Breve storia della biblioteca provinciale di Chieti “A. Camillo De Meis”,
di Tonino Palombaro.
Come mai la Biblioteca provinciale di Chieti è intitolata al patriota di Bucchianico “Angelo Camillo De Mesi” e non all’illustre teatino che fu il primo ad aprire la biblioteca pubblica a Roma sotto Giulio Cesare, ovvero Gaio Asinio Pollione?
E perché la circonvallazione dell’anfiteatro romano, ovvero la Civitella è intitolata al Generale voltagabbana Giuseppe Salvatore Pianell, che distrusse anche cospicui resti romani per spianare il campo della Piazza d’Armi?
Cominciamo dal 1739, quando arriva la donazione di un “copioso fondo librario” fatto alla città dal giureconsulto dottor Giacomo Antonio La Valletta e subito si presenta la necessità di un “luogo di lettura”.
Grazie alla disponibilità dell’Istituto dei Padri Scolopi delle “Scuole Pie”, nasce in città una pubblica biblioteca nell’attuale Convitto del G. B. Vico.
Passa quasi un secolo, siamo all’anno 1831 quando arriva una dichiarazione ufficiale del “Real Collegio dei Tre Abruzzi” che fa nascere in città la “Biblioteca Provinciale”, a disposizione del pubblico, che rimane sempre all’interno delle scuole Pie, realizzato sopra il refettorio in una sala per la consultazione e la lettura.
Dopo il 1860, quando l’Italia si unisce, poiché “la biblioteca” si era arricchita con nuove donazioni, viene trasferita nei locali della “Deputazione Provinciale”, anche perché, nel mentre ci fu un riordino delle strutture religiose.
Nel corso di un trentennio, il materiale culturale cresce sempre di più; sono oltre 10mila “i tesori della città”, non comprensivo di libri, ma di opuscoli, atlanti, anche dei primi documenti stampati con la tecnologia dei caratteri mobili che a quei tempi venivano chiamati con nomi strani, “quattrocentine o incunaboli” e il tutto viene di nuovo trasferito, questa volta al Palazzo di Giustizia in “Piazza Grande”.
Il luogo di cultura cittadino, vecchio ormai di due secoli, forse perché ancora mancante di una sede definitiva, non aveva ancora un nome, era chiamato “biblioteca” e solo nel 1931, quando arriva il lascito della famiglia De Laurentiis e di Angelo Camillo De Meis, (medico, filosofo, politico e patriota), viene deciso di dare il nome di questo celebre personaggio, nativo di Bucchianico, che aveva studiato nel regio liceo di Chieti, prima di portarsi a Napoli per la laurea.
Per dovere di cronaca, riportiamo che era stato anche pensato di intitolarla a Gaio Asinio Pollione, perché fondatore a Roma della prima biblioteca pubblica.
Passano pochi anni e nel 1935 il direttore della biblioteca Francesco Verlengia comincia le sue mosse per avere una vera struttura bibliotecaria; trova un giusto consenso e nel giro di pochi anni, nasce il complesso che ancora abbiamo oggi, seppur in parte inagibile.
La costruzione dell’intero complesso, risale al tardo periodo “fascista”, ovvero architettura littoria o razionalista.
Sono diverse in città le costruzioni di quell’epoca, ma questa mi pare un po’ unica, con uno stile architettonico del novecento e uno strano accostamento delle grandezze, la prima sviluppata in altezza, che prevale su tutta la zona dei “tempietti”.
La sua imponenza è anche meritata, perché al suo interno custodisce tutto il materiale storico non solo di Chieti, ma di tutta la regione; una documentazione del passato che deve essere mantenuta sempre in vita perché ripeto, “il passato rimane sempre la mamma del futuro”.
L’altro pezzo invece si adagia e sviluppa sulla superficie circostante, si accosta ai resti di un vecchio acquedotto romano ancora visibile in alcune parti dall’esterno, collegato al torrione o “grattacielo” che lo sovrasta ed ha un bell’ingresso simile a quello della pescheria, “un’esedra” all’inverso: dapprima un porticato, poi un’ampia reception e quindi gli uffici, la sala di lettura, la sala conferenze, la gradinata, l’ascensore e i servizi.
Tutto il complesso progettato dall’ing. Barra Caracciolo, molto noto in città per altre costruzioni, è molto bello.
I lavori iniziati nel 1938, furono lunghi e faticosi perché si edificava su resti romanici e venne ultimato a fine guerra, nel ’46 e fu inaugurata nel luglio 1947.
Nel corso degli anni, sono diversi gli interventi di trasformazione per essere adeguata alle nuove tecnologie, essendo un luogo molto frequentato per effetto della massa di studenti di allora e nasce l’esigenza di ampliare ancora il complesso.
Arriva il progetto per una nuova torre che affiancherà la precedente. Ma la notte del 3 giugno 2005, crolla una parte del vecchio fabbricato, l’ala bassa, nella parte posteriore, proprio dove prima della costruzione della nuova torre, si stava lavorando per il consolidamento dell’intera area.
E’ stata una vera fortuna la mancanza di vittime al momento del crollo, solo perché l’incidente è accaduto di notte; ma è stato ingente il danno culturale subito: sono andati persi circa 50mila volumi, rimasti sotto il peso delle macerie e nonostante i tentativi di recupero, sono rimasti lì.
La nostra “biblioteca”, (riporto come trovato nella ricerca), aveva una dotazione di oltre 300.000 volumi e ancora: le pergamene (150), le scritture antiche (2.000), 129 cartelle di manoscritti abruzzesi, gli autografi (tra cui “Il Piacere” di D’Annunzio), gli incunaboli (42 opere in 38 volumi), le cinquecentine e seicentine (oltre 2.000), le settecentine, i fogli volanti a stampa, i periodici abruzzesi, la raccolta fonografica, l’archivio iconografico.
Anche qualcosa che ci invidiano in regione, anzi nella città cugina …, la vicina “Pescara”: i cimeli “D’Annunziani”, la sua fanciullezza e giovinezza, ma anche le prime manifestazioni pittoriche di Francesco Paolo Michetti, nonché numerose opere d'arte, come rilievi di Modesto Parlatore, di Costantino Barbella, i quadri di Tommaso Cascella e altri pittori.
Questo indiscusso capitale, testimonia direttamente che la vocazione primaria della città è stata da sempre la cultura, riconosciuto quando si decide per le università in ogni regione, facendo nascere a Chieti “l’Università D’Annunzio”; solo in una seconda fase, sono state distribuite facoltà in altre città.
Inoltre, sottolineiamo che oltre la biblioteca provinciale "A.C. de Meis", ne abbiamo altre, quella del Seminario Regionale, su alla Villa Comunale, con i suoi testi di teologia e patrologia greca e latina.
Poi quella del Liceo Classico "G.B. Vico", nella cui sala, arredata con raro gusto, sono conservati preziose cinquecentine, incunaboli e manoscritti di illustri studiosi della storia patria.
Esiste anche una biblioteca all’interno del teatro Marrucino, dove vanno gli studiosi di storia dello spettacolo e della musica, intitolata al Comm. Mario Zuccarini perché è lui che ha pensato di crearla in quanto ritenuto "indispensabile sostegno della celebre istituzione teatrale teatina".
Poi sono anche arrivate le sale bibliotecarie nelle facoltà universitarie, che acquisiscono sempre più importanza e da non sottovalutare prima di concludere, che anche gli istituti superiori, lo Scientifico del "F. Masci" e l'Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri "F. Galiani", hanno le loro piccole biblioteche.
Inoltre, all’odierno, si cerca di dar vita a una biblioteca anche allo scalo, ma ancora scarso è il risultato, oltre i locali messi a disposizione dal Comune, solo le libere offerte di libri da parte di comuni cittadini.
E’ trascorso oltre un decennio dal crollo e ancora adesso la biblioteca presenta delle limitazioni nella frequentazione; l’accesso avviene con una certa difficoltà, intanto per la diversa logistica: tanti volumi sono stati “delocalizzati” in altre sedi ed anche prese in affitto.
Secondo me, appaiono delle innegabili carenze istituzionali ad aggravare il danno ha avuto un ruolo importante, per il ritardo nell’agire, la crisi mondiale che ha scombussolato i piani un po’ a tutti e ovunque.
Anche se capiamo che gestire “una biblioteca”, comporta degli indiscussi oneri economici, che i tagli e ritagli, operati in tal senso dal governo centrale prima e dopo anche dagli enti locali, (nello specifico è la Provincia direttamente chiamata in causa), rimango e lo dico con molta tranquillità, sconcertato dalla leggerezza del come si affrontano “i casi della vita”; questa in sintesi è la mia lettura.
Sono troppe le limitazioni che si stanno imponendo a un popolo che per natura ha come unica ricchezza dalla sua parte proprio la storia, i resti delle civiltà che si possono ammirare ovunque.
Chieti non ha altro che la cultura da vendere e questo non si può nascondere, non è democratico, non è civile, non è serio: le opportunità non si possono negare.
Ai miei tempi, non sono stato un “grosso frequentatore“ di biblioteca; spesso ho fatto percorsi più lunghi per raggiungere gli obiettivi che mi ero proposto, però ci sono stato, quando ho potuto; ho preso dei libri in prestito, ho usufruito della sala di lettura, ho potuto usare la sala conferenza per dei convegni associativi, ho trovato anche personale preparato e disponibile.
La funzione sociale e culturale della classica biblioteca, intendo “quella di sempre” con i suoi scaffali strapieni di tesori, di segreti, di storia …, i suoi piani di lettura, il suo silenzio, non potrà mai essere sostituito dall’avvento telematico, internet, ecc., perché ritengo che rimane in tutti immutato il fascino del libro, può essere piccolo, grande, colorato.
Pertanto, spero che gli amministratori, cerchino di restituire ai cittadini il maltolto in breve termine.
Ed anche se qualcuno di loro ha detto che “la cultura non porta da mangiare”, in cuor suo, sa benissimo che sono menzogne, perché è esattamente il contrario.
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