SANTA LUCIA: DA VILLA DELLE DELIZIE, A ORTO BOTANICO, A RUDERE
Uno dei tanti ruderi disseminati nella città. L’occhio ne è talmente abituato che nessuno se ne accorge. Al più percepisce un vuoto disdicevole che deprime la visione tra palazzi e teoria di villette sequenziate queste ultime l’una dall’altra. Malgrado la sua eroica Resistenza, il rudere è ormai prossimo alla caduta (fig. 1).
Si poteva pensare che tutto il crollato rendesse libera la terra da ogni impedimento. Che fosse sufficiente saper attendere. Ma quando un vincolo esiste con lo stesso occorre sempre fare i conti.
E che, dunque, il «Palazzetto d’Avalos» o, se si vuole, «Santa Lucia», veniva decretato dal Ministero per i Beni culturali e Ambientali «di intere interesse particolarmente importante» e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla legge 1° giugno 1939 n. 1089. Il Decreto Ministeriale datato 30 giugno 1986 veniva notificato al precedente proprietario il 30 ottobre dello stesso anno (figg. 2-3). E aggiungo, inoltre – come si evince dal testo –, che il documento comprende anche il vincolo per giardino annesso (la notifica viene pubblicata in questa sede cancellando il nome del destinatario). Il decreto ministeriale non spiega la ragione. Ma anche se ciò accade, il motivo si comprende benissimo dal fatto che risulta parte integrante – vero e proprio «luogo delle delizie» – dell’ex-complesso monumentale.
A tutta prima, la storia si presenta nel modo appena accennato. Ma questa è solo una parte. Perché l’altra, rimasta nascosta nella sua funzione, presenta notevole importanza sul versante dell’istruzione agraria (nel caso specifico, una scuola di mestiere). Da quest’ultimo punto di vista, la vicenda apre una diversa lettura della storia agraria dell’Abruzzo meridionale e della sua arretratezza denunziata dallo storico Luigi Marchesani, lamentando i precedenti fallimenti nell’istituzione di una scuola ad hoc: «Non so dolermi abbastanza del modo, onde l’agricoltura si esercita: […]. Ma tal è l’uso che i figli seguano immutabilmente le pratiche dei’ genitori, quasiché i nuovi lumi dell’agricoltura non esistessero: imperciò nel 1820 il Decurionato e ‘l Sindaco Quirino Majo cercarono stabilire in Vasto la cattedra di agricoltura». (Storia ecc., p. 162). Aggiungo, senza però riuscirvi. Ecco perché l’«orto botanico» di cui si sta parlando rispecchia proprio il modello professionalizzante del produttore in proprio di frutta camangiari; vale a dire, l’«ortolano». E ciò, secondo i criteri impartiti dalla Reale Istituzione Agronomica di Grignon (Savoia) fondata nel 1826, trasformata in Scuola Nazionale di Agronomia nel 1852. Vale a dire la stessa tipologia formativa adottata dal marchese Cosimo Ridolfi (cui è intitolato l’Istituto Agrario di Scerni) che, nel 1834, introduce presso la fattoria di Meleto Valdelsa (Firenze), la prima scuola di agraria in Italia indirizzata all’istruzione di fattori e direttori d’azienda. Va da sé che, in quelle istituzioni, decisiva risulta la presenza dell’orto botanico.
Mentre ciò accade, il medico vastese Francesco Romani (1785-1852) (fig. 4) lega gran parte del suo patrimonio (500 ducati) «in favore della sua Patria» per la realizzazione di «una scuola teorico-pratica di agricoltura». Nel testamento si legge che occorre «dimostrare col fatto la verità e utilità delle dottrine e delle pratiche che si insegnano […]. Perché, trattandosi di cose agrarie, il linguaggio più persuasivo che torna a generale profitto, ed è compreso da ogni classe di persone, è il fatto e l’esempio». Per realizzare tale programma, il dott. Romani prevedeva una Commissione di concorso per la nomina di uno studente da destinare ai corsi di Meleto Valdelsa e di Grignon. Si andava delineando, in tal modo, la concretizzazione del disegno romaniano. Nel 1855 avrebbe vinto il giovane Francesco Cerella di San Buono attraverso cui gli insegnamenti degli istituti francese e toscano si sarebbero innervati nella scuola vastese (a partire dal 1858). L’intreccio tra generale e particolare sarebbe così avvenuto un anno prima dell’Unità d’Italia.
Le vicende del «Legato Romani» avrebbero avuto una storia piuttosto complicata e ingarbugliata risoltasi solo nel 1902. In quegli anni i poderi sperimentali cambiano più volte sede: ex-Belvedere Romani, S. Onofrio, contrada Paradiso. Sicché, è a partire dal 1910 che, legando il patrimonio Romani alla Cattedra ambulante di Agricoltura, sarebbe stato istituito, insieme con Comune, Ministero dell’Agricoltura, Provincia di Chieti, il «Consorzio per la manutenzione della Cattedra Ambulante di Agricoltura del Circondario di Vasto». Da quel momento, sarà presa in affitto dai d’Avalos il complesso di Santa Lucia (fig. 6) (torre angolare della cinta muraria ora abbattuta), per iniziare l’attività didattica. La pianta che viene qui presentata è quella relativa all’«Orto Botanico» cantierato nel 1911. Da quel momento in poi, il Legato Romani avrebbe seguito il destino della Cattedra Ambulante di Agricoltura.
Di questa struttura fisica che ha garantito il funzionamento e l’organizzazione della coltura ortense nel territorio non esiste più nemmeno la polvere (fig. 7). Figuriamoci se si riesce a pensare al trasferimento della cultura internazionale di Grignon e Meleto Valdelsa in quel di Vasto! E perché no, anche a ricordare il galantomismo di un personaggio nato nell’ ancien règime ma che, con il suo patrimonio, ha pensato alla modernizzazione dell’agricoltura. Al contrario, malgrado la presenza della cappella di Santa Lucia, la cecità dei contemporanei sta procedendo a passi veloci per cancellare perfino la memoria toponomastica di Francesco Romani. «Così è se vi pare», potremmo dire con Pirandello, sottolineando l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può offrire la propria interpretazione. Ho detto “potremmo” se si trattasse di un fatto tragico. Ma si tratta solo di una commedia eseguita, tra l’altro, piuttosto maluccio. Del resto la fine di villa d’Avalos (Santa Lucia) e dell’Orto botanico è solo l’ultimo atto compiuto di un «cupio dissolvi» in atto. C’è ancora un bel po’ da cancellare. Ma tra breve sarà tutto risolto. Con la «cancel culture» alle porte nulla resterà come prima.
Le foto seguono l'ordine indicato nel testo.
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