nel 1790 si trasferì a Roma, dove lavorò sotto il pittore senese, Salvatore Tonci. Di questo primo periodo di attività non abbiamo tracce di opere del Nostro. Nel giro di un anno era tornato a Lanciano.
Durante gli anni Novanta, mostrò simpatia per gli interessi repubblicani e questo portò alla sua incarcerazione da parte delle autorità borboniche locali a Castelnuovo. Infatti con la presa del Forte di Pescara da parte dei francesi di Murat, Crognale vi fu nominato tesoriere; ma la Repubblica durò poco, il governo borbonico con le truppe sanfediste riprese il potere, e Crognale dovette darsi alla macchia.


Educazione di Maria bambina, chiesa di Santo Stefano, Castel Frentano


Incredulità di San Tommaso apostolo, Chiesa di Santo Stefano, Caste, Frentano


Ottenne il rilascio promettendo di scrivere un poema panegirico sui suoi rapitori, come riporta nella sua Autobiografia, che è stata pubblicata di recente a cura di Michele Scioli per la Rivista Abruzzese di Lanciano. Il poema dal sapore pantagruelico, non fu mai composto.
Tuttavia, nel 1799 fu di nuovo sottoposto a proscrizione e, sotto pena di morte, fuggì in esilio a Fermo fino al 1801, quando ricevette l'amnistia. Di Crognale possediamo, grazie alla sua Autobiografia, importanti notizie per ricostruire la sua carriera, interessanti sono i suoi rapporti ad esempio con l’intellighentia lancianese, era amico del giureconsulto e magistrato Antonio Madonna di Lama dei Peligni presso il Tribunale di Lanciano, padre di quel famoso patriota Carlo Madonna (1809-1890) che tanti si dette da fare a Lanciano per favorire la causa dell’Unità d’Italia, e che tra le opere più note, scrisse l’azione sacra “La Sunamitide – Ovvero il trionfo della Virtù e della Bellezza” con le musiche di Francesco Masciangelo per il ventennale dell’Incoronazione della statua della Madonna del Ponte di Lanciano (1833-1853). Per Antonio Madonna, Crognale realizzò una copia su cartoncino del famoso Apollo Belvedere, il disegno è molto corretto e preciso, anche se non supera i livelli della semplice “copia” di un originale.

Crognale fu amico dell’ingegnere anti-borbonico Nicola Maria Talli di Lanciano, agrimensore, redattore di un manoscritti sulla Corografia di Lanciano, assai interessante, pubblicato a cura di Lucia Di Virgilio col tiolo “La farfalla di pietra” per conto della Rivista Abruzzese di Lanciano. Un trattatello interessante in cui il Talli stila cifre sulle misure dei terreni della città, lo stato attuale delle entrate e delle uscite, le tradizioni, le feste, il costume della gente, le malattie, l’età anagrafica di ciascuno, numerazione di chiese, congreghe, palazzi, famiglie, insomma una preziosa fonte di informazioni che serviva al Regno di Napoli per avere informazioni relative la città.
Crognale e Talli furono intimi amici, e continuarono la loro corrispondenza anche durante l’esilio del Talli, che fu ospitato più volte dal Crognale in incognito, e viceversa. Discorrevano nelle lettere di tutto, soprattutto Crognale nella sua raccolta di epistole dal titolo simpatico “Pesci moreschi”, chiedeva a Talli informazioni geologiche circa dei laghetti sulfurei che si erano creati nella valle del Moro, tra Castel Frentano e Lanciano, a seguito di piccole frane, e simpaticamente favoleggiava sulla tossicità di tali pesci insieme a Talli, ché essendo stati mangiati da un contadino, questi era morto misteriosamente subito dopo.
Oltre ai vari interessi per la natura, l’alchimia e la medicina, vediamo come Crognale fu e soprattutto è noto come pittore. Pittore ovviamente della provincia, da rapportarsi a quel gruppo di artisti locali che non riuscirono a valicare i confini del loro circondario per scarsezza di mezzi e soprattutto povertà di originalità nelle committenze. Tra alti e bassi di carriera, Crognale è da inserire in questo contesto di pittori locali quali Nicola Ranieri di Guardiagrele e i suoi allievi De Benedictis e Palmerio, di Francesco Renzetti di Lanciano, di Eliseo De Luca da Lanciano, Nicola de Arcangelis, e Vincenzo Ronzi da Penne, tutti attivi tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento. E sembra quasi, da vox populi, che Crognale dipingesse a volte proprio coi piedi per il suo sentimento antiborbonico, preferendo invece la pittura dei soggetti classici, come il già citato Apollo. Si dice che bellissimi fossero le sue pitture murali massoniche presso la villa Carabba che insisteva sul viale Cappuccini di Lanciano, dove si riunivano i carbonari della città, tra cui Pasquale Liberatore e don Floraspe Renzetti, ma che per sciaguratezza, non venne censita con fotografie o disegni degli affreschi, e barbaramente demolita negli anni ’60 per costruirvi su un casermone.
Tornando al Crognale pittore, le sue maggiori opere sono a Castel Frentano e Lanciano. Nel suo paese ricevette commissioni nel 1823 e nel 1836 per la Congrega del Santissimo Rosario e per il santuario della Madonna Assunta. Come rileva nella sua Autobiografia, Crognale si schermì, ritenendosi non più idoneo per avanzata età, ma dopo varie pressioni, e forse anche per motivi alimentari, alla fine accettò l’incarico. Per la prima chiesa del Rosario, Crognale realizzò le pitture della volta centrale con scene Mariane, tre scene simboliche della vita di Maria che vanno dall’altare all’ingresso, in ordine discorse: la Natività, l’Incoronazione della Vergine a Regina dei Cieli, la Morte della Vergine. Come riporta lo stesso Crognale nei suoi scritti, qui originalità non c’è, perché si aiutò con delle stampe preconfezionate circa il soggetto da ritrarre. E così facevano questi pittori locali, e non solo, quali De Luca, Ronzi, ecc. inoltre questi dipinti nel 1901 sono stati danneggiati dal crollo del soffitto della chiesa per pioggia, e restaurati male dal pittore Innocenzo Giammaria, sicché con gli ulteriori lavori del 2017, poco si è potuto salvare dell’antico colore. Fatto sta comunque che la resa anatomica dei personaggi è appena accennata, i volti sono mono-espressivi, c’è come un senso di sciatteria e trascuratezza nel guardare queste pitture. Certi volti sono appena abbozzati con due pennellate appena eseguite!
L’altro ciclo è quello del santuario Mariano, Crognale realizzò sempre le pitture per la volta centrale, avvalendosi dell’ausilio di stampe. Non si sa se le ebbe in prestito dal pittore Ronzi, in quegli anni anche lui attivo in paese perché aveva sposato una Cavacini, il quale era dedito a dipingere la volta della cappella del Monte dei Morti (1848), o la cosa andò al contrario. Fatto sta che la volta con la scena della Santissima Trinità è quasi uguale a quella del Ronzi al Monte dei Morti, ambedue pitture brutte e stanche, ma quella di Ronzi per sciatteria, e mala organizzazione degli spazi (la rappresentazione di Dio e Gesù minuscoli rispetto al cielo per esaltarne la grandezza e l’immensità) è insuperabile. Ugualmente Crognale si ricicla utilizzando per il santuario una scena già dipinta al Rosario: la Madonna sopra una nuvola inginocchiata mentre riceve la corona di Regina dei Cieli. È evidente quanto Crognale o non avesse tanta voglia di rispettare le committenze, forse anche poco laute, delle congreghe, oppure avesse degli evidenti limiti nella sua arte! Carina la scenografia sui pennacchi della cupoletta a scodella, con le pitture più belle di Donato Teodoro, con le scene della Strage degli Innocenti. Ma anche qui, nulla di originale, Crognale forse copiò a pitture di Francesco Renzetti di Lanciano, soprattutto le scene del centurione con la corazza e la spada mentre tiene la gamba di un infante, il quale forse ugualmente copiò a qualche stampa che circolava per i mercati o le chiese!
Veniamo ora alla chiesa madre di Santo Stefano, imbevuta di opere di Ronzi e Crognale. Diremmo che l’architettura stessa di scuola napoletana basterebbe a rendere carina la chiesa, senza la necessità di pitture aggiuntive per gli altari laterali…ma Crognale e Ronzi qui si sforzarono di fare del loro meglio…come poterono. Vediamo una copia abbastanza accettabile del famoso San Michele di Guido Reni che schiaccia il Demonio (Nicola Ranieri copiò sempre il quadro di Reni per l’altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio a Lanciano, e Crognale eseguì una copia che oseremmo dire “oscena” per il primo altare di destra del Duomo di Atessa), a seguire una Educazione di Maria Bambina con Sant’Anna. Crognale precisa nel suo scritto che doveva eseguire un quadro di San Nicola, cambiato poi repentinamente per volere della famiglia committente; infatti vediamo sulla sinistra un San Giuseppe dai tratti incerti, e soprattutto con le proporzioni errate e minori rispetto al testone di Sant’Anna mentre inginocchiata ha un libro in mano, e con l’altra regge la piccola Maria…una pittura oscura, riuscita male, e direi quasi lugubre, indegna di un omaggio alla Madonna!

 

G. Crognale, Assunzione di Maria, volta del santuario della Madonna Assunta, Castel Frentano


Andando avanti negli altri altari, notiamo pitture dell’Incredulità di San Tommaso, sempre ispirata a auna stampa napoletana, e poi due tele di Vincenzo Ronzi, una Immacolata Concezione al primo altari di sinistra, con lo stemma dei Crognale in basso, e infine nell’altare privilegiato di sinistra del transetto, una Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Rosa da Lima. Due opere quasi identiche per le espressioni dei personaggi, la Madonna ritratta nelle stesse identiche posizioni, il volto uguale; differenza tra Ronzi e Crognale fu che il secondo cercava di elaborare, anche se minimamente, il disegno dalle stampe originali, il primo invece fotograficamente copiava con tratteggi più precisi, quasi facesse delle stampe su tela con il pennello, e copiava ripetutamente anche da sé stesso; visto che le due Madonna della chiesa di Santo Stefano sono ulteriori copie di quadri realizzati nella sua area del Pennese, di cui una Madonna col Bambino per la chiesa madre di Spoltore.


V. Ronzi, Madonna del Rosario tra Santi, Chiesa di Santo Stefano, Castel Frentano

                           

Giuliano Crognale fu incaricato anche dalle varie famiglie ricche castelline di dipingere le loro case, e ne abbiamo esempio da pitture conservate, ma richiedenti un urgente restauro, del palazzo Cavacini di via Garibaldi, che ingloba l’isolato di piazza Marconi e via san Camillo de Lellis. Scene convenzionali, una Madonna col Bambino tra Angeli sulla volta della stanza maggiore, e una Madonna col Bambino per la cappella privata. Tra le ultime pitture, dove notiamo un raro esempio di dipinto “massonico” in ambito chiesastico in Abruzzo (nella provincia ci viene in mente il bassorilievo del Duca Michele Bassi D’Alanno nella cappella privilegiata della chiesa di san Giovanni dei Cappuccini in Chieti). Trattasi di un dipinto a secco sulla parete della controfacciata della cappella del Monte dei Morti. Forse i confratelli vollero arricchirla con qualcosa di più originale rispetto alle croste di Ronzi, e dunque ammiriamo una tomba a piramide spezzata, con rappresentata, appena percettibile, la Pietà, e al fianco due angeli tristi, ma abbastanza “legnosi” e ingessati nell’aspetto, di cui uno regge una fiaccola capovolto, simbolo del fine-vita; e infine alla base della piramide un teschio, quello di Adamo, simbolo della Confraternita.
Tra le opere lancianesi, si segnala una copia sputata dell’Ultima Cena di Leonardo nel refettorio dell’antico convento dei Cappuccini, ora di proprietà dell’Hospice “Alba Chiara”, e in cattivo stato di conservazione.


Ultima Cena, refettorio ex convento dei Cappuccini, Lanciano


Crognale in sostanza non fu un pittore eccelso, e certamente anche lui se ne rendeva conto, forse nell’ambito del piccolo paese era rispettato certamente, e forse lui ambiva a committenze più interessanti, magari qualcosa del nuovo Regno che doveva venire, e che riuscì a percepire dalla sua Castel Frentano nel 1860. suo figlio Luigi Crognale fu sindaco di Castel Frentano e fine studioso di cose antiche, compilò col padre un Catalogo di uomini illustri inedito, presso lo studioso Matteo Del Nobile, e redasse un primo Dizionario della parlata castellina, uno tra i ‘rimi in Abruzzo, pubblicato per la Rivista Abruzzese a cura di M. Scioli e Nicola Fiorentino.

2 maggio 2022

Notizie storiche dell’Asilo infantile "Antonio e Rosina Caporali" di Castel Frentano.

Via della Rosa, ingresso all’asilo

Notizie storiche dell’Asilo infantile "Antonio e Rosina Caporali" di Castel Frentano.
di Angelo Iocco


Castel Frentano può vantare la presenza di uno degli asili più antichi d’Abruzzo, tutt’ora in attività. Si trova in un palazzotto contraffortato in via della Rosa, in pieno centro storico, suggestiva viuzza di aspetto ancora medievaleggiante, con case-mura.
L’asilo fu voluto per desiderio di importanti membri della cittadina, come il Sen. e Prof. Raffaele Caporali (1868-1957) e il Marchese Vincenzo Paolucci Crognali di Castelnuovo.

Numero speciale de “Il Fuoco”, Lanciano, 1922, per il 1° anniversario della morte di Vincenzo Paolucci Crognali dei Marchesi di Castelnuovo, ossia Castel Frentano.

13 gennaio 2022

Eduardo Di Loreto e Pierino Liberati, storia minima dei mattatori della canzone popolare abruzzese a Castel Frentano.

Eduardo Di Loreto e Pierino Liberati, storia minima dei mattatori della canzone popolare abruzzese a Castel Frentano.
di Angelo Iocco

In ogni paese d’Abruzzo nel Novecento è nata una stella, a Castel Frentano per la precisione due, che splendono ancora oggi, sebbene nel panorama culturale abruzzese siano ancora leggermente annebbiate e non abbastanza conosciute. Si tratta di Eduardo Di Loreto (1897-1958) e Pierino Liberati (1894-1963). Nelle coppie poeti-musicisti di spicco in Abruzzo quali Luigi Dommarco-Guido Albanese, Espedito Ferrara-Aniello Polsi, la triplice alleanza di Antonio Di Jorio-Evandro Marcolongo-Cesare De Titta-Luigi Illuminati, e Giulio Sigismondi-Arturo Colizzi, Giuseppe Gargarella-Arturo De Cecco, va aggiungendosi anche quella Di Loreto-Liberati di Castel Frentano!
Qualcuno con troppa superficialità, visto che mancano ancora studi approfonditi su questa coppia e su altri loro sodalizi sporadici durante la loro carriera, ha sbrigativamente giudicato Pierino Liberati come strimpellatore paesano, relegando ugualmente Di Loreto a ruolo di medico con la passione per versetti. Nulla di più falso. La passione di Pierino per la musica e per la chitarra nasce già da quando giovanetto partecipava ai concerti della banda di Castel Frentano, prese poi lezioni da un maestro locale, e infine studiò alla Scuola musicale di Pescara, divenuta poi nel 1927 Conservatorio “Luisa d’Annunzio”, fondato dall’intellighentia locale quali D’Annunzio stesso, Michetti, Cascella, Pepe, Polacchi; gli studi furono interrotti dallo scoppio della Grande Guerra, per cui Pierino Liberati dovette partire per il fronte, allietando le truppe con spettacoli e improvvisazioni musicali, tornando con congedo illimitato nel suo paese, e diplomandosi ufficialmente al Conservatorio di Pescara nel 1919.

                                                        
                                                    A cor’a ccore

L’anno seguente per l’Abruzzo inizia la stagione felice delle Piedigrotte poi Maggiolate a Ortona e Lanciano; Pierino Liberati non si lascia scappare l’occasione, perché proprio in questi mesi conosce il medico Eduardo Di Loreto, anche lui castellino, con cui stringerà un sodalizio lungo tutta la vita, fino alla morte del Di Loreto nel 1958. La prima canzone composta è Castannove, il cui motivetto “Castannove è nu ciardine / fiure, sole e aria fine!” è ancora oggi fischiettato in paese; a seguire per la 1° Maggiolata di Ortona esce A cor’a ccore, brano ancora oggi di repertorio nei cori abruzzesi e per il coro castellino, proprio perché la stessa canzone è una fantasticheria ispirata proprio a Castel Frentano, dove l’innamorato vorrebbe fuggire dal paesotto con la sua bella per vivere felice; nel 1923 per la Settimana Abruzzese di Pescara-Castellammare, un’altra gara canora stavolta tenutasi nel capoluogo adriatico per omaggio a Michetti e D’Annunzio, tra i cori partecipanti c’è anche quello di Castel Frentano con la canzone dell’indivisibile duo: Tupp’e tuppe, forse il capolavoro di questo formidabile duo, dove ogni parola e nota sono al loro posto, sembra che le note prendano per mano le note in una danza paesana dove il tema riguarda sempre l’amore disincantato e il desiderio frizzante di scappare con la bella amata dal paesetto.

 
                                                    Tupp’e tuppe

Non a caso la canzone piacque molto a D’Annunzio e Michetti che erano giudici e ospiti della gara di Pescara, e Liberati ottenne un attestato di merito per il primo premio ricevuto, conservato ancora nell’archivio privato degli eredi Aroldo (Nino) e Maria Di Nardo Liberati, i due figli di Pierino. La coppia prolifica produsse decine e decine di altre canzoni per le feste di Castel Frentano, come la Settembrata Castellina del 1922, basta ricordare Stu paesette me’ – Canzone a dispette (un duetto con coro), dove l’innamorato fa una corte spietata alla sua bella, quasi arrendendosi alla fine, ma trovando di colpo lo stratagemma per conquistarla e sposarla, con il coro di sottofondo che canta e balla per la festa. Nell’ambito della canzone dialettale abruzzese, spesso troppo facilmente si cade nello stereotipo del tema, quello frivolo e amoroso, il desiderio della bella sposa, o l’amore disilluso e platealizzato nella maniera delle canzoni napoletane; ma non è così. Anche Di Loreto e Liberati variarono genere, composero canzoni d’occasione, come inni alla Madonna Immacolata di Castel Frentano, oppure una canzone che inneggia alla libertà e all’amore vero, quello de E’ finite la guerre!, composto su versi del Di Loreto proprio a temine della seconda guerra mondiale.
Castel Frentano infatti fu occupata nel 1943 dai tedeschi, essendo postazione di vedetta dall’ameno colle sulla Valle del Sangro e su Lanciano, gli anni furono molto difficili, e Pierino Liberati sembrò rivivere i periodi bui del fronte della Grande Guerra, dove ancora una volta dovette dilettare gli occupanti con le sue musiche, questa volta facendo cantare anche la sua diletta figlia Maria Di Nardo ai tedeschi, che estasiati e catapultati per qualche oretta in un’altra dimensione più bucolica e idilliaca, ricompensavano la famiglia Liberati con qualche dolciume.
Tornando un attimino indietro, trattando della poliedricità del Di Loreto e Liberati, i due insieme composero anche operette teatrali, altro genere ancora troppo poco apprezzato e non giustamente ricordato dagli abruzzesi. Dopo La festa di Sante Rocche e la Mascherata carnevalesca per Castel Frentano, in pochi quadri, dove i due amici si dilettarono nella rappresentazione dei tipi del paese, nel 1936 fecero il salto di qualità con l’opera in tre atti Lune e spose…tutte na cose! Con una vicenda più complessa e articolata, sempre in dialetto, alternando parti recitate a brani corali e cantati. Indimenticabile La romanza della mamma riproposta nelle corali, e cantata ancora oggi dalla diletta figlia Maria Di Nardo, a memoria, accompagnata dalla chitarra del nipote Piero Di Nardo, insieme a quasi tuti il repertorio dell’amato padre Pierino.


(audio - opera in 3 atti)

Lune e spose fu rappresentato al teatro Fenaroli di Lanciano, e per 16 sere girò per mezza provincia di Chieti, arrivando sia al capoluogo che a Ortona e Vasto con grande successo di pubblico. Trattando ancora della poliedricità di questi due autori, ambedue ebbero periodi di collaborazioni alterne, ad esempio il Di Loreto partecipò alla Festa del Mare di San Vito nel 1923 e 1926, e anche a delle Maggiolate, con alcune canzoni musicate da Vito Olivieri, come Vola canzone – Lu ritratte – Vu sapè, e composero insieme anche l’operetta Punte di stelle, di cui oggi è ancora cantata la romanza l’Avemmarije. Di contro Pierino Liberati collaborò, soprattutto dopo la guerra, con l’ortonese Custode Miccoli, per le locali sagre dell’uva, tra le più famose la canzone Stanotte è notte d’incante. Il figlio Nino Di Nardo ricorda ancora come questi poeti, ma anche paesani locali, come carabinieri e avvocati, venissero a casa di Pierino in corso Umberto, con dei foglietti di versi abbozzati, lui si sedeva al pianoforte o alla chitarra, provava alcune note, correggeva il testo (anche con Di Loreto!) e la canzone era nata dopo un ritornello! A nostro giudizio modesto, Eduardo, senza Pierino, non poteva raggiungere il grande successo che aveva ottenuto con l’amico nelle Maggiolate abruzzesi di Ortona. Non vogliamo tacere, per qualche paventata negligenza, del fatto che Pierino e Eduardo parteciparono insieme ad altri grandi quali il Dommarco, l’Albanese, il Fagiani, il Di Jorio, alle manifestazioni canore organizzate dall’OND di Chieti e delle varie sezioni di Lanciano e Ortona; parliamo della Sagra delle Canzoni Fasciste Abruzzesi di Poggiofiorito del 1939, dove il mattatore di casa era il fisarmonicista Tommaso Coccione, dove Pierino ed Eduardo composero alcune canzoni; ma anche per Castel Frentano i due composero una Serenatella fascista; i tempi di queste canzoni sono solitamente ben convenzionali e anche meccanici, l’esaltazione delle imprese italiane, l’omaggio al Duce, il gagliardetto, l’onore della Patria, l’elogio del focolare familiare, il disprezzo dello straniero ecc.


Quando invece il medico Raffaele Caporali di Castel Frentano fu eletto Senatore della Repubblica, i due composero un’altra canzone stavolta di tema completamente diverso, che gli anziani castellini ancora cantavano col ritornello “viva viva Capurale! / Viva viva lu Prufessore!”. Si badi a non cadere facilmente nell’accusa di fascismo ai due grandi amici, poiché tale attività dell’Opera Nazionale Dopolavoro era praticata da musicisti e poeti in tutta Italia, era una costumanza di quei tempi, si era completamente ignari dell’enorme tragedia che di lì a pochi anni sarebbe scaturita con la seconda guerra mondiale!
Dopo la guerra per il teatro nuovo di Castel Frentano, esce la rivista Il bel Monumento, per raccogliere fondi per il restauro del Monumento ai caduti nella villa; a seguire la rivista Città bella, dedicata a Roma, mai andata in onda per mancanza di fondi, e rivisitata con la nuova rivista Girandole d’oggi, sempre scritta da Di Loreto e Liberati. Tuttavia i gusti del pubblico non sono più gli stessi, qualcosa è cambiato, i periodi d’oro degli anni ’20 e ’30 sono lontani, Pierino ed Eduardo sono invecchiati, le canzonette abruzzesi non vanno più di moda, almeno a Castel Frentano e Lanciano, e l’attenzione si sposta verso i lirici Vittorio Clemente, Ottaviano Giannangeli, nelle Settembrate di Pescara. C’è una carenza di autori, tanto che a Ortona metà del repertorio è quello dei grandi classici dei assenti De Titta, Marcolongo, Illuminati, musicati da Di Jorio. Il lavoro scarseggia, per cui Pierino, dopo trent’anni passati a dirigere le bande di Castel Frentano, Sant’Apollinare di San Vito, anche Atri, deve piangere la morte di Eduardo nel 1958, diventato negli ultimi anni sempre più cupo e fobico, votato a una ricerca di studi filologici e critico letterari, timoroso soprattutto dei temporali.
Pierino deve emigrare dalla sua cara Castel Frentano e andare in Svizzera dopo il matrimonio della figlia Maria, si trasferisce nella comunità di Sciaffussa; qui compone un bellissimo Padre Nostro. Sarà tra le ultime composizioni, visto che la notte del 2 maggio 1963 morirà d’infarto nel sonno, non riuscendo a vedere le nozze del figlio Nino con Iolanda; dopo che per l’ultima volta la sera del 1 maggio suonò con tutta l’anima alcuni brani di repertorio e canzoni napoletane alla chitarra, venendo registrato dal figlio Nino con un nastro geloso, ancora oggi ascoltabile su internet grazie al lavoro dello scrivente.
Mi preme ringraziare Maria, Nino e Piero Di Nardo per la loro disponibilità, anche nella consultazione dell’archivio privato e delle composizioni inedite di Pierino Liberati. Molti spartiti sono originali, delle canzoni abruzzesi, e delle operette teatrali, altri sono completamente inediti, come la ballata di Sant’Antonio abate per banda, o la Notte di Venerdì Santo nota anche come I crisantemi, sempre per banda, eseguita una sola volta a Castel Frentano, e ora in attesa presso l’archivio, che possa tornare a rappresentare la tradizione canora dei castellini.
Oggi i due amici rivivono ancora nelle tradizioni canore dell’Agosto Castellino e del Premio di poesia “Eduardo Di Loreto”, istituito nel lontano 1979 per volere di alcuni intellettuali locali, di cui sono stati presidenti il poeta e giornalista Peppe Rosato ed Emiliano Giancristofaro di Lanciano; una gara canora aperta a tutti i poeti abruzzesi, soprattutto del circondario, che ha visto protagonisti Camillo Di Benedetto, Marcello Marciani, Luciano Flamminio e Camillo Coccione. Affinché, anche se in un microcosmo, quella sua cultura identitaria, non venga spazzata da nuove effimere mode e interessi!