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25 marzo 2024

Vasto di Goito e Sordello da Goito. Legami con l'Abruzzo.



Una frazione di Goito (MN) prende il nome della località abruzzese di Vasto (CH). 
Si potrebbe ipotizzare che ciò derivi dai legami storici tra i Gonzaga di Mantova e i d'Avalos. 

Isabella Gonzaga, Marchesa di Pescara di Valentín Carderera, 1831c, 
Collezione María Pilar Carderera Biblioteca nazionale di Spagna.


Infatti Isabella Gonzaga (1537-1579), figlia del Duca di Mantova, sposò nel 1556 Francesco Ferdinando d'Avalos d'Aquino d'Aragona (1530 - 1571), secondo Principe di Francavilla, quarto Marchese di Pescara, terzo Marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio.

Medaglia celebrativa raffigurante Francesco Ferdinando d'Avalos, Annibale FontanaNational Gallery of ArtWashington




Sordello da Goito

Miniatura di Sordello da Goito tratta da un manoscritto del XIII secolo

Nel VI canto del Purgatorio, viene presentata la figura di Sordello da Goito, un importante poeta trovatore italiano, appartenente alla piccola nobiltà mantovana. 
Egli divenne signore dei feudi abruzzesi di Civitaquana, Monteodorisio, Paglieta, Borrello e Palena, ricevuti in dono nel 1269 da Carlo I d’Angiò, morendo poco dopo in Abruzzo.

11 marzo 2024

18° Festival Nazionale Canti della Montagna, Roccaraso, 1994.



Canzoni:

LATO A

DOLCE MONTAGNA

MUNTAGNA ME' di A. Basile

INNO ALLA STAZIONE AQUILANA DEL CAI di Mariano Nicolucci

A MMETE di G. Augelli, Francesca Petroni

ALTIPIANI di Antonio Gentile

MONTE SACRO

canzone?

CIMA DI MONTAGNA di Gaetano Gnagnarella

LATO B

LA SERENATA DE LU PASTORE

GRAN SASSU ME' di I. Luciani

STU MONTE VOGLIE CANTA'

RECURDE DE MUNTAGNE di Argentino Montanaro

CIMA DI MONTAGNA di E. Verzellini - Gino Piastrelloni

SUNEME

CHE PACE A LA MAJELLE di Nicola Stivaletta

TRA CIME E VALLE di Camillo e Vincenzo Coccione

14 febbraio 2024

Canzoni abruzzesi. Coro folkloristico Giulio Sigismondi, 1980.


RASSEGNA DI CANZONI ABRUZZESI, CONCERTO DEL CORO "GIULIO SIGISMONDI" DI SAN VITO CHIETINO, 1980, direttore artistico Virgilio Sigismondi.

CANZUNA NUSTRE
canzone vincitrice alla Festa delle Canzoni di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Garagrella

'EME VULATE
canzone di Virgilio Sigismondi - Antonio Di Jorio

J'ABBRUZZU
canzone della Maggiolata di Ortona 1948
di Carlo Perrone - Nazzareno De Angelis

ALL'ORTE
popolare, elaboraz. Giuseppe Di Pasquale

AMORE AMORE 
popolare, elab. Di Pasquale

VULESSE
canzone presentata alla Festa di Lanciano 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gagarella

CANTO DELLE LAVANDAIE
popolare, elab. Di Pasquale

LA SALDARELLE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA SEMENE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA JERVE A LU CANNETE
popolare

L'ARIE DE LU METERE
popolare, elab. don Ottavio de Caesaris

L'ARTA CCHIU' PRELIBBATE
alla Festa delle canzoni di San Vito del 1947
di Giulio Sigismondi

LAMENTO DELLA VEDOVA
popolare, elab. Ennio Vetuschi

MO VE'...MO VA'
popolare

TUTTE LE FUNTANELLE
popolare

PAESE ME'
scritto nel 1949 da Antonio Di Jorio

LUCENACAPPELLE
presentata alla Festa di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gargarella

QUANDE LA FIJA ME'
popolare

VUCCUCCIA D'ORO
presentata alla Maggiolata del 1920
di Cesare De Titta - Antonio Di Jorio

S'UCCHIE
presentata alla Festa di Lanciano del 2922
di Pier Andrea Brasile

LA TRESCHE
scritta negli anni '20 per Orsonga
di Giulio Sigismondi - Gaetano Silvery

8 febbraio 2024

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena.

Pittura Abruzzese Manierista nel Chietino: il pittore “Dioaiutarà” attivo alla fine del Cinquecento a Gessopalena

di Angelo Iocco

Nella chiesa parrocchiale Madonna dei Raccomandati di Gessopalena, presso l’altare della Deposizione, si trovano due opere di uno sconosciuto pittore manierista, forse seguace di Pompeo Cesura, forse aquilano, che realizzò la Pala d’altare, incassata nella cornice di legno, che ospita altri suoi piccoli dipinti, insieme a un’altra tela che raffigura la Pentecoste. Resta ignoto il suo nome, ne parla Luigi Cicchitti nel suo libro Abruzzo delle meraviglie – Gessopalena e il Trittico della Misericordia, Ianieri, Pescara 2017, soffermandosi brevemente sull’iscrizione posta in basso a sinistra, che indica “Dio-aiutarà 1587”, ossia “Dio (ti) aiuterà”, una di quelle massime memento che costellano la pittura sacra. Ma chi fu questo pittore?








Difficile dirlo, in mancanza di documentazione. La sua Deposizione è simile, per certi canoni, a una Pietà conservata all’Aquila; al centro, leggermente a sinistra, il Cristo morto, a cui un’ancella sorregge l’avambraccio sinistro per ungerlo, forse la Maddalena, dietro il Cristo, San Giovanni, un’altra delle Marie, e la Madonna addolorata col velo, che incrocia le mani, in una posizione tipicamente tardo-gotica della pittura aquilana, che ha chiare reminiscenze del Maestro di Beffi e di Saturnino Gatti, basti ricordare il ciclo di affreschi dell’abside della chiesa di San Silvestro all’Aquila; al centro della macchina scenica ben composta, in alto, la Croce, con due scale; la più grande sulla destra rompe la scena, e induce l’osservatore a guardare una delle guardie, che sta scendendo con in mano la corona di spine, un altro riferimento alla pittura fiorentina di tradizione manierista, impossibile non ricordarsi di Rosso Fiorentino e della sua Deposizione di Volterra. Il motivo scenico della scala sulla Croce, è presente anche nel dipinto cesuriano, ed è retta in questo quadro di Gessopalena, da un soldato romano dall’aspetto grottesco.


Giulio Cesare Bedeschini, Madonna incoronata Regina degli Angeli tra Santi, Chiesa dei Raccomandati, Gessopalena.

Questo pittore sconosciuto doveva far parte insieme a Giovanpaolo Cardone, a Giovanpaolo Donati e altri della cerchia manierista aquilana, che presto lascerà il posto a Giulio Cesare Bedeschini, anche lui di formazione romana e fiorentina. E il Bedeschini lavorò per Gessopalena, per conto della Confraternita della Madonna dei Raccomandati, consegnando una tela corale, con al centro la Madonna incoronata Regina dei Cieli dagli angeli, con ai lati in piedi San Carlo Borromeo e San Francesco d’Assisi, e in basso inginocchiati Sant’Antonio di Padova e Santa Rita da Cascia. Opera solenne, tra le più belle del Bedeschini, in uno scenario dorato che lascia immaginare l’Eterna Luce del Paradiso, ispirata probabilmente a un’altra tela del Bedeschini, per quanto riguarda il volto di San Carlo, presente nella Basilica della Madonna del Colle di Pescocostanzo.





Nel libro di Cicchitti, si segnalano altre opere, la citata Pentecoste, i due Santi Pietro e Paolo principi della Chiesa, collocati presso il catino absidale d’altare maggiore, dove si trova la Pala del Trittico della Madonna della Misericordia, della scuola di Pietro Alamanno, e ampiamente studiato dal Cicchitti. I due Santi hanno i loro attributi di riconoscimento, San Pietro, stempiato, anziano, con le chiavi del Paradiso e il Vangelo, San Paolo pelato, con la barba lunga e la spada della difesa della Chiesa…e del martirio!

Franco G. Maria Battistella, citato dal Cicchitti nella sua opera, si è occupato di questo pittore, citando altre opere da lui realizzate, come la tela della Deposizione nella chiesa di San Francesco a Loreto Aprutino. Nella chiesa di Gessopalena soffermiamoci ancora sulla tela della Pentecoste: la Madonna è al centro, attorniata dagli Apostoli, si riconoscono San Giacomo, San Pietro, San Filippo, le lingue di fuoco si sprigionano dal cielo, indorato, una lezione ancora aquilana che rimanda a Saturnino Gatti per la Pala del Rosario; i volti degli Apostoli sono leggermente allungati, come era solito fare il Cesura per le sue Madonne o Sacre Conversazioni, michelangioleschi e robusti i tratti degli zigomi, delle espressioni facciali, delle nodose dita, delle braccia tese e nerborute degli uomini, dolci i tratti femminili della Madonna.

Questo pittore pare che fu attivo anche a Ortona nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, dipingendo due opere conservate nel Museo diocesano, San Pietro Celestino (la chiesa era di fondazione Celestina), e San Benedetto abate. Le figure sono solenni, nelle vesti vescovili, San Pietro Celestino ha la mitra e il pastorale, l’espressione altera, San Benedetto con l’ispida barba si rifà ad altri modelli utilizzati da questo Anonimo “Dioaiutarà” per i volti dei Santi Pietro e Paolo a Gessopalena. Non si conoscono altre opere di questo pittore, resta comunque una bellissima traccia di manierismo aquilano al di qua dell’Abruzzo chietino.




3 febbraio 2024

Lorenzo Grilli, Gioacchino Volpe, Di una ribadita coerenza storiografica. Il Prof. Volpe all'Università "Pro Deo" di P.Felix A. Morlion, vol.3.

Lorenzo Grilli, Gioacchino Volpe, Qualcosa se se salvò, vol.2.

Da: Archive.org

Lorenzo Grilli, Gioacchino Volpe nello specchio del suo archivio. Qualcosa se ne salvò. La tesi di laurea e le lezioni su Bonifacio VIII. vol.1.

 

Gioacchino Volpe nell'Italia repubblicana.

Da: IASRIC

Lo storico Gioacchino Volpe, nato a Paganica (AQ) il 16 febbraio 1876 e morto a Santarcangelo di Romagna (RN) il 2 ottobre 1971, fu, all’avvio della sua attività scientifica e di ricerca, uno de principali esponenti della cosiddetta scuola economico-giuridica, che sotto l’influenza del marxismo, così come filtrato dal pensiero di Antonio Labriola e di Gaetano Salvemini, introdusse la dimensione economica e sociale nello studio del Medioevo. Professore all’Università di Milano a partire dal 1905, Volpe si convertì al nazionalismo negli anni del primo conflitto mondiale dedicandosi da allora soprattutto allo studio della storia moderna e contemporanea. Intellettuale di punta del regime fascista, fondatore dell’ISPI e dal 1929 Accademico d’Italia, non aderì alla Repubblica Sociale Italiana per la fede monarchica e sabaudista che lo caratterizzava e che anche dopo la guerra, fu, insieme al nazionalismo, uno dei tratti salienti della sua produzione pubblicistica.

17 gennaio 2024

"Hilde in Italia", l'arte e le donne di Scanno nelle foto Hilde Lotz-Bauer (1907-1999).

"Hilde in Italia", l'arte e le donne di Scanno nelle foto Hilde Lotz-Bauer
Da: askanews

 Hilde Lotz-Bauer (1907-1999)

Con "Hilde in Italia - Arte e vita nelle fotografie di Hilde Lotz-Bauer" il Museo di Roma-in Trastevere dedica la prima grande retrospettiva di Hilde Lotz-Bauer (1907-1999), che con la sua Leica al collo è stata una pioniera della street photography. Hilde ha fotografato l'Italia degli anni Trenta, con uno "sguardo personale - ha scritto di lei Gianni Berengo Gardin - che ritrae il quotidiano con occhio attento e sensibile". Sono circa un centinaio le fotografie realizzate tra il 1934 e il 1943 che resteranno esposte fino al 5 maggio 2024. Provengono da ben 4 archivi (archivio Hilde Lotz-Bauer a Londra, due Istituti Max Planck per la Storia dell'arte - la Biblioteca Hertziana e il Kunsthistorisches Institut di Firenze - e la collezione del fotografo Franz Schlechter ad Heidelberg). Federica Kappler, storica dell'arte e co-curatrice della mostra: "Hilde ha donato settemila negativi a questo fotografo tedesco (Franz Schlechter, ndr) alla fine degli anni Ottanta - inizi anni Novanta, e su settemila negativi abbiamo altrettante stampe che sono suddivise e conservate negli altri tre archivi", ha spiegato ad askanews.

Arrivata nella Città Eterna, Hilde è inizialmente molto apprezzata per le sue immagini impeccabili di scultura, disegno, architettura e urbanistica commissionate dagli storici dell'arte, tra cui lo stesso primo marito (Bernard Degenhart, studioso di disegno italiano). Allo stesso tempo l'amore per l'Italia la spinge a girare il Paese fotografando un'umanità che abitava in questi territori nel ventennio fascista. Celebri i suoi scatti a Scanno, con le donne ritratte nei loro costumi. "Tutti i suoi scatti, al di là di quelli commissionati, nel racconto dell'Italia sono totalmente spontanei. È il desiderio di questa donna di conoscere una terra, che fino alla fine, fino a quando si spegne, lei è sepolta qui a Roma (al Cimitero Acattolico, ndr), ha sempre considerato la sua prima casa", ha aggiunto Federica Kappler. Corinna Lotz, figlia dell'artista e co-curatrice della mostra: "Ha sempre dovuto pensare prima di cliccare", racconta ad askanews parlando italiano. "Questa mostra è un grande risultato perché abbiamo lavorato a lungo su questo progetto, è iniziato dopo la mostra a Scanno nel 2008, poi il sito web - prosegue in inglese - e poi abbiamo incontrato Federica, lei ha capito il messaggio, per me è meraviglioso avere completato questo progetto". L'esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Organizzazione Archivio Hilde Lotz-Bauer. A cura di Federica Kappler e Corinna Lotz, figlia di Hilde Lotz-Bauer. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. In collaborazione con OFFICINE FOTOGRAFICHE ROMA e Goethe-Institut. Media Partner Panzoo, Viviroma.it, Terza Pagina Magazine. Con il sostegno dell'Ambasciata delle Repubblica Federale di Germania, di Firecom automotive srl, Fredriksson arkitektkontor AB, di Marie-Thérèse Ficnar-Usteri e di Frances Aviva Blane.

Da: Il messaggero


5 gennaio 2024

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

Amelio Pezzetta: Vita sociale e religiosa in Abruzzo durante il fascismo.

     INTRODUZIONE

 Nel saggio in questione si riporta uno schema riassuntivo delle principali vicende di vita sociale e religiosa che hanno caratterizzato l’Abruzzo durante il ventennio fascista. Al fine di una piena e consapevole comprensione delle vicende regionali si ritiene opportuno iniziare la trattazione con alcuni paragrafi contenenti brevi richiami a fatti di maggior rilevanza nazionale.

  

IL FASCISMO E LA CHIESA.

L’inizio ufficiale dell’era fascista in Italia risale al mese di ottobre del 1922, quando dopo la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III incaricò Benito Mussolini di formare un nuovo governo. Il 3 gennaio 1925 con un famoso discorso alla Camera, Mussolini annunciò la nascita dello Stato totalitario che durò ininterrottamente sino al 1943.

I rapporti iniziali del fascismo con il cattolicesimo e i suoi rappresentanti non furono improntati alla reciproca collaborazione e rispetto. Infatti, inizialmente il fascismo era anticlericale e con le sue violente attività squadristiche colpì alcuni esponenti cattolici, le leghe bianche e nel 1925 anche l’Azione Cattolica in Emilia. In seguito l’atteggiamento dei gerarchi del regime cambiò e il suo capo usò strumentalmente la religione cattolica per rinforzare il potere.

Al primo gabinetto Mussolini collaborarono varie forze politiche tra cui il partito popolare che ottenne quattro sottosegretari e due ministeri. Dopo che nel 10 luglio 1923 don Luigi Sturzo lasciò la segreteria del partito popolare, alcuni suoi esponenti entrarono in quello fascista. Durante le elezioni politiche del 1924 il movimento conservatore dei cattolici nazionali affisse per le vie di Roma un proprio manifesto in cui invitava gli elettori ad appoggiare il fascismo.

Un’altra componente cattolica prese le distanze dal fascismo, gli dimostrò una netta opposizione e ne patì le conseguenze con le violenze squadristiche e il carcere.

Nel 1922 prima della marcia su Roma sulla rivista “Civiltà cattolica” fu pubblicato un articolo in cui si faceva presente che il fascismo ha caratteristiche di violenza e supera il socialismo per le prepotenze, le uccisioni e le barbarie. A loro volta diversi ordinari diocesani, durante i primi anni del regime diffusero lettere pastorali in cui sottolineavano che il fascismo, per la sua natura violenta era contrario ai principi cristiani e pertanto non poteva godere l'appoggio della Chiesa.

Una parte della Curia Pontificia anche dopo la marcia su Roma era convinta che il fascismo, alla stessa stregua del liberalismo, della massoneria e del socialismo fosse un’ideologia sviluppatasi a causa  dell’abbandono della religione e della secolarizzazione affermatisi nel mondo moderno dopo la rivoluzione francese. Un’altra sua parte, invece riteneva che potesse apportare un efficace contributo al processo di ricristianizzazione della società che perseguiva il papa Pio XI.

Durante il periodo di dittatura ebbe una svolta politica nei riguardi della Chiesa che portò all'abbandono di molte posizioni anticlericali assunte prima della presa del potere. Infatti, Mussolini e le autorità del regime adottarono nei confronti della gerarchia ecclesiastica e di tutto il mondo cattolico, un atteggiamento conciliante e di disponibilità che contrastava con il laicismo dei governi italiani precedenti e si tramutò in una serie di notevoli concessioni a favore della Chiesa stessa. Tenendo conto di tutte le iniziative intraprese, si può dire che l’avvento del fascismo fu caratterizzato dalla messa in atto una politica che si può definire di “riconfessionalizzazione cattolica” dello Stato che ebbe la sua massima espressione con la firma dei Patti Lateranensi avvenuta nel 1929.



Nel periodo 1923-1928 i rappresentanti del regime promulgarono varie leggi e decreti riguardanti i  rapporti con le gerarchie ecclesiastiche che nel loro complesso produssero i seguenti effetti: 1) l’ordine di ricollocare il crocifisso nelle aule giudiziarie, nelle caserme, nelle scuole e in tutti gli altri uffici pubblici; 2) il ripristino tra l’elenco delle feste civili di alcune importanti solennità religiose; 3) l’adozione e il riconoscimento di vari benefici economici a favore del clero; 4) lo stanziamento di una ingente cifra (tre milioni di lire dell’epoca) per il restauro e la ricostruzione delle chiese danneggiate durante la prima guerra mondiale; 4) l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado; 5) il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso e della relativa giurisdizione ecclesiastica; 6) la reintroduzione dei cappellani militari nelle forze armate; 7) il salvataggio del cattolico Banco di Roma.

Dopo queste concessioni migliorarono i rapporti tra Stato e Chiesa, mentre la gerarchia cattolica nel suo complesso si convinse che in Italia con l’avvento del fascismo si erano create le condizioni necessarie per favorire il processo di ricristianizzazione a cui ambiva il papa Pio XI. A tal proposito va rilevato che le concezioni religiose del pontefice, per diversi aspetti si conciliavano con le esigenze del regime poichè erano ispirate a una religiosità caratterizzata dall'ubbidienza, l'umiltà, la rassegnazione e il rispetto per l'ordine e la gerarchia.

Questo positivo rapporto di collaborazione ebbe il suo importante culmine nella firma dei Patti Lateranensi che avvenne l’11 febbraio del 1929 tra Benito Mussolini in rappresentanza del governo italiano e il cardinale Gasparri che a sua volta rappresentava la Santa Sede.

Con la stesura del Concordato innanzitutto avvenne la riapertura formale dei buoni rapporti bilaterali tra lo Stato Italiano e l’autorità pontificia. Inoltre dopo circa sessanta anni rinasceva uno “Stato della Chiesa” indipendente e riconosciuto da quello italiano che fu sottoposto all’esclusiva autorità della Santa Sede, fu chiamato Città del Vaticano e comprendeva i Palazzi del Vaticano, il Laterano e la villa papale di Castel Gandolfo. In questo modo fu chiusa la questione romana apertasi nel 1870 con la presa di Roma. Il secondo importante aspetto dei Patti Lateranensi riguarda il fatto che lo Stato Italiano cessava di essere laico e neutrale in campo religioso e diventava confessionale poiché riconosceva il cattolicesimo come religione di stato. Di conseguenza il suo insegnamento fu reso obbligatorio in tutte le scuole di ogni ordine e grado. La Chiesa ottenne il riconoscimento del libero esercizio del potere spirituale, del culto, della legislazione ecclesiastica, della validità agli effetti civili del matrimonio religioso, della libera comunicazione con tutto il mondo cattolico e della sua richiesta d’impedire ai sacerdoti scomunicati di insegnare nelle scuole e nelle università statali. L’ultimo aspetto riguarda una Convenzione finanziaria che impegnava lo Stato Italiano a versare alle casse vaticane l’ingente cifra di 750 milioni di lire e una rendita perpetua, a titolo d’indennizzo per la perdita di tutti i proventi che le autorità pontificie ricavavano dallo Stato della Chiesa prima del 1860.

Le concessioni del regime alla Chiesa continuarono anche dopo il Concordato. Infatti, il nuovo Codice Civile Rocco del 1930, con gli articoli dal 402 al 406 riconobbe come reati perseguibili penalmente tutte le offese fatte nei confronti della Chiesa Cattolica e il sentimento religioso degli italiani.

L’universo ecclesiastico dopo le concessioni fasciste ricambiò i favori con diversi appoggi, riconoscimenti e valutazioni positive sulle personalità e gli operati del regime. Infatti, dopo il Concordato, molti ordinari diocesani diffusero lettere pastorali d’invito alla collaborazione con le autorità fasciste. A sua volta il papa Pio XI definì Mussolini "L'Uomo della Provvidenza" poiché a suo avviso ebbe il merito di riconoscere e riportare alla ribalta i veri ed autentici valori nazionali quali erano quelli cristiano-cattolici. Inoltre l'apparato ecclesiastico mise a disposizione del regime le proprie forze e collaborò alla realizzazione di molte sue iniziative. Una prova tangibile di questo rapporto collaborativo è rappresentata dalla figura dell'assistente spirituale esercitata da un sacerdote che la gerarchia cattolica mise a disposizione di tutte le organizzazioni fasciste che la prevedevano.

Anche i parroci in questo periodo storico, per motivi vari collaborarono frequentemente con le autorità del regime. Infatti, spesso erano invitati a partecipare alle loro manifestazioni, a far suonare le campane in occasione di alcune solennità civili fasciste e a benedire le bandiere, i gagliardetti e le sedi del partito. Nel 1935 in molte diocesi nazionali fu organizzata la raccolta di metalli preziosi per la patria. Inoltre in occasione della guerra d'Etiopia molti ordinari e parroci appoggiarono l'impresa coloniale e dopo la sua conclusione bandirono quasi una crociata per la civilizzazione e cristianizzazione della popolazione abissina.

Mussolini e i suoi gerarchi si servirono della Chiesa per l’appoggio ad altre loro iniziative e campagne propagandistiche tra cui quella dello sviluppo demografico. In questo caso tutti i giornali dell'epoca fiancheggiatori del regime per invogliare le coppie italiane a una maggiore procreatività ricordavano spesso i canoni e le leggi ecclesiastiche riguardanti la famiglia e il matrimonio e altrettanto fecero diversi parroci durante le loro omelie domenicali.

Nonostante gli episodi riportati, il rapporto di collaborazione tra lo Stato Fascista e la Chiesa durante l’intero ventennio non fu sempre pienamente positivo e idilliaco poiché, come ha rilevato Quazza, fu accompagnato da connotazioni ambivalenti, momenti di tensione e diverse sfumature. Queste ambiguità e ambivalenze sono molto evidenti quando si tiene conto che mentre da un lato le autorità del regime formalmente rendevano omaggio e manifestavano rispetto alla Chiesa, dall’altro s’impegnavano per sottrarle il controllo della gioventù e per l'eliminazione di tutte le forze cattoliche che si opponevano ai loro progetti politici. In quest'ambito si collocano tutte le iniziative delle autorità fasciste contro l’Azione Cattolica che era il principale strumento di cui si serviva la Chiesa per imprimere il suo segno sull’educazione religiosa giovanile. I gerarchi fascisti la guardavano sempre con notevole sospetto poiché la ritenevano un’istituzione concorrente che intralciava contro la loro ambizione di assicurarsi il monopolio dell'educazione dei giovani. Le violenze squadristiche contro alcune sedi dell’Azione Cattolica iniziarono nel 1921 e proseguirono nei primi anni del ventennio. In seguito si attenuarono ma dallo scontro fisico si passò a quello legale poiché le violenze furono sostituite dai decreti e le leggi che avevano il fine di sciogliere i gruppi cattolici giovanili. Uno dei primi provvedimenti che autorizzava lo scioglimento dell'Azione Cattolica fu il regio decreto del 9/1/1927. Dopo la sua promulgazione nacque un duro scontro con le autorità ecclesiastiche e il papa Pio XI con l'enciclica "Non abbiamo bisogno" prese posizione contro il regime. Mussolini per non compromettere il buon esito dei Patti Lateranensi fu costretto a fare marcia indietro e a ritirare il decreto. Nonostante questo tentativo conciliante, i contrasti tra la Santa Sede e il Regime a causa dell’Azione Cattolica non si attenuarono, ripresero tra il 1930 e il 1931 e, Mussolini emanò un nuovo decreto di scioglimento dei circoli della gioventù e delle federazioni universitarie cattoliche. 

Negli anni 1938-1939 si riaccesero i contrasti tra la Chiesa e il regime a causa di nuove restrizioni e limiti imposti alle associazioni cattoliche, il divieto ai giovani di portare il distintivo di adesione alla Gioventù Italiana di Azione cattolica e le leggi razziali. In particolare, quest’ultime furono osteggiate da diversi chierici e credenti di molte località italiane poiché erano ritenute contrarie alla Chiesa che invece predica l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio. A tal proposito il 28 luglio 1938, Pio XI disse: “Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali”.

A conclusione del presente paragrafo si fa presente che QQQQdurante l’arco del ventennio, le autorità del regime impedirono al movimento cattolico di svolgere qualsiasi attività politica. Di conseguenza esso si concentrò su iniziative culturali, educative e prettamente religiose: l’apostolato degli ordini religiosi e delle congregazioni, la struttura parrocchiale, delle associazioni giovanili ed altro.

 

L’Abruzzo e il fascismo

In Abruzzo le prime sedi fasciste iniziarono ad essere fondate agli inizi del 1921 ma l’affermazione definitiva del movimento in regione avvenne negli anni successivi. Alcune sue fasi furono: il congresso regionale del partito che si organizzò a Pescara nel mese di agosto del 1922; una festa regionale organizzata nel 1923 a Castellamare Adriatico; le elezioni provinciali e politiche che si tennero in regione sino al 1924. Alcune squadre di fascisti provenienti da diverse località abruzzesi parteciparono anche alla marcia di Roma[1].

In Abruzzo il fascismo assunse propri connotati e caratteristiche specifiche. A tal proposito, Amodei ha fatto presente che “Il fascismo abruzzese si caratterizzò per due fattori specifici. In primo luogo, per il rapporto strettissimo con il notabilato locale, che intese il fascismo come uno strumento di mantenimento dello status quo, delle proprie posizioni e dei propri poteri. Lo stesso fascismo, d’altro canto, si servì delle reti locali preesistenti l’avvento del fascismo nella regione come cinghia di trasmissione tra potere centrale e humus locale. Nella città di Chieti, per esempio, il notabilato aveva guidato il fascismo al potere e cogestì l’azione politica con i rappresentanti fascisti: prima dello scioglimento del Consiglio Provinciale, nel 1926, i liberali detenevano il governo della provincia mentre i fascisti reggevano la città[2]. Ad ulteriore precisazione di questi connotati Amodei aggiunge altre importanti osservazioni. Nella prima di esse ha fatto presente che il fascismo in Abruzzo “conservò, nel piano locale e non solo, le normali distinzioni cetuali, gli antagonismi personali e i tradizionali privilegi accordati agli elementi di spicco del tessuto sociale microlocale”[3]. Nella sua seconda osservazione lo studioso ha affermato che “Nelle sue prime fasi di affermazione, il fascismo abruzzese scelse di acquisire una precisa identità: quella di forza patriottica, oppositrice di qualsiasi politica internazionalista che mettesse in secondo piano, relativizzandoli, gli interessi regionali e nazionali[4].

In Abruzzo durante le elezioni politiche del 1924, il fascismo ottenne un largo successo elettorale con circa l’86% dei consensi a suo favore. L’anno dopo il prefetto di Chieti al fine di giustificare l’ampio successo che il partito raggiunse in Provincia scrisse: “Per naturale inclinazione e per innata tendenza queste popolazioni sono propense a seguire il partito che comanda, che assicura ordine e disciplina per potersi dedicare assiduamente al lavoro ed alle cure della famiglia che qui ha salde radici. A ciò si aggiunga il profondo sentimento di amor patrio e di devozione alla monarchia ed alle istituzioni che ci reggono. È naturale quindi che il partito fascista che tali principi esalta, sostiene e difende ad oltranza raccolga ovunque consensi[5].

Dopo questi momenti iniziali anche in Abruzzo il fascismo continuò la sua affermazione e perseguì una politica completamente ispirata ed aderente alle finalità nazionali.