13 novembre 2021
Lungo il fiume Sangro, da Pescasseroli alla Costa dei Trabocchi. Geo, Rai3 - 2021.
11 novembre 2021
Angelo Iocco, Architettura d'Abruzzo nel Rinascimento: Le Torri campanarie quattrocentesche di Lanciano.
3 ottobre 2021
6 luglio 2021
Giosa Menna: Il Basso Sangro in una cartografia del 1702. Osservazioni e note storiche.
17 giugno 2021
28 aprile 2021
Angelo Iocco, Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
Sulle tracce dei Templari in Abruzzo, tra storia e leggenda.
di Angelo Iocco
Apprendiamo che
probabilmente, per maggiore vicinanza al mare Adriatico, e ai porti abruzzesi
quali Pescara, Ortona, Buca del Vasto, Punta Penna, i Templari nell'Abruzzo
preferirono, come riportato in un altro documento del 1320 dal Faraglia, essere
insediati nell'Apruzzo Citeriore al fiume Pescara, ossia il territorio di
Chieti, anche per un collegamento più agevole con la Puglia attraverso il
tratturo Magno. Papa Urbano predicò alla fine del Mille nella Cattedrale di
Chieti (1097), e dopo di lui Enrico VI figlio di Federico Barbarossa in San
Giovanni in Venere la Crociata per la Terra Santa, e dalla vicina Aterno oggi
Pescara, molti cavalieri Crociati si imbarcarono per il Santo Sepolcro da
liberare dagli infedeli. Per San Giovanni in Venere abbiamo notizie di
cavalieri crociati imbarcatisi da lì anche grazie al Chronicon di Santo Stefano
in Rivomaris redatto da un tal Berardo; anche se l'unico esemplare di
quest'opera, che proverrebbe dalla distrutta abbazia di Santo Stefano in
tenimento di Casalbordino, fu trascritto nelle Antichità dei Frentani dal noto
abate falsario Pietro Polidori da Fossacesia nel XVIII secolo, e dunque la
fonte va vagliata con tutte le pinze; soprattutto per quanto riguarda il carme
del "Plangite" scritto dal monaco, quando si menziona il disordine e
il numero di saccheggi causati nel Porto di Pennaluce vicino Vasto, per
l'imbarco dei Templari, durante la presenza di Enrico VI negli Abruzzi.
A proposito di Vasto,
lo storico Marchesani, prendendo anche dal suo predecessori Nicolafonso Viti,
ricorda la presenza a Vasto di due chiese dedicate al Santissimo Salvatore, una
dentro le mura di Guastum Aymonis (rione San Pietro), e l'altra nel casale San
Salvatore de Linari, oggi distrutto. Anche nei documenti Vaticani dei
possedimenti Templari in Abruzzo questa proprietà è menzionata, e qualcuno ha
congetturato, leggendo "Sancti Salvatoris de Linari propre Guastum",
ossia "vicino Vasto", che il territorio menzionato doveva essere
l'attuale Casalbordino, ricordando che nei documenti del XIII secolo, questo
feudo iniziò ad essere chiamato con il nome del feudatario, ovvero Roberto Bordinus, e per la presenza di una
parrocchia oggi del XVIII secolo, dedicata al Salvatore. Ma la congettura non
regge. Regge piuttosto la menzione nei documenti della presenza di un monastero
dei Cavalieri di Gerusalemme dedicato a San Giovanni, che era nel rione Guasto
d'Aimone, all'altezza dell'incrocio di Corso Plebiscito con Corso Dante, antica
strada del Bando, dove si trova pressappoco la chiesa del Carmine; monastero
citato in documenti insieme ad altri possedimenti Templari Abruzzesi in una
bolla di Papa Alessandro III nel 1173, che rimase integro sino alla metà del
XIX secolo, quando ridotto a fienile, venne demolito.
S.Giovanni, Vasto, coll.F.Marino |
Probabilmente grance
Templari nei dintorni dovevano essere anche presso la scomparsa chiesa di San
Martino con torre fortificata a Pennaluce, poi ad Atessa in località
Castelluccio, come menzionato sempre nei documenti Vaticani, e a Monteodorisio,
patria di frate Andrea, processato e interrogato nel palazzo vescovile di
Chieti. Inoltre altra località, che la leggenda locale vuole di proprietà dei
Templari, è Colle Flocco di Atessa, per la presenza della chiesa di San Nicola;
giudicando l'aspetto novecentesco della chiesa, a meno che non si compiano
scavi archeologici, non è possibile stabilire presenza di questi cavalieri in
situ. Piuttosto interesserebbe l'assonanza, in queste località, tra presenza di
Monaci Templari e Monaci dell'Ordine dei Celestini di Pietro da Morrone, con
l'edificio rappresentativo della Badia di Santa Maria di Collemaggio, per cui
si è scritto tanto anche sulla presenza templare in questo sito; a
Monteodorisio il santuario della Madonna delle Grazie era anticamente un
monastero celestino, e sopravvive ancora oggi il torrione di difesa dei
Celestini nel centro storico, a Vasto i Celestini avevano sede nel monastero di
Santo Spirito presso Torre Del Moro, dove oggi sorge il teatro Rossetti, in
parte ricavato dalle sue rovine; ad Atessa esisteva il monastero dei Celestini
presso il colle della Colonna di San Cristoforo, oggi scomparso; e così anche a
Chieti, i Celestini avevano due possedimenti dentro le mura, Santa Maria della
Civitella presso l'anfiteatro romano, e la chiesa poi passata alle Monache
Clarisse nel XVI secolo, che si trasferirono dalla vecchia chiesa di San
Giovanni, che ospitò invece l'ordine dei Cappuccini, a Porta Sant'Anna.
14 novembre 2020
Viaggiare in Italia nel '500. Serafino Razzi e 'I viaggi adriatici'.
Viaggiare in Italia nel '500. Serafino Razzi e 'I viaggi adriatici'. Con Camillo Chiarieri
Da: metapolitics
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“In terra d’Abruzzi”. Il diario di viaggio di Serafino Razzi
Sono molti i viaggiatori della letteratura, così come molta letteratura è stata prodotta da viaggiatori. In quanto metafora dell’esistenza umana, il viaggio coinvolge tutti, sia che si tratti di una partenza vera, sia che si tratti di uno spostamento immaginario, un sogno della fantasia, come ci ha insegnato fin troppo bene il Des Esseints della penna di Huysmans. Eppure, se di viaggi sono intessute le nostre vite, dai viaggiatori (moderni o meno) nascono pagine di letteratura dall’alto valore umano e documentario, memorie di viaggio sempre attuali, se il cuore dell’uomo resta lo stesso mentre cambiano epoche e giorni. Sono riconducibili all’Abruzzo d’età moderna molte memorie di viaggio: una terra che ha da sempre affascinato, attirando artisti, scrittori, pellegrini, registi, turisti di ieri e di oggi, villeggianti, autori di memorie. Tra questi, padre Serafino Razzi, tornando indietro di anni e anni, nel tempo.
È in questa accezione dunque che l’opera acquista un’importanza fondamentale.
Il frate domenicano Serafino Razzi (1531- 1611) intraprende “il viaggio alla riforma d’Abruzzi” come tappa ulteriore di un itinerario che lo aveva portato a visitare diverse città del tempo: siamo negli anni che vanno dal 1574 al 1577, sebbene è quasi certo che tutte le carte di viaggio siano state da lui successivamente rimaneggiate e sistemate intorno agli anni 1597-1601, per essere raccolte in due volumi manoscritti, di cui solo uno è giunto fino a noi. Il manoscritto superstite, segnato Palatino 37 e conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, è molto usurato, al punto che alcune carte risultano illeggibili (per la sezione relativa all’Abruzzo, si sono nel tempo susseguite diverse edizioni critiche, tra cui quella dell’editore Polla, di Luigi Anelli e di Benedetto Carderi).
Il testo ha il merito di ritrarre l’Abruzzo del tempo, con un’attenzione documentaria e cronachistica di cui non si hanno precedenti: dominano nella narrazione gli aspetti folcloristici e umani, l’attenzione per la citazione colta e per la cura del dettaglio formale, la chiarezza espositiva che sottolinea la vita raccontata nella geografia dei luoghi e dei giorni.
Grande scrittore e divulgatore di opere in latino e volgare, Serafino Razzi doveva essere di certo consapevole del valore culturale ed umano dei propri scritti, tanto da sottolinearne egli stesso l’utilità nella prefazione al manoscritto: “e non è questa sorta e maniera di scrivere se non gioconda et utile. Gioconda per la varietà degli accidenti che accaggiono dì per dì. Utile poi per la cognizione di molti luoghi, e di molte città, la quale si acquista et impara”.
Una dichiarazione di poetica e programmatica, dunque, di un certo impegno documentario e divulgativo, che se da un lato si può ricondurre al ludendo docere di deamicisiana memoria, offre una chiave di lettura importantissima sullo stato della società del tempo, da cui si evincono le difficoltà per il viaggiatore di ogni sorta e si enunciano gli opportuni consigli e ammonimenti: “nelle quali descrizioni sono molte cose spettanti […] alla informazione dei costumi, e delle cautele, le quali devono osservare coloro i quali fanno i viaggi”.
Effettivamente, l’Abruzzo di Serafino Razzi è una regione figlia dei tempi. Un territorio sottoposto al dominio spagnolo, che ha visto decadere la via degli Abruzzi quale direttiva principale dei commerci tra nord e sud nella penisola, che conosce il fenomeno del banditismo e delle incursioni saracene via mare. Ma allo stesso tempo è una terra luminosa e ubertosa, sospesa tra gli alti e impervi monti e la costa, dove si collocano centri vitali pieni di religiosità, monasteri e chiese, conventi e abbazie, testimonianze ricche di storia e di umanità.
Se l’occasione della visita è per il nostro frate la nomina a Priore del Convento di Penne nel luglio del 1574, il viaggio diventa per il lettore di ogni tempo un vero e proprio documento: colpiscono le pagine in cui si descrivono i centri principali, Civita di Penna, Solmona, la nobilissima città “patria del già famosissimo poeta Ovidio”, Pescara, “una fortezza, fatta a disegno militare e di mura e di sito quasi inespugnabile”, e ancora Chieti, Lanciano, Vasto, “terra deliziosa, già chiamata una picciola Napoli”, fino a Petacciata, Termoli. È vivida la descrizione di Spultore, città ricca di grano, così come sono vivide le trascrizioni latine e soprattutto i proverbi, espressione di una cultura popolare che reca con sé l’impronta della verità o testimonia la pratica della transumanza: “chi provar vuoi le pene dell’inferno la state in Puglia e all’Aquila lo inverno”, oppure“gran concio va al mulino”.
O ancora, particolare interesse riscuotono i passi in cui l’allarme per le incursioni turche scuote l’intera cittadina di Francavilla: “Ma non avevamo ancora compito il primo sonno della notte, che sentimmo gridare per la terra “all’armi” per cagione di fuste, che stimavano turchesche […] Onde la misera terra piena di spavento, tutta commossa, con molta sollecitudine incominciò a fare il fardello delle più preciose cose, et inviare le donne, per la porta di terra verso la montagna”.
Emerge dalle pagine uno spaccato di vita vissuta e semplicità, che alle difficoltà materiali del viaggio unisce il rischio per la presenza di briganti e banditi lungo le strade principali.
Può sembrare dunque vero ed essere smentito allo stesso tempo, quanto scriveva Boccaccio nel Decameron a proposito di un Abruzzo misterioso e lontano: difficoltà di viaggio certo, ma in un territorio che continua ad affascinare il viaggiatore di ogni sorta, via di passaggio peri pellegrini, i forestieri e i tanti religiosi che ancora alla fine del Cinquecento circolano nella regione.
Così, quella fama particolare, quell’aura fascinosa di luogo curioso e remoto che Frate Cipolla avvicinava fantasiosamente alla “Terra dei Baschi”, permane in minima parte ancora oggi, come dono del tempo e della tradizione: “E quindi passai in terra d’Abruzzi dove gli uomini e le femmine vanno in zoccoli su pei monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime; e poco più in là trovai genti che portavano il pane nelle mazze e il vin nelle sacche; da’quali alle montagne dei Baschi pervenni” (Boccaccio, Decameron, VI giornata).