Quella che segue, sembra la sceneggiatura di un film, oppure una favola o anche un’opera da teatro ed infatti da questa storia, all’apparenza surreale ma del tutto autentica, è stata tratta una rappresentazione teatrale, dal titolo Le nozze dello zingaro pittore, una commedia in quattro atti di Giulio Genoino[1] scritta a Napoli ad inizio ‘800.
L’insegnamento che ci
dà l’avvicendarsi di eventi che fornisce l’esistenza del personaggio principale
di questo romanzo di vita reale, è quello di riuscire a dimostrare che certi
sentimenti, uniti ad una notevole forza di volontà, abbinata ad una forte
autostima ed all’accettazione di sacrifici non comuni riescono a valicare anche
quegli ostacoli oggettivamente insuperabili. In poche parole, un inno alla
fiducia nei propri mezzi.
Prima di addentrarci
nel nucleo della storia, occorre rilevare che a Chieti c’è via Cesare de
Lollis, ossia la tortuosa strada che dal Pozzo (piazza Valignani) conduce al
Piano Sant’Angelo (piazza Matteotti). Tuttavia i teatini, molto legati al
passato ed alle tradizioni, amano nominare questi toponimi secondo le vecchie
denominazioni e così anche la via intitolata ad un insigne letterato di
Casalincontrada, nel corrente lessico chietino, cede spesso il passo ad una più
popolare via dello Zingaro, denominazione che resisteva fino al secondo
dopoguerra. Per dirla tutta, una via dello Zingaro c’è ancora a Chieti e pure
nello stesso rione dell’attuale via de Lollis, trattandosi di una traversa di quest’ultima
strada che sfocia poi in via Materdomini. La via è intitolata, per l’esattezza,
ad Antonio Solario detto lo Zingaro Pittore.
La vita e le origini di questo artista, su quando e dove sia nato e vissuto, sono peraltro oggetto di controverse ipotesi e di equivoci che conducono ad anacronismi, per via di omonimie. Difatti, nel corso dei secoli c’è chi lo ha considerato abruzzese, chi napoletano, chi veneziano e finanche lucano, pur se la tesi prevalente sembra proporre la nascita del pittore come avvenuta nell’Abruzzo Citeriore in Civita di Chieti: al riguardo alcuni tendono a identificare tale luogo come Ripa Teatina (dove pure esiste una via dello Zingaro) o addirittura Civita d’Antino (AQ) ma è chiaro che all’epoca la denominazione della città teatina era appunto Civitas Teatina (come peraltro riporta la dicitura di alcune monete coniate dalla zecca di Chieti). Anche la data di nascita è oggetto di disputa, nascendo verso la fine del XIV secolo per alcuni ed in quello successivo per altri. Dalle testimonianze raccolte dallo storico teatino dell’800 Gennaro Ravizza, sappiamo che Antonio Solario nacque a Chieti nel 1382, figlio di un calderaio che aggiustava pentole ed arnesi in rame per la cucina, spesso in giro per città e paesi del regno, per entrare nelle cucine di persone benestanti e nobili che necessitavano della riparazione di stoviglie. Questo continuo peregrinare di casa in casa, di città in città, che determinava uno stile di vita quasi nomade, in un’epoca in cui i soprannomi erano più eloquenti dei nomi stessi, era motivo di riconoscimento di siffatta categoria lavorativa con l’appellativo di zingari. Peraltro il Solario si guadagnerà tale qualifica anche per il suo continuo vagare in Italia per perfezionare quell’arte di cui dimostrerà di essere un autentico talento.
La storia di Antonio
Solario cambia radicalmente quando si trasferisce a Napoli, dove associa la sua
prevalente attività di conciacallare
a quella di produttore di arnesi da cucina. La creatività e l’ingegno di questo
giovane abruzzese faranno breccia nelle case di molti nobili della capitale del
regno, al punto che le voci arriveranno anche alla reggia, tanto che lo zingaro
riuscirà perfino ad entrare nella real cucina del re Ladislao. Qui conosce il
pittore di corte Colantonio del Fiore[2]
che lo assume per eseguire lavori nella propria casa. Il problema di lavoro per
Antonio, abilissimo artigiano del rame, è la presenza di Angelica, la figlia di
Colantonio, più o meno della stessa età del giovane, che è motivo di
inquietudine del calderaio. Le giornate a casa di Colantonio, per mettere a
posto le stoviglie di cucina, per Antonio trascorrono tra il suo daffare per
mestoli, paioli e ferri vari e gli accattivanti sguardi che volge, ricambiato,
verso la figlia del padrone di casa. Da lì al colpo di fulmine per entrambi il
passo e breve ed è così che inizia una relazione tra i due, fatta di sincere
reciproche promesse, che porterà il giovane a dichiararsi alla ragazza ed a
chiedere a Colantonio la mano di Angelica.
Il calderaio Solario sa
bene che, per evidenti disparità di rango, Colantonio non accetterà mai di
darle in sposa la sua unica figlia e per questa ragione si fa coraggio e chiede
udienza nientepopodimeno che a Giovanna di Durazzo[3],
sorella di re Ladislao, affinché interceda presso Colantonio per convincerlo.
La principessa Giovanna, che è molto sensibile a siffatte questioni
sentimentali, fa chiamare il pittore di corte per informarlo che l’eventuale
unione tra i due giovani è per lei motivo di grande gioia. A questo punto Colantonio
si trova spiazzato ed è in profondo imbarazzo: da un lato apprezza il lavoro di
quel giovane molto abile nel suo mestiere ma il matrimonio di sua figlia è un
passo troppo impegnativo, per giunta con uno zingaro, dall’altro non vuole
nemmeno dare un dispiacere alla sorella del re, suo datore di lavoro. Tuttavia
Colantonio, che a Napoli è persona stimata per reputazione ed onestà, non
concede la figlia al giovane ma, allo stesso tempo, neanche manifesta al
Solario un diniego, ricorrendo, per così dire, ad una soluzione salomonica; il
pittore di corte concederà la mano di sua figlia al giovane calderaio ma solo
ad una condizione: quella di diventare un pittore di maestria e fama, almeno al
livello di Colantonio stesso.
Tanto Colantonio,
quanto Giovanna, sanno bene che la condizione chiesta al giovane ramaio è una
missione impossibile e l’unico a crederci è proprio Antonio che promette alla
fidanzata di riuscire nell’impresa e condurla all’altare: per tale ragione si
fa promettere da Colantonio che lo stesso non farà maritare la figlia per
almeno dieci anni, il tempo ritenuto necessario affinché Antonio da umile conciacallare diventi un affermato
pittore. Il giovane Solario, a ventisette anni, lascia Napoli per intraprendere
un lungo vagare per la penisola italiana, da Roma a Bologna, dalla Lombardia a
Venezia e da Firenze a Ferrara, apprendendo le varie tecniche da eminenti
mastri d’arte del tempo. Dopo più di nove anni e mezzo Antonio Solario torna a
Napoli, dove si reca da un suo vecchio cliente, Ser Gianni Caracciolo[4],
confidente di Giovanna d’Angiò ma di fatto sua amante che, nel frattempo, è
stata incoronata regina di Napoli, in seguito alla morte del fratello re
Ladislao I. Antonio chiede a Ser Gianni di essere accompagnato presso la regina
per recarle in dono una sua tela raffigurante una Madonna col bambino
contornata dagli angeli. Solario viene introdotto nella sala reale, al cospetto
della regina che ringrazia per il gradito dono ma chiede chi mai sia questo
pittore mai visto prima. A questo punto Ser Gianni presenta l’amico come
Antonio Solario che una decina d’anni prima aveva servito anche nella real
cucina, ricordando anche la promessa di matrimonio fatta da Colantonio del
Fiore alla presenza dell’allora principessa e di essere tornato a Napoli proprio
per sposare l’amata. Giovanna non crede a ciò che sta udendo: «Come sia possibile che un ferraro sia
diventato un valente pittore?»
Giovanna decide allora
di mettere alla prova il Solario chiedendogli di eseguire il ritratto di lei
stessa, richiesta per la quale il pittore si mostra entusiasta di esaudire. Una
volta terminato il ritratto, la regina, preso atto del valore e della maestria
di quel giovane pittore, ha un’illuminazione per rendere concreto il sogno del
medesimo, di cui la stessa Giovanna si è resa garante. In considerazione del
fatto che, di lì a pochissimi mesi, il padre della ragazza sarebbe stato
definitivamente sciolto dalla parola che lo vincola a tenere lontana dal
matrimonio la figlia Angelica, la sovrana convoca Colantonio affinché possa
dare un giudizio di merito su quella tela che la ritrae e che è stato appena
realizzato. Il pittore di corte esamina in modo certosino il lavoro, esprimendo
la sua positiva valutazione ed aggiungendo che lui stesso “non avrebbe saputo far meglio!” È la frase che Antonio aspettava da
dieci anni a questa parte e, una volta uscito allo scoperto, la regina rivela
all’anziano pittore chi è stato a dipingere quella tela. Colantonio non può
allora esimersi dal venir meno alla parola data e, conseguentemente, concedere
la mano di Angelica a quell’uomo che ha virtuosamente dimostrato di amare
sinceramente sua figlia, pronunziando le seguenti parole, alla presenza della
regina e di Solario: «Io concedo in sposa
la mia figliuola ad Antonio Pittore non ad Antonio lo Zingaro». A tali
affermazioni Giovanna replica: «Voglio
che lo Zingaro sia così nominato e contraddistinto per la sua meravigliosa
virtù». E chissà se la virtù di cui parlava la dissoluta Giovanna non fosse
qualcos’altro, visto che tale focosa regina è passata alla storia per aver
avuto uno stuolo di amatori degno di una pornostar attuale, non facendosi
minimamente scrupolo del ceto sociale degli stessi, molti dei quali uccisi
subito dopo l’amplesso, per evitare scandali a corte.
Sembra proprio una favola
quella appena descritta che, oltre all’immancabile lieto fine del matrimonio di
due giovani che hanno atteso dieci lunghi anni per coronare il loro sogno,
registra anche la nomina dello zingaro pittore quale maestro di corte e pittore
personale della regina d’Angiò, in luogo di Colantonio del Fiore, messo a
riposo per raggiunti limiti di età. Da qui in avanti Napoli conoscerà un
periodo particolarmente fecondo per l’arte figurativa, grazie anche alla
diffusa produzione pittorica di Antonio Solario, la cui fama arriverà pure alle
orecchie del Papa che gli commissionerà importanti opere a Roma. La bella
favola dello zingaro pittore, al secolo Antonio Solario da Chieti, si chiude
nel 1455, all’età di 73 anni, in quella Napoli dove l’artista teatino fa appena
in tempo ad assistere, suo malgrado, al definitivo tramonto della casa angioina
che tanto gli ha dato, per vedere salire Alfonso sul trono del regno che si
appresta a vivere il suo lungo periodo aragonese.
[1]
Giulio Genoino, Frattamaggiore (NA) 1778 † Napoli 1856, letterato e
commediografo napoletano.
[2] Colantonio del Fiore è
stato un pittore napoletano vissuto nel XV secolo, maestro di Antonello da
Messina.
[3] Giovanna II d'Angiò
Durazzo, nota anche come Giovanna II di Napoli, Zara 25/06/1371 † Napoli 2/02/1435,
figlia del re Carlo III d'Angiò Durazzo e della regina Margherita di Durazzo,
succedette sul trono di Napoli al fratello Ladislao I, deceduto privo di eredi
legittimi. Fu regina di Napoli dal 1414, anno della morte del fratello, al
1435, anno della sua stessa morte.
[4] Giovanni Caracciolo,
conosciuto come Sergianni o Ser Gianni, Napoli 1372 † Napoli 19 agosto 1432, è
stato un condottiero e politico italiano, noto per essere stato l'amante della
Regina del Regno di Napoli Giovanna II d'Angiò Durazzo, sulla quale esercitò
grande influenza fino a divenire una sorta di re aggiunto. La stessa regina,
temendo che l’accrescere del potere di Ser Gianni potesse essere nocumento per
lei stessa, lo fece uccidere con venti pugnalate.
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