di Angelo Iocco
Lo
stato della canzone abruzzese
Ogni regione della
nostra Italia ha un suo repertorio di canti tradizionali. L’Abruzzo possiede un
particolare e affascinante corpus melodico, analizzato da diversi scrittori a
partire dall’800, per quanto concerne le inchieste sul melos popolare.
Ricordiamo Fedele Romani, Giuseppe Pitrè, Antonio De Nino, Gennaro Finamore,
Raffaele Petrilli, Giovanni Papanti, Francesco D’Ovidio e Antonio Casetti, e
poi ancora neo Novecento Giovanni Pansa, Luigi Anelli, Donatangelo Lupinetti,
Ettore Montanaro, Francesco Verlengia, Emiliano Giancritofaro, Alan Lomax,
Diego Carpitella, Giuseppe Profeta, Antonio Piovano, d. Nicola Jobbi e altri.
Il canto popolare
rappresenta l’identità della propria terra. Per così dire, cristallizza diverse
pratiche comuni consolidate e modificate nei secoli, un sostrato da
intercettare, individuare verso dopo verso, quasi alla ricerca di una
enciclopedia tribale del proprio paese, della propria contrada di appartenenza.
Di questo si occuparono specialmente De Nino e Finamore, salvare dall’oblio
attraverso la trascrizione, i canti e le storielle popolari, e poi nel
Novecento con i moderni mezzi, registrare dalla viva voce di popolo le varie
versioni, per tramandare un documento per la ricerca degli addetti ai lavori.
Copiosa è la selva di
studi su queste tradizioni, e noi in questo breve scritto non possiamo che
ripercorrere le tracce di tutti quei contributi, la maggior parte dei quali, è
raccolta nella Bibliografia delle
tradizioni popolari abruzzesi, a cura di Giuseppe Profeta ed Enrico Di
Carlo, L’Aquila 2006. Al massimo possiamo azzardare qualche commento personale
sullo stato del canto abruzzesi nei nostri giorni.
Segue...
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