di Angelo Iocco
Santa Maria dei Mesi è una piccola contrada settentrionale di Lanciano,
con un fantastico panorama verso la vallata del Moro, da dove si ammirano
Castel Frentano, Orsogna e Sant’Amato. I lancianesi la chiamano popolarmente
“Santamaramìsce”, in onore della Madonna. Il nome in realtà è errato dalla italianizzazione “dei Mesi” del
latino Sancta Maria de Visu o in Visi lungo il tratturo che passa per la
stradina che costeggia la chiesa di Santa Maria dei Mesi, e che scende verso il
valloncello sottostante, per risalire alle Torri Montanare di Lanciano. Notizie della chiesa si hanno nel XVI secolo, quando il papa Gregorio XIII concesse l'indulgenza
plenaria. In una visita pastorale del 5 settembre 1646, il Monsignore Andrea
Gervasi ordinava che venisse ricostruita la statua della Vergine; in una
seconda visita del 1671 di Alfonso Alvarez si scopre che la chiesa fa parte
della parrocchia di Santa Maria Maggiore. La chiesa fu ampliata nei primi anni
dell’800 durante l’arcivescovato di Mons. De Luca.
Il 10 ottobre 1922 l'Arcivescovo Nicola Piccirilli, su richiesta della popolazione, concesse il permesso di celebrare regolarmente le messe nella chiesa, spesso chiusa a causa di incuria. Nel 1996 fu restaurato il tetto. La chiesa ha una facciata a capanna con l'accesso preceduto da un pronao a tre archi con cancellata in ferro battuto. L'interno mostra i caratteri di una chiesa rurale abbellita da stucchi barocchi e dal tabernacolo in scagliola presso l'altare maggiore: illuminato da otto finestroni, ha pianta rettangolare con soffitto a capriate lignee, dalle quali scendono tre lampadari in ferro battuto. Il tabernacolo accoglie le statue di fattura popolare del XVII secolo della Madonna col Bambino, e ai lati delle due Marie. Lungo le pareti si scorgono due piccole nicchie in cui sono collocate le immagini del Volto Santo e San Mauro.
La statua della Madonna, che oggi non sfila più in processione, è del XVI secolo, di fattura popolaresca, in legno dipinto. È di realizzazione locale, un po’ rozza, ma di una mano sapiente, probabilmente qualche artigiano dei dintorni, forse proveniente da Orsogna, per alcune affinità dei lineamenti del volto della Madonna con la statua quattrocentesca della Madonna del Riparo. Molte chiese del contado lancianese possiedono belle statue in terracotta o legno dipinto, come quella di Sant’Egidio, quella antichissima in terracotta di Santa Giusta, sostituita da una statua più moderna, quella della Madonna della Libera, di Sant’Amato, o della Madonna delle Grazie a Marcianese.
Nel 1836 avvenne un miracolo: dei fedeli, la tradizione
vuole dei ragazzi, videro che la lampada della Madonna ardeva da sola, senza
olio. Era il mese di luglio, mese in cui nei dintorni si festeggia la Madonna
del Carmine, ma anche la Madonna delle Grazie, e i fedeli interpretarono quel
prodigio come un chiaro segno. E l’evento fu ricordato in un Quadro votivo che
ancora oggi si porta in processione. Dalla seconda metà del Novecento, quando
la chiesa fu riaperta al culto dopo importanti lavori di restauro, i parrocchiani
istituirono dei comitati con cadenza settennale, che si rinnovano con puntuale
senso di profonda devozione religiosa, per organizzare la festa con spettacoli
musicali e pirotecnici, e l’immancabile banda, il tutto per il giorno di festa,
7 luglio.
Questo Quadro non può uscire in altri giorni, altrimenti la contrada ne
riceve cattivi pronostici, ed è successo che volevano farlo, e il Quadro
diventava pesante, oppure una volta accadde il Terremoto.
Si dice anche che la Madonna deve essere venerata con devozione il
giorno di festa, e che i contadini non debbano lavorare i campi. Un contadino
stava legando dei covoni e sospirava “Santamaramìsche, l’aja fa’ pe la
fatije!”, e la Madonna offesa fece volare tutti i covoni con un violento vento.
Il Quadro della Madonna della Luce, dalla
chiesa di Santa Maria in Castello, proveniente dall’ex convento di Santo
Spirito dei Celestini
Vicino la chiesa di Santa Maria dei Mesi vi è la chiesetta di Santa
Maria in Castello, detta della Luce. La leggenda racconta che duecento anni fa
la Madonna apparve a dei contadini in un turbinoso fascio di luce, e chiese di
costruire una piccola cappella. I contadini prontamente la fecero, e dipinsero
il miracolo dell’apparizione sulla volta centrale.
Il Colle della Cicciolanza
Una tradizione antica lancianese era quella di andare al Colle della Cicciolanza, ossia quello dove sorge la chiesetta della Madonna, contrassegnato oggi da un brutto ripetitore. Qui vi erano distese di uliveti, e i giovani lancianesi che marinavano la scuola, o che erano alle prime esperienze d’amore, si andavano a rifugiare in questa assolata alcova, per fare delle belle scorpacciate di fave, o per incidere i propri nomi sul muro laterale della chiesa. Diverse coppie si sono sposate e hanno messo su famiglia, e i loro nomi sono ancora lì, incisi sull’intonaco bianco della chiesetta. Non mancavano le marachelle durante queste “suscillette”, ad esempio a un ragazzo dissero che il proprietario aveva messo del diserbante sulle fave, ma costui le mangiò ugualmente, per fare la prova se si sentisse male. Alla fine si sentì male davvero…per indigestione!
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