Pasquale Celommi, Donna
e pescatore, coll. priv. |
di Angelo Iocco
Canti d’amore
Continuando nel nostro itinerario della Canzone popolare
abruzzese, ci soffermiano ancora sugli Stornelli Abruzzesi e i canti d’amore.
Essi sono serviti dispirazione nel Novecento a diversi poeti dialettali, come
Cesare de Titta, Giulio Sigismondi, Modesto Della Porta, Luigi Dommarco e Luigi
Brigiotti per descrivere le bellezze e le qualità della loro bella. Gli
stornelli amorosi “fior di ciràsce” (fior di ciliegia) che venivano lanciati
dagli spasimaneit alle fanciulle, sembrano quasi farci immergere in un quadro
di Francesco Paolo Michetti o Pasquale Celommi. I contadini aspettavano le loro
fanciulle al momnto dell’uscita dalla Messa, o durante il lavoro nei campi, o
si recavano di note alla finestra per intornare una serenata. Il metron usato
era quasi sempre il distico, soprattutto se c’era una risposta da parte della
bella.
Questo modo di cantare servì di ispirazione a diversi
poeti e musicisti per le canzoni delle Maggiolate, e citiamo Amore me di De Titta e Di Jorio, Brunettelle di Sigismondi e Melchiorre, Serenata spassose di Marcolongo e Di
Jorio. Il ritmo giocoso e scherzoso era quello preferito. La ragazza viene
paragonata a “nu purtuhalle” cioè un’arancia, ora al sole che illumine
l’esistenza dell’innamorato, ora la bocca della bella amante è tutta di
zucchero (vucciccia ‘nzuccherate”, e qui viene subito in mente la canzone Vuccuccia d’oro di De Titta e Di Jorio);
oppure un altro element fisico protagonist dei messaggi amorosi sono gli occhi.
Ricordiamo gli “ucchiuni nire” delle poesie detittiane, o anche I capelli neri
della Caruline di De Titta e Di
Jorio:
Sti capille Caruline,
Com’è bille, cuscì fine,
Tutte trecce, tutt’anielle
Tutte quènete fa ‘ncantà.
Nessun commento:
Posta un commento