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13 febbraio 2024

La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939).


La canzone abruzzese a Poggiofiorito – Dalle Feste dell’Uva alla Prima festa della canzone fascista abruzzese (1929-1939)
di Angelo Iocco

Per questo articoli, si ringrazia l’Associazione culturale “Tommaso Coccione” di Poggiofiorito, e in particolare Vincenzo Coccione, per avermi concesso l’accesso all’archivio e alle fotografie.

Dedico questo pezzo alla Memoria

Per una storia della canzone folk Abruzzese, del periodo classico che va dalla fine dell’800 sino agli anni ’50, vogliamo quo ricordare il decennio d’oro della Canzone abruzzese nel paesino di Poggiofiorito, vicino Ortona. La città definita “perla dell’Adriatico” da G. D’Annunzio, proprio nel 1920 avviava la stagione delle Maggiolate abruzzesi con l’Albanese, il Di Jorio, lo Zimarino, e altri, con rassegne e concorsi di Cori dei paesi d’Abruzzo, dei loro maestri e dei loro autori di canzoni da esibire per la premiazione. Gli altri paesi dei dintorni non stettero inerti a guardare la città che proprio in quel tempo diventava la sede ufficiale della Canzone d’Abruzzo, sicché già negli anni immediatamente successivi, a Castelfrentano, Orsogna, Lanciano, Pescara, San Vito ecc. nacquero delle rassegne con dei propri autori e poeti, che cercarono di imitare la famosa Maggiolata ortonese. Poggiofiorito ebbe un ruolo di grande rilievo, poiché nel 1929, nacquero le Feste dell’Uva. Si racconta che il celebre poeta Cesare de Titta venisse a passare le estati in compagnia dell’amico Antonio Di Jorio proprio nella villeggiatura di Poggio, e che propose qui, visti i numerosi e ampli campi di vigneti, di istituire una festa dedicata all’uva. Mai parola più profetica quella del De Titta, dato che anche dopo la guerra, l’area di Ortona echeggiò dei canti, intendiamoci i canti d’autore presentati alle varie rassegne di Caldari, Rogatti, Frisa, Crecchio, Tollo ecc., che prendevano l’ideale, ma appunto soltanto l’ideale, e non sempre l’andamento ritmico della tradizione, dei canti antichi che le massaie e le mondine o i viandanti solitari, o le allegri brigate di giochi e di serenate intonavano da anni e anni, repertorio di una enciclopedia popolare di tradizione orale, che per fortuna un gruppo di etnologi abruzzesi come il De Nino, il Pansa, il Finamore, il Ciampoli, ebbero la cura di raccogliere e trascrivere.

Articolo de Il Messaggero, del 1939 – copia presso Centro di Documentazione Teatrale di Castelfrentano


La Storia della Sagra dell’Uva di Poggiofiorito

Tornando a Poggiofiorito, nel 1929 il M° Ercole Zazzini, grande animatore delle feste, organizzò la prima edizione, cui partecipò anche Cesare De Titta con l’inseparabile Antonio Di Jorio, fornendo alcune canzoni. Le canzoni erano sponsorizzate dall’Ente OND di Chieti; in quegli anni era tornato per la convalescenza nell’ariosa terra natia, dall’America, il giovane poggese Tommaso Coccione, reduce da grandi successi e da incisioni dei suoi ballabili per fisarmonica. Il Coccione darà forte impulso alle maggiolate, esibendosi con la fisarmonica, strumento allora quasi sconosciuto e non facente parte del corollario degli strumenti d’orchestra per queste feste canore. Altri animatori delle feste furono il poeta poggese Tommaso Di Martino, che scriveva le canzoni, e il chietino Antonio Ambrosini, coetaneo di Modesto Della Porta da Guardiagrele, che come lui morirà appena 50enne per un brutto male. I poeti concorrenti, insieme ai musicisti, erano dell’area frentana, vediamo un giovane Cesare Fagiani di Lanciano, che negli anni ’40 e ’50 sarà molto conosciuto con le due commedie al teatro Fenaroli di Lanciano, vediamo Ugo Di Santo, originario del Molise, che ugualmente diventerà famosissimo nel musicare operette teatrali, come “Lulù aiutami tu” di Eduardo Di Loreto; vediamo Di Loreto stesso da Castelfrentano con l’amico Pierino Liberati, reduci dai grandi successi delle Maggiolate del 1922 e 1il 23, poi l’anziano Vito Olivieri di San Vito, che nel 1923 e il 1926 era stato grande animatore delle Feste del Mare nel suo paese marinaro, e che con Di Loreto aveva scritto varie canzoni per le Maggiolate e varie commedie teatrali, di cui purtroppo quasi tutti gli spartiti, testi a pare, sono andati persi; poi Attilio Fuggetta da Sulmona, capostazione a Fossacesia appassionato di musica, grande concorrente alle Maggiolate con l’amico fossacesiano Nino Saraceni. E poi la grande rosa dei rappresentanti della musica Abruzzese classica, Antonio Di Jorio, Guido Albanese, Giulio Sigismondi, Luigi Dommarco, Olindo Jannucci da Città Sant’Angelo, grande animatore delle Maggiolate dopo la morte dell’Albanese, che con l’Albanese vinceva quasi sempre alle Maggiolate della sua città, poi ancora Cesare de Titta, Antonio Ambrosii, Tommaso Di Martino e il fisarmonicista poggese tanto amato, che figurava in testa a ogni libretto delle Feste dell’uva, Tommaso Coccione.
Purtroppo, come dettoci dallo stesso figlio Vincenzo Coccione, a causa dei danni della guerra a Poggio, e degli spartiti del padre che andarono dispersi per non curanza, accadde che varie partiture delle Feste dell’Uva andarono perse, ancora oggi irrintracciabili; per cui Vincenzo, per l’amore così grande che lo ha portato a fondare una associazione dedicata a suo padre, alla raccolta di quanto si era salvato dell’amato genitore, volle rimusicare, avvalendosi dello stile che aveva Tommaso, quelle canzoni che erano rimaste “mute” a causa della distruzione delle partiture. Infatti, come detto altrove, i libretti servivano più che altro per stampare i testi delle canzoni, e non erano inclusi gli spartiti; nella metà degli anni ’20, Guido Albanese ebbe l’accortezza di far stampare in accluso ai testi, anche gli spartiti delle canzoni presentate, in modo da impedirne la dispersione.
Come possiamo vedere, leggendo i libretti e i testi, le canzoni hanno per tema la vendemmia, l’uva, non a caso le feste si facevano a settembre, nei palchi inghirlandati con tralci di vite e di succosi grappoli, si celebrava la prosperità e la fertilità delle campagne poggesi, perfino l’ultima canzone del De Titta scritta prima di morire, è un inno alla ricchezza e alla floridezza di queste contrade, così come la canzone del Di Martino “Poggefiurite”. Le feste successivamente, nel 1939, evolvettero per così dire, nella “Festa della canzone fascista abruzzese”, promossa dall’OND Chieti, nella quale molti sono i riferimenti al fascismo, così come scritto testualmente nella presentazione del libretto; quello era proprio ‘intento, magnificare le glorie e i successi della guerra, della spedizione in Etiopia, della ricchezza del Paese grazie alle riforme di Mussolini e al patto con Hitler, e via dicendo. E dunque, leggendo questi testi, che farebbero arrossire qualsiasi estimatore della canzone popolare abruzzese, dell’Albanese autore della notissima Vola vola vola, del mite Fagiani autore della celebre poesia “La squijje di Natale”, del Di Jorio così tanto portatore di quell’idea di abruzzesità, insomma comprendiamo che i tempi erano quelli che erano, e occorreva adattarsi per queste rassegne di folklore, verso le quali specialmente la propaganda di Regime voleva imporsi, per penetrare nelle menti degli spettatori. Così vediamo ad esempio una magnifica “Ninna nanna” postuma di Cesare de Titta, musicata dall’orsognese Camillo de Nardis (il quale musicherà altri testi di ispirazione fascista, ad esempio una canzone del marinaio su versi del concittadino Raffaele Paolucci), che vede “ingabbiati” quei versi così soavi e andanti, cullati dalle note, nei riferimenti all’accendere un cero alla Madonna (uso abruzzese) per ricordare il figlio in guerra, o nella madre che è orgogliosa del gagliardetto del proprio figlio combattente, o nella preghiera a Mussolini e la speranza di una nuova Roma imperante simbolo di civiltà e progresso come nell’Impero. Insomma una canzone che trasuda fascismo da tutti i porti, per non parlare della “Savitarella fasciste” del Di Martino, dove i cantori si fanno beffe dell’Inghilterra e della Francia dello storico impero coloniale, per lodare invece l’opera conquistatrice dell’Etiopia da parte dell’Italia. Tornando alla Ninna nanna detittiana, pochi sanno che oggi la canzone è ancora riproposta, insieme a “Suonne” di Marcolongo-DI Jorio, soltanto che sono state epurate, ripulite delle incrostazioni fasciste; Ennio Vetuschi della Corale Verdi di Teramo, ne ripropose soltanto la prima strofa, poiché le ultime due sono quelle più rigurgitanti di sentimento patriottico. Altri Cori ne hanno proposto solo 2 strofe, ma oggi tendenzialmente si usa proporre la versione del Vetuschi. Possiamo solo dire che questa bellissima canzone di don Cesare fu sporcata dai tempi che corsero, poiché nelle melodie, riecheggia esattamente, benché elaborati, quei motivi popolari che cantavano le mamme ai loro bambini per farli addormentare.
Dopo questa Sagra della canzone fascista, Poggiofiorito non ebbe fino alla guerra altre rassegne canore. I tempi erano cambiati, la guerra imperversava. Dal 1947 in poi con Mario d’Angelo da Villa Romagnoli, giunto a Poggiofiorito per dirigere il coro, inizieranno nuove rassegne, e verrà creata quella canzone che ancora oggi è l’inno del paese: L’Uve di Poggifiurite.








Qui riportiamo in ordine, per quel che si è riuscito a trovare grazie a Vincenzo Coccione, l’elenco cronologico dei titoli delle canzoni presentate nelle Sagre dell’uva.

Le canzoni delle varie Sagre dell’Uva:

1a Festa dell’Uva, 1929

FESTA DELL’UVE di A. Ambrosini, T. Coccione, testo perduto


2a Festa dell’Uva, 1930

LA CANZONE DELL’UVA di L. Dommarco, O. Jannucci


3a Sagra dell’Uva, 1932

LA CANZONE DELL’UVE di C. De Titta, A. Di Jorio, trattasi dell’ultima canzone scritta da De Titta, che morirà l’anno seguente

LA FESTA DE LA VILLEGNE di T. Di Martino, O. Jannucci

 

5a Festa dell’Uva, 21 settembre 1934

LA CANZONE DELL’UVA di C. Romagnolo ossia Evandro Marcolongo, A. Di Jorio

GGIOJA ME’! d A.Ambrosini, T. Coccione

‘NDUVINARELLE di T. Di Martino, A. Di Jorio

 

6a Sagra dell’Uva, 22 settembre 1935

CHIARINELLE di C. De Titta, G. Albanese

FENESTRA di A. Ambrosini, T. Coccione

RUSINELLE di T. Di Martino, T. Coccione

 

7a Sagra dell’Uva 1937

L’ABRUZZE ME’ di C. Fagiani, U. Di Santo

LA VILLEGNE di A. Fecchia, G. Gargarella

PECCHE’ MI PIACE TANTE! E. Di Loreto, E. Zazzini

POGGIFIURITE di TO. Di Martino, A. Di Jorio

ERE NU FIORE di G. Sigismondi, T. Coccione

VI’ STASERE? Di R. Sabelli, A. Di Jorio






8a Sagra dell’Uva, 1938

ALBE E NE’ ALBE di G. Sigismondi, T. Coccione, come riportato nel libretto, altri vogliono Arturo De Cecco come musicista

CAMOANE A’LLIGREZZE! Testo di L. Dommarco, musica A. Ricchiuti, come riportato nel libretto (VIII Sagra dell’Uva); tuttavia come si sa, e come è stato pubblicato nei suoi “Nuovi Canti d’Abruzzo”, del 1927, la canzone fu musicata nel 1912 da Guido Albanese per il Dommarco.

TIRE TU, CA TIRE JI! di R. Sabelli, V. Olivieri

LE ‘STATE di A. Fecchia, G. Gargarella

SIRINATELLA VICCHIE di T. Di Martino, A. Fuggetta

STU PAESETTE ME’ di E. Di Loreto, P. Liberati, già presentato nel 1929 alla Maggiolata di Ortona

 

9a Sagra dell’Uva, 1939

CHICCHIRICCHI’! di T. Di Marino, E. Zazzini

JI MI CREDE’ di C. Fagiani, V. Olivieri

LA DONNA ‘NCHE LI TRUCCHE di N. De Riggi, T. Coccione

LA PECURALE di G. Sigismondi, T. Coccione

PARANZELLE di T. Di Martino A. Ricchiuti

LI STURINILLE DE LA VILLEGNE di N. Saraceni, G. Gargarella

CI STA NA CASARELLE di C. Renzetti, A. Ricchiuti

LA CUJJETURE DE LA ‘LIVE di G. Sigismondi, T. Coccione

 




Le canzoni della Sagra della canzone fascista, 21 settembre 1939

SALTARELLA PAISANA di A. Ambrosini, T. Coccione

SALTARELLA FASCISTE di T. Di Martino, E. Zazzini

A ST’ARIE DI CANZONE di E. Di Loreto, P. Liberati[1]

OH, CHE BELLA FAMIJJE! Di G. Albanese

LETTERA A MARIU’ di T. Di Martino, A. Di Jorio

LU RITRATTE di E. Di Loreto, A. Polsi

SUONNE di E. Marcolongo, A. Di Jorio[2]

STELLA MATUTINA di C. Fagiani, U. Di Santo[3].



[1] Lo scrivente presso l’archivio famiglia Di Nardo ha rinvenuto il testo scritto e musicato di un’altra canzone simile a questa, degli stessi autori, che doveva partecipare alla festa della Canzone fascista, come riportato in calce in prima pagina, ma che fu scartata, il titolo è Serenata fascista.

[2] Questa canzone, modificata e allungata di 4 strofe successivamente, fu incisa dal Coro folk “A. Di Jorio” di Atri negli anni ’80 (la versione del 1939, ma con “So’ suonne, core me’, ma lu pinzire: / torne a cantà nghe te / Camicie nere (cambiato con “Vuccuccia d’ore”, riferito alla celebre poesie del De Titta musicata dal Di Jorio) mo’ sempre gne ‘ndanne, / a l’are ‘ntra la pampile e le canne”, e di recente inclusa nelle 4 strofe nel cd “La lune a la Majelle: Canti abruzzesi di Evandro Marcolongo”, a cura del Coro Giovani Voci Dijoriane di Atessa

[3] I due scrissero anche un’altra canzone di Regime, dal titolo Uno, due!, in riferimento al passo di marcia dell’oca. Un copia dell’originale si trova nell’Archivio dell’Associazione “T. Coccione”, nella cartella “Ugo Di Santo”.







La canzone A st’arie di canzone del due Di Loreto-Liberati, era stata preceduta da un’altra canzone oggi inedita, dal nome Saltarella fasciste (da non confondere con la Savitarelle fasciste presentata da Di Martino e Zazzini), posseduta dagli eredi Di Loreto-Sciascia, che è stata donata al Centro di Documentazione Teatrale “Di Loreto-Liberati” di Castelfrentano, di cui esistono altre copie, una delle quali presso gli eredi Di Nardo-Liberati, messami a disposizione, e pubblicata nel libro di A. Iocco, Stu Paesette me, Castelfrentano 2022, dedicato a Pierino Liberati. Il tema è lo stesso, così quasi tutte le strofe, tranne delle modifiche presenti nella strofe 2da. Uguale è anche il ritornello.

 

Riportiamo il testo dal libro Stu Paesette me’:

 

SERENATA FASCISTE[1]



[1] Dal manoscritto si vede come in origine il testo dovesse essere questo ad essere eseguito, al posto di A st’arie di canzone, alla Sagra della canzone fascista di Poggiofiorito del 1939; il ritornello è quasi identico; ma poi fu optata l’altra canzone.



Parole di Eduardo Di Loreto

Musica Pierino Liberati

I                                                                                                                                                                         II 

Da quande ti so’ viste                                                                                                                       Quande, tra tanta stelle,

vestite a la fasciste,                                                                                                                          lu ciele si fa cchiù belle,

stu core treme ‘m pette,                                                                                                                        e l’ombre, tra li mure

come ssu gagliardette!                                                                                                                  l’amore fa cchiù scure….

 

Di giorne t’accarezze,                                                                                                                             Stu core che, la sere

di notte ti ve’ a cantà                                                                                                                             nen po’ cchiù aripusà

a ssa logge: “Giuvinezze!”                                                                                                               cante l’Inne de l’Impere

                                                                                                                                                                              e ti fa’ vijà!

 

RIT.                                                                                                                                                                   III

A st’arie di canzone                                                                                                                  Quande la lune è  nate                                                                                                          

s’apre lu balcone,                                                                                                                                  pe’ farte na serenate

casche, pe’ me, nu fiore,                                                                                                                           pije chitarre e core

e ve’ sopra stu core…                                                                                                                                e me ne esce fore. 

Nu vascette ji ti manne                                                                                                                       Tra mille e mille luce

S opr’a a sta mane,                                                                                                                      che ‘n ciele me ste’ guardà,

e tu da ssa luggette,                                                                                                                  l’aricante: “DUCE! DUCE!”

mi salute “a la rumane!”                                                                                                                             e t’ha da ffaccià!

RIT                                                                                                                                                             RIT. FINALINO

A st’arie di canzone ecc…

 

                                           


                                                                                                   

              



Per la XII Maggiolata di Ortona del 1931 Cesare de Titta e Camillo de Nardis presentarono la canzone Ninna nanna fascista, poi nominata Ninna nanna abruzzese:

Fa ‘scì la lune, e ffa’ cuprì lu sole,

famm’addurmì, Madonne, stu fijole:

falle mette nghe ll’angele ‘n camine:

pe’ l’uorte de lu ciele e li ciardine.

 

Ancora oggi celeberrima, nella versione armonizzata dal M° Ennio Vetuschi, ma quasi tutti si guardano dal proporre la 2da strofe:

Je so’ ‘ppese, Madonne, na crucette:

nghe la felluccia tricolore ‘m pette:

è lu pupe cchiù care de la ville,

nghe lu camiciulelle di Balille:

fammele cresce “fijje di valore”,

fammele duventà Medajja d’ore!

 

Altri tempi questi, che perfino De Titta e De Nardis vivevano a denti stretti. Basti leggere le riflessive lettere del De Titta al nipote dott. Giuseppe Loreto sul “pazzo mondo”  e sulla triste fine che di lì a qualche anno avrebbe fatto. De Titta non riuscì a vedere le barbarie compiute nel suo Abruzzo, la bronchite se lo portò via nel 1933.

 

Poggiofiorito set di Torna caro ideale (1939) – Vincenzo Coccione racconta

Vincenzo Coccione, illustre figlio insieme al fratello Camillo, di Tommaso Coccione, ricorda ancora molto bene diversi aneddoti delle Maggiolate a Poggiofiorito, per la precisione le Sagre dell’Uva, che si tenevano in settembre per la festa patronale di San Matteo. Esse erano state pensate per far concorrenza a Ortona, e su suggerimento di Cesare de Titta, che amava spesso soggiornare al terminare dell’estate a Poggio, ritrovando forse i panorami e le suggestioni della sua Fiorinvalle santeusaniese, su quei colli digradanti verso il Moro, baciati dalla Majella, i poeti di Poggio si dettero da fare nell’allestire i carri, che sfilavano con i coristi per il Corso fino alla piazzetta del Comune, dove i fratelli Coccione riporteranno più avanti le Maggiolate. De Titta scrisse una bellissima Canzone dell’uva, su musica di Di Jorio, presentata nel 1931, che inizia con:

Quest’è Poggefiurite,

la feste de la vite,

e ccante le canzone

dell’uve che tu siè,

e che ffà

addurà,

effiurì lu nome te!

La canzone di Cesare de Titta e Antonio Di Jorio  - Ultima fotografie di Cesare de Titta, inviata a Poggiofiorito, oggi nel Museo del Folklore Abruzzese “T. Coccione” di Poggiofiorito.


Dal 1938 Poggiofiorito avrebbe fatto il suo salto di qualità sul grande schermo, una meteora purtroppo nell’arco della sua storia artistica, che però è ancora oggi ricordata con affetto dagli anziani. Per cui abbiamo intervistato Vincenzo Coccione e sua moglie Nicoletta Del Zoppo, affinché il ricordo non venga dimenticato:

nell’anno 1938 Nicola Cortellone di Ortona vigile urbano, si era sposato a Poggio, era ben inserito nel gruppo corale preparato dal M° Guido Albanese per la preparazione della Maggiolata anno 1938, ad esempio conosceva Vincenzo Paolini di Poggio e altri che nell’orchestra suonavano il mandolino. Questo gruppo di poggesi, un giorno suggerì a Guido Albanese di andare a far visita al M° Tommaso Coccione, che era considerato un fuoriclasse della fisarmonica, tanto che il Paolini spesso lo andava a trovare a casa, rimanendo estasiato dalla sua musica. Infatti un giorno Vincenzo Paolini andò a casa Coccione, e lo trovò che giocava a bocce con amici. Invitato dal Paolini, Coccione lasciò il gioco, imbracciò la sua fisarmonica con inciso il suo cognome, suona un po’ i scale cromatiche per riscaldare lo strumento, e chiede: “Cosa volete sentire?” Paolini, imbarazzato, chiede di fare lui, e Coccione inizia, a memoria, a suonare dei pezzi dall’Opera lirica. Vincenzo Paolini e amici rimangono come stregati da quella maestria, tornano a Ortona dall’Albanese, e quasi non riescono a parlare per l’emozione.



Al che Albanese volle conoscere di persona questo portento della Terra d’Abruzzo: cosa mai poteva uscir fuori dalla piccola Poggio? Tommaso Coccione si reca alle prove della Maggiolata, che si svolgerà il 4 settembre 1938. Sedutosi con l’orchestra, rifiutò lo spartito, sostenendo che poteva leggere da quello del violino che era seduto davanti a lui, poiché le chiavi di nota sono simili. L’Albanese lo lascia fare, magari anche con un po’ di ritrosia, essendo nota la sua meticolosità nella preparazione del Coro e dell’Orchestra, ma appunto, lascia fare.

A un certo punto delle prove, quando tutto pareva andare piuttosto bene, Tommaso Coccione sembra distrarsi, e si ferma, non suona più. L’Albanese ordina lo stop, e dice: “Coccione, te l’avevo detto, dovevi leggere lo spartito!”

“Maestro, se permettete, in questo punto serve un Sib, al posto del Si naturale. Per questo mi sono fermato”.

L’Albanese è incredulo, prende lo spartito, legge attentamente. Effettivamente se in quel punto del pentagramma fosse stato inserito il Sib si sarebbe abbassata, rendendo il ritornello più gradevole. Eccola la prova per Coccione, era stato assunto nell’Orchestra! Tanto da figurare nel libretto della Maggiolata come solista nella fisarmonica!

Furono presentate canzoni eseguite già nelle altre Maggiolate, dati i problemi di organizzazione, come:

VUCCUCCIA D’ORE di De Titta-Di Jorio

A CORE A CCORE di Di Loreto-Liberati

VUJJE PIJA’ LA MOJE di Della Porta e Albanese, ripresentata nella Maggiolata come omaggio al poeta guardiese, morto in quell’anno

SERENATELLA STUNATE di Marcolongo-Di Jorio

LU ‘NDRUVARELLE di Saraceni-Fuggetta

CORE DI MAMME di Albanese

Tra le nuove canzoni figurano:

Il duetto: APRE, BELL’EZZ’AMATE! Di Sigismondi e De Cecco

SOLE DI MARZO di Albanese

Infine le parti cantate e i duetti dai 3 quadri del TRITTICO DI TERRA D’ORO di Albanese e Dommarco

Al termine di quell’anno, con l’avvio della primavera del 1939, la troupe cinematografica di Guido Brignone sta preparando il film Torna caro ideal, incentrato sulla giovinezza di Francesco Paolo Tosti, musicista celeberrimo ortonese, e zio di Guido Albanese. Lo stesso Albanese viene chiamato ad arrangiare per lo schermo le romanze del Tosti, come Marechiare e Ideale, mentre Ettore Montanaro di Francavilla, partecipante a diverse Maggiolate ortonesi, e studioso della Canzone popolare abruzzese, si occupò dei Saltarelli delle scene che verranno girate in Abruzzo. Vincenzo Coccione ricorda che fu scelta la Savitarella nostre, tipica poggese, eseguita da Tommaso Coccione nella scena del banchetto nuziale; una saltarella popolare dell’area chietina, molto simile a un Saltarello che venne trascritto dal Montanaro e inserito nei Canti della Terra d’Abruzzo, Milano Ricordi, 1924, poi 1954, e successivamente riarrangiata dal M° Giuseppe Di Pasquale, ancora oggi eseguita e ballata da diverse corali, come La Savitarelle.



Vincenzo Coccione precisa che il Brignone venne a fare dei sopralluoghi già dopo la Maggiolata del settembre 1938, a Poggiofiorito, mandato su consiglio dell’Albanese, rimase affascinato dagli abiti tradizionali, dai pizzi, dai veli bianchi del Coro, dalle belle ragazze ricordate nelle diverse canzoni delle Sagre dell’uva. Come location fu scelta la Masseria Andreassi di via Martorella, oltre il cimitero, e venne impiegato tutto il Coro folkloristico nei balli. Ed eccola la scena del film: Maria Vernovska bella e sensuale interpretata da Laura Adani, si reca col cocchiere dal Conventino di Francavilla al paese, per raccogliere un po’ di fiori, sente di lontano il ritornello popolaresco di Dammi un riccio dei capelli, canzonetta abruzzese elaborata dal Tosti, arrangiata dal Montanaro per la colonna sonora del film; ed ecco che rimane affascinata dalla scena del banchetto nuziale, dove i coristi ballano e cantano. Al centro, gli sposi, il nostro Nicola Cortellone che balla la saltarella, sotto le note incalzanti del Coccione, seduto al centro con gli accompagnatori. Suonava la sua mitica fisarmonica fabbricata dalla Dallapè Stradella di Pavia su sua commissione, con la scritta COCCIONE.

Anche al pianoforte, ricorda Vincenzo Coccione, suo padre era un fuoriclasse, tanto che una volta suonò girato di schiena, con la mano sinistra eseguiva gli alti, con al destra i bassi; immaginiamoci la scena del film Amadeus sulla vita di Mozart, e possiamo comprendere quale era la sublimità del genio di Poggiofiorito. Del resto, il Coccione nel 1938 fu chiamato anche a Piazza Siena a Roma, per la visita di Hitler in Italia, e si esibì insieme a 900 coristi, suonando da solista la fisarmonica, tanto era considerato perfino da Mussolini. Purtroppo la malattia se lo portò via a soli 36 anni nel 1941. Resta un bellissimo articolo scritto dal suo amico Eduardo Di Loreto nel Messaggero.




Passò la guerra, distrusse Poggio, distrusse la Perla dell’Adriatico, i tedeschi minarono Villa Coccione, gli spartiti andarono persi, oppure danneggiati gravemente. La costanza della famiglia Coccione, dei figli Vincenzo e Camillo, e della loro madre, fece sì che tutto non andasse perso. E quando il Coro dopo la tempesta si ricostituì, con la direzione di Zazzini e poi del M° Mario D’Angelo di San Vito, eseguì la celeberrima canzone che ancora oggi è eseguita, divenuto l’Inno di Poggiofiorito:

L’UVE DI POGGEFIUTRITE

Versi di Zincone, musica A. Di Girolamo

 

Ma quant’è belle st’uve,scià bbindette!

La terre che ci dà stu frutte d’ore!

Currete, giuvinette, tutt’in core:

canteme mo’ st’allegra canzunette:

 

RIT

Poggefiurite è nu paese belle!

Si cante e ride, sole, lune e stelle,

e l’uva scì fine e tante bbone,

ca zi li prove, nin ti li po’ scurdà!

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