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18 novembre 2020

Francesco Scioli, Dialetto Teramano e dialetti abruzzesi orientali.

 


Francesco Scioli, Dialetto Teramano e dialetti abruzzesi orientali.


DialettoTeramano

di Francesco Scioli

Il dialetto teramano (terramanë o terramà a seconda dei luoghi) è una varietà della lingua napoletana (da non confondersi con il dialetto napoletano) parlata nella città italiana di Teramo e in alcuni centri della sua provincia. È da premettere innanzitutto che l'area teramana è la più settentrionale del dominio dei dialetti a vocale finale indistinta (il cosiddetto scevà, indicato con ë o ə) ed è, insieme a quella ascolana, la saldatura con l'area della 3º zona laziale-umbro-marchigiana a finale piena, che giunge fino alle frazioni meridionali dell'Aquila, alla Marsica occidentale, ad una parte del Basso Lazio, e, sul versante adriatico, poco più a sud del fiume Aso. 

Il teramano appartiene, come tutti gli altri dialetti dell'area adriatica, alla famiglia abruzzese orientale, quella cioè della metafonesi parziale solo da -i: il dialetto della città, nonché quelli delle aree site un po' più a nord ma specialmente a sud, presenta i maggiori legami di affinità con il pescarese cittadino e rurale, per le vicende storiche che hanno accomunato le due zone, che per secoli hanno fatto parte di un'unica area amministrativa, quella dell'Abruzzo Ulteriore; per cui malgrado la maggiore vicinanza geografica con Ascoli Piceno e la sua provincia, le parlate teramane tendono a differenziarsi abbastanza visibilmente da esse, salvo che per il lessico, e a produrre, nell'area della Val Vibrata, i fenomeni linguistici più svariati ed interessanti, frutto di continue sovrapposizioni linguistico-fonetico-lessicali. 


Il dialetto di Teramo città e dei centri limitrofi

Il tratto fonetico qualificante che contraddistingue questo dominio - comprendente oltre al capoluogo i centri limitrofi di Campli, Bellante, Mosciano Sant'Angelo, e in misura minore Sant'Omero, Tortoreto e Basciano - è il frangimento vocalico, che determina una serie di esiti a seconda della vocali originarie latine:

• le originarie chiuse é, ó si sono frante in à: nàve per "néve", quàllë per "quéllo", persàne per "persona", mentre "e" ed "o" aperta non si frangono;

• di riflesso, si è avuta la palatalizzazione di à, trasformatasi quasi in una è aperta, sollecitata da necessità strutturali, e che può essere resa con un segno grafico intermedio tra la "a" e la "e", ossia æ (in uso nell'alfabeto scandinavo, ad es. næve per "nave", lætte per "latte"); invece è solo nell'area meridionale della provincia Castelli, Bisenti, Arsita, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, così come nei centri contigui della confinante provincia di Pescara (Elice e Città Sant'Angelo) che la "a" viene resa con una vera e propria è aperta (pijètë per "presa", magnè per "mangiare");

• passando poi ad esaminare le originarie è aperte, che come detto non si frangono, per la spinta appena esaminata di "a" trasformatasi in "æ/è", è possibile registrare una certa tendenza - specie nella parlata dei più anziani, mentre presso le recenti generazioni è in via di regresso, anche per l'influsso dell'italiano standard - a pronunciarle in maniera non propriamente "chiusa" ma comunque con sfumature "medie", tendenti talvolta al chiuso (bélle per "bèllo", apérte per "apèrto", cérte per "cèrto", ecc.): questo fenomeno è assente nei soli centri di Castelli e Bisenti perché qui le "e" aperte sono distinte dalle "e" chiuse anche nel parlato italiano.

Dato il quadro così delineato, è probabile che l'area teramana sia stata uno dei principali centri di irradiazione dei frangimenti vocalici, al punto che essi sono ancora riscontrabili non solo nei centri più piccoli, ma anche nelle principali città, quali la stessa Teramo o Giulianova, nonché presso le ultime generazioni, che si presentano anche "orgogliose" di questo tratto fonetico: esse infatti continuano ad adoperarli notevolmente quando parlano in dialetto, a differenza di altre aree abruzzesi, dove i frangimenti rimangono in vita solo in alcuni paesi e tra le fasce più anziane della popolazione.

 

I dialetti della provincia

Il quadro fonetico delle parlate teramane tuttavia è molto complesso, poiché vi è un'area compatta che trasforma é chiusa in ò anziché in "a" (fòmmënë per "femmina" sigaròttë per "sigaretta", ecc). Essa è compresa tra Giulianova e Roseto degli Abruzzi sulla costa e abbraccia pressoché tutta la Val Vomano, (ben rappresentativa è la parlata di Montorio al Vomano), nonché si riscontra in molti centri montani, come Fano Adriano, Crognaleto, Pietracamela, Isola del Gran Sasso. A Castelli e Bisenti essa si ricongiunge con le parlate della provincia di Pescara (famiglia pennese), dove tale fenomeno dev'essere sopraggiunto successivamente, in quanto - come accennato nel paragrafo precedente - la é nella pronuncia italiana viene mantenuta chiusa, o comunque aperta solo leggermente, e comunque tenuta distinta dai parlanti dalla "è" aperta originaria (lo stesso dicasi per le "o" aperte e chiuse).

Molto interessante a tal proposito è il dialetto di Giulianova: questo centro infatti rappresenta da un lato la punta più settentrionale di penetrazione del frangimento di é in ò, che deve aver percorso la Val Vomano e, giunto sulla costa, aver risalito fino quasi alla foce del fiume Salinello, e dall'altro l'estrema propaggine meridionale dell'apocope dei finali di parola in -ne, -no e -ni, fenomeno tipicamente marchigiano diffuso fino ad Ancona, oltre che, sia pure in maniera del tutto slegata ed autonoma, all'Aquila ed anche in alcuni comuni "pontifici" presso Roma, specie nei Castelli Romani, ma qui è in forte regresso (in virtù di ciò, si hanno ad es. pallò per "pallone", cà per "cane", bè per "bene", ecc.). L'apocope è poi riscontrabile anche nelle frazioni di Bellante più vicine alla Val Vibrata, e si può avvertire sporadicamente pure a Mosciano Sant'Angelo, il cui nome in dialetto può suonare tanto come Musciànë (pronuncia autoctona) quanto come Mëscià, secondo la pronuncia dei numerosi abitanti originari di Giulianova trasferitisi nelle aree confinanti di questo comune: i dialetti di entrambe le località sono comunque rientranti nel "teramano" propriamente detto, in quanto é chiusa volge in à anziché in ò. Altro frangimento significativo è quello di ù in ì (brìttë per "brutto", chjìsë per "chiuso" sichìrë per "sicuro", tì per "tu", da qui il noto detto-scioglilingua "tìttili tìtti tì" per "tienitelo tutto tu"). Esso è presente a Giulianova e Roseto sulla costa, e da lì penetra nei rispettivi centri limitrofi (Mosciano, Bellante, Notaresco, ecc.), e può essersi originato tanto dall'interno verso la costa quanto il contrario. E' possibile poi riscontrare piccole variazioni nei centri limitrofi, come a Canzano, dove ù volge in é (téttë per "tutto").

Ad Atri e Pineto invece ricompaiono i frangimenti di é in à (dumànëchë, sàrë), ma a Scerne di Pineto, per l'influsso del rosetano, sono ancora presenti quelli in "o", o forse risultano mischiati e differiscono in base alle origini e alla pronuncia personale dei singoli abitanti. In particolare poi ad Atri le originarie ó chiusa ed ù si trasformano in é (pallénë per "pallone", culérë per "colore", faégnë per "faugni", festa locale, e si tratterebbe di una fase palatalizzata del teramano, ad es. culàrë). Tutto ciò, in aggiunta al fenomeno della palatalizzazione di à in è già analizzato per Teramo (che a sud-ovest di Atri, come a Castilenti, Elice, Città Sant'Angelo, ecc., diventa una vera e propria è aperta: passètë per "passato-a-i") - oltre che alla conseguente tendenza allo "scurimento" delle originarie è in é, e ancora, dell'influsso della maggiore chiusura vocalica delle "e" presente nella non lontana area vestina (da Città Sant'Angelo in giù) - determina, nella coscienza dei parlanti atriani, pinetesi e silvaroli, una forte tendenza a pronunciare tutte le "e" con suono intermedio tra l'aperto (originario) ed il chiuso (indotto), in ogni caso senza distinzione tra "e" aperte e chiuse. Tutto ciò dipenderebbe anche dal fatto che Atri in passato costituisse un'unica diocesi con Penne, e dunque vi sarebbero stati inevitabilmente dei contatti maggiori con l'area vestina, ove appunto le vocali sono pronunciate più chiuse. Infine, anche per le "o" si tende ad avvertire una apertura media, meno aperta cioè rispetto a Teramo, anche se tale fenomeno si manifesta in modo più evidente a Giulianova (per intensificarsi mano a mano che ci si spinge verso Alba Adriatica, dove poi si salda con la pronuncia lineare di tipo vibratiano-ascolano) ed a Roseto e lungo l'area della Val Vomano maggiormente vicina alla costa (Canzano, Castellalto, ecc.), e in particolar modo questo fenomeno si ha tra i più giovani, nel cui italiano regionale non mancano addirittura realizzazioni chiuse fortemente ipercorrette.

Mentre, come s'è visto, il confine tra le parlate "teramane" e quelle "pescaresi-pennesi" è molto labile, trattandosi di dialetti della medesima famiglia linguistica, lo stesso non è certamente da dire riguardo ai rapporti tra l'area linguistica teramana e quella ascolana, benché quest'ultima venga comunque ascritta per maggiore semplicità, nel dominio abruzzese: ne deriva che numerosi centri della parte settentrionale della provincia di Teramo presentino maggiori affinità con le parlate dei territori al di là del confine regionale, che perciò non coincide con quello linguistico. Le aree individuabili sono le seguenti: 

   a) area ascolana (Val Vibrata nord-occidentale): i comuni e le frazioni che possono essere perciò fatti rientrare nell'area linguistica ascolana possono essere ordinati in questa maniera, partendo da quello più affine in assoluto all'ascolano a quelli via via più distanti: Sant'Egidio alla Vibrata, Ancarano, Valle Castellana, Villa Lempa di Civitella del Tronto, Torano Nuovo, Controguerra. In queste località vigono gli elementi tipici del dialetto ascolano: la metafonesi sannita dittongata in ié e in uò per -u e -i finale nel caso di vocali aperte (biéllë, ciéndë, buónë, ecc.), e in ì e in ù per le vocali chiuse (gërìttë per "giretto", rùscë per "rosso", ecc.); l'assenza totale di frangimenti vocalici, l'apocope dei suffissi -ne, -no (cà per "cane", balcó per "balcone", cuntadì per "contadino", ecc.); la mancanza di caduta della -a finale, che però in alcuni centri si verifica nei vocaboli dove la consonante che precede la a è a sua volta preceduta da una vocale (spésë "spesa" a Controguerra); la caduta della vocale atona "o" all'interno di parola, che non viene scurita in "u" come nel resto della regione, per cui "portare" mentre in Abruzzo diviene purtà nell'ascolano e in Val Vibrata diviene invece përtà, con la "e" appena pronunciata.

 b) Area di transizione teramano-ascolana (Val Vibrata sud-orientale): è possibile poi individuare un'area propriamente transitoria tra ascolano e teramano, che comprende innanzitutto Nereto, comune che a lungo fu possedimento ed enclave ascolana nel regno borbonico, e che perciò soprattutto sul piano fonetico-morfologico-lessicale risente dell'ascolano, perché infatti la metafonesi è ancora dittongata in ié e in uò, la -a finale tende a conservarsi - pur essendo frutto di reintroduzioni successive, il che ha prodotto numerosi ipercorrettisimi (la moja, la neva, ecc) - e rimane la distinzione tra "e" ed "o" chiuse ed aperte; tuttavia la cadenza presenta influssi più propriamente abruzzesi rispetto alle località del primo gruppo. Condizioni simili presenta Civitella del Tronto, dove tra l'altro è in uso la forma teramana va bbònë ("va bene"), che convive con quella ascolana e marchigiana in genere va bbè;

c)   relativamente a Corropoli, Colonnella, Sant'Omero (salvo la frazione di Garrufo, il cui dialetto è affine al santegidiese) Martinsicuro ed Alba Adriatica presentano metafonesi monottongata in ì ed ù , sia pure ancora da -u ed -i finali (quindi analoga a quella sambenedettese) ed una pronuncia vocalica già aperta come a Teramo e parte centro-meridionale della provincia (buòna sèra, un calzòne). Inoltre, almeno fino alla metà del '900, Colonnella e Corropoli (che hanno poi "generato" rispettivamente Martinsicuro e Alba Adriatica quali scali costieri), presentavano frangimenti "teramani" di é in à e "giuliesi" di ù in ì, ora estintisi per via della pressione esercitata dalle parlate vibratiano-ascolane, che sono sempre state prive di mutamenti vocalici. Anche l'accento di queste zone risulta abbastanza ibrido, sia pure di base più vicino al teramano, ma le generazioni più giovani tendano ad essere influenzate dalle pronunce lineari ascolano-vibratiane, specialmente lungo la costa (Alba Adriatica in primis), che negli ultimi 60 anni ha fatto registrare un cospicuo incremento di popolazione, proveniente specialmente dall'entroterra.

 Altro punto di notevole interesse è costituito dalla parte più interna della Val Vomano confinante con la provincia dell'Aquila: in particolare, nei centri di Fano Adriano e Crognaleto (con le varie frazioni) si ha da un lato la prosecuzione dei frangimenti di é in ò, dall’altro la metafonesi anche da -u finale (monottongata in ì ed ù). A ciò si aggiunge inoltre una pronuncia vocalica lineare (senza dunque delle vocali tutte aperte), ed un accento che, pur in prevalenza riconducibile a quello della provincia di Teramo, risente di influssi aquilani: ciò è dovuto alla vicinanza al lago di Campotosto, facilmente raggiungibile dalla strada statale 80, ed ai centri aquilani che sorgono nei suoi pressi (Campotosto, Capitignano, Montereale). Pertanto, è proprio in quest’area che è situato il confine tra le parlate teramane (di tipo meridionale intermedio) e quelle aquilane (di tipo mediano). In particolare, i dialetti di tipo teramano risalgono il fiume Vomano e sono dunque parlati anche al di là del confine provinciale, ossia nelle frazioni più orientali del comune di Campotosto (Ortolano e Fucino-Case Isaia), con il lago di Provvidenza che funge da limite geografico netto: presso di esso nacque infatti, negli anni ‘40 del ‘900, una piccola frazione oggi disabitata in cui si parlava un dialetto anch’esso di tipo teramano, perché sorse come villaggio per impiegati Enel che lavoravano sulla diga di Campotosto, parecchi dei quali erano originari dell‘area montana del teramano. Il dialetto vira poi bruscamente all’aquilano (senza dunque aree “grigie“ di confine) a Campotosto paese e nelle sue frazioni più vicine di Mascioni e Poggio Cancelli.

 

La pronuncia delle vocali

Come si è già accennato, una caratteristica molto vistosa della parlata di Teramo e provincia risulta essere la pronuncia aperta delle vocali, nel senso che non si ha coscienza, nel parlato italiano, della distinzione tra "e" ed "o" chiuse ed aperte. Ne consegue un sistema definibile come "pentavocalico", ossia composto da cinque vocali ("a", "è" solo aperta, "i", "ò" solo aperta e "u"), che determina l'insorgere di un fenomeno tipico di altre aree italiane a vocali aperte, ossia l'ipercorrettismo: accade cioè che per reagire all'apertura indistinta di tutte le vocali la popolazione tende - in maniera variabile a seconda dell'età, del sesso e della località - a chiudere anche quelle "e" ed "o" che in italiano standard sono aperte.

L'apertura delle vocali è riscontrabile (sia in dialetto sia in italiano) nella maggior parte dei comuni della provincia di Teramo, specie nella parte centrale e costiera, per arrestarsi a nord presso Martinsicuro senza valicare il fiume Tronto, se non all'altezza della Sentina di Porto d'Ascoli, i cui abitanti più anziani dei casolari in aperta campagna parlano ancora martinsicurese. Tuttavia, è da ricordare che anche l'antico dialetto sambenedettese (ormai parlato soltanto da poche persone anziane) presenta vocali aperte (assenti tuttavia nell'italiano locale), e ciò rappresenta il lascito di antichi frangimenti vocalici un tempo diffusi lungo tutta la costa marchigiana meridionale fino a Porto San Giorgio, quindi in piena area mediana. A sud la pronuncia aperta scende lungo la costa a Montesilvano, Cappelle sul Tavo fino alla parte settentrionale della città di Pescara, un tempo appartenente alla provincia di Teramo (quartieri dei Colli e di Borgomarino nord, che furono popolati rispettivamente da contadini e pescatori provenienti dal teramano), ed inoltre - fatta eccezione per Penne e il suo circondario che hanno isocronismo parziale - è riscontrabile anche nei centri montani dell’area vestina (Farindola e Montebello di Bertona), quale prosecuzione dell’area meridionale interna teramana.

È possibile perciò desumere che l'apertura vocalica si sia irradiata da Teramo città in epoca molto antica, al punto che le uniche aree immuni sono le seguenti:

• quella settentrionale, corrispondente alla Val Vibrata e ai Monti della Laga (da Valle Castellana a Nereto), dove vigono condizioni "ascolane", fatta eccezione per i centri costieri (Martinsicuro e Alba Adriatica) e quelli dell'immediato entroterra (Corropoli e Colonnella), che presentano una pronuncia aperta come a Teramo (sia pure in regresso nelle fasce di età più giovani) e che fino a pochi decenni fa hanno mantenuto i frangimenti vocalici; 

• quella centrale montana, nei piccoli centri posti lungo la SS80 che collega Teramo all'Aquila (Crognaleto, Fano Adriano e rispettive frazioni): si presume che l'apertura delle vocali non abbia interessato queste zone per via del loro forte isolamento, anche se alcuni paesi di questo comprensorio presentano una pronuncia aperta, come è il caso di Pietracamela;

• quella meridionale al confine con la provincia di Pescara, dove vige l'isocronismo sillabico parziale, limitato cioè alla chiusura delle vocali aperte in sillaba libera ("béne", "cósa"), e quindi con il mantenimento della pronuncia chiusa delle vocali in sillaba chiusa (“détto”, “cónto”): tuttavia, analogamente alle aree prima esaminate, a centri con tali caratteristiche, cioè Castelli e Bisenti, se ne affiancano altri in cui le vocali assumono un unico suono aperto, come Arsita e Castilenti, mentre a Castiglione Messer Raimondo vige una situazione intermedia, con le “e” tutte aperte (con tendenza a chiusura ipercorretta) e le “o” con isocronismo parziale.

La pronuncia aperta delle vocali (con frangimenti residui o estinti) si può riscontrare anche nelle località collinari del Molise settentrionale prospicienti l'Adriatico (Petacciato e Montenero di Bisaccia) - che si pongono quale prolungamento meridionale dell’area dialettale vastese, essendo quest'ultima caratterizzata da frangimenti simili a quelli teramani, pur non presentando nell’italiano regionale vocali aperte bensì isocronismo parziale - ed infine ricompare nel punto isolato di San Giovanni Rotondo sul Gargano, nel cui antico dialetto erano altresì presenti frangimenti. C’è da dire poi che le vocali aperte sono presenti infine anche nell'estremo meridione (Sicilia, Calabria, Salento): ovviamente, siccome queste ultime aree non poterono in alcun modo essere entrate in contatto con il teramano, né con altre aree meridionali intermedie a vocali aperte, è da escludere categoricamente che possano averne influenzato la pronuncia, per cui l’unica ipotesi plausibile è che i frangimenti dovettero manifestarsi in una fase talmente precoce da influire sulla resa dell’italiano locale, aprendone quindi le vocali; inoltre, come già accennato, le aree di transizione ascolano-teramane a vocali aperte, pur non presentando frangimenti allo stato attuale, ne erano dotate fino a mezzo secolo fa.

 

La varietà di italiano regionale

La parlata del capoluogo ha finito per diffondersi un po' in tutti i centri della provincia, specialmente nelle aree interne: lo stesso non può dirsi per la costa, in cui da Tortoreto in su si fanno sempre più forti gli influssi ascolano-sambenedettesi, già storicamente presenti nella Val Vibrata, mentre nella zona centro-meridionale (Atri-Pineto-Silvi) si ha piuttosto una marcata influenza della parlata della non distante area metropolitana di Pescara - Montesilvano, soprattutto nel gergo giovanile: ne è un esempio l'espressione "marinare la scuola", che mentre a Roseto e Giulianova è resa ancora come a Teramo, ossia fare cùppe, a Pineto invece viene volta già in fare filone, come nella sottostante area pescarese/chietina e il resto dell'Abruzzo e dell'Italia centro-meridionale in genere.

Il registro linguistico della varietà locale italiana teramana viene spesso scambiato da chi viene da altre aree d'Abruzzo per quello di una parlata marchigiana, al punto che gli anziani pastori di Scanno utilizzavano per gli abitanti di Teramo e provincia l'appellativo di "marchìttë" in senso spregiativo. Infatti l'area teramana, situandosi al limite settentrionale dell'Abruzzo, risente di un discreto influsso piceno (marchigiano meridionale) nell'andamento prosodico del parlato: ciò risulta evidente soprattutto nella modulazione delle frasi interrogative, nel senso che le domande vengono rese con un'intonazione della frase in senso ascendente, in maniera cioè abbastanza simile all'ascolano; anche la parlata giovanile tende ad assumere caratteristiche tali da essere considerabile ad orecchio come accento "intermedio" tra quello dell'area metropolitana pescarese e quello ascolano. Ciò è riscontrabile pure nel lessico, poiché sono in uso diversi vocaboli ed espressioni molto popolari nelle Marche, specie ad Ascoli Piceno e provincia, come mi dà gušto per "mi piace", frechino per "bambino", abboccare per "finire in carcere", buffo per "debito", è piovuto invece della forma "ha piovuto", che invece è tipica della maggior parte dell'Abruzzo.


BIBLIOGRAFIA

Ernesto Giammarco, Abruzzo dialettale, Istituto di Studi Abruzzesi, Pescara, 1973;

Giuseppe Savini, La grammatica ed il lessico del dialetto teramano, due saggi di Giuseppe Savini, aggiuntevi poche notizie sugli usi, i costumi, le fiabe, le leggende del medesimo popolo teramano, Torino, E. Loescher, 1881;

Alfonso Sardella, Lu languazazze: raccolta di vocaboli dialettali teramani, Mosciano S. Angelo, Tipografia 2000, anno 2001;

Duilio Shu, Il dialetto di Mosciano Sant'Angelo, con presentazione di Carla Marcato, Artemia edizioni, Mosciano Sant'Angelo 2012.


Gabriele D'Annunzio


Dialetti abruzzesi orientali

di Francesco Scioli

 

Con l’espressione dialetti orientali d'Abruzzo, o anche dialetti abruzzesi orientali adriatici, si fa riferimento ai dialetti parlati nell’area costiera, collinare e pedemontana dell’Abruzzo, in particolare nelle province di Teramo, Pescara e Chieti. Si tratta di dialetti appartenenti al gruppo linguistico meridionale intermedio, meglio noto come “lingua napoletana”, e che Ernesto Giammarco suddivideva in tre gruppi da sud a nord: 

 1) il teramano, con epicentro Teramo, ed esteso in gran parte della sua provincia (con i centri principali di Giulianova ed Atri), fatta eccezione per gran parte della Val Vibrata, dove si parlano dialetti di transizione con quello ascolano; 

 2) il pennese (o “vestino”), con epicentro Penne ed esteso nell’area vestina (tra Città Sant'Angelo, Alanno, Farindola, Cepagatti e Spoltore); 

      3) il vastese, con epicentro Vasto, i suoi dintorni e l’entroterra (da Cupello a Castiglione Messer Marino), e che si estende nella confinante area settentrionale molisana (Petacciato, Montenero di Bisaccia, Guglionesi ed Agnone).

 

Dialetto teramano

Le caratteristiche principali della famiglia teramana, che ha come epicentro Teramo (l’antica Interamnia Pretutiorum) sono le seguenti: 

         - le originarie chiuse é, ó si sono frante in à: nàve per "néve", quàllë per "quéllo", persàne per "persona", mentre "e" ed "o" aperta non si frangono; 

         - di riflesso, si è avuta la palatalizzazione di à, trasformatasi quasi in una è aperta, sollecitata da necessità strutturali, e che può essere resa con un segno grafico intermedio tra la "a" e la "e", ossia æ (in uso nell'alfabeto scandinavo, ad es. næve per "nave", lætte per "latte"); invece è solo nell'area meridionale della provincia (Castelli, Bisenti, Arsita, Castiglione Messer Raimondo e Castilenti), così come nei centri contigui della confinante provincia di Pescara (Elice e Città Sant'Angelo) che la "a" viene resa con una vera e propria è aperta (pijètë per "presa", magnè per "mangiare");

Tuttavia, i vari centri della provincia di Teramo presentano tratti che differenziano anche notevolmente la loro parlata rispetto a quella del capoluogo, ed il quadro può essere così sintetizzato: 

a) nel dialetto di Giulianova è possibile riscontrare da un lato la punta più settentrionale di penetrazione del frangimento di é in ò, (mòttë per “mettere” vs teramano màttë), che deve aver percorso la Val Vomano e, giunto sulla costa, aver risalito fino quasi alla foce del fiume Salinello, e dall'altro l'estrema propaggine meridionale dell'apocope dei finali di parola in -ne, -no e -ni (pallò per “pallone”), fenomeno tipicamente marchigiano diffuso fino ad Ancona. Altro frangimento significativo del dialetto giuliese è quello di ù in ì (brìttë per "brutto", chjìsë per "chiuso", sichìrë per "sicuro", tì per "tu", da qui il noto detto-scioglilingua "tìttili tìtti tì" per "tienitelo tutto tu"). Esso è presente a Giulianova e Roseto sulla costa, e da lì penetra nei rispettivi centri limitrofi (Mosciano Sant'Angelo, Bellante, Notaresco, ecc.);

 b)  nel dialetto di Atri invece ricompaiono i frangimenti di é in à (dumànëchë, sàrë), mentre le originarie ó chiusa ed ù si trasformano in é (pallénë per "pallone", culérë per "colore", faégnë per "faugni", festa locale, e si tratterebbe di una fase palatalizzata del teramano, ad es. culàrë).

 c) nell’area della Val Vibrata, come accennato, si parlano dialetti di transizione tra quello teramano e quello Ascolano, ed infatti si può assistere ad un passaggio progressivo da parlate quasi del tutto ascolane, come quella di Ancarano, ad altre ormai pressoché teramane, come quella di Sant'Omero. In particolare, a Nereto la metafonesi è ancora dittongata in -ié- e in -uò- come ad Ascoli, la -a finale tende a conservarsi - pur essendo frutto di reintroduzioni successive, il che ha prodotto numerosi ipercorrettisimi (la moja, la neva, ecc) - e rimane la distinzione tra "e" ed "o" chiuse ed aperte. Viceversa, nella vicina Corropoli si ha metafonesi monottongata in -ì- ed -ù-, sia pure ancora da -u ed -i finali (analoga a quella sambenedettese) ed una pronuncia vocalica già aperta come a Teramo e parte centro-meridionale della provincia (buòna sèra, un calzòne). Inoltre, almeno fino alla metà del '900, Colonnella e Corropoli presentavano frangimenti "teramani" di é in à e "giuliesi" di ù in ì, ora estintisi per via della pressione esercitata dalle parlate vibratiano-ascolane, che sono sempre state prive di mutamenti vocalici.

 d) nella parte più interna della Val Vomano confinante con la provincia dell'Aquila: in particolare, nei centri di Fano Adriano e Crognaleto (con le varie frazioni) si ha da un lato la prosecuzione dei frangimenti di é in ò, dall’altro la metafonesi anche da -u finale (monottongata in -ì- ed -ù-). A ciò si aggiunge inoltre una pronuncia vocalica lineare (senza dunque delle vocali tutte aperte), ed un accento che, pur in prevalenza riconducibile a quello della provincia di Teramo, risente di influssi aquilani: ciò è dovuto alla vicinanza al lago di Campotosto, facilmente raggiungibile dalla strada statale 80, ed ai centri aquilani che sorgono nei suoi pressi (Campotosto, Capitignano, Montereale). Pertanto, è proprio in quest’area che è situato il confine tra le parlate teramane (di tipo meridionale intermedio) e quelle aquilane (di tipo mediano). In particolare, i dialetti di tipo teramano risalgono il fiume Vomano e sono dunque parlati anche al di là del confine provinciale, ossia nelle frazioni più orientali del comune di Campotosto (Ortolano e Fucino-Case Isaia), con il lago di Provvidenza che funge da limite geografico netto.       e) particolare risulta essere anche il dialetto di Pietracamela: in aggiunta al passaggio in sillaba chiusa di /e/ tonica in /o/, come nei toponimi PĬNNA > Penne / Pònne e Betlemme / Betlòmme: («Ha netë a Betlòmmë lu Santë Bambun», secondo un canto religioso pretarolo) e più in generale della koinè abruzzese, come alcuni frangimenti delle vocali toniche chiuse in sillaba aperta (PULLĬCĒNUM > pulcino / pëcèunë; NĔPOTEM > nipote / nipautë ecc.) o la trasformazione, fino al dileguo, della vocale atona finale (V > [ë]), tipica del versante adriatico di contro al versante aquilano, gli elementi più caratteristici del pretarolo riguardano il lessico e la sintassi. Dal punto di vista lessicale, è possibile infatti riscontrare vocaboli di chiara o possibile origine straniera, in particolare albanese o più correttamente arbëreshe (ossia "albanese d’Italia"), le quali sembrano non essere attestate in alcuna delle varietà dei centri vicini e del resto della regione: è molto verosimilmente il caso di vascia (“ragazza”, “figlia” in pretarolo) - riscontrabili nelle comunità italo-albanesi molisane di Campomarino e Portocannone (Campobasso) - mentre risulta più complesso il caso di r(i)juf / r(u)woff(a) (“bambino”, “bambina” in pretarolo), forse riconducibile a rufë, attestato a Chieuti (isola linguistica arbëresh della provincia di Foggia) e indicante la crosta lattea del bambino, attraverso un procedimento metonimico del tutto analogo a quello che porta a “moccioso” da “moccio”. La possibile parentela con le varietà italo-albanesi potrebbe essere spiegata dalla presenza, documentata, di mercanti di pellame «greci e schiavoni» ai Prati di Tivo nel XVII secolo. Inoltre, essa è in parte confortata da alcuni peculiari aspetti antropologici ancora vivi a Pietracamela e riscontrabili ancora oggi in alcune comunità italo-albanesi, come ad esempio la presenza di prefiche durante i riti funebri le quali, alla fine del rito, chiedono al parente del defunto se sia stato soddisfatto del loro operato.

 

Dialetto pennese

L’area vestina ha come epicentro Penne (l’antica Pinna dei Vestini), il cui dialetto sostituisce la é chiusa con la ò (es. Pònnë invece di Penne), fenomeno presente anche in numerosi altri centri, quali Pianella (localmente detta Pianòllë), Cepagatti e Spoltore (eccettuate le aree di Villa Raspa e Santa Teresa, ormai fusesi col dialetto pescarese). A ciò si aggiunge il passaggio di è ed ò aperti in sillaba aperta in é ed ó chiuse (pétë per “piede”, bónë per “buono”), nonché quello ormai in regresso di ó chiusa in sillaba aperta in àu (patràunë per “padrone”). E’ da notare tuttavia come anche qui molti centri distanti pochi chilometri fanno un uso totalmente diverso delle vocali: 

  a) il dialetto di Loreto Aprutino utilizza la "u" stretta (eu) (es. Lurétë [Ly're:tə] invece di Loreto), e alla "o" pennese sostituisce una sorta di "e" gutturale con accentazione poco forte quasi centralizzata a schwa (më' [mɜ] per "me"); 

  b) il dialetto di Montebello di Bertona che fa largo uso di "u" sostituendola ad altre vocali (es. Mundubbèllë invece di Montebello Abbruzzùsë per "Abruzzesi");

  c) il dialetto di Città Sant'Angelo che fa largo uso di "è" sostituendola ad altre vocali (es. Chi sti fè? per "Cosa stai facendo?, jè per "io", ecc.). In tale area sono ricompresi anche i paesi dell'alta valle del fiume Fino in provincia di Teramo, e in particolare la sostituzione della "e" con la "o", insieme a quella della "a" con la "e" (es.: patènë invece di patate, chèsë in luogo di casa), si ritrova nel dialetto di Bisenti.

Non bisogna comunque dimenticare come l’area in questione è da tempo soggetta ad una progressiva uniformazione al dialetto parlato a Pescara e nell’area metropolitana in genere, che funge da luogo di aggregazione per la popolazione più giovane, e che pertanto gioca un ruolo preponderante anche nelle dinamiche sociolinguistiche.

 

Dialetto vastese

Il dialetto vastese (che ha come epicentro Vasto, l’antica Histonium) è il più meridionale dei dialetti abruzzesi, molto diverso dagli altri dialetti della provincia di Chieti, caratterizzato da numerosi frangimenti vocalici, che qui vengono passati in rassegna per tutte le 7 le vocali relativamente alla variante di Vasto, a cui può essere equiparata quella di San Salvo, mentre le differenze vanno aumentando mano a mano che ci si allontana dal centro principale. Abbiamo dunque i seguenti fenomeni: 

     - la a si palatalizza in è aperta in sillaba aperta (pènë per “pane”), mentre assume un suono simile ad “ò” in sillaba chiusa, che può essere reso graficamente con å (cavållë per “cavallo”); 

      - la è aperta in sillaba aperta diventa é chiusa (pétë per “piede”); 

     - la é chiusa dà luogo ad ài in sillaba aperta (nàirë per “nero”) e ad à in sillaba chiusa (fràddë per “freddo”); 

      - la ì dà luogo ad éi in sillaba aperta (fërméichë per “formica”) e a é in sillaba chiusa (gréllë per “grillo”); 

       la ò aperta dà luogo al dittongo éu in sillaba aperta (béunë per “buono”) e si chiude in ó chiusa in sillaba chiusa (mórtë per “morte”); 

     la ó chiusa dà luogo al dittongo àu in sillaba aperta (patràunë per “padrone”) e ad à in sillaba chiusa (sàrgë per “sorcio”); 

     la ù dà luogo al dittongo iù in sillaba aperta (schiùrë per “scuro”) e ad ì in sillaba chiusa (sìbbetë per “subito”).

Il dialetto è stato studiato dal poeta locale e storico Luigi Anelli, che ha curato un Vocabolario della parlata vastese, dopo che era stato studiato parzialmente da Antonio De Nino e Gennaro Finamore. Attualmente è rappresentato dal poeta locale Fernando d'Annunzio.

 

ALTRE AREE DIALETTALI

In aggiunta alle aree individuate da Giammarco, è possibile completare il panorama dialettale abruzzese adriatico con la determinazione di ulteriori famiglie dialettali più o meno estese.

Dialetto pescarese (area metropolitana costiera centrale)

Si tratta di quella di più recente formazione, in quanto nata dalla fusione dei due dialetti parlati nell’ex territorio di Castellamare Adriatico (un tempo in provincia di Teramo e quindi più tendente al teramano) e di Pescara Portanuova (un tempo in provincia di Chieti e pertanto con parlata di stampo chietino, ai tempi di D'Annunzio peraltro fortemente influenzata dal napoletano), e che attualmente sta attraversando un processo di notevole espansione tra le ultime generazioni di un’area molto vasta, estesa dal sud della provincia di Teramo (Silvi Marina) fino al nord della provincia di Chieti (Francavilla al Mare e San Giovanni Teatino), mentre le parlate originarie di queste località sopravvivono solo tra le persone di età superiore ai 50 anni. Pertanto, risulta sempre più evidente il ruolo di koiné assunto da questa varietà, la cui espansione è stata veicolata dalla crescita progressiva di una vera e propria area metropolitana, nata dalla fusione dei vari centri urbani della costa (e dell'immediato entroterra) in un'unica conurbazione, nonché dallo sviluppo di nuovi quartieri tuttora in espansione che hanno accolto le nuove generazioni di abruzzesi, i quali hanno assunto il dialetto pescarese per integrarsi nelle nuove aree di residenza.

Il dialetto pescarese antico (della parte sud della città, quindi di stampo "chietino") affiora in molti passaggi delle Novelle della Pescara (1902) e nei distici dialettali di Gabriele d'Annunzio. Esempi più recenti di componimenti in dialetto pescarese sono rinvenibili nelle opere di Giuseppe Tontodonati, originario di Scafa, e nella raccolta Stelle lucente (1913) di Alfredo Luciani, originario di Pescosansonesco.

 

Dialetto chietino (Chieti e nord provincia)

Altra parlata è quella chietina, parlata a Chieti (l’antica Theate Marrucinorum) e nei territori ad essa limitrofi, parte dei quali ricade oggi in provincia di Pescara (area tra Scafa e Manoppello): non si tratta di un’area davvero compatta, in quanto si registrano sensibili differenze tra i vari comuni nonché tra le frazioni degli stessi, e se da un lato è agevole determinare il confine settentrionale – costituito dal fiume Pescara che la separa nettamente dall’area vestina – dall’altro non è semplice individuare una precisa linea di demarcazione con le varietà del resto della provincia. E’ comunque possibile individuare al suo interno un’area caratterizzata da isocronismo sillabico completo (vocali aperte in sillaba chiusa e chiuse in sillaba aperta), che comprende la stessa Chieti e gran parte dei comuni della Val Pescara, ed un’altra ad isocronismo parziale (limitato cioè alla sola chiusura delle aperte in sillaba aperta), che si estende subito a sud e ad est di Chieti (Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Torrevecchia Teatina, Francavilla al Mare, ecc.).

Non mancano poi aree che presentano situazioni intermedie, quali quella di Villamagna, che ha isocronismo completo per le “o” e parziale per le “e”, e quella di Roccamontepiano e Ripa Teatina, che presentano l’isocronismo in maniera diametralmente opposta, ossia completo per le “e” e parziale per le “o”. L’alternanza tra i due tipi di isocronismo è molto guizzante, la si ritrova anche nei comuni più a sud (Orsogna, Arielli, Crecchio, Tollo), che costituiscono aree di transizione e saldatura tra quelle a dialetto chietino e quelle frentane: è interessante notare come il confine tra queste due aree dialettali ricalca ancora fedelmente quello tra le antiche popolazioni italiche dei Marrucini e dei Frentani.

 

Dialetto frentano (area lancianese)

Queste parlate hanno come epicentro Lanciano (l’antica Anxanum del popolo dei Frentani) e sono diffuse in tutti i territori un tempo sotto il dominio di questa popolazione pre-romana, ossia fino ad Ortona a nord e il fiume Sangro a sud, che segna il confine con l’area vastese. Anche in quest'area vi sono numerosi punti in cui è difficile tracciare un confine netto, poiché come detto le varietà sfumano a nord verso quelle chietine mentre a sud-ovest una volta superata Atessa (ancora considerabile come frentana, benché qui sia evidente il fenomeno del frangimento vocalico di "é" chiusa in "ò" analogamente a quanto accade a Guardiagrele e Casalbordino) si assiste ad un passaggio progressivo verso le aree dialettali abruzzesi e molisane dell’alto Sangro.

Bisogna ricordare che la città di Lanciano è stata per molti secoli luogo di incontro di diverse popolazioni abruzzesi e non, vista la rinomanza delle sue fiere annuali, ed essendo la stessa anche in rapporti commerciali con le popolazioni dalmate del Mar Adriatico, senza dimenticare la presenza di consolati veneti presso porto di San Vito Chietino. Il dialetto lancianese è stato ben analizzato da Gennaro Finamore, che ha visto in esso il punto di partenza per l'analisi di molti altri dialetti della provincia di Chieti: rispetto alla sua epoca, tale parlata ha subito come le altre una progressiva "normalizzazione" linguistica, visibile nelle poesie di Cesare Fagiani e Giuseppe Rosato; Finamore infatti annotava una forte palatizzazione e una forte vocalizzazione, con la pronuncia delle vocali lunghe molto aperte, soprattutto l'a aperta lunga, che somigliava quasi a una o aperta.

 

Dialetti chietini della Majella

Si tratta di un gruppo di dialetti molto differenziati tra loro, che nella parlata delle generazioni più anziane conservano tracce di notevole arcaicità: quali centri principali, si possono citare Caramanico Terme e San Valentino in Abruzzo Citeriore (in provincia di Pescara, versante occidentale della Majella), Pretoro e Guardiagrele (in provincia di Chieti, versante orientale della Majella). Quest’area si congiunge a ovest con i dialetti peligni (zona di Tocco da Casauria), mentre a sud sia con quelli altosangrini (zona di Palena, Pizzoferrato ed altri centri) sia con quelli frentani (zona a est di Casoli).

 

Zona di "saldatura"

Il Giammarco ha individuato una ristretta area, situata a ridosso del versante orientale della Majella, che comprende le parlate di Palena, Lama dei Peligni, Torricella Peligna e Casoli: si tratta di dialetti che presentano contemporaneamente tratti abruzzesi "occidentali" (la doppia metafonia di "a" aperta e chiusa e la presenza del genere neutro) ed "orientali" (metafonia da sola -i finale, sia pure in forma dittongata come le aree occidentali, ad es. mètëchë ma mìëtëchë). Rileva inoltre il Finamore che il dialetto di Palena, ossia il centro situato nell'estrema area sud-occidentale della Majella, è di assai difficile classificazione, in quanto per la sintassi somiglia molto alle parlate altosangrine di Roccaraso e Pescocostanzo, mentre per la pronuncia delle vocali e l'accento è più affine al frentano casolano, con dittongazione delle vocali lunghe.

Infine, lo stesso fenomeno della dittongazione è riscontrabile nei vicini paesi montani di Villa Santa Maria, Quadri, Borrello, Rosello, Civitaluparella, ecc., che possono essere ricompresi in una subarea di transizione con le parlate altosangrine molisane: infatti tali centri, essendo situati in un'area all'estremo confine col Molise, presentano la metafonesi dittongata anche da -u finale, quale prosecuzione delle condizioni dialettali vigenti nella regione limitrofa (ad es. Rusiellë per "Rosello").

 

In poesia, il gruppo adriatico abruzzese è stato descritto dai linguisti, ma anche da vari poeti e dialettologi locali: 

   Modesto Della Porta per il guardiese; 

   Cesare De Titta, Cesare Fagiani e Giuseppe Rosato per il lancianese; 

   Luigi Dommarco e Alessandro Dommarco per l'ortonese; 

   Vincenzo Coccione, Luciano Flamminio, Plinio Silverii per l'orsognese; 

   Raffaele Fraticelli e Renato Sciucchi per il chietino; 

  Gennaro Finamore e Antonio Casetti per Gessopalena e i dialetti dell'alto Sangro e            Antonio Del Pizzo per Lama dei Peligni; 

   Gabriele d'Annunzio per il pescarese del XIX secolo; 

   Alfredo Luciani, Giuseppe Tontodonati per il pescarese della seconda metà del '900; 

   Luigi Brigiotti e Alfonso Sardella per il teramano; 

   Alfredo Polsoni per Paglieta; 

   Luigi Anelli, Gaetano Murolo, Fernando D'Annunzio per il vastese.

 

 BIBLIOGRAFIA

Finamore Gennaro, Vocabolario dell’uso abruzzese (parlata di Gessopalena), rist. anast. della prima edizione del 1880, Lanciano 1991, Carabba.

Finamore Gennaro, Vocabolario dell’uso abruzzese (parlata di Lanciano), rist. anast. dell’edizione di Città di Castello del 1893, Bologna 1967, Forni.

Giammarco Ernesto, Antologia dei poeti dialettali abruzzesi, Centro Studi Abruzzesi, Pescara 1958, «Attraverso l’ Abruzzo».

Giammarco Ernesto, Storia della cultura e della letteratura abruzzese, Roma 1969, Edizioni dell’Ateneo.

(a) Giammarco Ernesto, Abruzzo antico e nuovo. Abruzzo italico e romano, Istituto di Studi Abruzzesi, Pescara 1973, Tipografia Ferretti.

(b) Giammarco Ernesto, Abruzzo dialettale, Istituto di Studi Abruzzesi, Pescara 1973, Tipografia Ferretti.

Giammarco Ernesto, Abruzzo, Pisa 1979, Pacini.

Giammarco Ernesto, Il dominio longobardo in Abruzzo, Roma 1994, Gruppo Editoriale Internazionale.

Savini Giuseppe, La grammatica ed il lessico del dialetto teramano, rist. anast. dell’edizione di Torino del 1881, Bologna 1971, Forni.

(TAM) Giammarco Ernesto, Toponomastica abruzzese e molisana, Roma 1990, Edizioni dell’Ateneo.

Tontodonati Giuseppe, Vocabolarietto dell'uso Abruzzese. Coinè dialettale pescarese, Pescara 2004, Istituto di Studi Abruzzesi.




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