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12 maggio 2024

Pietro Polidori, Uomobono Bocache e le antiche iscrizioni su Anxanum – Lanciano.

Ritratto di Pietro Polidori, foto presa dal Dizionario biografico della Gente d’Abruzzo di Raffaele Aurini, ripubblicato nella copertina di G. Natale, Vita, opere e alcune dissertazioni inediti delle Antiquitates Frentanorum dell’abate Pietro Polidori di Fossacesia, Lanciano 2010


Pietro Polidori, Uomobono Bocache e le antiche iscrizioni su Anxanum – Lanciano

di Angelo Iocco

Questo lavoro è un abstract dal libro di prossima pubblicazione Omaggio a Uomobono Bocache nel bicentario della morte (1824-2024), di Angelo Iocco, Bibliografica, Castelfrentano, 2024.

Pietro Polidori o Pollidori (morto nel 1748) di Fossacesia, è ancora oggi assai citato (nel bene e nel male) da tutti gli scrittori di cose abruzzesi per i suoi manoscritti Antiquitates Frentanorum. Fu dotto ricercatore a Roma e Nardò presso diversi archivi, il che gli aprì le porte a una vasta gamma di documenti, anche originali, che non era possibile reperire in Abruzzo. Peccato che la sua ricerca storiografica, insieme a quella del fratello Giambattista, risenta, nelle sue dissertazioni, come diversi scrittori hanno dimostrato, di inserti fraudolenti, completamente inventati dai due fratelli, che per secoli hanno “contaminato” le ricerche di diversi altri scrittori, pur dal corretto rigore della ricerca, come lo Zecca o il Savini o il Priori.

I Polidori opeerarono nei tempi dell’abate Berardino Tafuri, che fece addirittura pubblicare al Muratori il falso Chronicon Northmannicum, o di Francesco Maria Pratilli, che pubblicò diverse iscrizioni antiche, bollate postume dal Mommsen, e documenti come il Chronicon Cavense, fabbricato a ispirazione degli Annales Cavenses. Eppure all’epoca, per l’assensa dei moderni criteri di scientificità degli studi, queste ricerche provenienti “dalla provincia”, suscitavano appunto l’interesse vivo di scrittori di chiara fama nazionale come il Muratori, che anzi lodavano il lavoro infaticabile di questi ricercatori d’archivio, e inserivano il materiale nei loro tomi.

Polidori lasciò manoscritte le Antiquitates Frentanorum. Non sto qui a ripetere le varie vicende di questo manoscritto, di cui Polidori redasse più copie, sia in brutta che in bella, ora aggiungendo a una dissertazione maggiori notizie, ora espungendole; e da esse altri copisti trassero copie, finite in varie biblioteche abruzzesi, nonché a Roma, Avellino nel Fondo Tafuri, Napoli. Su questo discorso ampiamente ha lavorato il Prof. Gianfranco Natale nella sua Vita, opere e alcune dissertazioni inedite di Pietro Polidori, Lanciano, Rivista abruzzese, 2010.

Parliamo delle lodi che il Bocache riserva al Polidori in ogni parte dei suoi scritti, chiamandolo sempre “eruditissimo, chiarissimo, accuratissimo”, ecc.. Questi complimenti sono riservati alle sue ricerche su Lanciano, e ai passi dove si riportano le varie iscrizioni antiche che rinveniva. In analisi nei suoi capitoli sulle iscrizioni di Anxanum, il Bocache illustra specialmente la dissertazione polidoriana Anxanum, ma nei suoi Volumi vi sono estratti ricopiati da altre dissertazioni, come De portubus et emporiis Frentanorum, oppure il De Templo, Situ et Promontorio S. Johannis in Venere. Non steremo qui ad analizzare ogni singola frase della dissertazione polidoriana, per non rendere noioso il lavoro, ma anche perché ciò sarebbe di competenza di studiosi più esperti. Riportiamo che Bocache seguiva ciecamente ogni informazione presa da Polidori, e lo difende strenuamente ogni volta che ce ne sia bisogno nella trattazione di un tempio o di un frammento di epigrafe, prendendosela contro chi ha pubblicato in maniera errata le sue iscrizioni, o chi ne ha fatte malamente le copie cartacee, oppure, nemmeno a dirlo, contro il Romanelli che “per l’inesperienza da giovine scrittore e per la fretta”, pubblicò senza revisione i manoscritti antinoriani. Sul fatto che le Antichità storico critiche dei Frentani furono pubblicate effettivamente senza revisione, con le date sbagliate o invertite, e la numerazione di pagina sballata, diamo ragione al Bocache. Ma c’è di più, come possiamo immaginare, l’invidia del sacerdote per un altro ricercatore a lui vicino che prima di lui riuscì ad avere tra le mani le carte antinoriane e  polidoriane, quando era a Napoli, che riuscì a pubblicare per primo!

Domenico Romanelli

Eppure il Bocache, ogni tanto, è costretto a citare obtorto collo ciò che Romanelli riporta nelle Scoverte Patrie. Anche perché il Romanelli, copiando, cita bene dal Polidori, salvo qualche errore. Ma sono “quegli errori” a dar licenza al Bocache di inserire nei suoi capitoli infinite trattazioni, con citazioni e analisi delle fonti dei vari Sigonio, Grimaldi, Maffei e Mazzocchi di cui abbiamo prima trattato.

Polidori, seguito dal Bocache, afferma che nonostante Lanciano avesse il suo centro antico in Lanciano vecchio, ai tempi antichi la Città di Anxanum abbracciava tutto il perimetro murario dei suoi tempi. Ciò gli serve per confermare i suoi rinvenimenti, come ad esempio l’iscrizione di Giunone al Borgo. Dipoi afferma che sopra tutti gli antichi templi furono erette le chiese; da ciò il Bocache cerca di argomentare, anche se non con tanta convinzione, una primitiva presenza di queste chiese coi santi dedicatari, che vennero dopo la presenza longobarda nuovamente ricostruite, come S. Martino, S. Giovanni, S. Maurizio, S. Lorenzo, S. Biagio.

Bocache riprenderà tutte le iscrizioni dalla dissertazione polidoriana, compresa quella famosa di Bennaciario-C. Attio Crescente, che genererà tutte le confusioni possibili. Da Polidori, Bocache e tutti gli altri scrittori di cose lancianesi, presero la notizia di un documento dell’897 che parla di un gineceo nel monastero di S. Antonio abate; sostiene l’errore del passo di Frontino dell’ “ager Anxianus”, che dovrebbe essere corretto in “Anxanum”; riporta il documento di Trasmondo di Chieti per dimostrare la tesi della continuazione di una valida amministrazione pubblica nei tempi della decadenza franco-normanna, dove si nomina “Civitate Anxani”, per rispondere al governo di Chieti. Polidori è citato anche nelle analisi dei confini corografici di Lanciano, per ricordare le lapidi sepolcrali rinvenute nelle campagne circonvicine, polemizzando col Romanelli che le vuole presenti nella contrada Castellano-S.ta Giusta, mentre Bocache, nel vol. I nel suo Antiquadro a Romanelli, dice nella zona “delli Castilli” vicino Romagnoli.

Dopo l’analisi delle iscrizioni, Bocache si duole che diverse iscrizioni lette da Polidori, ai suoi tempi già non erano più visibili. La questione si complica, perché, come vedremo nel capitolo di Mommsen, alcune iscrizioni “genuine” furono rintracciare da Polidori, e poi viste da Bocache che le fece trasportare nel Museo de Giorgio; ma furono male interpretate. Noi abbiamo letto nel ms. Anxanum le iscrizioni polidoriane riprese da Romanelli e da Bocache, prima di noi lo fecero Mommsen e Dressel che dettero le loro conclusioni. Ma, immaginandoci ai tempi in cui Polidori girava per Lanciano, quali furono quelle autentiche che egli rinvenne murate in questa o quella casa, quali quelle inventate, quali “quelle fabbricate” per avvalorare le proprie convinzioni sulla base del Polidori? Ad esempio la iscrizione greca della Confederazione Frentana non fu vista da Polidori, così come quella dei Restiarii, quella di Diocleziano, e altre. Ma Bocache, colla scorta di Muratori e Mazzocchi cerca di dare validità a quelle polidoriane che già ai suoi tempi, non riusciva più a rintracciare.

Una situazione triste, il constatare, sulla base di veriricabili testimonianze scritte ed epigrafiche, che molto materiale dell’antica Anxanum sia andato perduto, e che nel terreno della storiografia locale si debba procedere coi guanti. Non è un caso isolato per Polidori, il gusto per la falsificazione, voluta oppure involontariamente descritta per abbagli, generando comunque confusione verso gli scrittori posteri per quanto concerne l’analisi di un monumento, un’epigrafe, una moneta. In quegli anni, ma il disorso si estende in tutta l’Italia, anche a Ottocento inoltrato[1], prevaleva un gusto per l’antiquaria e la ricerca di documenti che testimoniassero il valore e il pregio di una Città. Lanciano, che aveva perso dal 1646 la sua demanialità, divenendo un feudo dei D’Avalos, mentre Chieti si riscattava da d. Ferdinando Caracciolo duca di Castel di Sangro, e acquisiva una sede distaccata della Regia Camera della Sommaria, attraverso i suoi scrittori, cercava di dimostrare, attraverso la letteratura e l’erudizione, il suo primato nella zona centrale dell’Abruzzo. Non ci sentiamo in dovere di bollare come falso tutto il materiale che scrissero Giambattista e Pietro Polidori su Lanciano e dintorni, quando citano il Chronicon Casauriense, o i documenti di S. Giovanni da Capestranbo per il Lodo di Pace con Ortona, o gli Annali del Muratori, o ancora l’Ughelli, i fratelli Polidori dimostrano di conoscere bene le fonti per la storia Frentana; e a tali fonti affidabili (salvo errori) si appoggiano per mostrare, ogni tanto, qualche documento rinvenuto solamente da loro, come il “Tabulario di S. Giovanni in Venere”, o il Chronicon di S.to Stefano in Rivomare, ricco di documenti per la storia di Lanciano, che conterrebbe anche i diplomi di Trasmondo e Ugone Malmozzetto per Lanciano.

Fig. 10: L.A. Muratori, Novus Thesaurus, ecc. vol. II, 1739, p. 566, l’iscrizione della lapide dei Decurioni di Anxanum, fornita da Polidori

Quando si tratta di queste fonti inedite, i Polidori citano il Tabulario, oppure “carte membranacee o pergamenacee” rinvenute in qualche archivio, non consultate da nessun altro scrittore. Quanto all’epigrafia o al rinvenimento di ruderi romani, il discorso resta comunque difficile da affrontare. Gli scavi archeologici recenti degli anni ’90-2000 hanno dimostrato la presenza di più strati abitativi d’età italica, romana e bizantina in Lanciano (vedi Largo S. Giovanni, via Corsea, via del Ghetto, Piazza Plebiscito). All’epoca dei Polidori quanto di questo materiale era visibile? E putacaso, durante lo sfascio di una casa o di un fondaco, si arrivava ad uno strato inferiore di un edificio più antico, sopra cui erano appoggiate le fondamenta di quella abitazione, come ragionava Pietro Polidori? Quali congetture elaborava? Egli affermò di aver visto un’iscrizione antica presso l’antica Cattedrale, affermò di aver visto la vasca romana con l’iscrizione di Q. Cassio Longino a S. Francesco. Sicuramente durante dei lavori alla ex cappella del Rosario, mura più antiche erano state rintracciate, così come dimostrato dai recenti scavi archeologici. Infatti in un volumetto sui restauri della chiesa[2], viene illustrata in scala la pianta della cappella del Rosario, vista dalla Piazza, con sulla destra le proprietà dei Berenga, Brasile, Frascani, ossia il caseggiato che si incontra salendo da Corso Roma per il Santuario, nnesso all’ex cappella. Questo documento Pianta dimostrativa della Cappella del Ssmo Rosario della Congregazione di S.ta Maria dei Raccomandati del 24 ottobre 1823, fatta dal perito Giuseppe de Arcangelis, illustra i lavori effettuati nel 1796-97 per l’ampliamento dell’antica fondazione, che poggia appunto sopra il muro rettangolare della cisterna che fu rinvenuta, oggi visibile dal percorso archeologico illustrato. Le fotografie delle relazioni degli scavi recenti, dimostrano il resto, che l’ex cappella del Rosario, oggi sala della Riconciliazione, poggiava sopra un edificio più antico (oggi visitabile dal percorso archeologico attrezzato), che però a causa dei lavori di quei tempi, visti dal Bocache, danneggiarono l’antica cisterna, troncandone i muri. Ma dobbiamo chiederci, quale era la cognizione archeologica di quei tempi? La suggestione subito poteva prendere il sopravvento, nel far immaginare imponenti edifici del passato. E per dimostrare tale assunto, ricordiamo come ai tempi del Polidori Jan Gruter col Corpus absolutissimum cercò di fornire dei distinguo tra le iscrizioni antiche autentiche che si andavano pubblicano e quelle spurie[3].

Il territorio locale non aveva avuto altri scrittori, oltre al Fella, che parlassero delle antichità locali, il Polidori con la sua erudizione aveva campo libero per le sue congetture e le sue scoperte, che divulgà anche attraverso il Muratori. Il sentimento patrio, unito all’erudizione, faceva il resto; Polidori (lo studio dovrà essere approfondito), così come farà Bocache, e lo dimostrano i suoi appunti, consultava i corpora di iscrizioni già edite ai suoi tempi, anche dal Muratori nel Novus Thesaururs, e dalle formule con cui erano appellati certi personaggi ai quali erano dedicate epitaffi funebri o per dei meriti, fabbricava le sue iscrizioni; e lo stesso faceva collazionando alcuni documenti medievali autentici, per quanto concerne la diplomatica. Era facile per lui individuare un rudere, data per certa la sua antichità, nella campagna o nella città, e lasciarsi abbandonare all’interpretazione libera, causando confusione per i commentatori posteri, come il Mommsen, che sciolse l’enigma di Bennaciario.

Prendiamo ampio spunto dalla dissertazione Anxanum, detta a volte anche De Opulentia Anxani dal Bocache, presso le Antiquitates Frentanorum (vol. II, cc. 48-102, esemplare di Napoli).

La dissertazione inizia con una disamina degli autori (come fatto già da Fella), anche contemporanei di Polidori, che hanno già descritto l’antica Lanciano, Pier Leone Casella, Lucio Camarra, che citano Strabone, Tito Livio, Plinio, Silio Italico, poi Cluver, Cellario, Holstein e altri. Cita i due primi storiografi lancianesi Sebastiano Rinaldi e Giacomo Fella:

Levioribus proinde difficultatibus est obnoxia Sebastiani Rinaldi Calcedoniensis Episcopi, et Jacobi  Fellae sententia, quorum alter in Oratione De Antiquitate et Praestantiae Anxani, alter in eiusdem Urbis Historia scripserunt, Solymum, seu alium, quovis nomine appellatur Eroem, qui forte Sulmonem et Anxanum condidit, Diomedis fuisse socium.

Dunque Solimo avrebbe fondato Anxanum, per Rinaldi e Fella. Si sofferma sul rompicapo del lib. III Naturalis Historiae di Plinio, sulla citazione famosa: “intus Anxani cognomine Frentani”, pensando che forse si tratta di un errore di tradizione codicologica del testo pliniano, oppure che ci debba essere una doppia differenziazione per la città di Anxa (i cui esistevano omonime sparse per l’Italia meridionale), come propendono pure Bocache, Maranca e Corsignani:

J. Harduinus pag. 168 in Plinium num. 30 notat: “Anxani incolas dici Frentanos, ut ab ANXA, quae Callipolis in Salemminis eo cognomine discrimiuntur”. Auctor tamen anonymus Tabulae Chrorographicae Italiae mediis aevi sectione XXII numero 128 pag 277. Harduini coniecturam improbat: “Quia Plinius cap. XI non scribit Anxani, sive Anxanum, sed Callipolis, quae nunc est Anxa. Igitur Plinius Anxanos vocat Frentanos, vel ut hoc distinguat a Marsorum Anxantinis, quos memorat in eadem Regione IV, vel ab Anxano Apulo prope Sipontum”, etsi illud omiserit […]

E poco più avanti, Polidori spiega, con l’accettazione posteriore del Pansa (lo studio sulla Profanazione dell’Ostia in Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, vol. II Sulmona, Caroselli, 1927), la corruzione del nome antico nell’odierno Lanciano (analisi che correttamente aveva fatto già il Fella nel capitolo citato):

Eodem nomine Urbem ipsam sequiori estate appellavit Falco Beneventanus in Chronico ad annum Christi MCXXXIII (1133) pag 231 editionis cl. Viri Ant. Caraccioli: “ex Anxano variata dialecto factum Lancianum, nempe praeposita L et mutata X in CI”, inquit citatus auctor Chronographiae Tabulae et Cluverius de re ipsa: “oppidum vulgo nunc L’anciano et L’anzano, sed articulum illum Lo iamdudum incolae nomini oppidi copulaverunt, qui Lanciano et Lanzano dicunt, et scribunt.

Bocache, come risponderà varie volte nei capp. relativi all’antico sito di Anxano, al Romanelli (cfr. vol. I, cc. 43-60 – vol. III, cc. 33-34), riprende con sicurezza il passo polidoriano, che vuole l’antica Anxanum nel perimetro di tutto il centro storico, e non solo limitato al quartiere Lanciano vecchio, come voleva Romanelli:

In eodem loco, ubi antiqua Civitas sedes suas olim fixerat, Urbs quae nunc visitur, constructa est. […] Anxanum antiquum, Suburbium, Urbem novam, et Saccam. Novem habet fontes salubribus scaturiente aquis: quorum aliquoti intra, aliis prope muros civitatis excurrunt. Prater cisternas trecentos habet puteos. Urbem mediam Mazza fluviolus intersecat magnifico trajectus ponte: cuius aquis circumpositi rigantur horti.

Bocache ugualmente riprende la congettura, da Polidori, che Anxanum potesse aver avuto diverse influenze dai popoli Greci, Etruschi e poi Romani, e lo stesso Polidori cita in suo aiuto l’orazione del Rinaldi: “Avorum nostrorum memoria Etrusca etiam vasa, diversa figura, magnitudine varia, pauca tamen integra, varioque artificio inter veterum aedificiorum, minas Anxani, Istoniis et Larini reperta esse, notum est: quorum nonnulla opere vel figuris spectanda Neapolim ad eruditos viros transmissa sunt, alia in Museum, atque Cimaelium Marchionum Instoniensium illata”.

Tuttavia Polidori, non avendo documenti alla mano, più che altro iscrizioni o monumenti che potessero dimostrare che in Anxanum passarono gli Osci, Etruschi e Greci, sarà posteriormente esaudito dal Bocache stesso, con l’esposizione dei suoi rinvenimenti archeologici. A seguire Polidori cita tutte le iscrizioni che ha rinvenuto in Anxanum, quella del Teatro, quella del Macello pubblico[4], quella della Fonte di Q. Cassio Longino con acquedotto che percorreva il viale Cappuccini:

De hoc opere Fella in Historiis Anxanensibus cap. IX, ita scribit: “Deduxerunt antique subterraneis aquarum ductibus in ipsum Forum uberrimum Fontem Marcianesio, millo passus ab Urbe distante ad Austrum, ut et prope Portam S. Clarae, et tota Cappuccinorum via, et potissimum in Friderici Marini vinea cuniculi et fistolae apparent. Minorum tamen iniuria, et iniuriis temporum corruit”!

Informazione, questa, copiata in italiano parola per parola del Bocache, che laddove non riesce a rinvenire un monumentoa archeologico, si affida benignamente a quanto riportato dal fossacesiano. Polidori parla dei templi sacri, confessando di aver rinvenuto tracce solamente di quattro, come del resto faranno Romanelli e Bocache: quello di Apollo o del Sole, quello di Bacco, di Giunone e di Marte. Aggiunge in appendice alla trattazione il tempio di Pelina, per una iscrizione da lui rinvenuta a inviata al Muratori:

De hoc Martis Templo, Vir, clar.mus Sebastianus Rinaldus Episcopus Calcedoniensi in Oratione ita loquitur:

“Ob insigne belli peritia, qua antiquibus Frentani praestiterunt, singulari cultu Martem prosequebantior. Nam hic Anxani et Larini hodie quoque visuntur vestigia antiquorum Templorum, quae illi dedicata erant”.

Paelinae deae per obscura est memoria.  Eruditissimus Muratorius tomo I Thesauri novi veterum Inscriptionum classe 1, pag XCLX (p. 949) n.3, postquam hanc ipsam Inscriptionem retulisset:

“Rarum marmor, quod Paelinae deae mentionem faciat, aliunde nobis ignotae Belloniam deam Arnobius memorat ad pellendos adriuctis, quae propersa Pallas, videri possit. Pellentem vero Dianae ab Urbe Pellene fuit cognomen, sei forrasse neutra sub nomine Pellinae colebatur, praecipue quod clarissimus Polidorus monuit me unico L scriptum esse PELINAE. Peligni Frentanis contermini peculiarem Deam istam coluisse mihi videntum. Ilius nomen scurrit in Inscriptionem C.VIBII SEVERI classe V consularium.”

Inutile dire che il povero Muratori cadde in errore, pensando di aver rinvenuto un’iscrizione rarissima. Come possiamo leggere dal suo Corpus, egli pubblicò diverse altre iscrizioni polidoriane riguardanti Anxanum. Seguono le 4 iscrizioni funebri del liberto Eufraste, Lucilla e Marcellina, poi del liberto C. Mitio e famiglia, M. Blavio e L. Arnio Subulo, la cui iscrizione verrà presa per autentica anche da Giuseppe de Benedictis nelle sue Memorie storiche di Vasto, e infine di Lucilla esperta negli unguenti. Tra le iscrizioni più importanti, Polidori non poteva non omettere quella dei Decurioni, già riportata da Fella; ciò dà occasione al fossacesiano di allungare il discorso, con abbondanti citazioni da Tiraquellus o Coasio, nel trattare sulle cariche dei magistrati nell’antica Roma, per le sue speculazioni analitiche, e conclude che la lapide debba riferirsi alla tarda età imperiale, forse alla presenza dei Goti in Anxanum. Buonocore, come vedremo, confrontando altre iscrizioni in cui questo rector provinciae Iustiniano è menzionato, suppone che effettivamente egli visse nel IV-V sec. d.C.. C’è il dubbio sul rettore: Avionio, o Avieno Iustiniano?

An idem Avienus noster sit asserere non audeo. Si quis coniecturae locus est, ipsum Gothis in Italiam, regnantibus vixisse crediderim; argumento ducto  ab Inscriptionis conditione et adhibito in illa viri devoti titulo; et Avieni Iustiniani mentio fit apud eundem Muratorium in class. VI Operum et locorum publicorum pag. CDXLIX (p. 449) num 1 in Antiqua inscriptione, quam profert ex schedis suis exstantem Alifii, ad portam S. Mariae Sanctimonialiem, ubi Provinciae Rector dicitur […].

In Senatus consulto Anxanensi, quum Rector absolute appellatur, non dubito quin haec praefectura unice ad Urbem referenda sit. Fortassis  ex urbium cura ad Provinciarum  regimende Avienus transit.

Dopo le vicende romane descritte, Polidori passa ai Longobardi e alle devastazioni, ricorda il miracolo di S. Maurizio contro i Bizantini a protezione di Lanciano, già ricordato da Fella:

Humanis proinde diffisi viribus, Sanctus Mauricium, sociosque Martyres, quorum  ibi prope moenia illustris erat Basilica, in tanto discrimine patronos apud Deum advocant nec irritae fuere preces.

Die siquidem postero hostis vallem, quam Feltrinus torrens irrigat, validis castris, ac moenibus interceptam spectante. Verum quum nec aperto miraculo vellet Comitonus ab incaepto  desistere, ubi  extremae pugnae classicum  cecinit, visus est illico  S. Mauritius cum universa Legione Thebeorum militum in hostes irruere, totamque illorum aciem, multis disciectis, sucius, occisis una cum Comitone in fugam vertere. narratam historiam a maioribus iamdiu mandatam littreris ex veteri Codice membranaceo, olim in aede S. Mariae Maioris servato, et constanti  civium traditione, recensivit Fella in Histor. Anxanen.cap. VIII.

Se questa affermazione del contenuto della leggenda di S. Maurizio che scacciò Comitone con l’esercito, non verificabile nel codicetto membranaceo presso S.ta Maria Maggiore, risulta una gustosa leggenda, peggiori danni fa il Nostro quando inizia a citare una sfilza i diplomi falsi in cui viene citata Lanciano; ecco il primo del 973 per S. Giovanni in Venere, utilizzato alla fine del I vol. dal Bocache, ma anche nel II[5], per sostenere il fatto che Lanciano ai tempi dei Longobardi e dei Franchi, era sì sotto la Contea di Chieti, ma era definita “Città”, e che quindi avesse delle prerogative e qualche autonomia rispetto allo strapotere del Conte Teatino:

+ Anno ab Incarnatione Domini 973, Indict. I, in mense julio. Praeceptum quod ego Trasmundus Inclytis Marchio facio de bene factione, et tutela mea in honorem Dei, et S. Mariae Virginis et Beati Joannis Baptistae tibi Aliprando religioso rectori, et fratribus Cellae S. Mariae et S. Joahnnis in Promontorio Veneris – definit autem – Quod praeceptum scribere feci in Civitate  Anxani per Aldegisium  scribam meum, et typario meo signavi, et typarium sigillum, cui principis TUPO […]

Il diploma è assente nel Chronicon Cassinese, nonché nei commenti del Gattola al Chronicon, ed è assente nel Fondo S. Giovanni in Venere nell’Archivio dell’oratorio di Roma, ma è citato platealmente dal Bindi in Castel S. Flaviano, ecc., pp. 204-205, e dal Bellini nelle sue Notizie istoriche del celebre Monistero di S. Giovanni in Venere.

Polidori passa a descrivere l’etimologia dei due quartieri lancianesi della Sacca e del Borgo, riporta, anzi forse inventa di sana pianta il verso del poeta lancianese Teodoro Nigrino:

Anxanum Vetus atque Novum, tum Saccus item

Burgum, dant Urbem quae modo clara viget

Turribus et muris vallatur, Ponte superbo

Iungitur in medio, qua fluit Anxus aquis

Inde memoratae Urbis partes quatuor,

che a leggerlo sembra che il Nostro abbia tradotto in versi la sua precedente descrizione dell’antica Anxanum, di cui sopra: Anxanum antiquum, Suburbium, Urbem novam, et Saccam. Novem habet fontes salubribus scaturiente aquis: quorum aliquoti intra, aliis prope muros civitatis excurrunt. Prater cisternas trecentos habet puteos. Urbem mediam Mazza fluviolus intersecat magnifico trajectus ponte: cuius aquis circumpositi rigantur horti.

Più avanti Polidori descrive il celebre Miracolo Eucaristico, riportando la classica leggenda del monaco basiliano che dubitava, almeno citando correttamente l’antica chiesa di S. Legonziano, e non dei Ssmi Legonziano e Domiziano, che si trovava in Aterno-Pescara[6]:

Quo autem pacto haec admiranda conversio facta fuerit, ex litteris mandato a majoribus testimonio paucis aperiemus. Quorum Graecus Sacerdos, Monachus et Ordine S. Basiliis in Coenobio S. Leguntiani Martyris, quod sui instituti erat, dubitans Dominicis Verbis panem in carnem, et vinum in sanguinem verti, die quadam ad altare sacris operaretur, velletque miserationum Pater Deus ab errore, atque perfidia illum eruere, vix misticae consecrationis prolata formula panem primum in carnem, tum vinum in sanguinem permutatum vidit.

Mox sceleris ex animo poenitens, admiranda divinae potentiae facta adstanti populo verbis aperuit, et rebus ipsius ostendit. Tantum miraculum  in ipsa Ecclesia, ubi quondam factum est, nunc Fratribus Minoribus Conventualibus addicta, hodieque spectatur, ac semel annis singulis die Dominicae Surrectionis pompa solemni confluentibus populis  demonstrantur. Historia jam tum Graecis, Latinisque Litteris tradita, veteri etiam pictura in eodem Templo  expressa cernitur. Idem Miraculum Clemente VIII Pontefice Maximo nova cura descripsit, italicoque sermone vulgavit typis Venetiis Sebastianus Rinaldus Episcopus Calcedoniensis, Theologus praestantissimus. […]

Ecclesiae siquidem S. Leguntiani longobardicis principibus in Frentanis dominantibus constructae, nonnisi post Caroli Magni aetatem Monasterium accessit, ac Monachis Graecis ex Ordine S. Basilii Magni qui IV exeunte saeculo floruit, incolendum concessum est, ut priscis sacris loci monimentis discimus. Inde XII Christi saeculo iidem Monachi discensere addictumque Coenobium fuit Monasterio S. Joannis in Venere Ordinis S. Benedicti. Adversantium argumentorum capita generatim  indicasse sufficiat singula  enim edisserere superva caneum est.

 

Quanto alla dubbia fede del Polidori, c’è da dire che solamente quando cita opere edite prima di lui, oppure i classici storiografi greco-romani, vi è affidabilità circa i suoi assunti. Non può arbitrariamente traviarne il significato, ed è costretto a riportare le informazioni quali sono. Ed eccone un esempio su un diploma del 1047 dell’imperatore Enrico III il Nero, ripreso da Muratori, che a sua volta lo riprende dal Chronicon Casauriense:

Ne quid praediis sacro deesset loco, Imperatorum, quibus tunc universa suberat regio, tutelae commendavit et patrocinio, ut discimus ex pluribus Coenobiis monimentis et Diplomate Henrici III Imperatoris dato in Frentanis, non longe ab ipso Monasterio Kal. Martiis anno Dominicae Incarnationis 1047 Indict. XV.

E per dare adito a ciò che scrive, il Polidori ricorda un passo del Chronicon Casauriense all’anno 1016 (consultò l’edizione di Muratori), dove si ricordano i possedimenti del Conte Trasmondo. Uno dei vari metodi utilizzati dal Polidori per “far combaciare” documenti storici inoppugnabili come il Chronicon, con i documenti che “lui rinveniva”.

Alla quale segue un’altra ennesima invenzione del Polidori, con questo documento che lui avrebbe rinvenuto nell’archivio di S.ta Maria Maggiore di Lanciano, testamento di Borrello di Lupone alla detta chiesa, con la chiesa di S. Cesidio, l’ospedale di S. Raffaele in Platea (che Polidori, senza sufficiente documentazione, vuole corrispondesse all’ospedale di S.ta Maria della Sanità dei Fatebenefratelli, tutt’ora esistente[7]), all’ospedale di S. Geronzio, la chiesa di S. Atanasio:

In Nomine Domini Nostri Jesu Christi Amen

+ Ego Borrellus filius  bonae memoriae Luponis quia cogitando de die mortis, et tremendi judiciis Dei, speravi misericordiae eius pro elemosynis in remissione peccatorum meorum et redentione eorum, et bone memoriae Patris mei, et Matris mee, et meorum omnium in antea et in perpetuo. Quare arduens amore Dei, et volens bona desideria facere, de usu facultatis Capitulariis Regalis Longobardorum, et Capitularis Augustalis pro libertate subventionis Ecclesiarum, et pauperum miserabilium et animo sue et suorum quorumcumque Tibi venerabilis Dauferius Prepositus et omni sancte congregationis tuae clericorum servientium Deo in Ecclesia Beatae Mariae Semper Virginis, ad laudem Dei Omnipotentis, et cultu Ejus, et commune iuvamine servorum eius, trado libere et in perpetuo omnem terram meam seminalem, et arboream, modiorum centum et decem circa iusta  mensura Ducali et Imperiali.

Quam terram habemus de hereditate nostra inter flumen Forum et Civitatem Anxane affinitam suis fossalibus infra et supra. Idem trado vobis Ecclesiam  S. Cesidis intus Civitatem affinitam, et contingentem Domum meam, et Hospitaliam S. Raphaelis in Platea et cum omni decimatione sua virorum et mortuorum, et rebus, et libris et pertinentibus, et cum bonis suis, et curte vineali, et vineis et cum tota arboratione fructifera in loco S. Anastasii, in vicinale Civitatis supradictae in Colle, qui dicitur Statis, supra rivum, affinita lapidibus in modiis 10, et supra.

Et amodo volo esse de vestro jure omni, nihili mihi servando , neque filiis meis, neque heredibus meis, et quibuscumque meorum, vel alienorum, et promitto defensuros esse in omni tempore Et si quis de donatione ista voluerit frustrare, vel turbare praeter judicio humano super illum erit vindicta Dei, et sit maledictus cum Satan et Albinon, et habeat partem cum Juda proditore Domini, et cum illum arduat in genna ignis aeterni.

 Quam cartam donationis scribere feci per Petrum clericum et scribam sub assignatione judiciali, cum infrascriptione mea, et testium in Civitate praedicta, die V mensis juniis, anno Incarnationis Dominicae 1031, sub Indict. XIV.

+ Signum Lamberti judicis

+ Ego Borrellus filius  bonae memoriae Luponis

+ Johannes testis

+Currhadus interfui

+Petronus interfui

+Petrus testis

 

A tradire il testo sono specialmente, come già riferito, i beni donati, oltre ad alcune formule piuttosto letterarie, per essere un formale atto di donazione. Bocache cadde nella trappola e nei capitoli riguardanti la chiesa di S.ta Maria Maggiore fece dei riferimenti a questo diploma, citando spesso l’ospedale di S. Raffaele della Piazza, che fu ripreso anche da Florindo Carabba nell’elenco dei luoghi pii nel suo Storia antica di Lanciano, 2010.

Arriviamo al periodo normanno, al conquistatore Roberto di Loritello, a Drogone d’Altavilla sotto il re Guglielmo; la Marca Teatina è presa, il discorso di Polidori, che cita il tom. VI di Ughelli è abbastanza attendibile, finché non riporta la notizia della ricostruzione del Ponte di Diocleziano[8]: Anno ad Virginis partu 1099, VII septembris die quorum  collapsus Anxani  Pons esset, novo opere restitutus est, ut constat ex inscriptione sequenti quae in basi eiusdem  Ponti hodieque legitur, barbaris eiusdem temporis exarata litteris. Sull’anno 1099 e l’iscrizione del Ponte, avremo più approfondimenti nel capitolo sui rapporti tra Bocache e Antinori.

Dubbie sono anche le notizie riguardanti i diplomi di Federico II per Lanciano e Ortona[9], di cui non ci sono giunti gli originali, ma le semplici citazioni fatte dal Polidori, dall’Antinori (che ha citato Polidori), e seguenti, riportate nella Historia diplomatica Friderici II, vol. III, Parigi 1852, alla p. 246:

Iam tum Friderico II imperante, Italorum malo nato ea semina iacta. Quoniam vero privata Civium studia, inter Anxanenses et Ortonenses graves dissentiones perperant, ac magis magisque in dies singulos noxiis utrique Civitati exemplis augebantur, ut indigne dissidentium licentiae finis imponeretur, die Martis X Kal.  Februariis anno Incarnationis Dominicae 1252, Indict. X regnante Corrado Rege Romanorum dicto, Regnorum  eius anno II. Ortonenses per publicas tabulas Palmulum nobilem virum prudentem, et circumspectum syndicum costituerunt, qui Civitatis nomine Pacem, cum Anxanensibus stabiliret; et amicitiam fraternam renovaret antiquam.

Terminando la dissertazione, il Polidori cita dei documenti del 1260 per testimoniare i buoni rapporti tra lancianesi e sulmonesi,  poi descrive la storia del Miracolo di Offida, citando ampiamente il Fella, nel 1317 riporta la partecipazione dei lancianesi a delle guerre tra aquilani e sulmonesi, citando il poema di Buccio di Ranallo, al 1329 fa rimontare l’esilio dei Merlino, o Merulini, e Quatrario da Sulmona, in lite, rispettivamente in Lanciano e Ortona, cita dei diplomi reali del 1343 in favore del Porto di S. Vito, ecc.

La trattazione continua, senza particolari problemi, per la citazione delle fonti letterarie, suona solo strano il fatto di vedere il bassorilievo di re Alfonso d’Aragona scolpito sulla facciata della chiesa dell’Annunziata di Lanciano:

Et Alphonsus quidem ex infelici Sfortiae casu prudenter occasionem nactus, collectis in hac Regione copiis, ac pro viribus reparato dispendio amissa oppida mature recuperavit. Cui deinceps Civitas nostra ex animo studens, eidem Marsis, Pelignis, Frentanis, aliisque circumpositis Regionibus felicter potito trophea erexit. Quo tempore Summontius scribebat Anxani in fronte Templi principis adhuc visebatur aequestris Imago Regis de hostibus triumphantis bello cum Inscriptione superposita:

PARCERE SVBIECTIS ET DEBELLARE SVPERBOS [10]

Riporta poi, come farà Bocache, il documento papale del 1489 di Innocenzo VIII per ricostruire la chiesa dell’Annunziata, con nuovo ponte per un totale di 6.000 ducati, desunto dall’Ughelli, che è ripreso anche da Antinori.

Questa è l’ultima parte delle glorie lancianesi, dal 1500 ci saranno solo sciagure, e Polidori le riprende ampiamente da Fella: l’assalto a Lanciano del 1528 del Conte di Lautrech, con conseguente preda di 400.000 aurei, lo spostamento delle truppe francesi a Paglieta (sive Palearium[11], sic!), il terremoto del 1627, e infine la pestilenza del 1658 (Polidori, per non umiliare ulteriormente Lanciano, evita di citare la vendita del 1646 al Pallavicini e poi al Marchese d’Avalos), e conclude con un carme luttuoso scritto dal poeta Nicola Borga (di S. Vito?) che lo donò a Carlo Polidori, zio dello scrivente:


Ec quid agam Anxani? Poscis dulcissime rerum

An refugit, nullum luctibus esse modum?

Inter languentes noctuque diuque laboro,

Quos tamen: heu miseri! Medela iuvat.

Funera funeribus succedunt. Undique maeror

Et macies: lacrymis, nec domus ulla vacat.

 

Ci sembrano, questi versi, riecheggiate  i distici del frate Roberto di S. Stefano in Rivomaris, che lamenta la distruzione dei campi e dei feudi del monastero, dopo il passaggio delle truppe di Enrico VI: “Plangite Saricolae, Vastanae / plangite gentes”, ecc. in Scoverte Patrie, I, Napoli, 1805, pp. 341 segg.



[1] Vedi L. Calvelli (a cura) La falsificazione epigrafica. Questioni di metodo e casi di studio, Annalistica 25. Storia ed epigrafia 8, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2019, in particolare L. Calvelli, Lineamenti per una storia critica della falsificazione epigrafica, pp. 81-103

[2] AA.VV. Dai segni al disegno – Il cantiere del Miracolo eucaristco di Lanciano, SMEL, Lanciano, 1999, p. 26

[3] Calvelli, op. cit., p. 86

[4] Le iscrizioni ormai note del Portico delle Fiere per i Conciliaboli del Foro, dell’Ordo Decurionum, sono state riportate anche da Muratori, che ringrazia il Polidori, nel  Novus Thesaurus veterum inscriptionum latinarum, vol. II, 1740, p. 566.

[5] Cfr. vol. II, cap. 3: Critiche osservazioni sopra il nome di questa Città dove Bocache riporta il finale di questo diploma.

[6] Sulla chiesa cfr. Polidori, Antiquitates Frentanorum, III, diss. Aternum.

[7] Cfr. diss. Anxanum: “Neque haec tantum hospitalis domus fuit in aedem Urbe, sed aliae complures diverso constructae tempore, varioque piorum operum generi addictae ut constat ex antiquis monimentis Jacobus Fella in Historiis Anxanensibus cap. XIII agens de Coenobio S. Mariae de Sanitate Fratrum Hospitaliorum  Ord. S. Joannis Dei fundato anno post Virginis partum 1090, tradit: “Sciendum habuisse nos quondam  Valetudinaria multa, et potissimum S. Mariae Annuntiatae, S. Angeli prope Portam  in Burgo, S. Catharinae prope Portam Divi Blasiis, S. Nicolai de Ferriatis, et S. Antoniis ut patet testamento cujusdam  Ducis Stephani, Michaelisque viri praedictis, condito 14 Kal. Januariis, Indict. XIV Anno Domini 1390, Regni Ladislai anno IV, et abasertiato in Divae Mariae Majoris.”. Nella quale comprendiamo come il Polidori citava il Fella a sproposito, come fonte autorevole di collegamento tra l’ospedale di S. Raffaele e quello di S.ta Maria della Sanità della Congrega Fatebenefratelli; il Fella in questo caso cita un documento verificabile di re Ladislao, mentre quello di Polidori è irrintracciabile, se non inventato di sana pianta.

[8] Si badi, Polidori non nomina mai con questo nome il Ponte, cominceranno a farlo il Romanelli e il Bocache, e in seguito tutti gli altri scrittori.

[9] Di recente è stato pubblicato un libro di G. Fallacara, U. Occhinero, M. Altomare Castel del Monte – Nuova ipotesi comparata sull’identità del monumento, Gangemi editore, 2012, alle pp. 111-113 si parla del cantiere di S.ta Maria Maggiore di Lanciano, inaugurato “alla presenza di Federico II” l’8 di settembre 1227, prima della sua partenza per la Crociata. Anche il Bruschi, Note sull’impianto di S. Maria Maggiore a Lanciano e su quello di Santa Maria del Fiore a Firenze, in Atti del XIX Congresso di Storia dell’Architettura, (L’Aquila, 15-21 settembre 1975), L’Aquila 1975, vol. I, pp. 155-182, parla di “costruzione federiciana” per la chiesa lancianese, paragonata a S.ta Maria del Fiore di Firenze per l’impianto. A ogni modo per il giorno dell’inaugurazione, le tesi di Occhinigro e Bruschi coincidono: per S.ta Maria di Firenze si ipotizza la consacrazione l’8 settembre 1396 giorno della Natività di Maria, e “sembra” che la chiesa di Lanciano fosse stata edificata il primo mercoledì dello stesso settembre (p. 160); poco più avanti il Bruschi (p. 163), da cui ha preso l’Occhinegro, ipotizza col condizionale un contatto tra il vescovo Bartolomeo di Chieti, e l’inaugurazione del cantiere della chiesa neel settembre 1227, come riportato anche nel documento di Marciani in Le pergamene di S.ta Maria Maggiore ecc, in Scritti, vol. I, 1998; tuttavia il Bruschi non formula alcuna certezza, come altrove letto, che Federico II fosse in Lanciano, ma nota solamente dal documento vescovile che il cantiere partì poco prima che Federico partisse per Brindisi per poi andare a Gerusalemme per essere incoronato. Per questo saggio, ringrazio la dott.ssa Antonella Di Stefano.

[10] Questa Iscrizione sotto il bassorilievo di Alfonso d’Aragona trionfante sui nemici attualmente non è rintracciabile, né è menzionata dai vari scrittori di antichità lancianesi, come Fella, Bocache o Romanelli.

[11] Purtroppo anche qui è evidente la falsificazione polidoriana sul nome del Castello, che chiamerà così in diverse altre sue dissertazioni, per far avere a Paglieta il vanto della Contea di Palearia!

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