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21 febbraio 2024

Un musicista abruzzese sconosciuto: Lino Crognale di Lanciano.

Un musicista abruzzese sconosciuto: Lino Crognale 
di Angelo Iocco

Per la pubblicazione di alcune foto dei libretti delle canzoni, ringraziamo Maria Di Clemente di San Vito per la sua enorme cortesia.

Pasquale “Lino” Crognale di Lanciano non fu da meno, e volle scrivere anche lui un Sant’Antonio, che da gruppi spontanei veniva eseguito fino ai primi anni 2000 a Lanciano, e si spera che presto venga rimesso in scena!

Nacque e visse a Lanciano (1917-1992). Uomo molto riservato, lavorò presso il Comune di Lanciano fino al pensionamento. Negli anni ’30 iniziò a comporre musica, avendo studiato il contrappunto. Non figura nelle Maggiolate di Ortona.
Conobbe altri musicisti e poeti lancianesi quali Cesare Fagiani, Giuseppe Rosato, Italo Bomba, Italino Giancristofaro e G. Polzinetti. Polzinetti, principalmente conosciuto per la musica d’opera nei teatri, e per la sua attività da direttore di banda alle’stero, avendo partecipato attivamente alle rassegne del teatro Fenaroli di Lanciano, e per oratori sacri, ne scrisse vari con Mons. Raffaele D’Anniballe di Lanciano, scrisse anche per delle “maggiolate” minori che si tenevano nei paesi dei dintorni di Ortona. Polzinetti partecipa alla Festa delle Canzoni Abruzzesi di Caldari del 1945, con la canzone aprente “L’amore cante” su versi di Domenico Petropiccolo; anche la seconda canzone “Ninna nanna” è degli stessi autori, una canzone che ripete i modelli tipici del canto popolare abruzzese del filone delle ninne nanne, la mamma che raccomanda il piccolino alla Madonna, proteggendolo dalle insidie, mentre lei culla la scianna, un canto insomma di “detittiana” memoria, che rievoca la Ninna nanna su versi del De Titta e musica dello Zimarino.
Crognale appare per la prima volta con la canzone “Mencucce”, su versi di Cesare Fagiani, presentata alla 3° Rassegna della Canzone Folkloristica Abruzzese di Caldari del 1939. A seguire: “Lu fatijatore” su versi di Alberto Dragani per la 4° Rassegna del 1946.
Alla Festa delle canzoni abruzzesi per il giorno di Sant’Antonio di Padova in Villa Stanazzo di Lanciano, il 13 giugno 1948, su organizzazione del M° Mario D’Angelo, Lino Crognale presenta la canzone “Sta vocc’arrise” su versi di Petropiccolo.
Per la rassegna di canzoni “Accuscì cantème nu” di Sant’Apollinare chietino del 1948, Crognale riscrive la musica de “La biciclette” tratta dal Canzoniere abruzzese (1919) di Cesare de Titta, già presentata alla II Maggiolata ortonese del 1921 con la musica di Settimio Zimarino. Segnale chiaro, guardando anche la somiglianza delle locandine di presentazione dell’evento e dei libretti, che i temi in questi concorsi minori, sono spesso ripetitivi, e per riempire dei buchi, ci si affida ai grandi successi del passato. Ma un fattore, ad esempio la canzone dello Zimarino e di De Titta ripresa con nuova musica, che probabilmente a quei tempi gli spartiti già erano diventati di difficile reperimento. Nella II edizione di questa rassegna di Sant’Apollinare, sotto la direzione del M° Nicola Benvenuto, Crognale presenta la canzone “Ma sinte a mme!” su versi dell’amico Fagiani.

13 febbraio 2024

Taluni scritti di architettura pratica dettati da Nicola Maria Pietrocola, 1869.

Lucia Serafini, Note di architettura vastese: tra rappresentazione e conservazione.

Lucia Serafini, Invenzione di una cattedrale: la fabbrica ottocentesca di S. Giuseppe a Vasto e i suoi autori.

Lucia Serafini, Invenzione di una cattedrale: la fabbrica ottocentesca di S. Giuseppe a Vasto e i suoi autori. 

Da: unich.it

Lucia Serafini, Nicola Maria Pietrocola. Architetto e teorico nel Mezzogiorno preunitario.

L’architetto di cui si parla in questo libro è Nicola Maria Pietrocola, vissuto tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, e con un’attività progettuale di lungo corso, sigillata negli ultimi anni della sua vita da un piccolo trattato sull’arte di costruire, pubblicato postumo a Napoli nel 1869 e rimasto unico nel suo genere, perlomeno in ambito locale. Nativo di Vasto, centro rivierasco dell’Abruzzo Citeriore, ma con una formazione di largo respiro, Pietrocola è il traghettatore in architettura del processo di modernizzazione avviato a nord del Regno di Napoli a partire dalla fine del Settecento, al passo con le istanze illuministiche e la necessità di rispondere alle esigenze della classe borghese. L’occasione del 150° anniversario della morte di Pietrocola, che ricorre nel 2015, è peraltro immancabile per supportare il testo con la riedizione del suo trattato e la contestualizzazione della sua figura e del suo ruolo in un ambito che supera, con i confini regionali, anche quelli del Regno. Portare all’attenzione la figura di un architetto come Nicola Maria Pietrocola, e ripubblicare oggi il suo trattato, sono necessità legate non solo alla circostanza di un deciso avanzamento, finalmente anche in ambito regionale, degli studi sul cantiere tradizionale, ma anche alla sopraggiunta consapevolezza del valore di patrimonio storico che le sue opere hanno nel tempo guadagnato, anche e soprattutto quando si sono stratificate su opere più antiche aggiungendo loro parti che le hanno rifuse e trasformate ma mai annullate nella loro identità. È questa eredità che oggi preme salvaguardare, tanto negli obiettivi perseguiti quanto nei mezzi utilizzati, alla resa dei conti tutt’altro che sorpassati e obsoleti. E tali dunque da offrire spunti e argomenti per una gestione del territorio più consapevole.

LUCIA SERAFINI è professore Associato di Restauro architettonico nel Dipartimento di Architettura dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, dove tiene corsi di Laboratorio di restauro e di Teoria e storia del restauro. Ha pubblicato numerosi saggi sulla costruzione storica in Abruzzo, con particolare riguardo per i caratteri tecnici e materiali dell’edilizia tradizionale. Della vicenda abruzzese ha anche analizzato la ricostruzione di città e monumenti successiva alla seconda guerra mondiale, e svolto ricerche sullo stato del patrimonio dopo il terremoto dell’Aquila del 2009. Si occupa anche di studi sul tema dell’incontro fra antico e nuovo nel restauro, sia a scala architettonica che urbanistica.

Da: Gangemi.com

Lucia Serafini, Alla periferia del Neoclassicismo. Nicola Maria Pietrocola architetto vastese (1794 - 1865).

 

Lucia Serafini, Alla periferia del Neoclassicismo. Nicola Maria Pietrocola architetto vastese (1794 - 1865). 

Da: unich.it.

8 febbraio 2024

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena.

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena

di Angelo Iocco

Nella chiesa parrocchiale Madonna dei Raccomandati di Gessopalena, presso l’altare della Deposizione, si trovano due opere di uno sconosciuto pittore manierista, forse seguace di Pompeo Cesura, forse aquilano, che realizzò la Pala d’altare, incassata nella cornice di legno, che ospita altri suoi piccoli dipinti, insieme a un’altra tela che raffigura la Pentecoste. Resta ignoto il suo nome, ne parla Luigi Cicchitti nel suo libro Abruzzo delle meraviglie – Gessopalena e il Trittico della Misericordia, Ianieri, Pescara 2017, soffermandosi brevemente sull’iscrizione posta in basso a sinistra, che indica “Dio-aiutarà 1587”, ossia “Dio (ti) aiuterà”, una di quelle massime memento che costellano la pittura sacra. Ma chi fu questo pittore?








Difficile dirlo, in mancanza di documentazione. La sua Deposizione è simile, per certi canoni, a una Pietà conservata all’Aquila; al centro, leggermente a sinistra, il Cristo morto, a cui un’ancella sorregge l’avambraccio sinistro per ungerlo, forse la Maddalena, dietro il Cristo, San Giovanni, un’altra delle Marie, e la Madonna addolorata col velo, che incrocia le mani, in una posizione tipicamente tardo-gotica della pittura aquilana, che ha chiare reminiscenze del Maestro di Beffi e di Saturnino Gatti, basti ricordare il ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di San Silvestro all’Aquila; al centro della macchina scenica ben composta, in alto, la Croce, con due scale; la più grande sulla destra rompe la scena, e induce l’osservatore a guardare una delle guardie, che sta scendendo con in mano la corona di spine, un altro riferimento alla pittura fiorentina di tradizione manierista, impossibile non ricordarsi di Rosso Fiorentino e della sua Deposizione di Volterra. Il motivo scenico della scala sulla Croce, è presente anche nel dipinto cesuriano, ed è retta in questo quadro di Gessopalena, da un soldato romano dall’aspetto grottesco.


Giulio Cesare Bedeschini, Madonna incoronata Regina degli Angeli tra Santi, Chiesa dei Raccomandati, Gessopalena.

Questo pittore sconosciuto doveva far parte insieme a Giovanpaolo Cardone, a Giovanpaolo Donati e altri della cerchia manierista aquilana, che presto lascerà il posto a Giulio Cesare Bedeschini, anche lui di formazione romana e fiorentina. E il Bedeschini lavorò per Gessopalena, per conto della Confraternita della Madonna dei Raccomandati, consegnando una tela corale, con al centro la Madonna incoronata Regina dei Cieli dagli angeli, con ai lati in piedi San Carlo Borromeo e San Francesco d’Assisi, e in basso inginocchiati Sant’Antonio di Padova e Santa Rita da Cascia. Opera solenne, tra le più belle del Bedeschini, in uno scenario dorato che lascia immaginare l’Eterna Luce del Paradiso, ispirata probabilmente a un’altra tela del Bedeschini, per quanto riguarda il volto di San Carlo, presente nella Basilica della Madonna del Colle di Pescocostanzo.





Nel libro di Cicchitti, si segnalano altre opere, la citata Pentecoste, i due Santi Pietro e Paolo principi della Chiesa, collocati presso il catino absidale d’altare maggiore, dove si trova la Pala del Trittico della Madonna della Misericordia, della scuola di Pietro Alamanno, e ampiamente studiato dal Cicchitti. I due Santi hanno i loro attributi di riconoscimento, San Pietro, stempiato, anziano, con le chiavi del Paradiso e il Vangelo, San Paolo pelato, con la barba lunga e la spada della difesa della Chiesa…e del martirio!

Franco G. Maria Battistella, citato dal Cicchitti nella sua opera, si è occupato di questo pittore, citando altre opere da lui realizzate, come la tela della Deposizione nella chiesa di San Francesco a Loreto Aprutino. Nella chiesa di Gessopalena soffermiamoci ancora sulla tela della Pentecoste: la Madonna è al centro, attorniata dagli Apostoli, si riconoscono San Giacomo, San Pietro, San Filippo, le lingue di fuoco si sprigionano dal cielo, indorato, una lezione ancora aquilana che rimanda a Saturnino Gatti per la Pala del Rosario; i volti degli Apostoli sono leggermente allungati, come era solito fare il Cesura per le sue Madonne o Sacre Conversazioni, michelangioleschi e robusti i tratti degli zigomi, delle espressioni facciali, delle nodose dita, delle braccia tese e nerborute degli uomini, dolci i tratti femminili della Madonna.

Questo pittore pare che fu attivo anche a Ortona nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, dipingendo due opere conservate nel Museo diocesano, San Pietro Celestino (la chiesa era di fondazione Celestina), e San Benedetto abate. Le figure sono solenni, nelle vesti vescovili, San Pietro Celestino ha la mitra e il pastorale, l’espressione altera, San Benedetto con l’ispida barba si rifà ad altri modelli utilizzati da questo Anonimo “Dioaiutarà” per i volti dei Santi Pietro e Paolo a Gessopalena. Non si conoscono altre opere di questo pittore, resta comunque una bellissima traccia di manierismo aquilano al di qua dell’Abruzzo chietino.




26 gennaio 2024

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa.

Ludovico Teodoro, San Leucio nelle vesti di vescovo, con ai piedi il Dragone, Duomo di Atessa

Ludovico Teodoro, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti, le sue opere nel Duomo di San Leucio e altri Artisti abruzzesi di interesse nelle Chiese di Atessa

Prima Puntata

di Angelo Iocco

Poco si conosce di questo artista, figlio del celebre Donato Teodoro di Chieti[1], uno dei migliori che fu attivo nell’Abruzzo chietino e nel Molise, ma anche nell’area di San Benedetto del Tronto e del teramano (dipinse il soffitto della Collegiata di Campli), dagli anni ’30 agli anni ’50 del ‘700. Per vent’anni dominò la scena con altri colleghi spesso napoletani, come Ludovico De Majo, Francesco Solimena, Giovan Battista Spinelli. Fu sepolto a Chieti nella chiesa di San Domenico, andata demolita nel 1914 per costruire il palazzo della Provincia di Chieti. La lezione del Teodoro pare essere stata recepita anche in Atessa, benché non siano attestate sue opere nelle chiese. Un esempio è l’affresco della volta della sala grande del palazzo De Marco-Giannico, ex casa di riposo, in Largo Castello, la cui scena illustra al primo piano Ercole che combatte l’Idra di Lerna, e al centro il Giudizio di Paride con Giunone, Minerva e Venere con l’Amorino, e attorno nelle nuvole dell’Olimpo, figure femminili e Grazie. La scena, ripresa anche dalle stampe che circolavano in quei tempi, ricorda per la divisione in due scomparti,. Le due tele del Teodoro di Chieti (chiesa di Santa Maria della  Civitella) e Guardiagrele (chiesa di Santa Chiara) con il tema della Cacciata del Demonio e degli Angeli ribelli dal Paradiso.

Dal volume A. e D. Jovacchini, Per una storia di Atessa, Cassa di Risparmio, Atessa, 1993

Ludovico figlio di Donato, attivo nella seconda metà del Settecento, fu ugualmente pittore, e non dimenticò l’insegnamento paterno, apprezzava le grandi scene corali, spesso rintracciabili nei dipinti di Luca Giordano a Napoli, dove andò a formarsi, come fece suo padre; e non mancava sicuramente di avere una personale collezione di stampe, da cui traeva ispirazione per i suoi affreschi di ampio respiro. Al momento, pienamente attribuibile a Ludovico, sono la tela di San Leucio vescovo col dragone, presente nell’altare maggiore del Duomo di Atessa, firmato e datato 1779. Benché non firmate, mi sento di attribuirli anche le due tele laterali del coro dei Canonici, che ritraggono la Natività con la Sacra Famiglia, e l’Adorazione dei Pastori. Opere  un di gusto teodoriano per la ben costruita scenografia, anche se con le immancabili grossolane superfetazioni del Bravo, e i fondi oscuri tipici dell’ultimo Donato, di chiara derivazione tardo caravaggesca[2].

Anonimo, Annunciazione, chiesa della Santissima Annunziata, Civitaluparella, 1790.

il ciclo di pitture sulla volta centrale della stessa chiesa collegiata di Atessa, con scene bibliche del Vecchio Testamento. Purtroppo a causa di danneggiamenti, le pitture sono state rifatte in più punti di scadenti restauratori, rovinando completamente l’opera ad esempio nella prima scena:“Battaglia e Giuditta con la testa di Oloferne”, dove si vedono i pesanti ritocchi del Bravo. I tondi laterali la controfacciata con i Santi Principi Pietro e Paolo, pure sono di Ludovico Teodoro.

Il secondo riquadro: “David accoglie Saul vincitore contro Golia” è molto simile al quadro dipinto dal padre Donato che mostra la scena di “Davide con la testa di Golia davanti a Saul”, oggi conservata nel palazzo Martinetti-Bianchi di Chieti, oppure allo stesso soggetto per la volta della chiesa madre di Colledimezzo. La composizione del soggetto ha la stessa matrice, ma il risultato di Ludovico è più scadente. In parte è dovuto ai restauri di Ennio Bravo, che ha cambiato alcuni volti, in parte alla stanca ripetizione dei modelli, come il barbuto Saul sul trono che è impaurito dalla scena macabra, e il giovane David, che con la sua smorfia di sofferenza esprime quel mansuetismo, quasi senso di colpa per i propri trionfi, che accomuna diverse opere di Donato che abbiano questa peculiarità del Trionfo del Bene sul Male, quasi uno strizzare l’occhio al Davide con la testa di Golia del Caravaggio. Ma appunto, ciò non riguarda tutte le opere del Donato, basta riferirsi ai volti trionfanti di Giuditta con la testa di Oloferne nella chiesa di Sant’Agata di Chieti, o ad altri soggetti simili, come lo stesso tema nella cupoletta del santuario dell’Assunta di Castelfrentano, et similia.

Donato Teodoro, Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, Museo d’arte “C. Barbella”, Chieti, foto M. Vaccaro per gentile concessione

La scena “Saul placato dall’arpa di David e l’Arca dell’Alleanza” si divide in tre momenti, sulla sinistra il coro di cantatrici con strumenti musicali, al centro Saul che suona l’arpa, a destra i sacerdoti e l’Arca.

Navata del Duomo di Atessa


Osserviamo le fotografie delle pitture della volta del Duomo.

1° dipinto: L. Teodoro, Giuditta e Oloferne, particolare

2° dipinto, Saul e David con la testa di Golia, particolare di David

3° dipinto: David suona l’arpa con l’Arca dell’Alleanza, veduta d’insieme e particolare


4° dipinto: Salomone e la Regina di Saba.

L’ultima scena “La Regina di Saba” ha moltissime somiglianze con il dipinto di Giacinto Diano che realizzerà nel 1788 ca. nella Basilica cattedrale di Lanciano, la matrice della stampa da cui i due pittori hanno attinto è la stessa. Anche qui notiamo l’esasperazione dei volti, l’abbruttimento dei tratto somatici dei sacerdoti e delle cariche ebraiche, nonché i lunghi nasi, gli occhi strabuzzati, i pizzetti appuntiti, i turbanti delle figure di religione islamica contro cui si scontrano gli ebrei. Le pennellate sono molto chiare, seppur Ludovico non riesca a eguagliare la grandezza paterna. Osservando queste pitture, ci viene in mente il primo Donato Teodoro, non ancora trentenne, che fu attivo nel cantiere del santuario dell’Assunta di Castel Frentano, con la controfacciata della “Cacciata dei mercanti dal Tempio”; le pennellate simili, i colori leggermente sbiaditi, l’affresco orale di personaggi che si intrecciano in un turbinio di azioni, di giravolte, di scene concitate che inducono al movimento, a riguardare più volte la scena per adocchiarne i particolari.

Ludovico nel Duomo dipinse anche i tondi laterali con le figure degli Apostoli, e delle tele applicate ai pilastri della navata maggiore del Duomo, con le scene della Via Crucis.

 

Altre opere d’arte a San Leucio

Nel Duomo. Il pulpito in legno è della bottega Mascio di Atessa.

NAVATA DI SINISTRA, altare di San Michele che sconfigge Lucifero, è brutta copia di Francesco De Benedictis[3] del quadro di Guido Reni (sia De Benedictis che il suo predecessore Giuliano Crognale di Castelfrentano ne sfornarono di queste orride copie del quadro di Guido Reni per le chiese del chietino!), che però forse avrà copiato dal suo maestro Nicola Ranieri, per il san Michele presente nell’altare maggiore della chiesa di sant’Antonio di Lanciano, o da una stampa del quadro di Reni che circolava molto facilmente tra i disegnatori dei suoi tempi.

2° altare: Santa Lucia martire, quadro moderno di Ennio Bravo[4]

A seguire. Statua di san Pietro seduto, del XVI secolo, in pietra, dall’atteggiamento meditativo.

3° altare di San Giuseppe in cammino col Bambino, dell’800, autore locale, della scuola di Giacomo Falcucci

4° altare di San Bartolomeo martirizzato, opera dello stesso autore del precedente San Giuseppe col Bambino

CAPOALTARE NAVATA SINISTRA A CAPPELLA:  nicchie con statue del Sacro Cuore, San Donato e Madonna Immacolata, bottega locale. Il soffitto è stato rifatto da Bravo con i soliti cassettoni e fioroni.

Nella nicchia di controfacciata della seconda navata di sinistra, c’è il busto di San Leucio in argento di scuola napoletana datato 1857, e la costola del drago.

Ritratto del Prevosto Giandomenico Maccafani, presso la Sagrestia

NAVATA DESTRA: a muro in controfacciata, tela dell’Ultima Cena, autore ignoto, ma forse Giacomo Falcucci o di un suo seguace.

Altari laterali:

1° altare di Sant’Anna con Maria Bambina, tela di F. De Benedictis, di poco interesse.

2° altare con Martirio di San Sebastiano, con ex voto, forse di Giacomo Falcucci[5], è classificato come di anonimo dell’800.

3° altare di San Martino in gloria, con i putti che reggono le spighe. Ignoto, forse questo è un altro dipinto ignoto di Ludovico Teodoro; la postura è identica alla tela di san Leucio nell’altare maggiore. Il Santo con il braccio destro benedice, con l’altro regge il Vangelo e il pastorale. Accanto due angeli che reggono fasci di spighe. Quasi sempre Martino vescovo ha in mano un grappolo d’uva e un fascio di spighe di grano, per ricordare il suo protettorato sulle messi. A san Martino si rivolgevano preghiere per un raccolto prospero di grano, uva ed altro. Questa iconografia è presente in diverse opere pittoriche e scultoree che ritraggono il Santo. I due angeli hanno i volti tipici delle figure di Donato Teodoro, che riutilizzò questi modelli per diverse altre sue pitture, specialmente quello dell’angelo di destra che è di profilo, riutilizzato nei servitori delle pitture di Castelfrentano, Lanciano, Chieti. Interessante è anche la veduta in prospettiva di Atessa, dietro il santo, dal lato di Vallaspra, sulla destra vediamo il Duomo, con parte della facciata antica, privata nel 1935 delle volute laterali baroccheggianti, un restauro che forse ha restituito un aspetto troppo “razionalista” all’antica facciata gotica, a giudicare il periodo storico in cui venne recuperata. Sulla sinistra vediamo le mura di Porta Sant’Antonio, con il chiostro dell’antico convento dei Cappuccini e poi delle Clarisse di San Giacinto, demolito negli anni ’60, di cui resta una porzione con degli archi, e la torre massiccia della chiesa di Santa Croce.

 

Ludovico Teodoro (?), San Martino in gloria, con paesaggio, Duomo di Atessa

14 gennaio 2024

Lu Sand'Andunie. Canto di questua a Vasto del 16 gennaio, vigilia della festa di S.Antonio Abate.

Gruppo di questuanti in via S.Sisto a Vasto, 1991 c.
 
Gruppo di questuanti in via Poerio a Vasto, 1991 c.


Canto de Lu Sand'Andunie (frammento)




Trascrizione musicale di Filippo Marino

Lu Sand'Andunie

 

Bona sére a tutte quènde

Bona ggènda cristijäne;

Bona sére allecramènte

Ca vi dèiche ch'è dumäne.

 

Rit.: Sand'Andunie binidatte...

Sand'Andunie binidatte

Nghi la mâzz' e lu purcatte.

Sand'Andunie binidatte

Nghi la mâzz' e lu purcatte.

 

Li parind' a Sand'Andunie

Li vuléven' accasäje;

Ma lu Sânde pènze bbéne

E a lu disèrte si ni và'.

 

Rit.: Pi n' avé' la siccatìure...

Pi' n' avé' la siccatìure

D'alluvà' li crijatìure.

Pi' n' avé' la siccatìure

D'alluvà' li crijature.

 

E cambânne da rumèite

Va' lu cèfer' a tindârle

Li disfèit' a 'na partèite ...

Ma lu sânde poche pârle.

 

Rit.: Li vichéle scole chîlme...

Li vichéle scole chîlme

E lu cèfre manne hîlme.

Li vichéle scole chîlme

E lu cèfre manne hîlme.

 

A la câssce Sand'Andunie

Ci tiné' du caracèine;

Annaschìusce lu dumônie

L'assimäv' ògne matèine.

 

Rit.: Sand'Andunie ci li tôppe...

Sand'Andunie ci li tôppe

E i fa' sunà' la grôppe.

Sand'Andunie ci li tôppe

E i fa' sunà' la grôppe.

 

Sand'Andunie aripizzäve

Nghi la sibber' e nghi l'äche;

Lu dumônie i štuccuäve

Mo lu ràife e m0 lu späche.

 

Rit.: Sand'Andunie ci li tôppe...

Sand'Andunie ci li tôppe

E j' ammàine gné nu bbojje.

Sand'Andunie ci li tôppe

E j' ammàine gné nu bbojje.

 

Pi' suspètte lu dumônie

J' arimmocche la pignéte;

'Ngifirèite Sand'Andunie

Ti l'aggrâpp' a vvij' arréte.

 

Rit.: L'appindàune a nu curnuècchie...

L'appindàune a nu curnuècchie

E ji màcceche 'na racchie.

L'appindàune a nu curnuècchie

E ji màcceche 'na racchie.

 

'Na matèine Sand'Andunie

Si magnä' du taijulèine;

Zitti zètte lu dumônie

I sbascèsce la fircèine.

 

Rit.: E lu sânde nin zi 'ngânne...

E lu sânde nin zi 'ngânne

Nghi li méne si li mâgne.

E lu sânde nin zi 'ngânne

Nghi li méne si li mâgne.

 

Ma dapù chi ci aripénze

Pi' li corne ti l'afférre;

Nghi na vîss' a vija'nnènze

Li fa ji' di cule 'ndèrre.

 

Rit.: 'Mbètte i piânde nu hunùcchie...

'Mbètte i piânde nu hunùcchie

E daféure i fa 'sci l'ucchie.

'Mbètte i piânde nu hunùcchie

E daféure i fa 'sci l'ucchie.

 

Sand'Andunie nghi la mbîsse

Jav' a ccâcce a ciammajjèiche;

Lu dumônie nghi 'na vîsse

Li fa ji' sopr' a l'ardèiche.

 

Rit.: Sand'Andunie ci si štèzze...

Sand'Andunie ci si štèzze

Gnè nu cèfere s'arrèzze.

Sand'Andunie ci si štèzze

Gnè nu cèfere s'arrèzze.

 

Arrizzéte Sand'Andunie

Nghi l'ardèiche fa nu fâsce;

E acchiappäte lu dumônie

Prèim' annènde l'arimbâsce.

 

Rit.: Po' vuddät' a ppart' arréte...

Po' vuddät' a ppart' arréte

Ji li štriusce a lu sucréte.

Po' vuddät' a ppart' arréte

Ji li štriusce a lu sucréte.

 

Lu dumônie a tanda huéje

Pi 'n' zi fa' cchiù 'rruvunje;

Dèice: Ndu' vi ch'è nu schérze

'N' di li tojje 'a la dimmérze.

 

Rit.: E lu sânde: Pure jéjje...

E lu sânde: Pure jéjje

L'àjje fâtte pi' pascéje.

E lu sânde: Pure jéjje

L'àjje fâtte pi' pascéje.

 

Sand'Andunie huâtte huâtte

Jav' a ffäje nu busagne;

Lu dumônie da 'na frâtte

I smiccéve la vrivagne.

 

Rit.: Lu ruméite si n'addàune...

Lu rumèite si n'addàune

E j' ammolle lu gruppuàune.

Lu rumèite si n'addàune

E j' ammolle lu gruppuàune.

 

'N' addra vôdde si va 'mmatte

A ffa' a lôtte nghi lu sânde;

Lu rumèite ti l'ahhuânde

Ti li matt' a cocce satte.

 

Rit.: E nghi l'âcche di cutèine...

E nghi l'âcche di cutèine

Ji li fä nu lavatèine.

E nghi l'âcche di cutèine

Ji li fä nu lavatèine.

 

Lu dumônie pi currèive

I va a 'ccèite lu purcatte;

Sand'Andunie vive vèive

Si li scorce a la bbassatte.

 

Rit.: Nghi la pèlle loche lèuche...

Nghi la pèlle loche lèuche

Ci si fä ddu bbille chièuchie.

Nghi la pèlle loche lèuche

Ci si fä ddu bbille chièuchie.

 

Lu dumônie scurtucuäte

Ni lassäv' a ji' ppritânne;

Sand'Andunie dispiräte

Pi' purcille si li scânne.

 

Rit.: Si li spèzz, si li säle...

Si li spèzz, si li säle

E ci fä bon Carniväle.

Si li spèzz, si li säle

E ci fä bon Carniväle.

 

S' àjje dètte 'štašturièlle

È pi' rèss' arihaläte;

Figatèzze, cuštatèlle

Saggicciutt' e sangunäte.

 

Rit.: Chi mi dä' lu pôrche säne...

Chi mi dä' lu pôrche säne

Sci' bbindatte chi li mäne.

Chi mi dä' lu pôrche säne

Sci' bbindatte chi li mäne.

 

Nghi 'šta néuve chi vi pôrte

E firnìute lu cuandäje;

Arrapèteme 'ssi pôrte

Ca mi vujj' ariscalläje.

 

Rit.: Ca 'štu fradde malidatte...

Ca 'štu fradde malidatte

mi fä sbâtte li hangatte.

Ca 'štu fradde malidatte

mi fä sbâtte li hangatte.

 


 S.Antonio

 




 







Disegni di V. Lucchi



Da: Vasto Gallery