Pagine

Visualizzazione post con etichetta Folklore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Folklore. Mostra tutti i post

14 febbraio 2024

Canzoni abruzzesi. Coro folkloristico Giulio Sigismondi, 1980.


RASSEGNA DI CANZONI ABRUZZESI, CONCERTO DEL CORO "GIULIO SIGISMONDI" DI SAN VITO CHIETINO, 1980, direttore artistico Virgilio Sigismondi.

CANZUNA NUSTRE
canzone vincitrice alla Festa delle Canzoni di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Garagrella

'EME VULATE
canzone di Virgilio Sigismondi - Antonio Di Jorio

J'ABBRUZZU
canzone della Maggiolata di Ortona 1948
di Carlo Perrone - Nazzareno De Angelis

ALL'ORTE
popolare, elaboraz. Giuseppe Di Pasquale

AMORE AMORE 
popolare, elab. Di Pasquale

VULESSE
canzone presentata alla Festa di Lanciano 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gagarella

CANTO DELLE LAVANDAIE
popolare, elab. Di Pasquale

LA SALDARELLE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA SEMENE
di Giulio Sigismondi - Arturo De Cecco

LA JERVE A LU CANNETE
popolare

L'ARIE DE LU METERE
popolare, elab. don Ottavio de Caesaris

L'ARTA CCHIU' PRELIBBATE
alla Festa delle canzoni di San Vito del 1947
di Giulio Sigismondi

LAMENTO DELLA VEDOVA
popolare, elab. Ennio Vetuschi

MO VE'...MO VA'
popolare

TUTTE LE FUNTANELLE
popolare

PAESE ME'
scritto nel 1949 da Antonio Di Jorio

LUCENACAPPELLE
presentata alla Festa di Lanciano del 1922
di Giulio Sigismondi - Giuseppe Gargarella

QUANDE LA FIJA ME'
popolare

VUCCUCCIA D'ORO
presentata alla Maggiolata del 1920
di Cesare De Titta - Antonio Di Jorio

S'UCCHIE
presentata alla Festa di Lanciano del 2922
di Pier Andrea Brasile

LA TRESCHE
scritta negli anni '20 per Orsonga
di Giulio Sigismondi - Gaetano Silvery

13 febbraio 2024

La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939).


La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939)
di Angelo Iocco

Per questo articoli, si ringrazia l’Associazione culturale “Tommaso Coccione” di Poggiofiorito, e in particolare Vincenzo Coccione, per avermi concesso l’accesso all’archivio e alle fotografie.

Dedico questo pezzo alla Memoria

Per una storia della canzone folk Abruzzese, del periodo classico che va dalla fine dell’800 sino agli anni ’50, vogliamo quo ricordare il decennio d’oro della Canzone abruzzese nel paesino di Poggiofiorito, vicino Ortona. La città definita “perla dell’Adriatico” da G. D’Annunzio, proprio nel 1920 avviava la stagione delle Maggiolate abruzzesi con l’Albanese, il Di Jorio, lo Zimarino, e altri, con rassegne e concorsi di Cori dei paesi d’Abruzzo, dei loro maestri e dei loro autori di canzoni da esibire per la premiazione. Gli altri paesi dei dintorni non stettero inerti a guardare la città che proprio in quel tempo diventava la sede ufficiale della Canzone d’Abruzzo, sicché già negli anni immediatamente successivi, a Castelfrentano, Orsogna, Lanciano, Pescara, San Vito ecc. nacquero delle rassegne con dei propri autori e poeti, che cercarono di imitare la famosa Maggiolata ortonese. Poggiofiorito ebbe un ruolo di grande rilievo, poiché nel 1929, nacquero le Feste dell’Uva. Si racconta che il celebre poeta Cesare de Titta venisse a passare le estati in compagnia dell’amico Antonio Di Jorio proprio nella villeggiatura di Poggio, e che propose qui, visti i numerosi e ampli campi di vigneti, di istituire una festa dedicata all’uva. Mai parola più profetica quella del De Titta, dato che anche dopo la guerra, l’area di Ortona echeggiò dei canti, intendiamoci i canti d’autore presentati alle varie rassegne di Caldari, Rogatti, Frisa, Crecchio, Tollo ecc., che prendevano l’ideale, ma appunto soltanto l’ideale, e non sempre l’andamento ritmico della tradizione, dei canti antichi che le massaie e le mondine o i viandanti solitari, o le allegri brigate di giochi e di serenate intonavano da anni e anni, repertorio di una enciclopedia popolare di tradizione orale, che per fortuna un gruppo di etnologi abruzzesi come il De Nino, il Pansa, il Finamore, il Ciampoli, ebbero la cura di raccogliere e trascrivere.

Articolo de Il Messaggero, del 1939 – copia presso Centro di Documentazione Teatrale di Castelfrentano


La Storia della Sagra dell’Uva di Poggiofiorito

Tornando a Poggiofiorito, nel 1929 il M° Ercole Zazzini, grande animatore delle feste, organizzò la prima edizione, cui partecipò anche Cesare De Titta con l’inseparabile Antonio Di Jorio, fornendo alcune canzoni. Le canzoni erano sponsorizzate dall’Ente OND di Chieti; in quegli anni era tornato per la convalescenza nell’ariosa terra natia, dall’America, il giovane poggese Tommaso Coccione, reduce da grandi successi e da incisioni dei suoi ballabili per fisarmonica. Il Coccione darà forte impulso alle maggiolate, esibendosi con la fisarmonica, strumento allora quasi sconosciuto e non facente parte del corollario degli strumenti d’orchestra per queste feste canore. Altri animatori delle feste furono il poeta poggese Tommaso Di Martino, che scriveva le canzoni, e il chietino Antonio Ambrosini, coetaneo di Modesto Della Porta da Guardiagrele, che come lui morirà appena 50enne per un brutto male. I poeti concorrenti, insieme ai musicisti, erano dell’area frentana, vediamo un giovane Cesare Fagiani di Lanciano, che negli anni ’40 e ’50 sarà molto conosciuto con le due commedie al teatro Fenaroli di Lanciano, vediamo Ugo Di Santo, originario del Molise, che ugualmente diventerà famosissimo nel musicare operette teatrali, come “Lulù aiutami tu” di Eduardo Di Loreto; vediamo Di Loreto stesso da Castelfrentano con l’amico Pierino Liberati, reduci dai grandi successi delle Maggiolate del 1922 e 1il 23, poi l’anziano Vito Olivieri di San Vito, che nel 1923 e il 1926 era stato grande animatore delle Feste del Mare nel suo paese marinaro, e che con Di Loreto aveva scritto varie canzoni per le Maggiolate e varie commedie teatrali, di cui purtroppo quasi tutti gli spartiti, testi a pare, sono andati persi; poi Attilio Fuggetta da Sulmona, capostazione a Fossacesia appassionato di musica, grande concorrente alle Maggiolate con l’amico fossacesiano Nino Saraceni. E poi la grande rosa dei rappresentanti della musica Abruzzese classica, Antonio Di Jorio, Guido Albanese, Giulio Sigismondi, Luigi Dommarco, Olindo Jannucci da Città Sant’Angelo, grande animatore delle Maggiolate dopo la morte dell’Albanese, che con l’Albanese vinceva quasi sempre alle Maggiolate della sua città, poi ancora Cesare de Titta, Antonio Ambrosii, Tommaso Di Martino e il fisarmonicista poggese tanto amato, che figurava in testa a ogni libretto delle Feste dell’uva, Tommaso Coccione.
Purtroppo, come dettoci dallo stesso figlio Vincenzo Coccione, a causa dei danni della guerra a Poggio, e degli spartiti del padre che andarono dispersi per non curanza, accadde che varie partiture delle Feste dell’Uva andarono perse, ancora oggi irrintracciabili; per cui Vincenzo, per l’amore così grande che lo ha portato a fondare una associazione dedicata a suo padre, alla raccolta di quanto si era salvato dell’amato genitore, volle rimusicare, avvalendosi dello stile che aveva Tommaso, quelle canzoni che erano rimaste “mute” a causa della distruzione delle partiture. Infatti, come detto altrove, i libretti servivano più che altro per stampare i testi delle canzoni, e non erano inclusi gli spartiti; nella metà degli anni ’20, Guido Albanese ebbe l’accortezza di far stampare in accluso ai testi, anche gli spartiti delle canzoni presentate, in modo da impedirne la dispersione.
Come possiamo vedere, leggendo i libretti e i testi, le canzoni hanno per tema la vendemmia, l’uva, non a caso le feste si facevano a settembre, nei palchi inghirlandati con tralci di vite e di succosi grappoli, si celebrava la prosperità e la fertilità delle campagne poggesi, perfino l’ultima canzone del De Titta scritta prima di morire, è un inno alla ricchezza e alla floridezza di queste contrade, così come la canzone del Di Martino “Poggefiurite”. Le feste successivamente, nel 1939, evolvettero per così dire, nella “Festa della canzone fascista abruzzese”, promossa dall’OND Chieti, nella quale molti sono i riferimenti al fascismo, così come scritto testualmente nella presentazione del libretto; quello era proprio ‘intento, magnificare le glorie e i successi della guerra, della spedizione in Etiopia, della ricchezza del Paese grazie alle riforme di Mussolini e al patto con Hitler, e via dicendo. E dunque, leggendo questi testi, che farebbero arrossire qualsiasi estimatore della canzone popolare abruzzese, dell’Albanese autore della notissima Vola vola vola, del mite Fagiani autore della celebre poesia “La squijje di Natale”, del Di Jorio così tanto portatore di quell’idea di abruzzesità, insomma comprendiamo che i tempi erano quelli che erano, e occorreva adattarsi per queste rassegne di folklore, verso le quali specialmente la propaganda di Regime voleva imporsi, per penetrare nelle menti degli spettatori. Così vediamo ad esempio una magnifica “Ninna nanna” postuma di Cesare de Titta, musicata dall’orsognese Camillo de Nardis (il quale musicherà altri testi di ispirazione fascista, ad esempio una canzone del marinaio su versi del concittadino Raffaele Paolucci), che vede “ingabbiati” quei versi così soavi e andanti, cullati dalle note, nei riferimenti all’accendere un cero alla Madonna (uso abruzzese) per ricordare il figlio in guerra, o nella madre che è orgogliosa del gagliardetto del proprio figlio combattente, o nella preghiera a Mussolini e la speranza di una nuova Roma imperante simbolo di civiltà e progresso come nell’Impero. Insomma una canzone che trasuda fascismo da tutti i porti, per non parlare della “Savitarella fasciste” del Di Martino, dove i cantori si fanno beffe dell’Inghilterra e della Francia dello storico impero coloniale, per lodare invece l’opera conquistatrice dell’Etiopia da parte dell’Italia. Tornando alla Ninna nanna detittiana, pochi sanno che oggi la canzone è ancora riproposta, insieme a “Suonne” di Marcolongo-DI Jorio, soltanto che sono state epurate, ripulite delle incrostazioni fasciste; Ennio Vetuschi della Corale Verdi di Teramo, ne ripropose soltanto la prima strofa, poiché le ultime due sono quelle più rigurgitanti di sentimento patriottico. Altri Cori ne hanno proposto solo 2 strofe, ma oggi tendenzialmente si usa proporre la versione del Vetuschi. Possiamo solo dire che questa bellissima canzone di don Cesare fu sporcata dai tempi che corsero, poiché nelle melodie, riecheggia esattamente, benché elaborati, quei motivi popolari che cantavano le mamme ai loro bambini per farli addormentare.
Dopo questa Sagra della canzone fascista, Poggiofiorito non ebbe fino alla guerra altre rassegne canore. I tempi erano cambiati, la guerra imperversava. Dal 1947 in poi con Mario d’Angelo da Villa Romagnoli, giunto a Poggiofiorito per dirigere il coro, inizieranno nuove rassegne, e verrà creata quella canzone che ancora oggi è l’inno del paese: L’Uve di Poggifiurite.

Canzoni abruzzesi, Coro Pierino Liberati di Castel Frentano.



Canzoni abruzzesi, Direttore M° Francesco Paolo Santacroce
le canzoni:
Arvì (Misantoni-Vetuschi), 
Ci stave na vote (Testa-Polsi)
Fusare nnammurate (Sigismondi)
Marrocche e frusce (De Carolis-Polsi)
Lucenacappelle (Sgisimondi-Gargarella)
Mare nostre (Illuminati-Di Jorio)
La partenza de li pecurele (Sigismondi-De Cecco)
L'avemmarije (D Loreto-Olivieri)
Tuppe e tuppe (Di Loreto-Liberati)
Stanotte è na notte d'incante (Miccoli-Liberati)
Nostalgia opera di F.P. Santacroce

23 gennaio 2024

E' Cchiù Moje la Hallene Dumane chi ll'Ove Ugge!!! - La Compagnia Teatrale Ugo Zimarino 2017.

Ti a la Casa tò e ja a la Casa mò! - La Compagnia Teatrale Ugo Zimarino 2016.

Stattet attent attent attente a lu Capiton!!! - La Compagnia Teatrale Ugo Zimarino 2015.

"...ee mastre Giggine Paghe!!" - La Compagnia Teatrale Casalese Ugo Zimarino, 2013.

14 gennaio 2024

Lu Sand'Andunie. Canto di questua a Vasto del 16 gennaio, vigilia della festa di S.Antonio Abate.

Gruppo di questuanti in via S.Sisto a Vasto, 1991 c.
 
Gruppo di questuanti in via Poerio a Vasto, 1991 c.


Canto de Lu Sand'Andunie (frammento)




Trascrizione musicale di Filippo Marino

Lu Sand'Andunie

 

Bona sére a tutte quènde

Bona ggènda cristijäne;

Bona sére allecramènte

Ca vi dèiche ch'è dumäne.

 

Rit.: Sand'Andunie binidatte...

Sand'Andunie binidatte

Nghi la mâzz' e lu purcatte.

Sand'Andunie binidatte

Nghi la mâzz' e lu purcatte.

 

Li parind' a Sand'Andunie

Li vuléven' accasäje;

Ma lu Sânde pènze bbéne

E a lu disèrte si ni và'.

 

Rit.: Pi n' avé' la siccatìure...

Pi' n' avé' la siccatìure

D'alluvà' li crijatìure.

Pi' n' avé' la siccatìure

D'alluvà' li crijature.

 

E cambânne da rumèite

Va' lu cèfer' a tindârle

Li disfèit' a 'na partèite ...

Ma lu sânde poche pârle.

 

Rit.: Li vichéle scole chîlme...

Li vichéle scole chîlme

E lu cèfre manne hîlme.

Li vichéle scole chîlme

E lu cèfre manne hîlme.

 

A la câssce Sand'Andunie

Ci tiné' du caracèine;

Annaschìusce lu dumônie

L'assimäv' ògne matèine.

 

Rit.: Sand'Andunie ci li tôppe...

Sand'Andunie ci li tôppe

E i fa' sunà' la grôppe.

Sand'Andunie ci li tôppe

E i fa' sunà' la grôppe.

 

Sand'Andunie aripizzäve

Nghi la sibber' e nghi l'äche;

Lu dumônie i štuccuäve

Mo lu ràife e m0 lu späche.

 

Rit.: Sand'Andunie ci li tôppe...

Sand'Andunie ci li tôppe

E j' ammàine gné nu bbojje.

Sand'Andunie ci li tôppe

E j' ammàine gné nu bbojje.

 

Pi' suspètte lu dumônie

J' arimmocche la pignéte;

'Ngifirèite Sand'Andunie

Ti l'aggrâpp' a vvij' arréte.

 

Rit.: L'appindàune a nu curnuècchie...

L'appindàune a nu curnuècchie

E ji màcceche 'na racchie.

L'appindàune a nu curnuècchie

E ji màcceche 'na racchie.

 

'Na matèine Sand'Andunie

Si magnä' du taijulèine;

Zitti zètte lu dumônie

I sbascèsce la fircèine.

 

Rit.: E lu sânde nin zi 'ngânne...

E lu sânde nin zi 'ngânne

Nghi li méne si li mâgne.

E lu sânde nin zi 'ngânne

Nghi li méne si li mâgne.

 

Ma dapù chi ci aripénze

Pi' li corne ti l'afférre;

Nghi na vîss' a vija'nnènze

Li fa ji' di cule 'ndèrre.

 

Rit.: 'Mbètte i piânde nu hunùcchie...

'Mbètte i piânde nu hunùcchie

E daféure i fa 'sci l'ucchie.

'Mbètte i piânde nu hunùcchie

E daféure i fa 'sci l'ucchie.

 

Sand'Andunie nghi la mbîsse

Jav' a ccâcce a ciammajjèiche;

Lu dumônie nghi 'na vîsse

Li fa ji' sopr' a l'ardèiche.

 

Rit.: Sand'Andunie ci si štèzze...

Sand'Andunie ci si štèzze

Gnè nu cèfere s'arrèzze.

Sand'Andunie ci si štèzze

Gnè nu cèfere s'arrèzze.

 

Arrizzéte Sand'Andunie

Nghi l'ardèiche fa nu fâsce;

E acchiappäte lu dumônie

Prèim' annènde l'arimbâsce.

 

Rit.: Po' vuddät' a ppart' arréte...

Po' vuddät' a ppart' arréte

Ji li štriusce a lu sucréte.

Po' vuddät' a ppart' arréte

Ji li štriusce a lu sucréte.

 

Lu dumônie a tanda huéje

Pi 'n' zi fa' cchiù 'rruvunje;

Dèice: Ndu' vi ch'è nu schérze

'N' di li tojje 'a la dimmérze.

 

Rit.: E lu sânde: Pure jéjje...

E lu sânde: Pure jéjje

L'àjje fâtte pi' pascéje.

E lu sânde: Pure jéjje

L'àjje fâtte pi' pascéje.

 

Sand'Andunie huâtte huâtte

Jav' a ffäje nu busagne;

Lu dumônie da 'na frâtte

I smiccéve la vrivagne.

 

Rit.: Lu ruméite si n'addàune...

Lu rumèite si n'addàune

E j' ammolle lu gruppuàune.

Lu rumèite si n'addàune

E j' ammolle lu gruppuàune.

 

'N' addra vôdde si va 'mmatte

A ffa' a lôtte nghi lu sânde;

Lu rumèite ti l'ahhuânde

Ti li matt' a cocce satte.

 

Rit.: E nghi l'âcche di cutèine...

E nghi l'âcche di cutèine

Ji li fä nu lavatèine.

E nghi l'âcche di cutèine

Ji li fä nu lavatèine.

 

Lu dumônie pi currèive

I va a 'ccèite lu purcatte;

Sand'Andunie vive vèive

Si li scorce a la bbassatte.

 

Rit.: Nghi la pèlle loche lèuche...

Nghi la pèlle loche lèuche

Ci si fä ddu bbille chièuchie.

Nghi la pèlle loche lèuche

Ci si fä ddu bbille chièuchie.

 

Lu dumônie scurtucuäte

Ni lassäv' a ji' ppritânne;

Sand'Andunie dispiräte

Pi' purcille si li scânne.

 

Rit.: Si li spèzz, si li säle...

Si li spèzz, si li säle

E ci fä bon Carniväle.

Si li spèzz, si li säle

E ci fä bon Carniväle.

 

S' àjje dètte 'štašturièlle

È pi' rèss' arihaläte;

Figatèzze, cuštatèlle

Saggicciutt' e sangunäte.

 

Rit.: Chi mi dä' lu pôrche säne...

Chi mi dä' lu pôrche säne

Sci' bbindatte chi li mäne.

Chi mi dä' lu pôrche säne

Sci' bbindatte chi li mäne.

 

Nghi 'šta néuve chi vi pôrte

E firnìute lu cuandäje;

Arrapèteme 'ssi pôrte

Ca mi vujj' ariscalläje.

 

Rit.: Ca 'štu fradde malidatte...

Ca 'štu fradde malidatte

mi fä sbâtte li hangatte.

Ca 'štu fradde malidatte

mi fä sbâtte li hangatte.

 


 S.Antonio

 




 







Disegni di V. Lucchi



Da: Vasto Gallery

Lamberto De Carolis, Maestro, musica. Piccola storia delle bande d'Abruzzo.

13 gennaio 2024

Il Natale raccontato un secolo fa da Carlo d’Aloisio da Vasto.

 

Il Natale raccontato un secolo fa da Carlo d’Aloisio da Vasto

Un secolo fa Carlo d’Aloisio da Vasto raccontava il “Natale in Abruzzo” in un suo articolo pubblicato sul quotidiano Il Messaggero il 23 dicembre 1923, in cui descrisse la magica atmosfera e la religiosa attesa della festività nel contesto della vita semplice dei paesi abruzzesi, fortemente caratterizzati dal paesaggio rurale e pastorale che tanto attraeva l’artista. La trascrizione dell’articolo è completata, come da originale, da alcune xilografie, anche se la loro qualità risente del tipo di carta e del tempo trascorso. Il racconto di Carlo d’Aloisio da Vasto presenta analogie con il “Natale abruzzese” (1914) di Vincenzo Bucci, che pubblicammo su Abruzzo nel Mondo n. 6/2021 . Entrambi lontani dalla propria terra d’origine, lasciano avvertire nei loro scritti la lontananza e la nostalgia dell’infanzia abruzzese. Pur nella mutevolezza dei tempi qualcosa delle antiche tradizioni del Natale forse rimane ancora nella memoria tramandata.

Carlo d’Aloisio nasce a Vasto il 13 aprile 1892. Sin da giovanissimo è attratto dall’arte e da autodidatta approfondisce le tecniche della xilografia e dell’acquerello. A vent’anni si trasferì a Roma. Qualche anno dopo chiese che fosse aggiunto al suo cognome “da Vasto”, rimarcando per sempre le sue origini. Come pittore le sue opere furono esposte in mostre tenute in Italia e all’estero. Fu anche direttore del Museo Civico di Roma e della Galleria d’Arte Moderna di Roma. Prolifica la sua attività giornalistica. D’Aloisio visse a Roma dove morì 21 novembre 1971, ma volle essere sepolto nella sua Vasto. Negli ultimi anni è stata costituita l’Associazione Culturale “Archivio del Maestro Carlo d’Aloisio da Vasto”, allo scopo di ricostruire e valorizzare l’opera dell’artista.

Antonio Bini, direttore della rivista “Abruzzo nel Mondo“


Natale in Abruzzo

di Carlo d’Aloisio da Vasto

La cappa del camino s’inarca sopra di noi: la casa dei nonni ci dà allegria e il ristoro della fiamma schioppettante. Gira lo spiedo con eguale cigolio e il capitone s’arrostisce tra le foglie odorose d’alloro.

Nessun giorno festivo dell’anno ha presso di noi abruzzesi, come da per tutto, solennità maggiore del Natale. E ritorna nella sua perenne giovinezza anche quest’anno. Con il sentimento popolare fa rivivere intorno a sé tutte le tradizioni più antiche, che si affollano, si mescolano nella ricchezza di riti antichissimi. E come la nostra anima sente la nostalgia dei Natali lontani, in questi giorni, ora sorrisi dal sole, ora velati di nebbia. L’antica ricorrenza che per tanti lustri ha ispirata ai nostri buoni avi la fede più pura e più bella del focolare domestico, ci richiama al nostro Abruzzo per rivivere la festa che è nella neve che fiocca eguale, candida, silenziosa; per risentire il suono delle campane delle nostre chiese; per rivedere i preparativi che fervono in tutte le case; per rivedere il classico presepe con le stradicciole perdentesi, con le pecorelle e i pastori di creta, sparsi sui pei piccoli monti ricoperti di neve fatta con la farina; i contadini e le contadine che scendono con le loro famiglie dalle casette per portare i doni “a lu bambine” nella fantastica grotta di Betlemme improvvisata con rami, tronchetti d’alberi, creta e sassolini colorati.

Dappertutto la vita sonnacchiosa della campagna si è fatta intensa. Per i campi chiocchiano i tacchini, le vittime dell’ingordigia natalizia. E come nel presepe, le donne e i contadini vanno e vengono, salgono e scendono, affaccendati per le valli, con le canestre sul capo, ricolmi di doni natalizi.

Gli zampognari che un bel giorno erano sbucati non si sa da dove, avvolti nel loro mantello turchino e le gambe strette nelle liste dei sandali, hanno fatto la novena, hanno empite le bisacce di dolci, di aranci e sono scomparsi. Nessuno sa di dove vengano né dove tornino: il Natale li riconduce oltre i monti con la sua leggenda.

Natale ! Natale !

La vigilia è venuta. Le campane vespertine fanno sentir egli ultimi rintocchi: ogni famiglia si richiude in casa per attendere al famoso cenone e rompere così il digiuno. Il cenone è prelibato e copioso nelle case dei signori, mentre i poveri, pur non rinunziando all’abbondanza, rimangono frugali. Sette minestre bisogna mangiare: fagioli bianchi, perché i rossi sono dozzinali; maccheroni conditi con la sarda fritta nell’olio, baccalà col sugo rosso, castagne, mandorle, fichi secchi, noci e qualche torroncino fatto in casa.

E si mangia e si beve nella notte lunga. Le famiglie dopo il cenone si adunano intorno al focolare, dove arde inconsumabile il ceppo. Si veglia e si raccontano le strane leggende del Natale.

Intanto ci sono quelli che visitano i presepi per le chiese o in case di amici. E qui babbi e mamme, nonni e nonne che danno spiegazioni ai piccoli:

Chicchirichi: é nato Iddio

Risponde il bue: Muhh ! Dove ?

Dice la pecorella: Beh ! A Betlemme

Dice l’asinello: Ahhh ! Andiamo a vedere Gesù

E tutti in coro:

Gesù Criste piccirilli,

chi. Lu cape ricciutelle,

chi na veste turchinelle

I pastori e i contadini che abitano in campagna tornano in paese per assistere alla messa di mezzanotte. Tornano facendosi lume lungo le strade con fascine di canne accese, che da lontano producono l’effetto di una lunga interminabile processione di lumi nell’oscurità.

La mezzanotte si è avvicinata. Da ogni casupola escono i contadini, s’accolgono in gruppi, proseguono frettolosi e ciarlieri verso la chiesa, come nere ombre su la neve bianca. Giunti in chiesa, si passano da una mano all’altra l’acqua benedetta. Si fanno il segno della croce e si avvicinano all’altare maggiore, dove in una gloria di luce e di fede il Bambino sorride tra il bue e l’asinello.

Natale ! Natale ! Suona nei nostri cuori.

Natale ! Natale ! Risponde, come eco, la campana notturna che chiama i fedeli alla messa.

Pace in terra agli uomini di buona volontà”.

La fiaba rivive anche quest’anno, come tutti gli anni, nel ricordo risuona tra le nenie preferite, rintocca nei suoni smorzati dalla campana della notte grande.

L’uomo vorrebbe ridiventare fanciullo, affinché tornasse uno di quei lontani Natali, trascorsi nella raccolta solennità familiare. Dorme in silenzio il divino fanciullo di cera fra i mille lumini colorati del presepe. E dorme il suono della zampogna che si è dileguato pei monti vestiti di bianco.

O cantori popolari d’Abruzzo, o ambulanti suonatori di cornamusa e di cennamella, o classico presepe, o tradizionali cenoni, o ricordi o rimpianti di un rito gentile, o cari piccoli brandelli di una festa di pace e di fede, voi alcuno avete la virtù di saper farci dimenticare per un giorno dell’anno tutti gli affanni della vita, tutte le tristezze del mondo !


L’articolo del 1923 di Carlo d’Aloisio da Vasto, commentato da Antonio Bini, è stato ripreso e pubblicato sulla Rivista Abruzzo nel Mondo – Novembre-Dicembre 2023


 













Da: carlodaloisiodavasto.it