2 gennaio 2024
27 dicembre 2023
Padre Settimio Zimarino, Dormi, Amor mio... Ninna nanna abruzzese.
23 dicembre 2023
Natività del Trittico di Beffi, Sec. XV.
18 dicembre 2023
13 dicembre 2023
Marino Valentini, Avvistamenti degli Ufo in Abruzzo.
Gruppo Magia. Abruzzesistica.info. Raccolta, catalogazione e digitalizzazione di materiali per la conoscenza dell’Abruzzo e dell’abruzzesistica (storia, bibliografia, fotografie, voci e immagini, documenti d’epoca, pubblicazioni antiche e moderne.
12 dicembre 2023
Antonio Mezzanotte, Santa Lucia di Rocca di Cambio (AQ).
Chiesa di S.Lucia a Rocca di Cambio |
Affreschi |
particolare degli affreschi |
Santa Lucia di Rocca di Cambio (AQ)
di Antonio Mezzanotte
11 dicembre 2023
Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween.
Particolare del quadro votivo offerto dalle parrocchie di Perloz e Lillianes, 1685 |
Tradizioni popolari d’Abruzzo: il giorno di Ognissanti, oggi noto come Halloween
di Angelo Iocco
Se qualcuno legge la novella aprente della raccolta Trecce Nere di
Domenico Ciampoli, con l’identico titolo del volumetto, Tip. Treves, Milano,
1891, potrà piacevolmente ammirare le suggestioni dello storico atessano, nel
riportare un’antica tradizione di Canzano nel teramano la notte di Ognissanti,
quando nell’aia di una stalla i paesani banchettano insieme in onore dei Morti,
aspettando che i defunti passino a far visita nel mondo dei vivi. Una
suggestione premonitrice per la triste fine della ragazza protagonista,
leggiamo insieme uno stralcio:
“C’era
il pranzo de’ morti e la fiaccolata. Secondo il costume, la mamma e Mariuccia
si dettero un gran da fare per imbandire in mezzo alla casa una gran mensa: di
quella notte le anime de’ parenti vengono a visitarci e per ognuno dev’essere
un posto a tavola: a dritta le femmine, a mancina i maschi, a capo i nonni, in
fondo i bambini; e come tutto è pronto, si spegne il fuoco, versando dell’acqua
sui tizzoni e sulla brace: forse pensano che al mondo di là qualcuno può averne
troppo, di fuoco. Poi si recitano le preghiere pe’ morti. A mezzanotte s’ode
uno scampanio improvviso, un urlio terribile: tutte le finestre delle case
illuminate, per le vie buie una turba di gente che grida, va picchiando gli
usci, e porta in mano tante fiaccole strane: sono canne o pali in capo a’ quali
è un teschio vuoto, dalle cui occhiaie esce la luce d’una candeletta; teschio,
per così dire, ma in verità è una zucca bucata che ne fa le veci.”
Suggestioni che il Ciampoli in prima persona, nelle sue contrade, dovette vedere, e di cui si servì, sulla scorta degli studi dei suoi amici etnologi De Nino e Finamore. Si tratta di una delle più antiche testimonianze letterarie scritte sul Culto dei Morti in Abruzzo.
Halloween non è altro che la semplificazione di "All Hallows' Eve" = la vigilia di Tutti i Santi.
Molte delle nostre feste o ricorrenze (anche quelle religiose come Natale,
Pasqua) sono incardinate a riti e tradizioni di origine pagana.
Il 25 dicembre, per esempio, è in realtà la antichissima festa del Sol
Invictus, collegata al culto del dio Mitra.
Le nostre più belle Chiese sono state costruite su antichi templi pagani.
Gli aspetti di natura commerciale hanno abbondantemente condizionato tutte
le nostre feste, comprese quelle considerate religiose.
La Festa di Halloween è una della celebrazioni più sentite e diffuse in
tutto il mondo.
Per curiosità culturale, questa è la storia delle manifestazioni della
notte di Ognissanti, con riti presenti da secoli anche sul territorio italiano.
Alcune ricerche in proposito raccontano che in varie regioni viene
celebrata dalla notte dei tempi.
Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i
primi Cristiani, vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato
“pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai
defunti del donatore.
A Massafra in provincia di Taranto gli anziani raccontano che il 31 ottobre
i morti di notte escono dal cimitero in processione e percorrono le vie del
paese vecchio con il dito acceso a mo’ di candela. Se incontrano un passante
che va al mattino presto a lavorare lo uccidono e lo portano con sé. Queste
anime del purgatorio entrano nelle chiese per celebrare messa. Una leggenda
narra che una volta un vivo entrò in chiesa e quando il prete si girò per la
benedizione verso la navata, il vivo si accorse che non aveva il naso e solo
allora fu sopraffatto dagli altri morti.
Le anime del purgatorio erano molto rispettate nelle case dei nonni. Oltre
ad un’apposita preghiera pronunciata ogni giorno durante il Rosario, veniva
loro riservato tutto l’anno un coperto vuoto a tavola, con tanto di sedia,
forchetta o cucchiaio e tovagliolo. Le anime del purgatorio ritornano nel
cimitero la notte dell’Epifania.
Vittorio Monaco, per quanto riguarda l’area Peligna e la Valle di Sulmona, raccolse diverse usanze, ispirandosi anche a quanto già scritto dal suo predecessore Antonio De Nino negli Usi e costumi abruzzesi, in Capetièmpe – Capodanni d’Abruzzo, Textus, L’Aquila 2011. Il volume in forma ciclica ripercorre le tradizioni dell’avvio di un periodo dell’anno, partendo dal Capetiempe dell’Ognissanti, arrivando all’Avvento di Natale, al Capodanno e all’Epifania, per concludere con Sant’Antonio abate e i riti della Santa Pasqua.
A SULMONA, si svolgeva il 2 novembre l’ufficio funebre più singolare, durato fino alla fine del 1800, il BANCHETTO FUNEBRE che ricordava la tradizione celtica e anche romana. La città seguiva “la processione” fino al cimitero dove si celebrava la messa e poi la baldoria. Questo rientrava in quella concezione secondo cui il defunto potesse godere ancora dei piaceri della vita sprigionati accanto a lui. I giovani, durante la notte, scarabocchiavano tibie e teschi con gesso bianco sulle porte delle case per dire che i morti erano stati lì quella notte, come riporta De Nino nel I vol. degli Usi abruzzesi, 1879, con un rito simile all’Halloween che oggi conosciamo, anche se il motivo era differente da quello goliardico e consumistico. Le antiche usanze sono riportate in una bellissima e lunga poesia di Francesco Simonetti: Sulmona nei riti religiosi, Angeletti, Sulmona, 1901, ritrascritta in Sulmona Città d’arte e di poeti, a cura di E. Mattiocco, G. Papponetti, Carsa, Pescara, 1996.
Fino agli anni ‘40 a PRATOLA PELIGNA, nella sera di Ognissanti, i ragazzi con il volto imbiancato
di farina bussavano alle porte delle case.
4 dicembre 2023
Proverbi popolari Abruzzesi.
27 novembre 2023
21 novembre 2023
Bande abruzzesi: marce, sinfonie.
19 novembre 2023
13 novembre 2023
Vola Vola... dall'Abruzzo a Napoli. Canta Oslavio Di Credico, al piano Francesco Paolo Santacroce.
3 novembre 2023
La Cotta, danza tradizionale abruzzese.
1 novembre 2023
Amelio Pezzetta: La Chiesa, lo Stato, la vita sociale e religiosa in Abruzzo dall'Unità d'Italia al 1918.
La chiesa, lo stato, la vita sociale e religiosa in Abruzzo dall'Unità d'Italia al 1918
1. Introduzione.
Il fine del presente saggio è la descrizione riassuntiva
delle principali vicende riguardanti la vita sociale e religiosa in Abruzzo nel
periodo storico considerato. Al fine di una piena comprensione di tali aspetti si
ritiene opportuno iniziare la trattazione con l’esposizione di fatti di
carattere generale.
2. La politica
ecclesiastica del nuovo stato unitario.
Nel
1860 i garibaldini conquistarono il Regno delle Due Sicilie che in seguito fu
unito ad altri ex Stati della penisola nel Regno d'Italia. Il nuovo stato
sovrano fu proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861 senza comprendere il
Lazio, il Veneto, il Trentino Alto Adige e la Venezia Giulia.
Nella
politica ecclesiastica i primi governi unitari s’ispirarono al principio cavouriano
"Libera Chiesa in libero Stato" che significava libertà
d'azione della Chiesa nell'ambito dei limiti posti dalle leggi statali. Questa
concezione vedeva prevalere gli interessi dello Stato su quelli della Chiesa e
rivelava un’inversione di tendenza rispetto alla politica ecclesiastica perseguita
dalla monarchia borbonica. Inoltre il liberalismo dello Stato Unitario ammetteva
che l’autorità derivi dal popolo, un principio contrario alla diretta
derivazione del potere da Dio. Questi principi e la volontà delle autorità italiane
di annettere Roma con tutto lo Stato Pontificio erano una grave minaccia al
potere temporale del pontefice che scomunicò i Savoia dopo l'occupazione piemontese
dell'Umbria e delle Marche. Pertanto il nuovo Stato nacque all’insegna dei
forti contrasti con la Chiesa che oltre alla scomunica ebbero per oggetto la
richiesta della Curia Romana a tutto il clero di non collaborare con le
autorità italiane. In seguito varie leggi
anticlericali incrementarono ulteriormente l’irrigidimento
dei rapporti con le autorità pontificie.
Nell’Italia
meridionale le prime avvisaglie del nuovo rapporto tra Stato e Chiesa si ebbero
durante la Dittatura e Luogotenenza con l’emanazione di vari decreti, mentre uno
dei primi provvedimenti dello Stato Unitario su tale aspetto è stata una
circolare del Segretario Generale del Ministero di Grazia e Giustizia e degli
Affari Ecclesiastici emanata il 16 maggio 1861 che impose l’obbligo del regio
exequatur per tutte le decisioni delle autorità ecclesiastiche di natura
politica.
Il
decreto luogotenenziale n. 248 del 17/12/1861 abolì il Concordato del 1818 tra
la Santa Sede e i Borboni. Questa norma dimostra che la proclamazione
dell’Unità d'Italia non comportò l'immediata abolizione degli ordinamenti
preunitari, per cui prima che in tutte le regioni si affermasse una
legislazione unica trascorsero vari anni e per un certo tempo nell'ex Regno
delle Due Sicilie restarono in vigore varie leggi borboniche anche in materia
ecclesiastica.
Il
decreto n. 251 del 17/2/1861 di Eugenio Savoia-Carignano e le leggi del
2/10/1862 e n. 3848 del 15/10/1867 soppressero i benefici ecclesiastici, le
cappellanie, i monasteri e gli ordini religiosi, tranne le congregazioni
ritenute di pubblica utilità. Le soppressioni furono ispirate da varie
finalità: equiparare tutte le confessioni religiose, affidare a organismi
statali attività che un tempo erano riservate alla Chiesa e aumentare la
circolazione dei beni ecclesiastici. Ai religiosi degli istituti soppressi fu
lasciata la libertà di associarsi e continuare a professare la loro fede, come
privati cittadini o in libere associazioni sottoposte alle leggi dello Stato.
Le soppressioni non interessarono le parrocchie. Infatti, la legge n. 3848 del
15/10/1861 dispose che ne erano esenti i proventi e i benefici parrocchiali che
al momento della loro fondazione avevano annesso la cura d'anime o l'obbligo di
coadiuvare il parroco nell'esercizio del suo ministero.
Con
la legge del 20/3/1865 il governo unitario dimostrò rispetto per il sentimento
religioso popolare poiché prescrisse che, in mancanza di altri mezzi, le spese per
il culto e la manutenzione delle chiese dovevano essere a carico dei Comuni.
Il
Codice Civile entrato in vigore il 1° gennaio 1866 trasferì la tenuta dei
registri dello stato civile dalle parrocchie ai Comuni; tolse ogni valore
legale al matrimonio esclusivamente religioso; prescrisse il matrimonio civile
obbligatorio per tutti i cittadini e che il funzionamento degli enti
ecclesiastici fosse regolato da leggi statali.
Il
7 luglio 1866, al fine di risanare il bilancio pubblico fu promulgata una legge
che aboliva gli istituti religiosi e prevedeva che i loro beni fossero incamerati
dallo Stato.
Dopo
il primo decennio unitario, sotto la spinta dei parlamentari più credenti,
l'acceso anticlericalismo si allentò e fu adottato un atteggiamento più
conciliante con la Chiesa.
Nel
1871 il governo italiano, dopo aver cercato una soluzione concordata con le
autorità pontificie, decise di regolare unilateralmente i rapporti tra Stato e
Chiesa e tentare una riappacificazione con la Curia Romana. Tale esigenza era
dettata dal credo religioso delle autorità politiche nazionali, la volontà di
rendere esecutivo il principio della libera Chiesa in libero Stato e la
consapevolezza che l'appoggio ecclesiastico avrebbe contribuito al mantenimento
dell'ordine pubblico. Di conseguenza il governo promulgò la "Legge delle
Guarentigie” che riconosceva al papa la libertà d’esercizio della funzione di
capo della Chiesa, il suo magistero spirituale e la sovranità sui palazzi del
Vaticano, il Laterano e la villa di Castel Gandolfo. Inoltre nel bilancio dello
Stato fu iscritta una cospicua dotazione annua per il mantenimento della corte
papale. Nello stesso anno il governo rinunciò alla "Legazia
apostolica" per la Sicilia che risaliva ai Normanni[1]
e abolì: 1) l'exequatur e il regio placet per la pubblicazione ed esecuzione
degli atti delle autorità ecclesiastiche; 2) il ricorso "ad principem", la facoltà concessa
alle persone fisiche di ricorrere all'autorità statale contro gli atti delle
autorità ecclesiastiche.
Nel
1876 con la legge n. 3184 del 30 giugno fu regolamentato e laicizzato l’istituto
del giuramento pubblico che nella nuova concezione non impegnava la coscienza
individuale davanti a Dio.
Un
altro tema affrontato dai governi post-unitari fu la questione della pubblica
beneficenza che fu considerata un'attività da regolare con enti e leggi statali
poiché un fine dello Stato era di contribuire al miglioramento delle condizioni
morali e materiali dei propri sudditi. A tal proposito le leggi n. 75 del 3
agosto 1862 e n. 6972 del 17 luglio 1890 autorizzarono la fondazione delle
Congregazioni di Carità in ogni Comune del Regno. Questi nuovi enti ebbero in
assegnazione: i beni degli enti ecclesiastici soppressi, l'amministrazione
delle rendite delle cappelle laicali, l'acquisto e il pagamento per i poveri
del proprio Comune di medicinali, oggetti di vestiario e altro.
La
legge n. 4727 del 14 luglio 1887 consentì l'affrancamento dei contadini dalle
decime dominicali e dalle altre prestazioni fondiarie perpetue dovute alla
Chiesa e ai laici. In questo modo fu abolito il principio medioevale che
considerava inalienabili i beni ecclesiastici a vantaggio di una loro maggiore
circolazione. La promulgazione della legge tuttavia non produsse un immediato
affrancamento delle rendite fondiarie per cui in moltissime località, solo
molto lentamente i contadini iniziarono ad avvalersi di questo diritto.
Con
la legge n. 6144 del 3 giugno 1889 si sottoposero a precisi limiti i modi di
esecuzione delle processioni, le cerimonie sacre e le questue fatte all’esterno
degli edifici di culto.
31 ottobre 2023
La Marsica e i riti di Ognissanti.
Popolazione in preghiera nel cimitero di Carsoli (1900/1910) © ICCD
Nel libro di Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dal titolo “Halloween: nei giorni che i morti ritornano” il capitolo sull’Abruzzo si apre così: Il folklore abruzzese e molisano è molto ricco di materiali che riguardano la nostra ricerca. Partiamo dalla credenza che i morti tornino nella dimensione terrena nella notte tra l’1 e il 2 novembre, raggiungendo le loro vecchie case (spesso processionalmente, in schiere dove morti «buoni» e morti «cattivi» occupano posizioni diverse e distinte), e dai riti di accoglienza a loro tributati, non privi di pericoli, e quindi di precauzioni e di forti timori.
A questa introduzione i due autori fanno seguire numerosi estratti dalle fonti storiche, in particolare quelli raccolti da Antonio De Nino e Gennaro Finamore nei loro celebri volumi dedicati agli usi e costumi abruzzesi. Nel capitolo di Finamore dedicato a Ognissanti è contenuta una storia ambientata a Pescina, in cui si intuisce perfettamente la commistione tra sacro e profano:
La messa de’ Morti, preceduta dall’ufficio, è celebrata dal parroco molto per tempo, per modo che al far del giorno la lunga funzione è terminata. Tutti coloro che hanno antenati sepolti nella chiesa in cui si celebrano gli uffizi, vanno o mandano ad accendere candele sulle sepolture; onde in nessun’altra festa dell’anno tutta la chiesa è così variamente e fantasticamente illuminata. Ma, prima che dai vivi, il divino uffizio è celebrato dai morti. Una fornaia, che non sapeva questo, alzatasi di buon’ora, andava ad accendere il forno. Nel passare davanti a una chiesa, che vide illuminata, credette che vi uffiziassero, ed entrò. La chiesa era illuminata e piena di popolo. Inginocchiatasi, una sua comare, già morta, le si avvicina e dice: «Comare, qui non stai bene; va via. Siamo tutti morti, e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti». La comare ringraziò, e andò via subito; ma per lo spavento perdette la voce. (Pescina)
Credenze usi e costumi abruzzesi raccolti da Gennaro Finamore (1890)
In una piccola pubblicazione realizzata attraverso il contributo degli alunni dell’ultimo anno delle Scuole Medie C. Corradini di Avezzano nel 1988, si può leggere una testimonianza sui riti di Ognissanti nella Marsica. Molto interessante il rapporto con il fuoco del camino, spesso presente in altre fonti abruzzesi.
Una volta si usava nelle nostre parti cucinare abbondantemente nelle festività di Ognissanti in modo che il cibo che restava dopo il pranzo e la cena veniva messo in vari piatti ed esposti durante la notte sui balconi e nelle finestre del camino chiamate “buscelle”. Si diceva che i morti sarebbero tornati una volta l’anno, proprio nella notte fra il primo e il due Novembre, ed avrebbero partecipato al pranzo. Per tutta la notte dunque i più famosi mangiatori del paese erano occupati a fare delle scorpacciate con la legittima soddisfazione di chi, svegliandosi al mattino e trovando i piatti puliti, erano convinti che la sua casa fosse stata visitata dai parenti defunti. Nelle antiche case dove si accendeva il fuoco nel camino, si usava ogni sera coprire i carboni accesi con le ceneri in modo che al mattino i tizzoni restassero ancora accesi. La sera del primo Novembre, invece, i tizzoni venivano tutti spenti. Il fuoco è simbolo di vita ed è per questo che, almeno una volta l’anno, veniva soffocato come estinzione della vita stessa.
Si diceva che… Motti, proverbi, usi e costumi illustrati dagli alunni della III F – Scuola Media C. Corradini Avezzano 1988.
Ne “I racconti di Angizia” di Giuseppe Pennazza (1921), l’autore immagina di avere un dialogo costante con la Dea Angizia: insieme a lei ricorda le tradizioni scomparse e gli antichi usi delle famiglie di Avezzano e dintorni. Nel capitolo intitolato “Novembre” viene fatta una breve rassegna delle tradizioni nel giorno dei morti.
L’utilizzo della zucca come elemento simbolico è molto presente nelle tradizioni della Festa di San Martino. Sempre da Finamore:
Nel Pescarese e in alcuni paesi dell’Aquilano, come Balsorano, i ragazzi portano ancora in giro, su una specie di barella, una zucca svuotata, con i fori degli occhi, del naso e della bocca, con due corna colorate e una candela accesa dentro; si fermano dinanzi agli usci delle case e delle botteghe cantando: «S. Martino, S. Martino».
Antonio De Nino nel suo Usi e costumi abruzzesi (1879) dedica un intero capitolo alla simbologia delle zucche dal titolo Illuminazione con le zucche:
Nell’intero territorio abruzzese sono moltissime le storie legate al culto dei morti. Uno dei testi più importanti e suggestivi è sicuramente quello di Vittorio Monaco dal titolo “Capetièmpe – Capodanni in Abruzzo”, recentemente ristampato dalla Textus Edizioni. Le suggestioni della festività risuonano anche nei versi di Gabriele D’Annunzio e nel capolavoro di Francesco Paolo Michetti – La raccolta delle zucche, dove un teschio in primo piano si confonde tra i raccoglitori, sospesi in un’atmosfera magica.
Gabriele D’Annunzio – Ottobrata (Versi d’amore e di gloria, Mondadori Meridiani, Milano 2004)
La Raccolta delle Zucche – Francesco Paolo Michetti (1873)
Da: PiccolaBibliotecaMarsicana.itZucche nel Convento Michetti fotografate da Francesco Paolo Michetti © ICCD