Francesco Scioli, Dialetto Teramano e dialetti abruzzesi orientali.
di Francesco Scioli
Il
tratto fonetico qualificante che contraddistingue questo dominio - comprendente
oltre al capoluogo i centri limitrofi di Campli, Bellante, Mosciano Sant'Angelo,
e in misura minore Sant'Omero, Tortoreto e Basciano - è il frangimento
vocalico, che determina una serie di esiti a seconda della vocali originarie
latine:
•
le originarie chiuse é, ó si sono frante in à: nàve per "néve",
quàllë per "quéllo", persàne per "persona", mentre
"e" ed "o" aperta non si frangono;
•
di riflesso, si è avuta la palatalizzazione di à, trasformatasi quasi in una è
aperta, sollecitata da necessità strutturali, e che può essere resa con un
segno grafico intermedio tra la "a" e la "e", ossia æ (in
uso nell'alfabeto scandinavo, ad es. næve per "nave", lætte per
"latte"); invece è solo nell'area meridionale della provincia
Castelli, Bisenti, Arsita, Castiglione Messer Raimondo, Castilenti, così come
nei centri contigui della confinante provincia di Pescara (Elice e Città
Sant'Angelo) che la "a" viene resa con una vera e propria è aperta
(pijètë per "presa", magnè per "mangiare");
•
passando poi ad esaminare le originarie è aperte, che come detto non si
frangono, per la spinta appena esaminata di "a" trasformatasi in
"æ/è", è possibile registrare una certa tendenza - specie nella
parlata dei più anziani, mentre presso le recenti generazioni è in via di
regresso, anche per l'influsso dell'italiano standard - a pronunciarle in
maniera non propriamente "chiusa" ma comunque con sfumature
"medie", tendenti talvolta al chiuso (bélle per "bèllo",
apérte per "apèrto", cérte per "cèrto", ecc.): questo
fenomeno è assente nei soli centri di Castelli e Bisenti perché qui le
"e" aperte sono distinte dalle "e" chiuse anche nel parlato
italiano.
Dato
il quadro così delineato, è probabile che l'area teramana sia stata uno dei
principali centri di irradiazione dei frangimenti vocalici, al punto che essi
sono ancora riscontrabili non solo nei centri più piccoli, ma anche nelle
principali città, quali la stessa Teramo o Giulianova, nonché presso le ultime
generazioni, che si presentano anche "orgogliose" di questo tratto
fonetico: esse infatti continuano ad adoperarli notevolmente quando parlano in
dialetto, a differenza di altre aree abruzzesi, dove i frangimenti rimangono in
vita solo in alcuni paesi e tra le fasce più anziane della popolazione.
I dialetti della
provincia
Il
quadro fonetico delle parlate teramane tuttavia è molto complesso, poiché vi è
un'area compatta che trasforma é chiusa in ò anziché in "a" (fòmmënë
per "femmina" sigaròttë per "sigaretta", ecc). Essa è
compresa tra Giulianova e Roseto degli Abruzzi sulla costa e abbraccia
pressoché tutta la Val Vomano, (ben rappresentativa è la parlata di Montorio al
Vomano), nonché si riscontra in molti centri montani, come Fano Adriano,
Crognaleto, Pietracamela, Isola del Gran Sasso. A Castelli e Bisenti essa si
ricongiunge con le parlate della provincia di Pescara (famiglia pennese), dove
tale fenomeno dev'essere sopraggiunto successivamente, in quanto - come
accennato nel paragrafo precedente - la é nella pronuncia italiana viene
mantenuta chiusa, o comunque aperta solo leggermente, e comunque tenuta
distinta dai parlanti dalla "è" aperta originaria (lo stesso dicasi
per le "o" aperte e chiuse).
Molto
interessante a tal proposito è il dialetto di Giulianova: questo centro infatti
rappresenta da un lato la punta più settentrionale di penetrazione del
frangimento di é in ò, che deve aver percorso la Val Vomano e, giunto sulla
costa, aver risalito fino quasi alla foce del fiume Salinello, e dall'altro
l'estrema propaggine meridionale dell'apocope dei finali di parola in -ne, -no
e -ni, fenomeno tipicamente marchigiano diffuso fino ad Ancona, oltre che, sia
pure in maniera del tutto slegata ed autonoma, all'Aquila ed anche in alcuni
comuni "pontifici" presso Roma, specie nei Castelli Romani, ma qui è
in forte regresso (in virtù di ciò, si hanno ad es. pallò per
"pallone", cà per "cane", bè per "bene", ecc.).
L'apocope è poi riscontrabile anche nelle frazioni di Bellante più vicine alla
Val Vibrata, e si può avvertire sporadicamente pure a Mosciano Sant'Angelo, il
cui nome in dialetto può suonare tanto come Musciànë (pronuncia autoctona)
quanto come Mëscià, secondo la pronuncia dei numerosi abitanti originari di
Giulianova trasferitisi nelle aree confinanti di questo comune: i dialetti di
entrambe le località sono comunque rientranti nel "teramano"
propriamente detto, in quanto é chiusa volge in à anziché in ò. Altro
frangimento significativo è quello di ù in ì (brìttë per "brutto",
chjìsë per "chiuso" sichìrë per "sicuro", tì per
"tu", da qui il noto detto-scioglilingua "tìttili tìtti tì"
per "tienitelo tutto tu"). Esso è presente a Giulianova e Roseto
sulla costa, e da lì penetra nei rispettivi centri limitrofi (Mosciano,
Bellante, Notaresco, ecc.), e può essersi originato tanto dall'interno verso la
costa quanto il contrario. E' possibile poi riscontrare piccole variazioni nei
centri limitrofi, come a Canzano, dove ù volge in é (téttë per
"tutto").
Ad
Atri e Pineto invece ricompaiono i frangimenti di é in à (dumànëchë, sàrë), ma
a Scerne di Pineto, per l'influsso del rosetano, sono ancora presenti quelli in
"o", o forse risultano mischiati e differiscono in base alle origini
e alla pronuncia personale dei singoli abitanti. In particolare poi ad Atri le
originarie ó chiusa ed ù si trasformano in é (pallénë per "pallone",
culérë per "colore", faégnë per "faugni", festa locale, e
si tratterebbe di una fase palatalizzata del teramano, ad es. culàrë). Tutto
ciò, in aggiunta al fenomeno della palatalizzazione di à in è già analizzato
per Teramo (che a sud-ovest di Atri, come a Castilenti, Elice, Città
Sant'Angelo, ecc., diventa una vera e propria è aperta: passètë per "passato-a-i")
- oltre che alla conseguente tendenza allo "scurimento" delle
originarie è in é, e ancora, dell'influsso della maggiore chiusura vocalica
delle "e" presente nella non lontana area vestina (da Città
Sant'Angelo in giù) - determina, nella coscienza dei parlanti atriani, pinetesi
e silvaroli, una forte tendenza a pronunciare tutte le "e" con suono
intermedio tra l'aperto (originario) ed il chiuso (indotto), in ogni caso senza
distinzione tra "e" aperte e chiuse. Tutto ciò dipenderebbe anche dal
fatto che Atri in passato costituisse un'unica diocesi con Penne, e dunque vi
sarebbero stati inevitabilmente dei contatti maggiori con l'area vestina, ove
appunto le vocali sono pronunciate più chiuse. Infine, anche per le
"o" si tende ad avvertire una apertura media, meno aperta cioè
rispetto a Teramo, anche se tale fenomeno si manifesta in modo più evidente a
Giulianova (per intensificarsi mano a mano che ci si spinge verso Alba
Adriatica, dove poi si salda con la pronuncia lineare di tipo vibratiano-ascolano)
ed a Roseto e lungo l'area della Val Vomano maggiormente vicina alla costa
(Canzano, Castellalto, ecc.), e in particolar modo questo fenomeno si ha tra i
più giovani, nel cui italiano regionale non mancano addirittura realizzazioni
chiuse fortemente ipercorrette.
Mentre, come s'è visto, il confine tra le parlate "teramane" e quelle "pescaresi-pennesi" è molto labile, trattandosi di dialetti della medesima famiglia linguistica, lo stesso non è certamente da dire riguardo ai rapporti tra l'area linguistica teramana e quella ascolana, benché quest'ultima venga comunque ascritta per maggiore semplicità, nel dominio abruzzese: ne deriva che numerosi centri della parte settentrionale della provincia di Teramo presentino maggiori affinità con le parlate dei territori al di là del confine regionale, che perciò non coincide con quello linguistico. Le aree individuabili sono le seguenti:
a) area ascolana (Val Vibrata nord-occidentale): i comuni e le frazioni che possono essere perciò fatti rientrare nell'area linguistica ascolana possono essere ordinati in questa maniera, partendo da quello più affine in assoluto all'ascolano a quelli via via più distanti: Sant'Egidio alla Vibrata, Ancarano, Valle Castellana, Villa Lempa di Civitella del Tronto, Torano Nuovo, Controguerra. In queste località vigono gli elementi tipici del dialetto ascolano: la metafonesi sannita dittongata in ié e in uò per -u e -i finale nel caso di vocali aperte (biéllë, ciéndë, buónë, ecc.), e in ì e in ù per le vocali chiuse (gërìttë per "giretto", rùscë per "rosso", ecc.); l'assenza totale di frangimenti vocalici, l'apocope dei suffissi -ne, -no (cà per "cane", balcó per "balcone", cuntadì per "contadino", ecc.); la mancanza di caduta della -a finale, che però in alcuni centri si verifica nei vocaboli dove la consonante che precede la a è a sua volta preceduta da una vocale (spésë "spesa" a Controguerra); la caduta della vocale atona "o" all'interno di parola, che non viene scurita in "u" come nel resto della regione, per cui "portare" mentre in Abruzzo diviene purtà nell'ascolano e in Val Vibrata diviene invece përtà, con la "e" appena pronunciata.
c) relativamente a Corropoli, Colonnella, Sant'Omero (salvo la frazione di Garrufo, il cui dialetto è affine al santegidiese) Martinsicuro ed Alba Adriatica presentano metafonesi monottongata in ì ed ù , sia pure ancora da -u ed -i finali (quindi analoga a quella sambenedettese) ed una pronuncia vocalica già aperta come a Teramo e parte centro-meridionale della provincia (buòna sèra, un calzòne). Inoltre, almeno fino alla metà del '900, Colonnella e Corropoli (che hanno poi "generato" rispettivamente Martinsicuro e Alba Adriatica quali scali costieri), presentavano frangimenti "teramani" di é in à e "giuliesi" di ù in ì, ora estintisi per via della pressione esercitata dalle parlate vibratiano-ascolane, che sono sempre state prive di mutamenti vocalici. Anche l'accento di queste zone risulta abbastanza ibrido, sia pure di base più vicino al teramano, ma le generazioni più giovani tendano ad essere influenzate dalle pronunce lineari ascolano-vibratiane, specialmente lungo la costa (Alba Adriatica in primis), che negli ultimi 60 anni ha fatto registrare un cospicuo incremento di popolazione, proveniente specialmente dall'entroterra.
La pronuncia delle
vocali
Come
si è già accennato, una caratteristica molto vistosa della parlata di Teramo e
provincia risulta essere la pronuncia aperta delle vocali, nel senso che non si
ha coscienza, nel parlato italiano, della distinzione tra "e" ed
"o" chiuse ed aperte. Ne consegue un sistema definibile come
"pentavocalico", ossia composto da cinque vocali ("a",
"è" solo aperta, "i", "ò" solo aperta e
"u"), che determina l'insorgere di un fenomeno tipico di altre aree
italiane a vocali aperte, ossia l'ipercorrettismo: accade cioè che per reagire
all'apertura indistinta di tutte le vocali la popolazione tende - in maniera
variabile a seconda dell'età, del sesso e della località - a chiudere anche
quelle "e" ed "o" che in italiano standard sono aperte.
L'apertura
delle vocali è riscontrabile (sia in dialetto sia in italiano) nella maggior
parte dei comuni della provincia di Teramo, specie nella parte centrale e
costiera, per arrestarsi a nord presso Martinsicuro senza valicare il fiume
Tronto, se non all'altezza della Sentina di Porto d'Ascoli, i cui abitanti più
anziani dei casolari in aperta campagna parlano ancora martinsicurese.
Tuttavia, è da ricordare che anche l'antico dialetto sambenedettese (ormai
parlato soltanto da poche persone anziane) presenta vocali aperte (assenti
tuttavia nell'italiano locale), e ciò rappresenta il lascito di antichi
frangimenti vocalici un tempo diffusi lungo tutta la costa marchigiana
meridionale fino a Porto San Giorgio, quindi in piena area mediana. A sud la
pronuncia aperta scende lungo la costa a Montesilvano, Cappelle sul Tavo fino
alla parte settentrionale della città di Pescara, un tempo appartenente alla
provincia di Teramo (quartieri dei Colli e di Borgomarino nord, che furono
popolati rispettivamente da contadini e pescatori provenienti dal teramano), ed
inoltre - fatta eccezione per Penne e il suo circondario che hanno isocronismo
parziale - è riscontrabile anche nei centri montani dell’area vestina
(Farindola e Montebello di Bertona), quale prosecuzione dell’area meridionale
interna teramana.
È
possibile perciò desumere che l'apertura vocalica si sia irradiata da Teramo
città in epoca molto antica, al punto che le uniche aree immuni sono le
seguenti:
• quella settentrionale, corrispondente alla Val Vibrata e ai Monti della Laga (da Valle Castellana a Nereto), dove vigono condizioni "ascolane", fatta eccezione per i centri costieri (Martinsicuro e Alba Adriatica) e quelli dell'immediato entroterra (Corropoli e Colonnella), che presentano una pronuncia aperta come a Teramo (sia pure in regresso nelle fasce di età più giovani) e che fino a pochi decenni fa hanno mantenuto i frangimenti vocalici;
•
quella centrale montana, nei piccoli centri posti lungo la SS80 che collega
Teramo all'Aquila (Crognaleto, Fano Adriano e rispettive frazioni): si presume
che l'apertura delle vocali non abbia interessato queste zone per via del loro
forte isolamento, anche se alcuni paesi di questo comprensorio presentano una
pronuncia aperta, come è il caso di Pietracamela;
•
quella meridionale al confine con la provincia di Pescara, dove vige
l'isocronismo sillabico parziale, limitato cioè alla chiusura delle vocali
aperte in sillaba libera ("béne", "cósa"), e quindi con il
mantenimento della pronuncia chiusa delle vocali in sillaba chiusa (“détto”,
“cónto”): tuttavia, analogamente alle aree prima esaminate, a centri con tali
caratteristiche, cioè Castelli e Bisenti, se ne affiancano altri in cui le
vocali assumono un unico suono aperto, come Arsita e Castilenti, mentre a
Castiglione Messer Raimondo vige una situazione intermedia, con le “e” tutte
aperte (con tendenza a chiusura ipercorretta) e le “o” con isocronismo
parziale.
La
pronuncia aperta delle vocali (con frangimenti residui o estinti) si può
riscontrare anche nelle località collinari del Molise settentrionale
prospicienti l'Adriatico (Petacciato e Montenero di Bisaccia) - che si pongono
quale prolungamento meridionale dell’area dialettale vastese, essendo
quest'ultima caratterizzata da frangimenti simili a quelli teramani, pur non
presentando nell’italiano regionale vocali aperte bensì isocronismo parziale -
ed infine ricompare nel punto isolato di San Giovanni Rotondo sul Gargano, nel
cui antico dialetto erano altresì presenti frangimenti. C’è da dire poi che le
vocali aperte sono presenti infine anche nell'estremo meridione (Sicilia,
Calabria, Salento): ovviamente, siccome queste ultime aree non poterono in
alcun modo essere entrate in contatto con il teramano, né con altre aree
meridionali intermedie a vocali aperte, è da escludere categoricamente che
possano averne influenzato la pronuncia, per cui l’unica ipotesi plausibile è
che i frangimenti dovettero manifestarsi in una fase talmente precoce da
influire sulla resa dell’italiano locale, aprendone quindi le vocali; inoltre,
come già accennato, le aree di transizione ascolano-teramane a vocali aperte,
pur non presentando frangimenti allo stato attuale, ne erano dotate fino a
mezzo secolo fa.
La varietà di
italiano regionale
La
parlata del capoluogo ha finito per diffondersi un po' in tutti i centri della
provincia, specialmente nelle aree interne: lo stesso non può dirsi per la
costa, in cui da Tortoreto in su si fanno sempre più forti gli influssi
ascolano-sambenedettesi, già storicamente presenti nella Val Vibrata, mentre
nella zona centro-meridionale (Atri-Pineto-Silvi) si ha piuttosto una marcata
influenza della parlata della non distante area metropolitana di Pescara -
Montesilvano, soprattutto nel gergo giovanile: ne è un esempio l'espressione
"marinare la scuola", che mentre a Roseto e Giulianova è resa ancora
come a Teramo, ossia fare cùppe, a Pineto invece viene volta già in fare filone,
come nella sottostante area pescarese/chietina e il resto dell'Abruzzo e
dell'Italia centro-meridionale in genere.
Il
registro linguistico della varietà locale italiana teramana viene spesso
scambiato da chi viene da altre aree d'Abruzzo per quello di una parlata
marchigiana, al punto che gli anziani pastori di Scanno utilizzavano per gli
abitanti di Teramo e provincia l'appellativo di "marchìttë" in senso
spregiativo. Infatti l'area teramana, situandosi al limite settentrionale
dell'Abruzzo, risente di un discreto influsso piceno (marchigiano meridionale)
nell'andamento prosodico del parlato: ciò risulta evidente soprattutto nella
modulazione delle frasi interrogative, nel senso che le domande vengono rese
con un'intonazione della frase in senso ascendente, in maniera cioè abbastanza
simile all'ascolano; anche la parlata giovanile tende ad assumere
caratteristiche tali da essere considerabile ad orecchio come accento
"intermedio" tra quello dell'area metropolitana pescarese e quello
ascolano. Ciò è riscontrabile pure nel lessico, poiché sono in uso diversi
vocaboli ed espressioni molto popolari nelle Marche, specie ad Ascoli Piceno e
provincia, come mi dà gušto per "mi piace", frechino per
"bambino", abboccare per "finire in carcere", buffo per
"debito", è piovuto invece della forma "ha piovuto", che
invece è tipica della maggior parte dell'Abruzzo.
BIBLIOGRAFIA
Ernesto
Giammarco, Abruzzo dialettale,
Istituto di Studi Abruzzesi, Pescara, 1973;
Giuseppe
Savini, La grammatica ed il lessico del
dialetto teramano, due saggi di Giuseppe Savini, aggiuntevi poche notizie sugli
usi, i costumi, le fiabe, le leggende del medesimo popolo teramano, Torino,
E. Loescher, 1881;
Alfonso
Sardella, Lu languazazze: raccolta di
vocaboli dialettali teramani, Mosciano S. Angelo, Tipografia 2000, anno
2001;
Duilio
Shu, Il dialetto di Mosciano Sant'Angelo,
con presentazione di Carla Marcato, Artemia edizioni, Mosciano Sant'Angelo
2012.
Gabriele D'Annunzio |
di Francesco Scioli
Con l’espressione dialetti orientali d'Abruzzo, o anche dialetti abruzzesi orientali adriatici, si fa riferimento ai dialetti parlati nell’area costiera, collinare e pedemontana dell’Abruzzo, in particolare nelle province di Teramo, Pescara e Chieti. Si tratta di dialetti appartenenti al gruppo linguistico meridionale intermedio, meglio noto come “lingua napoletana”, e che Ernesto Giammarco suddivideva in tre gruppi da sud a nord:
1) il teramano, con epicentro Teramo, ed esteso in gran parte della sua provincia (con i centri principali di Giulianova ed Atri), fatta eccezione per gran parte della Val Vibrata, dove si parlano dialetti di transizione con quello ascolano;
2) il pennese (o “vestino”), con epicentro Penne ed esteso nell’area vestina (tra Città Sant'Angelo, Alanno, Farindola, Cepagatti e Spoltore);
3) il vastese, con epicentro Vasto, i suoi dintorni e l’entroterra (da Cupello a Castiglione Messer Marino), e che si estende nella confinante area settentrionale molisana (Petacciato, Montenero di Bisaccia, Guglionesi ed Agnone).
Dialetto teramano
Le caratteristiche principali della famiglia teramana, che ha come epicentro Teramo (l’antica Interamnia Pretutiorum) sono le seguenti:
- le originarie chiuse é, ó si sono frante in à: nàve per "néve", quàllë per "quéllo", persàne per "persona", mentre "e" ed "o" aperta non si frangono;
- di riflesso, si è avuta la palatalizzazione di à, trasformatasi quasi in una è aperta, sollecitata da necessità strutturali, e che può essere resa con un segno grafico intermedio tra la "a" e la "e", ossia æ (in uso nell'alfabeto scandinavo, ad es. næve per "nave", lætte per "latte"); invece è solo nell'area meridionale della provincia (Castelli, Bisenti, Arsita, Castiglione Messer Raimondo e Castilenti), così come nei centri contigui della confinante provincia di Pescara (Elice e Città Sant'Angelo) che la "a" viene resa con una vera e propria è aperta (pijètë per "presa", magnè per "mangiare");
Tuttavia, i vari centri della provincia di Teramo presentano tratti che differenziano anche notevolmente la loro parlata rispetto a quella del capoluogo, ed il quadro può essere così sintetizzato:
a) nel dialetto di Giulianova è possibile riscontrare da un lato la punta più settentrionale di penetrazione del frangimento di é in ò, (mòttë per “mettere” vs teramano màttë), che deve aver percorso la Val Vomano e, giunto sulla costa, aver risalito fino quasi alla foce del fiume Salinello, e dall'altro l'estrema propaggine meridionale dell'apocope dei finali di parola in -ne, -no e -ni (pallò per “pallone”), fenomeno tipicamente marchigiano diffuso fino ad Ancona. Altro frangimento significativo del dialetto giuliese è quello di ù in ì (brìttë per "brutto", chjìsë per "chiuso", sichìrë per "sicuro", tì per "tu", da qui il noto detto-scioglilingua "tìttili tìtti tì" per "tienitelo tutto tu"). Esso è presente a Giulianova e Roseto sulla costa, e da lì penetra nei rispettivi centri limitrofi (Mosciano Sant'Angelo, Bellante, Notaresco, ecc.);
b) nel dialetto di Atri invece ricompaiono i frangimenti di é in à (dumànëchë, sàrë), mentre le originarie ó chiusa ed ù si trasformano in é (pallénë per "pallone", culérë per "colore", faégnë per "faugni", festa locale, e si tratterebbe di una fase palatalizzata del teramano, ad es. culàrë).
c) nell’area della Val Vibrata, come accennato, si parlano dialetti di transizione tra quello teramano e quello Ascolano, ed infatti si può assistere ad un passaggio progressivo da parlate quasi del tutto ascolane, come quella di Ancarano, ad altre ormai pressoché teramane, come quella di Sant'Omero. In particolare, a Nereto la metafonesi è ancora dittongata in -ié- e in -uò- come ad Ascoli, la -a finale tende a conservarsi - pur essendo frutto di reintroduzioni successive, il che ha prodotto numerosi ipercorrettisimi (la moja, la neva, ecc) - e rimane la distinzione tra "e" ed "o" chiuse ed aperte. Viceversa, nella vicina Corropoli si ha metafonesi monottongata in -ì- ed -ù-, sia pure ancora da -u ed -i finali (analoga a quella sambenedettese) ed una pronuncia vocalica già aperta come a Teramo e parte centro-meridionale della provincia (buòna sèra, un calzòne). Inoltre, almeno fino alla metà del '900, Colonnella e Corropoli presentavano frangimenti "teramani" di é in à e "giuliesi" di ù in ì, ora estintisi per via della pressione esercitata dalle parlate vibratiano-ascolane, che sono sempre state prive di mutamenti vocalici.
d) nella parte più interna della Val Vomano confinante con la provincia dell'Aquila: in particolare, nei centri di Fano Adriano e Crognaleto (con le varie frazioni) si ha da un lato la prosecuzione dei frangimenti di é in ò, dall’altro la metafonesi anche da -u finale (monottongata in -ì- ed -ù-). A ciò si aggiunge inoltre una pronuncia vocalica lineare (senza dunque delle vocali tutte aperte), ed un accento che, pur in prevalenza riconducibile a quello della provincia di Teramo, risente di influssi aquilani: ciò è dovuto alla vicinanza al lago di Campotosto, facilmente raggiungibile dalla strada statale 80, ed ai centri aquilani che sorgono nei suoi pressi (Campotosto, Capitignano, Montereale). Pertanto, è proprio in quest’area che è situato il confine tra le parlate teramane (di tipo meridionale intermedio) e quelle aquilane (di tipo mediano). In particolare, i dialetti di tipo teramano risalgono il fiume Vomano e sono dunque parlati anche al di là del confine provinciale, ossia nelle frazioni più orientali del comune di Campotosto (Ortolano e Fucino-Case Isaia), con il lago di Provvidenza che funge da limite geografico netto. e) particolare risulta essere anche il dialetto di Pietracamela: in aggiunta al passaggio in sillaba chiusa di /e/ tonica in /o/, come nei toponimi PĬNNA > Penne / Pònne e Betlemme / Betlòmme: («Ha netë a Betlòmmë lu Santë Bambun», secondo un canto religioso pretarolo) e più in generale della koinè abruzzese, come alcuni frangimenti delle vocali toniche chiuse in sillaba aperta (PULLĬCĒNUM > pulcino / pëcèunë; NĔPOTEM > nipote / nipautë ecc.) o la trasformazione, fino al dileguo, della vocale atona finale (V > [ë]), tipica del versante adriatico di contro al versante aquilano, gli elementi più caratteristici del pretarolo riguardano il lessico e la sintassi. Dal punto di vista lessicale, è possibile infatti riscontrare vocaboli di chiara o possibile origine straniera, in particolare albanese o più correttamente arbëreshe (ossia "albanese d’Italia"), le quali sembrano non essere attestate in alcuna delle varietà dei centri vicini e del resto della regione: è molto verosimilmente il caso di vascia (“ragazza”, “figlia” in pretarolo) - riscontrabili nelle comunità italo-albanesi molisane di Campomarino e Portocannone (Campobasso) - mentre risulta più complesso il caso di r(i)juf / r(u)woff(a) (“bambino”, “bambina” in pretarolo), forse riconducibile a rufë, attestato a Chieuti (isola linguistica arbëresh della provincia di Foggia) e indicante la crosta lattea del bambino, attraverso un procedimento metonimico del tutto analogo a quello che porta a “moccioso” da “moccio”. La possibile parentela con le varietà italo-albanesi potrebbe essere spiegata dalla presenza, documentata, di mercanti di pellame «greci e schiavoni» ai Prati di Tivo nel XVII secolo. Inoltre, essa è in parte confortata da alcuni peculiari aspetti antropologici ancora vivi a Pietracamela e riscontrabili ancora oggi in alcune comunità italo-albanesi, come ad esempio la presenza di prefiche durante i riti funebri le quali, alla fine del rito, chiedono al parente del defunto se sia stato soddisfatto del loro operato.
Dialetto pennese
L’area vestina ha come epicentro Penne (l’antica Pinna dei Vestini), il cui dialetto sostituisce la é chiusa con la ò (es. Pònnë invece di Penne), fenomeno presente anche in numerosi altri centri, quali Pianella (localmente detta Pianòllë), Cepagatti e Spoltore (eccettuate le aree di Villa Raspa e Santa Teresa, ormai fusesi col dialetto pescarese). A ciò si aggiunge il passaggio di è ed ò aperti in sillaba aperta in é ed ó chiuse (pétë per “piede”, bónë per “buono”), nonché quello ormai in regresso di ó chiusa in sillaba aperta in àu (patràunë per “padrone”). E’ da notare tuttavia come anche qui molti centri distanti pochi chilometri fanno un uso totalmente diverso delle vocali:
a) il dialetto di Loreto Aprutino utilizza la "u" stretta (eu) (es. Lurétë [Ly're:tə] invece di Loreto), e alla "o" pennese sostituisce una sorta di "e" gutturale con accentazione poco forte quasi centralizzata a schwa (më' [mɜ] per "me");
b) il dialetto di Montebello di Bertona che fa largo uso di "u" sostituendola ad altre vocali (es. Mundubbèllë invece di Montebello Abbruzzùsë per "Abruzzesi");
c) il dialetto di Città Sant'Angelo che fa largo uso di "è" sostituendola ad altre vocali (es. Chi sti fè? per "Cosa stai facendo?, jè per "io", ecc.). In tale area sono ricompresi anche i paesi dell'alta valle del fiume Fino in provincia di Teramo, e in particolare la sostituzione della "e" con la "o", insieme a quella della "a" con la "e" (es.: patènë invece di patate, chèsë in luogo di casa), si ritrova nel dialetto di Bisenti.
Non
bisogna comunque dimenticare come l’area in questione è da tempo soggetta ad
una progressiva uniformazione al dialetto parlato a Pescara e nell’area
metropolitana in genere, che funge da luogo di aggregazione per la popolazione
più giovane, e che pertanto gioca un ruolo preponderante anche nelle dinamiche
sociolinguistiche.
Dialetto vastese
Il dialetto vastese (che ha come epicentro Vasto, l’antica Histonium) è il più meridionale dei dialetti abruzzesi, molto diverso dagli altri dialetti della provincia di Chieti, caratterizzato da numerosi frangimenti vocalici, che qui vengono passati in rassegna per tutte le 7 le vocali relativamente alla variante di Vasto, a cui può essere equiparata quella di San Salvo, mentre le differenze vanno aumentando mano a mano che ci si allontana dal centro principale. Abbiamo dunque i seguenti fenomeni:
- la a si palatalizza in è aperta in sillaba aperta (pènë per “pane”), mentre assume un suono simile ad “ò” in sillaba chiusa, che può essere reso graficamente con å (cavållë per “cavallo”);
- la è aperta in sillaba aperta diventa é chiusa (pétë per “piede”);
- la é chiusa dà luogo ad ài in sillaba aperta (nàirë per “nero”) e ad à in sillaba chiusa (fràddë per “freddo”);
- la ì dà luogo ad éi in sillaba aperta (fërméichë per “formica”) e a é in sillaba chiusa (gréllë per “grillo”);
- la ò aperta dà luogo al dittongo éu in sillaba aperta (béunë per “buono”) e si chiude in ó chiusa in sillaba chiusa (mórtë per “morte”);
- la ó chiusa dà luogo al dittongo àu in sillaba aperta (patràunë per “padrone”) e ad à in sillaba chiusa (sàrgë per “sorcio”);
- la ù dà luogo al dittongo iù in sillaba aperta (schiùrë per “scuro”) e ad ì in sillaba chiusa (sìbbetë per “subito”).
Il dialetto è stato studiato dal poeta locale e storico Luigi Anelli, che ha curato un Vocabolario della parlata vastese, dopo che era stato studiato parzialmente da Antonio De Nino e Gennaro Finamore. Attualmente è rappresentato dal poeta locale Fernando d'Annunzio.
ALTRE AREE
DIALETTALI
In
aggiunta alle aree individuate da Giammarco, è possibile completare il panorama
dialettale abruzzese adriatico con la determinazione di ulteriori famiglie
dialettali più o meno estese.
Dialetto pescarese
(area metropolitana costiera centrale)
Si
tratta di quella di più recente formazione, in quanto nata dalla fusione dei
due dialetti parlati nell’ex territorio di Castellamare Adriatico (un tempo in
provincia di Teramo e quindi più tendente al teramano) e di Pescara Portanuova
(un tempo in provincia di Chieti e pertanto con parlata di stampo chietino, ai
tempi di D'Annunzio peraltro fortemente influenzata dal napoletano), e che
attualmente sta attraversando un processo di notevole espansione tra le ultime
generazioni di un’area molto vasta, estesa dal sud della provincia di Teramo
(Silvi Marina) fino al nord della provincia di Chieti (Francavilla al Mare e
San Giovanni Teatino), mentre le parlate originarie di queste località
sopravvivono solo tra le persone di età superiore ai 50 anni. Pertanto, risulta
sempre più evidente il ruolo di koiné assunto da questa varietà, la cui
espansione è stata veicolata dalla crescita progressiva di una vera e propria
area metropolitana, nata dalla fusione dei vari centri urbani della costa (e
dell'immediato entroterra) in un'unica conurbazione, nonché dallo sviluppo di
nuovi quartieri tuttora in espansione che hanno accolto le nuove generazioni di
abruzzesi, i quali hanno assunto il dialetto pescarese per integrarsi nelle
nuove aree di residenza.
Il
dialetto pescarese antico (della parte sud della città, quindi di stampo
"chietino") affiora in molti passaggi delle Novelle della Pescara
(1902) e nei distici dialettali di Gabriele d'Annunzio. Esempi più recenti di
componimenti in dialetto pescarese sono rinvenibili nelle opere di Giuseppe
Tontodonati, originario di Scafa, e nella raccolta Stelle lucente (1913) di
Alfredo Luciani, originario di Pescosansonesco.
Dialetto chietino
(Chieti e nord provincia)
Altra
parlata è quella chietina, parlata a Chieti (l’antica Theate Marrucinorum) e nei territori ad essa limitrofi, parte dei
quali ricade oggi in provincia di Pescara (area tra Scafa e Manoppello): non si
tratta di un’area davvero compatta, in quanto si registrano sensibili
differenze tra i vari comuni nonché tra le frazioni degli stessi, e se da un
lato è agevole determinare il confine settentrionale – costituito dal fiume
Pescara che la separa nettamente dall’area vestina – dall’altro non è semplice
individuare una precisa linea di demarcazione con le varietà del resto della
provincia. E’ comunque possibile individuare al suo interno un’area
caratterizzata da isocronismo sillabico completo (vocali aperte in sillaba
chiusa e chiuse in sillaba aperta), che comprende la stessa Chieti e gran parte
dei comuni della Val Pescara, ed un’altra ad isocronismo parziale (limitato
cioè alla sola chiusura delle aperte in sillaba aperta), che si estende subito
a sud e ad est di Chieti (Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Torrevecchia
Teatina, Francavilla al Mare, ecc.).
Non
mancano poi aree che presentano situazioni intermedie, quali quella di
Villamagna, che ha isocronismo completo per le “o” e parziale per le “e”, e
quella di Roccamontepiano e Ripa Teatina, che presentano l’isocronismo in
maniera diametralmente opposta, ossia completo per le “e” e parziale per le
“o”. L’alternanza tra i due tipi di isocronismo è molto guizzante, la si
ritrova anche nei comuni più a sud (Orsogna, Arielli, Crecchio, Tollo), che
costituiscono aree di transizione e saldatura tra quelle a dialetto chietino e
quelle frentane: è interessante notare come il confine tra queste due aree
dialettali ricalca ancora fedelmente quello tra le antiche popolazioni italiche
dei Marrucini e dei Frentani.
Dialetto frentano
(area lancianese)
Queste
parlate hanno come epicentro Lanciano (l’antica Anxanum del popolo dei Frentani) e sono diffuse in tutti i
territori un tempo sotto il dominio di questa popolazione pre-romana, ossia
fino ad Ortona a nord e il fiume Sangro a sud, che segna il confine con l’area
vastese. Anche in quest'area vi sono numerosi punti in cui è difficile
tracciare un confine netto, poiché come detto le varietà sfumano a nord verso
quelle chietine mentre a sud-ovest una volta superata Atessa (ancora
considerabile come frentana, benché qui sia evidente il fenomeno del
frangimento vocalico di "é" chiusa in "ò" analogamente a
quanto accade a Guardiagrele e Casalbordino) si assiste ad un passaggio
progressivo verso le aree dialettali abruzzesi e molisane dell’alto Sangro.
Bisogna
ricordare che la città di Lanciano è stata per molti secoli luogo di incontro
di diverse popolazioni abruzzesi e non, vista la rinomanza delle sue fiere
annuali, ed essendo la stessa anche in rapporti commerciali con le popolazioni
dalmate del Mar Adriatico, senza dimenticare la presenza di consolati veneti
presso porto di San Vito Chietino. Il dialetto lancianese è stato ben
analizzato da Gennaro Finamore, che ha visto in esso il punto di partenza per
l'analisi di molti altri dialetti della provincia di Chieti: rispetto alla sua
epoca, tale parlata ha subito come le altre una progressiva
"normalizzazione" linguistica, visibile nelle poesie di Cesare
Fagiani e Giuseppe Rosato; Finamore infatti annotava una forte palatizzazione e
una forte vocalizzazione, con la pronuncia delle vocali lunghe molto aperte,
soprattutto l'a aperta lunga, che somigliava quasi a una o aperta.
Dialetti chietini
della Majella
Si
tratta di un gruppo di dialetti molto differenziati tra loro, che nella parlata
delle generazioni più anziane conservano tracce di notevole arcaicità: quali
centri principali, si possono citare Caramanico Terme e San Valentino in
Abruzzo Citeriore (in provincia di Pescara, versante occidentale della
Majella), Pretoro e Guardiagrele (in provincia di Chieti, versante orientale
della Majella). Quest’area si congiunge a ovest con i dialetti peligni (zona di
Tocco da Casauria), mentre a sud sia con quelli altosangrini (zona di Palena,
Pizzoferrato ed altri centri) sia con quelli frentani (zona a est di Casoli).
Zona di
"saldatura"
Il
Giammarco ha individuato una ristretta area, situata a ridosso del versante
orientale della Majella, che comprende le parlate di Palena, Lama dei Peligni,
Torricella Peligna e Casoli: si tratta di dialetti che presentano
contemporaneamente tratti abruzzesi "occidentali" (la doppia
metafonia di "a" aperta e chiusa e la presenza del genere neutro) ed
"orientali" (metafonia da sola -i finale, sia pure in forma
dittongata come le aree occidentali, ad es. mètëchë ma mìëtëchë). Rileva
inoltre il Finamore che il dialetto di Palena, ossia il centro situato
nell'estrema area sud-occidentale della Majella, è di assai difficile
classificazione, in quanto per la sintassi somiglia molto alle parlate
altosangrine di Roccaraso e Pescocostanzo, mentre per la pronuncia delle vocali
e l'accento è più affine al frentano casolano, con dittongazione delle vocali
lunghe.
Infine,
lo stesso fenomeno della dittongazione è riscontrabile nei vicini paesi montani
di Villa Santa Maria, Quadri, Borrello, Rosello, Civitaluparella, ecc., che
possono essere ricompresi in una subarea di transizione con le parlate
altosangrine molisane: infatti tali centri, essendo situati in un'area
all'estremo confine col Molise, presentano la metafonesi dittongata anche da -u
finale, quale prosecuzione delle condizioni dialettali vigenti nella regione
limitrofa (ad es. Rusiellë per "Rosello").
In poesia, il gruppo adriatico abruzzese è stato descritto dai linguisti, ma anche da vari poeti e dialettologi locali:
- Modesto Della Porta per il guardiese;
- Cesare De Titta, Cesare Fagiani e Giuseppe Rosato per il lancianese;
- Luigi Dommarco e Alessandro Dommarco per l'ortonese;
- Vincenzo Coccione, Luciano Flamminio, Plinio Silverii per l'orsognese;
- Raffaele Fraticelli e Renato Sciucchi per il chietino;
- Gennaro Finamore e Antonio Casetti per Gessopalena e i dialetti dell'alto Sangro e Antonio Del Pizzo per Lama dei Peligni;
- Gabriele d'Annunzio per il pescarese del XIX secolo;
- Alfredo Luciani, Giuseppe Tontodonati per il pescarese della seconda metà del '900;
- Luigi Brigiotti e Alfonso Sardella per il teramano;
- Alfredo Polsoni per Paglieta;
- Luigi Anelli, Gaetano Murolo, Fernando D'Annunzio per il vastese.
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Abruzzese. Coinè dialettale pescarese, Pescara 2004, Istituto di Studi
Abruzzesi.
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