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14 luglio 2024

Francesco D’Urbano (1920-1967), maestro, poeta e pittore di Fara Filiorum Petri.

Il M° D’Urbano negli anni ’50, dal cd Queste è lu Paese me’.

 Francesco D’Urbano (1920-1967), maestro, poeta e pittore di Fara Filiorum Petri

di Angelo Iocco

Nello stendere un ricordo del M° D’Urbano, desidero ringraziare il nipote Prof. Francesco D’Urbano, da sempre attento alla riscoperta delle tradizioni musicali abruzzesi, ella storia musicale del suo paese, e all’opera del nonno, di cui ha curato una pubblicazione su CD, con libretto biografico: Queste è lu Paese me’, 2015, con le canzoni abruzzesi del D’Urbano eseguite dal Coro di Fara.

Francesco Antonio D’Urbano nacque il 1 giugno 1920 a Fara Filiorum Petri, in una casa di Via Roma, quasi accanto la chiesa. Suo padre Achille era un falegname molto noto, nonché musicista, e fu lui ad avviare il piccolo Francesco alla passione per la musica, regalandogli una tromba, con cui esercitarsi e apprendere i primi rudimenti. Fara sin dall’Ottocento era rinomata per il suo Corpo bandistico, che si esibiva nelle festività principali del paese: durante la novena di Sant’Antonio abate, e anche nella festività delle Sante Reliquie.

Il giovane Francesco, si ritrovò catapultato in un mondo molto più grande di lui. Dalla piccola appartata Fara nella valle del Foro, dovrà andare al Fronte: nel 1939 scoppiò la guerra, l’anno seguente l’Italia entrò nel conflitto: Francesco fu chiamato alle armi, per tornare a casa solamente nel 1946. Fu inviato sul Fronte di Egitto, tra le cittadine di Sidi-El Barrani e Sollum, in Africa settentrionale. Tenne un diario di guerra, avviato l’11 giugno 1940, e interrotto il 12 dicembre dello stesso anno, a causa della cattura da parte degli Inglesi, che hanno fatto irruzione nell’accampamento nemico. 


D’Urbano fu prigioniero degli Inglesi sino alla fine del conflitto, fu trasferito tra l’ Inghilterra, Grecia, Cirenaica. Il Diario andò smarrito, D’Urbano non ebbe tempo nemmeno di terminare l’ultima frase, come visto. Fu sequestrato come bottino di guerra, e dopo varie peripezie, fu rinvenuto in Australia negli anni ’60 da un pastore, che lo donò all’Associazione Internazionale Emigranti Italiani, dove tutt’ora è conservato. L’allora responsabile Laura Mecca contattò la famiglia Di Giuseppe a Fara, e tramite anche la diplomazia del giovane Francesco D’Urbano, nipote del Nostro e di Margherita Di Giuseppe, fu spedita una fotocopia in alta risoluzione alla famiglia, accompagnato da una lettera della stessa responsabile della COASIT (Italian Historical Society di Melbourne, Carlton, Victoria, Australia). Nella lettera si riporta:

"Le mando una fotocopia del diario. Sono certa che proverà una forte emozione nel leggerlo. Noi lo vogliano pubblicare e tradurre in inglese, appunto per rendere omaggio a suo marito e ai suoi compagni, sia a quelli che sono morti in guerra che a quelli che, come lui, sono stati fatti prigionieri.”

Le vicende avventurose di questo Diario furono riportate anche in una recente puntata Radio, a cura di Laura Mecca:

https://www.sbs.com.au/language/italian/it/podcast-episode/once-upon-a-time-in-australia-story-of-a-war-diary-and-italian-pows-down-under/ckprbdtou.

Il Diario fu trovato nelle campagne di Sidi-El Barrani e Bardia. Sono descritte le vicissitudini della guerra vissuta dal vivo. Il Diario era considerato un bottino di guerra, l’australiano che lo trovò avrebbe dovuto consegnarlo al Comando, ma capì la sua importanza, e cercò in ogni modo di rintracciare la famiglia di Francesco D’Urbano.

Nella prigionia, racconta Laura Mecca, i soldati italiani erano trattati con severità dagli inglesi, e per mangiare qualcosa in più, riuscivano quando potevano, a racimolare gli scarti della farina inglese, per impastarci il pane, uscendo di notte. Il comandante del campo aveva un grande gatto nero, la tentazione degli italiani di mangiarlo era forte, e il gatto finì mangiato, e la punizione sarà severissima.

Tornato in Italia dopo la guerra, Francesco sposò Margherita Di Giuseppe, a seguire dovette gettare le basi per la nuova famiglia. Aprirono in centro un alimentari nella piazza, e qualche anno più tardi si allargarono nella stanza accanto del palazzo in Piazza Mercato, gestendo una sala da biliardo con bar. Francesco lavorava come falegname, racconta Margherita Di Giuseppe, aveva diverse commissioni, e aiutava anche presso l’attività dell’alimentari. Nei pochi momenti di libertà, si sedeva da solo, con il suo strumento, carta e matita, e improvvisava composizioni per Banda. Nonostante la devastazione a la miseria, la Banda a Fara era anche attiva, e animava le feste e le principali celebrazioni religiose; tra le composizioni di genere sinfonico e militare: Italia – Omaggio a Fara – Canzoniere – Margherita (dedicata alla moglie)[i]. Diverse erano le turné della Banda, per i paesi circonvicini, ma anche fuori regione. Spesso con mezzi propri!


Copertine dei libretti di canti della 1° e 2° Maggiolata farese, archivio Francesco D’Urbano

In questi anni un comitato organizzò le Festività per le Sante Reliquie conservate a Fara. Il Comitato volle allestire anche un programma folkloristico, a imitazione delle Maggiolate ortonesi, e fu chiamato il Maestro D’Urbano, che formò un coro con le più belle ragazze del paese che avrebbe dovuto cantare le sue canzoni. Nel 1947 fu dunque presentata la prima Maggiolata farese; tra le canzoni: Cante tu, Fara me’ Queste è lu paese me’, A la funtane, Manchéve na perle, Siam faresi.

Il successo portò D’Urbano a essere chiamato dal Comitato per le Feste del 1947 (28 agosto), con una nuova rassegna di canzoni, con un organico di 50 elementi. Le canzoni presentate furono:

Fu anche questo un successo strepitoso, anche perché all’epoca, non esistendo gli strumenti tecnologici di registrazione di cui oggi disponiamo, un motivetto, un ritornello, una strofe immediatamente, se faceva presa sul gusto del popolo, veniva fischiettata, canticchiata, ripetuta, e diveniva insomma patrimonio di dominio pubblico. E le strofe di Cante tu, Fara me’, Siam Faresi, Manchève na perle, si improvvisavano individualmente in coro nelle passeggiate, nel lavoro dei campi, all’ombra della Piazza, mentre si andava a prendere l’acqua alla fonte. Dopo questa Maggiolata 1949, non ci furono altre occasioni per D’Urbano di partecipare con le sue canzoni. Purtroppo non concorse alle Maggiolate ortonesi, dove avrebbe potuto avere grande successo, magari entrando in sintonia col M° Albanese, o a Pescara alle celeberrime Settembrate, avviate negli anni ’50. Le Maggiolate di Fara, al di là degli anni, con la tenacia dei Faresi e del M° D’Urbano, che le ha riportate alla conoscenza collettiva, eseguendone le canzoni del nonno nel vari Festival corali abruzzesi, e incidendole nel cd Francesco D’Urbano – Queste è lu Paese me: Canti faresi, 2015, resteranno per sempre a consacrazione della tradizione canora farese. Hanno avuto altresì la fortuna, tali canzoni, di rappresentare un’intera Comunità, che le canta ancora con passione e attaccamento devozionale, direi, specialmente nelle Rassegne estive, e nei momenti di convivialità durante le feste di Sant’Antonio abate. Impossibile non improvvisare, in qualsiasi momenti di pausa, tra le comitive, i ritornelli di Queste è lu Paese me’, o Cante tu, Fara me, sempre col M° D’Urbano in testa a dirigere i compaesani! Lu Duttore, a cui fa riferimento, è il sindaco Giuseppe Bucciarelli, in carica dal 1946 al 1951

 

Cante tu, Fara me’

Sta feste z’arefatte a lu paese,

e tutte so’ cuntente e so’ felice,

perciò a la Fare penze nche lu core,

a  ringrazia lu Cape e lu Duttore

 

 

RIT.

Cante tu, Fara me’,

come scì n’feste, tu!

cante ste canzunette me’

fatte nu ccone sintì tu,

pecché su core vo’ sentì

che lu Paese cchiù belle tu scì!

 

Dille a chi si e a chi nen le sa

Che pe’ bellezze ‘n c’è da fa,

pecché su core vo’ sentì

ca lu Paese cchiù belle tu scì!

 

 

Queste è lu Paese mè

E’ maggio e va’ sussù lu sole all’orizzonte.

Ed è un incanto, un quadro una pittura,

il verde paesello sembra d’oro.

E’ verde e sembra argento un fiume d’oro.

 

RIT

Quest’è lu Paese me’

E tante tante, tante je vojje bbene!

Me trase ‘nta lu core n’allegrije

Pecché ci ride ji e mamma mie.

Se te ne vì, ‘n c’arimenì,

luntane  in ci si po’ stà!

 

Quest’è lu paese me’

E tante, tante e tante je vuojje bbene!

Me fa’ sentì lu core arricciarille

Pecché je vuojje tante bbene!

 

 

 

 

Siam faresi

E va’ li al mulino,

e va’ sempre il mancino,

e va’ li al Giardino,

e va’ sempre più fino.

 

RIT.

Siam faresi, siam cortesi,

ci guardate perché fossimo orgogliosi.

Vi dirò qual è il perché,

tanto orgoglio cresce in me:

 

Gente semplice e felice,

nu Paese arizzilàte,

la funtane z’ha sfasciate:

za’ Luisette s’arrajate! (ripet.)

 

 

D’Urbano non partecipò ad altri concorsi abruzzesi che in quei tempi si svolgevano non solo nelle città maggiori, ma anche nei vari paesi dell’entroterra. Alla fine degli anni ’40 nella vicina Guardiagrele, si realizzavano (abbiamo censito al momento 3 edizioni, delle cosiddette Ottobrate abruzzesi, l’ultima nel 1948) le rassegne delle Ottobrate abruzzesi, una imitazione della Maggiolata ortonese, in cui gareggiava il poeta Agrippino Bucceroni (si ricordano le sue canzoni Bucche de Valle o Majella me’). Nel 1948 e nel 1950 a Frisa si era bandito un concorso di canzoni abruzzesi, cui partecipavano autori locali, come Mario e Nicola Lanci e Pierino Liberati; nel 1946 a Villa Rogatti e a Caldari, vicino Ortona, erano riprese le Sagre della canzone abruzzese (a Caldari la prima ci fu nel 1936, le ultime edizioni, una decina in tutti, ci furono negli anni ’60, vi parteciparono i locali Oberdan Giangrande, Michele Marrocco, Alberto Dragani, ma anche Antonio Di Jorio, Cesare Fagiani, Ugo Di Santo e Tommaso Coccione); nel 1948 ci fu un’edizione di canzoni abruzzesi a Romagnoli di Lanciano per la festa di Sant’Antonio, con diverse canzoni scritte dal M° Mario D’Angelo, che di lì a poco dirigerà la corale di Poggiofiorito per diversi anni. Altre rassegne di canzoni abruzzesi, dove ogni tanto si riciclavano canzoni già eseguite alle storiche Maggiolate ortonesi, nacquero a Sant’Apollinare Chietino, a Crecchio, a Canosa, a San Leonardo. Ogni paese del chietino, fino al pescarese, voleva avere la sua “maggiolata”. A San Vito nel 1947 Giulio Sigismondi, insieme a Rocco Verì e Deo Bozzelli, si esibì con diverse canzoni, sulla scia delle storiche “feste del mare” del 1923-26, con una “cosiddetta terza edizione” delle feste delle canzoni: Cuscì cante lu core nostre, dove presentò la celebre L’arta cchiù prelibbate.

Nel 1952 a Pescara fu istituita la Settembrata abruzzese, anche ancora oggi, dopo il festeggiamento del 70mo anno di vita nel 2022, allieta il pubblico con diverse manifestazioni di cori, compagnie teatrali dialettali, e perfino Vie crucis itineranti in dialetto nei vari paesi d’Abruzzo. Tutto nacque durante una riunione di amici poeti e musicisti al ristorante “Terrazza Verde” a Pescara Colli, vicinissimo il Santuario della Madonna; tra questi in testa c’erano l’attempato Oberdan Merciaro, Rino Fabiano che fu presidente di varie edizioni, Stefano “Fanuccio” Fiorentino, Francesco Teodori, Antonio Piovano, Giuseppino Mincione e Antonio De Laurentiis, altro valente uomo che ravvivò le Settembrate con la sua presidenza.

D’Urbano certamente era a conoscenza di queste manifestazioni, avrà probabilmente ricevuto anche degli inviti a partecipare con coro farese. Ma forse gli impegni non glielo permisero. Oppure aveva altre ambizioni, poiché in questi anni compose sempre, nei pochi momenti liberi dal lavoro, e anzi ambiva a diversi concorsi nazionali.

Tornando alla biografia del Nostro infatti, oltre alle canzoni abruzzesi, si cimentò anche con composizioni in lingua. Gli anni ’50 erano i tempi del musicarello, di Canzonissima, di Voci e volti della fortuna. Questa rinascita della canzone italiana leggera sponsorizzato dalla Rai, arriverà anche in Abruzzo, con, le rassegne del Festival della Canzone Abruzzese Molisana di Vasto, avviato nel 1955 col presentatore RAI Corrado, oppure a Rocca di Mezzo, o a Teramo-Chieti-Pescara, con la rassegna La più bella e la più brava d’Abruzzo e Molise, cui parteciparono diversi Cori abruzzesi con canzoni e ragazze in abito “tradizionale”, patrocinati localmente anche dagli EPT (Ente Provinciale Turismo). Questi Concorsi canori si tenevano in tutta Italia. Uno celebre era il Torneo Nazionale della Canzone per il Turismo Italiano di Lissone (Milano), organizzato dalla SCI (Organizzazione Spettacoli Internazionali – Milano), del 1965. D’Urbano partecipò con la canzone Sulla Maiella[i]. La cerimonia si tenne al Teatro Excelsior di Lissone il 27-28 marzo 1965, la Commissione decretò D’Urbano vincitore del 1° premio del Concorso, con firma del Presidente della Giuria Beppe Mojetta, e del Diretto (firma illeggibile).

Banda di Fara Filiorum Petri, archivio Francesco D’Urbano

Sulla Maiella rappresenta una di quelle perle che fuoriescono dai piccoli paesi dell’Abruzzo, un canto delizioso, pieno di sentimento e d’amore, dalle tonalità larghe, dall’ampio respiro. Sembra di viaggiare, seguendo le strofe, dal mare di Pescara verso il fiume Foro, salendo sempre di più da Fara verso la Majella, a passeggiare con la propria bella tra i prati distesi della montagna! C’è dell’originalità, c’è del sentimento sincero, non versi inseriti in maniera macchinosa, dal tema già scontato, con il termine “Majella – Gran Sasso” inseriti giusto per dare un senso alla composizione, come purtroppo oggi capita di notare in diverse canzoni recenti abruzzesi. C’è la qualità, c’è l’amore! Il sapore, come direbbe il M° Francesco Paolo Santacroce, e in questa canzone sembra di sentire gli echi dei Maestri della Musica Abruzzese, primo l’Albanese con la sua Madonna, che passione!, presentata alle Maggiolate ortonesi. Auspichiamo che questa canzone venga rieseguita con più frequenza, e che presto venga fatta conoscere a tutti i Cori abruzzesi, per la preziosità ch’essa contiene.

Questa canzone fu anche l’ultima che il Maestro compose, perché a causa del brutto male, lasciò prematuramente Fara e i suoi amici e cari il 5 aprile 1967. La sua anima vive ancora oggi nelle sue canzoni, egli è riuscito a rappresentare il sentimento popolare del suo paese, che non lo ha dimenticato. A lui sono stati dedicati degli articoli di giornale, come in La voce dell’emigrante – Provincia di Chieti: Un musicista dimenticato; una strada del paese è a lui intitolata, a lui è intitolato il Coro folkloristico, che tante volte ha rappresentato le sue canzoni, incise poi nel cd.

Altre canzoni in lingua scritte dal M° D’Urbano furono Verde di terra straniera e Si, si! D’Urbano fu anche pittore autodidatta: anche nella pittura possiamo ritrovare i temi a lui cari, già cantati nelle canzoni: il paese, le ampie vallate, i colli, il massiccio della Majella che protegge la valle del Foro, insomma i luoghi a lui cari che ha vissuto con passione.  Come si è visto dal Diario, sin da giovanissimo D’Urbano si era cimentato nel disegno con interessanti risultati. In uno dei suoi dipinti datato 1956 ammiriamo la piazza con la Chiesa di Fara, che appare da lontano, semicoperta dal viale della pinetina del Lago, con il fiumicello che scorre, e le oche e le anatre che vi si tuffano. Una veduta di fantasia, naturalmente, D’Urbano volle immaginare il caro paese protetto dal piedistallo della Madonna (oggi in Largo Montecassino), che invita a passeggiare nella Piazza.  Guardando dunque il lavoro che il D’Urbano svolse, rimanendo sempre legato al suo paese, apprendiamo la versatilità della sua creatività, nel sapere interpretare i vari generi della canzone dei suoi tempi, passando dai tardi echi del fascismo e della guerra, alla rinascita della canzone italiana, veicolati e interpretati per comporre le sue melodie in lingua, gli stornelli utilizzati anche nella Banda per le sue canzoni abruzzesi, delicatissima la Madonna, pinzece tu, per spaziare infine alla pittura. Questo era Francesco D’Urbano, questa è la sua patria, citando la sua canzone. Siam Faresi:

“Gente semplice e felice”.

Grazie alla premuta del nipote Francesco D’Urbano, al nostro Farese sono state dedicati dei monumenti: la poesia A la funtane presso il portico della chiesa madre nella piazza Mercato, una pietra scolpita appena fuori la Porta medievale, e di recente un busto commemorativo nel palazzo comunale, nonché una strada del paese.

 



[i] Riportata come Sulla Majella, nel diploma di premiazione, presso gli eredi della famiglia D’Urbano-Di Giuseppe a Fara F. Petri.


[i] [i] Presso gli eredi D’Urbano-Di Giuseppe, si conserva un manifesto della Stagione concertistica musicale di Fara del 1950, dove il M° D’Urbano figura come capo-banda, sotto la direzione del M_ Cav. Giandonato Giosaffatto.

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