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27 marzo 2021

Lo zingaro di Chieti divenuto pittore per amore.


 Quella che segue, sembra la sceneggiatura di un film, oppure una favola o anche un’opera da teatro ed infatti da questa storia, all’apparenza surreale ma del tutto autentica, è stata tratta una rappresentazione teatrale, dal titolo Le nozze dello zingaro pittore, una commedia in quattro atti di Giulio Genoino[1] scritta a Napoli ad inizio ‘800.

L’insegnamento che ci dà l’avvicendarsi di eventi che fornisce l’esistenza del personaggio principale di questo romanzo di vita reale, è quello di riuscire a dimostrare che certi sentimenti, uniti ad una notevole forza di volontà, abbinata ad una forte autostima ed all’accettazione di sacrifici non comuni riescono a valicare anche quegli ostacoli oggettivamente insuperabili. In poche parole, un inno alla fiducia nei propri mezzi.

Prima di addentrarci nel nucleo della storia, occorre rilevare che a Chieti c’è via Cesare de Lollis, ossia la tortuosa strada che dal Pozzo (piazza Valignani) conduce al Piano Sant’Angelo (piazza Matteotti). Tuttavia i teatini, molto legati al passato ed alle tradizioni, amano nominare questi toponimi secondo le vecchie denominazioni e così anche la via intitolata ad un insigne letterato di Casalincontrada, nel corrente lessico chietino, cede spesso il passo ad una più popolare via dello Zingaro, denominazione che resisteva fino al secondo dopoguerra. Per dirla tutta, una via dello Zingaro c’è ancora a Chieti e pure nello stesso rione dell’attuale via de Lollis, trattandosi di una traversa di quest’ultima strada che sfocia poi in via Materdomini. La via è intitolata, per l’esattezza, ad Antonio Solario detto lo Zingaro Pittore.

La vita e le origini di questo artista, su quando e dove sia nato e vissuto, sono peraltro oggetto di controverse ipotesi e di equivoci che conducono ad anacronismi, per via di omonimie. Difatti, nel corso dei secoli c’è chi lo ha considerato abruzzese, chi napoletano, chi veneziano e finanche lucano, pur se la tesi prevalente sembra proporre la nascita del pittore come avvenuta nell’Abruzzo Citeriore in Civita di Chieti: al riguardo alcuni tendono a identificare tale luogo come Ripa Teatina (dove pure esiste una via dello Zingaro) o addirittura Civita d’Antino (AQ) ma è chiaro che all’epoca la denominazione della città teatina era appunto Civitas Teatina (come peraltro riporta la dicitura di alcune monete coniate dalla zecca di Chieti). Anche la data di nascita è oggetto di disputa, nascendo verso la fine del XIV secolo per alcuni ed in quello successivo per altri. Dalle testimonianze raccolte dallo storico teatino dell’800 Gennaro Ravizza, sappiamo che Antonio Solario nacque a Chieti nel 1382, figlio di un calderaio che aggiustava pentole ed arnesi in rame per la cucina, spesso in giro per città e paesi del regno, per entrare nelle cucine di persone benestanti e nobili che necessitavano della riparazione di stoviglie. Questo continuo peregrinare di casa in casa, di città in città, che determinava uno stile di vita quasi nomade, in un’epoca in cui i soprannomi erano più eloquenti dei nomi stessi, era motivo di riconoscimento di siffatta categoria lavorativa con l’appellativo di zingari. Peraltro il Solario si guadagnerà tale qualifica anche per il suo continuo vagare in Italia per perfezionare quell’arte di cui dimostrerà di essere un autentico talento.

La storia di Antonio Solario cambia radicalmente quando si trasferisce a Napoli, dove associa la sua prevalente attività di conciacallare a quella di produttore di arnesi da cucina. La creatività e l’ingegno di questo giovane abruzzese faranno breccia nelle case di molti nobili della capitale del regno, al punto che le voci arriveranno anche alla reggia, tanto che lo zingaro riuscirà perfino ad entrare nella real cucina del re Ladislao. Qui conosce il pittore di corte Colantonio del Fiore[2] che lo assume per eseguire lavori nella propria casa. Il problema di lavoro per Antonio, abilissimo artigiano del rame, è la presenza di Angelica, la figlia di Colantonio, più o meno della stessa età del giovane, che è motivo di inquietudine del calderaio. Le giornate a casa di Colantonio, per mettere a posto le stoviglie di cucina, per Antonio trascorrono tra il suo daffare per mestoli, paioli e ferri vari e gli accattivanti sguardi che volge, ricambiato, verso la figlia del padrone di casa. Da lì al colpo di fulmine per entrambi il passo e breve ed è così che inizia una relazione tra i due, fatta di sincere reciproche promesse, che porterà il giovane a dichiararsi alla ragazza ed a chiedere a Colantonio la mano di Angelica.

Il calderaio Solario sa bene che, per evidenti disparità di rango, Colantonio non accetterà mai di darle in sposa la sua unica figlia e per questa ragione si fa coraggio e chiede udienza nientepopodimeno che a Giovanna di Durazzo[3], sorella di re Ladislao, affinché interceda presso Colantonio per convincerlo. La principessa Giovanna, che è molto sensibile a siffatte questioni sentimentali, fa chiamare il pittore di corte per informarlo che l’eventuale unione tra i due giovani è per lei motivo di grande gioia. A questo punto Colantonio si trova spiazzato ed è in profondo imbarazzo: da un lato apprezza il lavoro di quel giovane molto abile nel suo mestiere ma il matrimonio di sua figlia è un passo troppo impegnativo, per giunta con uno zingaro, dall’altro non vuole nemmeno dare un dispiacere alla sorella del re, suo datore di lavoro. Tuttavia Colantonio, che a Napoli è persona stimata per reputazione ed onestà, non concede la figlia al giovane ma, allo stesso tempo, neanche manifesta al Solario un diniego, ricorrendo, per così dire, ad una soluzione salomonica; il pittore di corte concederà la mano di sua figlia al giovane calderaio ma solo ad una condizione: quella di diventare un pittore di maestria e fama, almeno al livello di Colantonio stesso.

Tanto Colantonio, quanto Giovanna, sanno bene che la condizione chiesta al giovane ramaio è una missione impossibile e l’unico a crederci è proprio Antonio che promette alla fidanzata di riuscire nell’impresa e condurla all’altare: per tale ragione si fa promettere da Colantonio che lo stesso non farà maritare la figlia per almeno dieci anni, il tempo ritenuto necessario affinché Antonio da umile conciacallare diventi un affermato pittore. Il giovane Solario, a ventisette anni, lascia Napoli per intraprendere un lungo vagare per la penisola italiana, da Roma a Bologna, dalla Lombardia a Venezia e da Firenze a Ferrara, apprendendo le varie tecniche da eminenti mastri d’arte del tempo. Dopo più di nove anni e mezzo Antonio Solario torna a Napoli, dove si reca da un suo vecchio cliente, Ser Gianni Caracciolo[4], confidente di Giovanna d’Angiò ma di fatto sua amante che, nel frattempo, è stata incoronata regina di Napoli, in seguito alla morte del fratello re Ladislao I. Antonio chiede a Ser Gianni di essere accompagnato presso la regina per recarle in dono una sua tela raffigurante una Madonna col bambino contornata dagli angeli. Solario viene introdotto nella sala reale, al cospetto della regina che ringrazia per il gradito dono ma chiede chi mai sia questo pittore mai visto prima. A questo punto Ser Gianni presenta l’amico come Antonio Solario che una decina d’anni prima aveva servito anche nella real cucina, ricordando anche la promessa di matrimonio fatta da Colantonio del Fiore alla presenza dell’allora principessa e di essere tornato a Napoli proprio per sposare l’amata. Giovanna non crede a ciò che sta udendo: «Come sia possibile che un ferraro sia diventato un valente pittore?»

Giovanna decide allora di mettere alla prova il Solario chiedendogli di eseguire il ritratto di lei stessa, richiesta per la quale il pittore si mostra entusiasta di esaudire. Una volta terminato il ritratto, la regina, preso atto del valore e della maestria di quel giovane pittore, ha un’illuminazione per rendere concreto il sogno del medesimo, di cui la stessa Giovanna si è resa garante. In considerazione del fatto che, di lì a pochissimi mesi, il padre della ragazza sarebbe stato definitivamente sciolto dalla parola che lo vincola a tenere lontana dal matrimonio la figlia Angelica, la sovrana convoca Colantonio affinché possa dare un giudizio di merito su quella tela che la ritrae e che è stato appena realizzato. Il pittore di corte esamina in modo certosino il lavoro, esprimendo la sua positiva valutazione ed aggiungendo che lui stesso “non avrebbe saputo far meglio!” È la frase che Antonio aspettava da dieci anni a questa parte e, una volta uscito allo scoperto, la regina rivela all’anziano pittore chi è stato a dipingere quella tela. Colantonio non può allora esimersi dal venir meno alla parola data e, conseguentemente, concedere la mano di Angelica a quell’uomo che ha virtuosamente dimostrato di amare sinceramente sua figlia, pronunziando le seguenti parole, alla presenza della regina e di Solario: «Io concedo in sposa la mia figliuola ad Antonio Pittore non ad Antonio lo Zingaro». A tali affermazioni Giovanna replica: «Voglio che lo Zingaro sia così nominato e contraddistinto per la sua meravigliosa virtù». E chissà se la virtù di cui parlava la dissoluta Giovanna non fosse qualcos’altro, visto che tale focosa regina è passata alla storia per aver avuto uno stuolo di amatori degno di una pornostar attuale, non facendosi minimamente scrupolo del ceto sociale degli stessi, molti dei quali uccisi subito dopo l’amplesso, per evitare scandali a corte.

Sembra proprio una favola quella appena descritta che, oltre all’immancabile lieto fine del matrimonio di due giovani che hanno atteso dieci lunghi anni per coronare il loro sogno, registra anche la nomina dello zingaro pittore quale maestro di corte e pittore personale della regina d’Angiò, in luogo di Colantonio del Fiore, messo a riposo per raggiunti limiti di età. Da qui in avanti Napoli conoscerà un periodo particolarmente fecondo per l’arte figurativa, grazie anche alla diffusa produzione pittorica di Antonio Solario, la cui fama arriverà pure alle orecchie del Papa che gli commissionerà importanti opere a Roma. La bella favola dello zingaro pittore, al secolo Antonio Solario da Chieti, si chiude nel 1455, all’età di 73 anni, in quella Napoli dove l’artista teatino fa appena in tempo ad assistere, suo malgrado, al definitivo tramonto della casa angioina che tanto gli ha dato, per vedere salire Alfonso sul trono del regno che si appresta a vivere il suo lungo periodo aragonese.

 



[1] Giulio Genoino, Frattamaggiore (NA) 1778 † Napoli 1856, letterato e commediografo napoletano.

[2] Colantonio del Fiore è stato un pittore napoletano vissuto nel XV secolo, maestro di Antonello da Messina.

[3] Giovanna II d'Angiò Durazzo, nota anche come Giovanna II di Napoli, Zara 25/06/1371 † Napoli 2/02/1435, figlia del re Carlo III d'Angiò Durazzo e della regina Margherita di Durazzo, succedette sul trono di Napoli al fratello Ladislao I, deceduto privo di eredi legittimi. Fu regina di Napoli dal 1414, anno della morte del fratello, al 1435, anno della sua stessa morte.

[4] Giovanni Caracciolo, conosciuto come Sergianni o Ser Gianni, Napoli 1372 † Napoli 19 agosto 1432, è stato un condottiero e politico italiano, noto per essere stato l'amante della Regina del Regno di Napoli Giovanna II d'Angiò Durazzo, sulla quale esercitò grande influenza fino a divenire una sorta di re aggiunto. La stessa regina, temendo che l’accrescere del potere di Ser Gianni potesse essere nocumento per lei stessa, lo fece uccidere con venti pugnalate.

 

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