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26 marzo 2024

Modesto Della Porta, il Poeta d’Abruzzo e del Ta-pù.


Modesto Della Porta, il Poeta d’Abruzzo e del Ta-pù

di Angelo Iocco

 

L’Abruzzo è Modesto Della Porta. Guardiagrele è Modesto Della Porta.

Nel panorama della Poesia dialettale abruzzese, non possiamo non parlare del Nostro. Talmente amato era, e popolare, che ad esempio quando estrassero i corpi dei Caduti della tragedia di Marcinelle nel 1956, nella tasca di un opera fu trovata una copia sgualcita della sua raccolta di liriche Ta-pù, lu trumbone d’accumpagnamente.

Nacque il 21 marzo 1885, il primo giorno di primavera, e come lui diceva: La primavere è ‘ntrate, e i’ so’ scite. In questo saggio offriamo un sunto della vita e delle opere del Nostro, ampiamente studiato da Vito Moretti Nei Saggi di bibliografia Dellaportiana e in Per Modesto Della Porta. Saggi e apparati critici, in cui il Moretti riordina criticamente la composizione delle sue poesie, in ordine cronologico, con le diverse varianti dei manoscritti, e in allegato la commedia incompiuta de La Commedie di Cicche di Sbrascente.


Guardiagrele, piazza Duomo


Origini

Casa natale di Modesto, via M. della Porta, ex via Cavalieri

Nato a Guardiagrele, da Donato e Maria Vitacolonna, frequentò la scuola elementare e in parte la scuola media. Purtroppo dovette interrompere gli studi molto presto, e ciò lo segnerà a vita, non avendo potuto ricevere una formazione educativa completa. Divenne un sarto quale era la professione del padre, ed esercitò il mestiere nel suo paese e a Roma, ma amava comporre poesie che era solito recitare agli amici. Inizialmente pubblicò in periodici locali. Le poesie erano d'occasione (es: La pescherella), soprattutto per satira (L'amore de le 'hette - Lu pallune), inaugurazioni o matrimoni, come quello dell'amico Zopito Valentini direttore della rivista "Aprutium".

Le prime poesie e vita di paese

Aveva un fratello, Remo (1887-1986) e la sorella Concetta, che consegneranno le sue carte dopo la morte nel 1938. Remo e Modesto inizialmente furono di idee giolittiane e antisocialiste, a seguire di queste scelte, negli anni 1920 Modesto ebbe contrasti anche con gli amici come Gino Orlando, col quale si divertiva adesso in paese in compagnia del pittore Tommaso Cascella nelle taverne.



Il sentimento libero e critico e poco incline all'accomodamento fascista, portarono nel 1926 Modesto e Remo a essere schedati come antifascisti dal podestà Guido Cristini e a subire delle vessazioni. Nel frattempo Modesto intrattenere rapporti con vari personaggi dell'intellighenzia abruzzese e no, come il senatore Raffaele CaporaliRaffaele Paolucci di cui era fervido ammiratore, Luigi PolacchiGuido Albanese. A Caporali dedicò un sonetto N'avetra canzune in occasione di una cerimonia. Con Polacchi partecipò alla fondazione nel 1934 della Casa della Poesia a Pescara, un cenacolo di intellettuali abruzzesi. Negli anni 1920 Modesto partecipò alla Festa delle Canzoni abruzzesi di Lanciano e a qualche festa delle Maggiolate a Ortona con delle canzoni (Amore vecchie e amore nove - Vujje pijà la moje - Carufine). Avendo vinto il primo premio alla Festa delle canzoni di Lanciano, suscitò l'ira dei più famosi poeti abruzzesi come Cesare De Titta, Giulio Sigismondi, Evandro Marcolongo, e del professor Federico Mola di Orsogna; al contrario fu difeso dallo scrittore Giuseppe Mezzanotte di Chieti e da Camillo De Nardis da Orsogna famoso musicista a Napoli.

Il Della Porta era accusato di essere un intruso in questi concorsi, uno scrittore poco istruito e di serie B, generando vari strascichi polemici. L'unica sua canzone di cui resta lo spartito di G. Albanese è Vujje pijà la mojje.


Le poesie più impegnate

Amareggiato anche dalle vessazioni degli esponenti del fascismo, ragion per cui fu costretto a dare il buon esempio iscrivendosi al partito, e tirando un sospiro di sollievo qiando per malgoverno fu deposto il podestà Cristini, e inoltre deluso dal fatto di non essere considerato tra i poeti d'Abruzzo, Modesto fu difeso dall'amico professore Luigi Polacchi e Alfredo Luciani; tra gli altri amici aveva il pittore Michetti, Federico Spoltore, il comico Alfredo Bontempi. In questo contesto, Modesto si inserì nel dibattito circa il nuovo teatro dialettale abruzzese, si esibì nei teatri regionali suscitando applausi, e scrisse alcuni copioni poi andati persi, di cui restano i due atti di Cacce su rospe, una rielaborazione della famosa parabola biografica del bandista Francesco "Cicche" Di Sbrascente, pubblicata da Vito Moretti a Guardiagrele nel 1999 ("Per Modesto Della Porta: inediti e apparati critici", Guardiagrele 1999).



Le ultime poesie della raccolta edita da Della Porta infatti riguardano la figura di un suo alter ego, il trombone d'accompagnamento Francesco Di Sbrascente e le sue fatiche di una vita e le disillusioni nel suonare nella banda del paese. Aveva proposto altre opere come La risata de lu puverelle- Tapù, la commedia di Cicche di Sbrascente, titoli perduti. Anche sul primo titolo Modesto ebbe da fare correzioni (la risata di un uomo misero e malinconico, quale era il personaggio-tipo di Modesto delle sue liriche, era contrario ai sentimenti propagandistici del regime), in quanto rischiava di compromettere ancora maggiormente i suoi rapporti col fascismo, nonostante le difese dell'amico Paolucci.

Edizione della raccolta "Tapù - Lu trumbone d'accompagnamente"

Nel 1933 l'editore lancianese Gino Carabba pubblicò le sue poesie dialettali, caratterizzate da una sferzante vena umoristica, nella raccolta Ta-pù. Lu trumbone d'accompagnamente che ottenne un successo immediato. La raccolta era stata annunciata più volte ma fu edita dopo che Modesto venne parzialmente riabilitato nella società, e dopo la morte del poeta rivale De Titta, che era considerato il cantore lirico d'Abruzzo.

Nella raccolta con copertina di Tommaso Cascella di Cicche D Sbrascente col suo trombone di accompagnamento, sono incluse le poesie più famose, quelle più commerciali come Serenata a mamme - Lu destine- La coccia di San Donate - Lu tisiche - Lu peivilegge de lu disperate - Lu puverelle cioppe - Tapù in sei parti. Mancano quasi tutte le poesie manoscritte o pubblicate nei periodici che contengono l'essenza vera del poeta.



La raccolta come analizzare Mario Palmerio, si apre con due liriche che mostrano l'intento del poeta, l'attaccamento simbolico alla madre Maria, tanto da fargli una cosa strana, una serenata, non avendo pubblico più vasto, avendo avuto quasi sempre insuccesso nei suoi tentativi. 



Ne "Lu destine" è raccolta una visione dell'esistenza umana triste, ma sincera, nulla è certo ed eterno e spesso la fortuna è soggetta a bruschi mutamenti. L'umorismo dellaportiano, l'esorcizzazione del problema con la caricatura, la rappresentazione dei tipi di Guardiagrele e dintorni, l'uso della saggezza popolare, sono i temi che permeano le sue liriche.

Nel 2024 a Guardiagrele è stata inaugurata una panchina monumento, con una scultura in bronzo che ritrae il Poeta.

Da Roma alla morte e rivalutazione postuma

Modesto tentò contatti con Gabriele d'Annunzio, ma senza successo, per ambire a successi che lo conducessero fuori dal panorama di provincia. Nel 1934 aprì una sartoria a Roma e cercò di entrare nell'EIAR con consiglio dell'amico abruzzese Antonio Piccone, con un discorso sulla storia delle bande. Non ci fu seguito. Falsa inoltre la notizia che Modesto all'EIAR registrò la poesia più celebre del suo repertorio: La novena di Natale, che ugualmente fu pubblicata con illustrazioni del pescarese Armando Cermignani. Modesto pare essersi ispirato a uno zampognaro italiano detto Zi Pasquale che giungeva a Guardiagrele con un bambino aiutante per il Natale. Una poesia densa di significato di fratellanza e amicizia, dove ricorre sempre il tema dell'uomo che si affanna per tirare a campare, ma che riceve sempre rifiuti o indifferenza dal pubblico.

Deluso anche dall'esperienza romana, Della Porta non ebbe altro da fare che constatare il suo fallimento e tornare in patria, di cui sentiva il forte attaccamento.




Della Porta non si sposò mai, nonostante  ebbe molti amori, e morì a Guardiagrele il 23 luglio 1938, a 53 anni a causa di un tumore ai polmoni, essendo accanito fumatore.

Nel 1954 alcuni amici (tra cui Paolucci) del poeta fecero pubblicare delle sue poesie inedite dalla casa editrice Marchionne di Chieti. Molte poesie erano quelle già edite nei vari giornali "Idea abruzzese - Aprutium - Il Corriere Frentano- Il Risorgimento d'Abruzzo e Molise", ecc., altri manoscritti verranno pubblicati più tardi da Moretti.

La sua cultura quindi, più che nascere dai libri scolastici, derivava dalla conoscenza dei proverbi e delle tradizioni abruzzesi. Non potendosi considerare propriamente un letterato, in passato, nonostante il grande successo riscosso dalle sue poesie e la conseguente notorietà, soprattutto nelle serate di improvvisazioni nei teatri di Lanciano e Ortona, non fu mai molto apprezzato dai critici letterari. Solo di recente si è iniziato ad apprezzarne la icasticità espressiva, grazie a degli studi condotti da Mario Palmerio e Vito Moretti; e a dargli il merito di far conoscere la vita delle genti abruzzesi di un tempo: una vita borghese, umile e fatta di allegrezze, ricca di aneddoti popolari e comici, ma anche di ristrettezze economiche a causa delle cambiali numerose firmate dal poeta ai creditori. Oggi è considerato uno dei poeti dialettali più popolari e apprezzati dell'Abruzzo.

Presso la villa comunale di Guardiagrele sorge un monumento finanziato dai guardiesi emigrati e fuso dalla bottega F.lli Ranieri. Nel 2024 viene realizzata, in via Orientale in affaccio sul balcone d’Abruzzo, una panchina monumento con una scultura del poeta Modesto, a grandezza naturale, con l’immancabile sigaretta, opera di Michele Montanaro, fusa dalla fonderia Magnifico Michele e dal fabbro Giuseppe Marrone, con il patrocinio dell’Ente Mostra Artigianato Artistico Abruzzese e Comune di Guardiagrele, al termine di tre giornate di Studi modestiani per il 139mo compleanno del Poeta.

 

La Poesia di Modesto

Serenata a mamme

O ma’, se quacche notte mi ve’ ‘mmente,

ti vujje fa’ na bella ‘mpruvisate;

t’aja minì a purtà na serenate

‘nche stu trumbone d’accumpagnamente.

 

Ne’ ride, ma’…le sacce: lu strumente

È ruzze, e chi le sone nen te’ fiate.

Ma zitte, ca se cojje lu mumente,

capace che l’accucchie na sunate.

 

È la poesia aprente del Ta-pù: è una dichiarazione di poetica, al posto del più rinomato e raffinato De Titta, Modesto si presenta: un uomo semplice e umile, che non porta la serenata alla sua amata, ma alla madre Concetta, cui era molto attaccato. E lo fa con il più umile degli strumenti della banda, il trombone d’accompagnamento, protagonista anche della serie delle poesie-memoria di Cicche di Sbascente. È proprio una poesia che invita a riflettere sul non guardare con sufficienza le apparenze, Modesto era ben consapevole dei limiti della sua lirica, rispetto a tanti altri suoi colleghi che si esibivano; ma la popolarità e la schiettezza erano e sono il suo punto forte, che lo hanno riscattato nell’Olimpo dei Poeti d’Abruzzo. La poesia è tanto piaciuta ai musicisti abruzzesi, che è stata musicata da Remo Vinciguerra per il Coro di San Vito, e incisa su disco LP, e di recente dal M° Nicola Di Florio di Castelfrentano.

Cartolina di Raffaele Paolucci spedita a Modesto


Lu destine

I

E' state mo, chell'avetra matine.

'Nnanz'a la chiese de la 'Ddulurate

nu vecchie che sunave lu pianine

dicè': "Curréte, non vi vruvignate,

avete dispiacere? Avete spine?

Saprete l'avvenire e il passate.

Due soldi, e il pappagalle ammaestrate

vi troverà il cartelle del destine".

Che! Lu destine? E m'arivenne a 'mmente

di quande Mammarosse certe sere

parlave de destine: "È gni lu vente,

- dicè'- 'n si vede e suffie, dà le stratte,

t'accide, t'accarezze, è nu mistere!…".

Mo, pe' ddu' solde… e chi nen se l'accatte?

 

II

M'avvicinive. Chelu vicchiarelle

aprì lu spurtellucce: "Avanti amore!

-fece- sortite fuore, Rosinelle,

prendetemi il destine del signore".

Lu pappahalle 'scì da lu spurtelle,

fece tre quattre zumpe allòche fore;

ma mentre tenè' 'mmocche lu cartelle,

èsce la hatte di Zi' Cassiedore,

l'affèrre 'ncanne, e ttele gnì lu vente.

"Acchiappe! Aiute!… Addie lu capitale!

-fece lu vecchie-. Leste bbona gente!…"

Ma chela hatte avè scappate a bballe,

si i' a fficcà sott'a nu capescale

e si magnà destine e pappahalle!…

 

I

E' successo da poco, l'altra mattina.

Davanti alla chiesa dell'Addolorata

un vecchio che suonava il pianino

diceva: "Avvicinatevi, non vi vergognate!

Avete dispiaceri? Avete spine?

Saprete l'avvenire e il passato.

Due soldi, e il pappagallo ammaestrato

vi troverà la cartella del destino".

Che! Il destino? E mi tornò in mente

di quando la mia nonna certe sere

parlava del destino: "E' come il vento,

-diceva- non si vede e soffia, dà strattoni,

t'uccide, t'accarezza, è un mistero!…"

Ora, per due soldi… e chi non se lo compra?

 

II

M'avvicinai. Quel vecchierello

aprì lo sportellino: "Avanti amore!

-disse- uscite fuori, Rosinella,

prendetemi il destino del signore".

Il pappagallo uscì dallo sportello,

fece tre o quattro salti lì di fuori;

ma mentre aveva nel becco la cartella,

uscì il gatto di Zio Cassiodoro,

l'afferrò per la gola, e via come il vento.

"Prendetelo! Aiuto!… Addio al capitale!

- gridò il vecchio- Presto buona gente!”…

Ma il gatto era scappato in giù,

s'andò a infilare in un sottoscala

e divorò destino e pappagallo!…

 

Poesia incisiva, che in due strofe riassume il senso della vita, la fugacità, il Carpe diem oraziano, la Ballata di Lorenzo de Medici, e tante altre. Il destino non si può conoscere, e quando ci si prova, qualche imprevisto te lo porta via.   Palmerio nel suo libro analizza in una maniera più autobiografica la poesia, sostenendo che Modesto nella lirica fece dei riferimenti a una sua sorella morta in tenerissima età.


La cocce di San Dunate

I

Appena dope la messa cantate,

tra bbumme, bbande e sone de campane,

zi' Gisuvè, lu cape debbutate,

chiamà' l'appelle 'nche na carta 'mmane,

pe' la prugessïune a San Donate.

"Stannarde avante… bbande di Lanciane…

appresse, 'ntorce… conche de lu grane…

Cungrèhe e virginelle a 'st' âtru late…"

Stave già pronte la prugessïune,

ma San Donate n'avè' 'scite ancore,

picchè, dentr'a la chiese, li cafune

avè' 'ncucciate pe' 'ncollà lu Sante

e certe strille si sentè da fore:

"A diece lire…" "A quìnice…" "A quarante!…"

 

II

Ma aspitte e aspitte, fore, chela gente,

sott'a le ragge di lu sullïune,

si stave a 'nfastidì: "Ma che 'ccidente,

èsce o ne èsce 'sta prugessïune?"

"C'è tempe? E che s'aspette?" E a nu mumente

stave a succede na cunfusïune,

tante che Gisuvè capì lu vente,

si fece larghe 'mmezz'a li cafune,

'ntrà dentre e disse: "Avante! A chi sta 'nnanze

la Statua arimane aggiudicate."

Sùbbete si presente na paranze

di quattre, si vestì, pahà la spese,

mittì sopr'a le spalle San Donate

e s'avvià pe' 'scì fore la cchiese.

 

III

Ma, quande si truvà sott'a la porte

(ì' ne' le sacce quille a che penzave),

nisciune de le quattre s'avè' 'ccorte

ca San Donate allòche 'n ci passave.

Gnà ci passave, Criste? Se na sorte

di statua accuscì grosse scumpallava

cchiù di nu palme sopr'a l'archetrave?

Perciò, trumente 'scè' pe lu trasporte,

sbattì lu musse 'n facci' a lu passande.

Nu scrocche, nu remùre crichelùgne,

e po' la cocce di Sante Donate

fece na 'ntrambïate che gni quande

stav'a magnà nu lécen'appirùgne…

e si spaccà gni nu merecanàte!

 

IV

Biastème, strille!… Succedì na fire!

Che ti sentive! "Fore tutte quente!"

"Chiude la porte! Nen fa' 'ntrà' la ggente!"

"È le peccate! È le dispiacire!"

"Zitte! Gna s'arisolve 'sta faccente?!"

"Mettèmie n'atra cocce." "Che sti' ddire?

Vù fa' lu 'nserte?" "Le purtème 'n 'gire

senza la cocce, ne' je fa nïente."

"Ma come! San Donate senza cocce?

Se proprie quella và pe' 'nnumenate!?"

"Gnarnò, ne èsce la prugessïune",

fece zì' Pasquarelle lu Mammocce,

"picché s'à fatte queste San Donate,

vol dire ca 'n ci te le 'ntenzïune!

 

V

"Nen si fa cchiù? Ma vù che stet'a ddire?!",

arispunnì lu cape debbutate,

"Steteve zitte, ca se m'ariggire

st'affare le fenème a cortellate!

Haje cacciate settemila lire!

E chi me l'aridà? Tenghe pahàte

ddu' bbande. E la cucagne? E la carrire?

Chi sburse? L'artefizie sta piantate!

Senze, macàre!… Ma 'n si po’ suspènne!"

"Senza lu Sante?!". " E vi fa 'mpressïune?

Lu Sante sole nen po' ì girènne,

se la prugessïune nen và appresse;

ma, car'amiche, la prugessïune

senza lu Sante se po’ fa l'istesse.

 

VI

"Quatréra mi', vi denghe nu cunzije",

fece lu sacrastane, zì' Pasquale,

"Dicè' li vicchï' antiche: a grande male

cchiù grande lu repare. Mo si pije

n'àvetru sante… E vi fa maravije?

Ci sta san Giuvacchine. E' tale quale:

te' l'angele, la mitre, lu messale…

Ma po' le sante è tutte na famije!"

"Piane!… Che fa?… La feste a San Donate

mo se l'acchiappe nu San Giuvacchine

qualunche?", disse 'Ndré' de la Murìce.

"Silenzie!", arispunnì lu debbutate,

"Queste l'à da risolve don Peppine

lu Preposte. Sentéme che ne dice."

 

VII

"Ma," fece lu Preposte, "San Donate

è sempre San Donate benedette;

però San Giuvacchine, scià lodate,

manche è scarte! E quande ci si mette

le fa da mastre… È ca San Donate

te s'à 'mparate a fa' chelu scherzette,

ma è cchiù cose de la nnumenate.

La gente ha paùre, l'arispette:

Lu specialiste!… Ma San Giuvacchine

sa fa' de tutte: cìquele, nefrite;

'n ti pù fijà? Divente na mammine!

Fa da 'ngignìre e fa da manuvàle,

le pù chiamà se tì' n'ugne 'ncarnite,

t'ajute se ti scade na cambiale…"

 

VIII

"Va bbone?" "E come!" "Ma chi sa la gente

che dice mo che vede n'àtru sante…"

"Lu sante? Gisuvè, chï ci te' 'mmente?

A la prugessïune, chï va 'nnante

camine e nen s'accorge di nïente;

quille di 'rrete pù' vedè sultante

la mitre e lu colore de lu mante…

Perciò, curagge e… pinz'a sta' cuntente!"

"E allore, zì' Pasquale, quand'è queste,

apre la 'nnicchie di San Giuvacchine."

"Ne' sta' a la 'nnicchie, sta' a la sacrastìje,

pecché l'âtr'anne, dope de la feste,

siccome s'avè' rutte la vetrine,

l'arichiudèmme alloche…" "E vall' a pije!"

 

IX

Dentr'a la sacrastije, a nu pentùne,

tra casce, banche e sègge sgangàrate,

stave San Giuvacchine, abberrutàte

'nche na paràta vecchie. Ddu' persùne

le caccià fore, e dope, a une a une,

prìiete, pellegrine, debbutate,

s'avvicinà' pe' dà na remunnate.

S'avisse viste quant'attenzïune!

La gente chi 'mbrunè, chi spruvelàve…

Zì' Gisuvè, 'nche na ranàra 'mmane,

mettè' la furie all'èvetre e levave

le tele de le ragne; Pasquarelle

pulè' la pàten' e lu sacrastane,

'ncacciune, arilustrave le pianelle…

 

X

"Sta pronte?" "Pronte…" "Embè, che ci'aspettate?

È tarde!" "Chiame 'Ntonie o che me porte

nu scarapelle." "Sùbbete!" "Schiuvète

San Donate. Quatrè, stetev'accòrte

'nche 'stu San Giuvacchine… Acchiapp'arrète,

piane! N'avess'avè' la stessa sorte…

Mettète 'ncolle… Pòpele, sfilète!",

strillà zì' Gisuvè, "Larg' a la porte…"

Tra bbumme, bbande e sone de campane,

cungréhe, 'ntorce, conche e virginelle,

s'arimittì 'n camine a mane a mane.

Nisciùne addummannà c'avè' successe,

le prìiete archiappà' lu riturnelle

e la prugessïune 'scì lu stesse.


San Donato vescovo e martire è il patrono di Guardiagrele, ancora oggi le feste patronali del 7 agosto con il giro di inizio novena per le vie della città, con la statua in carretta, per poi entrare nel Duomo, fino alla solenne processione delle conche del 7, dal santuario fino al Duomo, richiama la folla da tutto il circondario. E questo Modesto descrive, c’è aria di festa, le campane suonano, sparano i botti, la banda chiamata dal procuratore è pronta per intonare la marcia. Ma ecco che il destino ci mette lo zampino: i portatori della statua sbagliano misura, e la testa sbatte contro l’architrave del portale, fracassandosi a terra. La statua decapitata! Sventura! Come fare? Ed ecco la tipicità della teatralità della poesia modestiana, l’immediatezza del verso della sua produzione: non vediamo descrizioni paesaggistiche alla De Titta, ma sembra quasi di stare al teatro, al teatro all’aperto, nella sua Guardiagrele. Il contesto urbano della sua piccola città, era il teatro della vita per Modesto. Dunque c’è il parapiglia, i portatori chiudono le porte, il procuratore è furibondo, che fare? Chiudere tutto e annullare la festa? E i fuochi pirotecnici, e la banda pagata? Ecco il concetto utilitaristico di una cerimonia religiosa! Ma arriva il prevosto che sistema tutto, si prende la statua dimenticata di San Gioachino, si cambia la veste, e fine. La gente nemmeno se ne accorge, che sta didietro in processione!

 

La Novena di Natale

... a la piazzette stave zì’ Pasquale:

na faccja roscie gni nu rafanelle,

scapille, avè pusàte lu cappelle

dacape a la zampugne. Le gambale

peluse, nu cappotte di suldate

vecchie, piene di bbusce e mezze gialle

se n'avè sciuvilàte da na spalle

e je tuccave 'nterre a l'atru late.

Strette vicin' a jsse, nu quadrare

'nche la barrette sotta lu ditelle

facè da prime 'nche la ciaramelle.

Chi passave sentè lu scupinare

e si fermave, pò' s'avvicinave;

j s'avè 'mpite atturne e chela ggente

si stave allòche, sotte a la nenguente.

E zì' Pasquale dàjje, chiù zuffiave,

zuffiave 'nche la vocche e 'nche lu core

e chelu sone mi parè 'nu cante...

"La notte di Natale è notta sante"!

da "La novena di Natale" - Modesto Della Porta - 1934

 

Non c’è rotocalco giornalistico abruzzese, che a Natale non riproponga questa lirica da ascoltare o da leggere. Memorabile la lettura di Elia Iezzi, inserita in vari programmi, tra cui lo speciale di Emiliano Giancristofaro sul Natala abruzzese. C’è tutto, un’atmosfera invernale con la neve che scende, il silenzio per le strade, un paesello abbarbicato sulla montagna, la bambina che alla finestra esulta per l’arrivo de “la scupine”, cioè la zampogna, strumento popolare d’Abruzzo, Molise, Lazio e Campania. Zi’ Pasquale lo zampognaro, con un bambino che suona la ciaramella, va suonando la Novena per le strade, e si ferma a una ruva. L’atmosfera è magica, lo strumento fa poche note, la musica è sempre la stessa, eppure quella musica, per Modesto, mette dentro una pace infinita. E questo sentimento di raccoglimento provano i paesani radunatisi attorno zi’ Pasquale che suona, finché non decide all’improvviso di cambiare motivo, e suonare un tango. Orrore, la gente se ne va infastidita, e zi’ Pasquale rimane solo, l’incanto si è rotto, tanto che Modesto gli fa: “zi’ Pasquà, steme all’Abbruzze!”, come a dirli che queste musiche non fanno parte della tradizione. Il campane del Duomo fa tre rintocchi, come tre singhiozzi. È il canto del cigno di Modesto, che verrà consumato dalla malattia di lì a qualche anno, a Roma, e deciderà di tornare a casa, dalla mamma, per morire nella sua patria.





È la poesia forse più bella che Modesto pubblicò nel 1934, prima della morte. Contava di leggerla per l’ente EIAR a Roma. Infatti Modesto contava sull’amicizia dell’abruzzese  Antonio Piccone Stella di Torricella Peligna, che lavorava presso l’EIAR con il direttore Pio Casali, di cui divenne il braccio destro nell’emittente radio, e dopo la guerra fu  tra i fondatori del nuovo telegiornale RAI. Dunque  Modesto aveva degli agganci, ma purtroppo a Roma non riuscì ad aprire un’attività da sarto, né a sfondare nel mondo dell’arte. La sua lettura all’EIAR fu rifiutata perché troppo infarcita di inflessioni dialettali.

 

Il ciclo del Ta-pù

Avviato nel 1920, come precisa l’edizione a cura di Gino Carabba e dell’Avv. Luigi De Giorgio detto Popò, il ciclo si apre con l’anziano Cicche che ricorda la sua carriera. Ormai è anziano, cosa gli rimane, una giacca sdrucida e un trombone ammaccato:

Mannagge, cumpà ‘Nto’, m’ajje straddutte!

Trent’anne, e forse cchiù che vajje ‘ngire,

trent’anne: vinte bbande ajje cagnate […]

che m’aritrove? Cosse ‘ntruconìte,

na giubba vecchie senza li bettune,

e stu muttelle tutt’arruzzinite!

 

E racconta le sue turnè infinite con le bande di Lanciano, Pretoro, Sant’Eusanio, arrivando a Napoli, a Berlino. Ormai è il tempo di ritirarsi:

So’ vecchie, cioppe, nen me fide cchiù,

m’avesse aripusà, sarebbe ore…

Ma chi t’ajute…se nen fì “ta-pù”?

 

È la molla che lo spinge ad andare avanti, anche se la moglie lo invita a lasciar stare, a riposarsi per sempre. Il trombone d’accompagnamento è divenuto l’oggetto vitale, inscindibile di Cicche, da cui non può separarsi, altrimenti tutto finirebbe. Lo dimostrano i versi successivi, quando Carminucce di Casale (Casalincontrada, altro paese rinomato per la banda), lo invita a cambiare, tanto che si lamenta del ruolo relegato del trombone di accompagnamento, e a cantare. Ma Cicche non lo sa fare, invece Carminucce farà carriera. È la mala sorte che accompagna la sua esistenza, ma anche i soprusi e le male azioni. Infatti questa lirica si conclude con il ricordo della festa di San Pasquale a Manoppello, quando due masse di tifosi si scontrano per la marcia da suonare: l’Internazionale o la Marcia Reale? I due partiti si scontrano con violenza, e i poveri bandisti ci finiscono in mezzo!

Ne La cumparse, Modesto racconta, sempre attraverso l’alter-ego Cicche, le varie tecniche e ingegni della banda, per rendere una buona esecuzione a una festa. La banda ha il suo codice, le sue regole, è pratica nell’arte di arrangiarsi, ed ecco l’espediente della “papera muta”, la comparsa, cioè far finta di non suonare, pur imitando. Ma il povero Cicche, che doveva sostituire nel clarinetto un collega a Pretoro, si fa scoprire dalla gente, che inferocita lo insegue per picchiarlo, e alla fine deve pure buscarsi le urla del capo-banda! Nella terza parte, intitolata beffardamente La patria, Cicche  è in turnè con la banda, il concerto va benissimo, tutti applaudono, solo un fischio, che è come una scudisciata micidiale per il mondo del teatro. Chi era? Un invidioso di Pretoro!

Na sera sole, ‘mmezz’ a chela ggente,

scrizze nu fischie gni na schiuppettate!

Ci scuncertà nu ccone, frate care!

[…]

Ma dope le vedemme, fu acchiappate,

ere nu Preturese, nu fusare!

 

Nell’ultima parte del ciclo, Cicche ‘mbriache (almeno nell’edizione 1933-47, perché nell’edizione nuova del 2009 è stata pubblicata una lirica inedita aggiuntiva), tre amici si incamminano di notte per la strada, riflettendo sulla loro vita. C’è chi invita a stare allegri, chi è più malinconico:

Dice zi’ Carminucce de lu Valle

Ca stu munne è gne na caminate:

ci sta chi va’ pe’ mmonte e chi pe’ bballe,

chi curre, chi fa piane…chi a’ cascate!

 

Modesto e la canzone abruzzese

Modesto, collaborando con il giornale La Fiaccola di Ortona, dove pubblicò delle liriche, nonché essendo molto intimo del Valentini, era inserito anche nel contesto delle Rassegne canore abruzzesi, nate nel 1920. E così ebbe modo di esibirsi con delle poesie alla Settimana abruzzese di Pescara del 1923; prima nel 1921 in un Concorso di canzoni a Lanciano aveva presentato con l’amico Carlo Massangioli di Chieti Amore vecchie, amore nove, la cui partitura è andata persa, ma è stata ricostruita da Vincenzo Coccione di Poggiofiorito. Una canzonetta simpatica, che mette a confronto le usanze di una volta per il corteggiamento, gli sguardi furtivi, perché i baci “ze vedé nghe l’ucchialune!”. Ma ora l’amore dei suoi tempi è cambiato: “Mo’ l’amore z’è cagnate / mo’ l’amore nn’è cchiù quelle […] Sce cumenze ‘nche li vasce, / nche li vasce sce cumenze! / Gna finisce? E chi le sa!”.



Nel 1926 presentò a Ortona Vujje pijà la moje, con musica del celebre aGuido Albanese, ripresentata alla XVIII Maggiolata del 1938, per  onorare la recente scomparsa del Poeta. Un’altra canzone scritta fu Matrimonie d’amore, mentre nel 1922 partecipò al Concorso delle canzoni di Lanciano con presidente onorario Camillo De Nardis. Modesto presentò Carufine, con musica del Massangioli:

Carufinella mi’, che vi ‘ntriccete

‘mmezze a li firre de ssi balecune:

apirte, mezze chiuse, spalazzète,

ncacchiète a quattre, a ccinque.

E cacchedune cchiù longhe

Fa lu preputente: si stenne,

s’aristenne, s’aristire, e si presume

gne quande avesse a dice:

“Ueh! Tu chi pèsse, sinte che prufume!”

La poesia vinse il primo premio, il secondo premio fu dato a Cesare De Titta, mentre venivano scartate e presentate fuori concorso le celebri Din don di De Titta-Di Jorio, e A la fonte di Illuminati-Di Jorio. Il primo premio per la canzone fu invece assegnato a Giulio Sigismondi e Giuseppe Gargarella per la canzone Canzuna nustre. Tuttavia, come ricostruisce Palmerio nel suo volume su Modesto, sui giornali L’Alba, il Corriere Frentano, La Vipera si scaenò il putiferio tra i poeti colti schierati contro Modesto, e quelli che lo apprezzarono. Marcolongo criticò l’apprezzamento dello scrittore Mezzanotte per Modesto, e lo paragonò a un “tacchino”; mentre Mola, più acerrimo, lo definì “il poeta di Mezzanotte”, e in un altro articolo ”la Mezzanotte del poeta”; Sigismondi, istigato da De Titta, compose un sonetto dialettale in cui ironizzava sull’attività di sarto di Modesto, concludendo che ormai “li virse l’hanne cucite le sarte, / l’hanne vattute li scarpare!”. Modesto rispose con un suo intervento sul giornale, e fu deriso per la grammatica un po’ claudicante, cosa che purtroppo risentiva della sua disordinata educazione scolastica, e che si porterà appresso, come un marchio infamante, per tutta la vita.

A Lanciano, dopo queste controversie, non si bandirono più concorsi di canzoni. Alla morte di Modesto, poco dopo la pubblicazione degli Inediti, diversi scrittori che lo avevano offeso e vilipeso, appoggiando la poesia Detittiana, scrissero le loro scuse, tra cui il Marcolongo e il Mola. Francesco Amoroso, direttore della rivista Attraverso l’Abruzzo, scrisse vari saggi su Modesto, pur esagerando nel sottolineare il suo attaccamento al socialismo.

 

I poeti che omaggiarono Modesto.

Diversi poeti dell’area frentana omaggiarono Modesto nelle loro liriche, ricordiamo Mudeste è vive di Camillo Di Benedetto di Castelfrentano, nella raccolta La mentucce e l’ardiche, anche Cesare Fagiani lo ricordò nelle sue liriche di Stamme a sentì. Eduardo Di Loreto di Castelfrentano più volte lo ricordò nelle sue poesie con affetto, specialmente nella canzone Addò sta?, musicata dall’Albanese, in cui con nostalgia ricordava i titoli e i ritornelli delle più celebri canzoni delle Maggiolate, ora che negli anni ’50 quella generazione di poeti stava scomparendo. Inoltre il Di Loreto fu tra i primi, oltre a Polacchi, a commentare la sua poesia in alcuni suoi saggi pubblicati nel IV vol. dell’Opera omnia nel 2004.

Mostra fotografica e documentaria su Modesto Della Porta – Palazzo dell’Artigianato Artistico Abruzzese – Guardiagrele, 21 marzo 2024






Luigi Polacchi ne La poesia di Modesto Della Porta, edita qualche anno dopo la morte del Poeta, e fatta leggere nelle lezioni del Liceo classico di Pescara, è il primo a scrivere di lui, a riconoscere la “satireggiante poesia”; Polacchi e Modesto erano intimi, spesso il guardiese lo andava a trovare nel Cenacolo di Pescara per discorrere di poesia, oppure fu tra i primi a leggergli la Commedia di Cicche a Città S.Angelo, facendo sganasciare dalle risa il povero Polacchi. O ancora Modesto affettuosamente gli inviò una lettera da Roma, con allegata una copia manoscritta de Lu destine. Questa lettera si trova nell’archivio dello Studio Vecchio del Villino Nonnina di Pescara, dove visse il Polacchi. Grazie alla dott.ssa Angela de Sanctis pubblichiamo la lettera. La poesia non era ancora edita nel Ta-pù, e Modesto chiedeva a Polacchi un aiuto per la pubblicazione della poesia:

25-12-1929

Anno VII(!)

Carissimo, eccoti “lu Destine”

Ti accludo anche una mia caricatura frustrata riuscita. Credo non sarà difficile fare l’incisione, data la sua semplicità. Se credi mettere anche qualche tipo di cronaca, penza tu! Dato come stanno le cose, avrei questo piacere se fosse pubblicata. Ci vedremo nei primissimi dì F.F., intanto con anticipo, molti compagni e molti saluti esternandoti alla sua nobile e paziente compagna, e rampolli.

Tuo patriota

Modesto


Altri amici e poeti lo ricordarono nel Giurnale di Mudeste, e nell’edizione del 1954 delle Poesie inedite.


Aneddoti e falsi miti su Modesto

Il poeta Agrippino Bucceroni di Guardiagrele, che partecipò negli anni ’40 a delle Maggiolate o meglio Ottobrate abruzzesi a Guardiagrele, sulla falsariga delle Maggiolate ortonesi, si adoperò per far eseguire nuovamente delle canzoni di Modesto. Mario Palmerio ricorda che leggeva le sue poesie ai più piccoli e agli analfabeti in Largo Pignatari, facendoli ridere a crepapelle con gli aneddoti, con le avventure de “lu disperate”, con il “testamento all’asino” di zi’ Carminucce, ora riflettere e sospirare con le disavventure del povero Cicche di Sbrascente che ricorda le sue turnè con la banda. Modesto appariva come un personaggio burlone, sfaccendato, dedito al gozzoviglio, a fare le farse al teatro, a fare il clown insomma; ma ecco che con le sue battute di spirto, specialmente verso la politica come in Lu zinchere (la prima poesia del 1912), o ne La velangele de San Micchele, o in L’acque, Modesto appariva come un Robin Hood dei poverelli, un trickster, per ricordare i protagonisti farseschi e folli delle commedie di Aristofane, un socialista, che con le sue arguzie e le sue frecciatine alla politica e ai potenti, riusciva, leggendo i suoi sonetti, a riscattare moralmente il disperato, l’oppresso, il nullatenente, il reietto della società. Ma sono falsi miti, come spiega Palmerio, anche perché nella sua vita Modesto ebbe a criticare anche il socialismo, tanto da andare in rottura anche con l’amico Gino Orlando.


Tra i vari aneddoti Elia Iezzi di Lanciano ricorda quando Modesto e un suo amico giocarono un tiro mancino al prevosto don Filippo Ferrari di Guardiagrele, appassionato e controverso archeologo, sempre volto a mettere in primo piano le bellezze e antichità di Guardiagrele (Luca Giuliante nel suo volume sul Sacrario di Bocca di Valle, ad esempio, ricorda il progetto faraonico di un maestoso tempio classico, con i 3 simboli delle Province d’Abruzzo, e al centro giganteggiante quello del Leone di Guardiagrele per il Sacrario dei Caduti d’Abruzzo!), il quale cercò di raccogliere quanto più materiale per un Antiquarium archeologico, intraprese gli scavi nella necropoli di Comino, si espresso polemicamente sui cimeli guardiesi esposti nel 1905 a Chieti per la Mostra d’Arte Regionale Abruzzese. Un personaggio insomma da burlare per bene.
Modesto prese una vecchia brocca dalla cucina della mamma, la ruppe e la seppellì, nella buca, sotto la calce. Qualche tempo dopo fece sì che avvenisse il ritrovamento. Fermò, con clamore, gli operai per dare maggiore risalto alla scoperta del "coccio" e chiamò don Filippo, grande appassionato di archeologia. Don Filippo, quando vide l'oggetto, interpellò un amico, altro studioso di archeologia, e insieme cominciarono a fare le più ardite congetture. Modesto la tirò a lungo ridendosela alle spalle dei due studiosi... Ancora se ne parlerebbe se la mamma del Poeta non avesse cominciato a sbraitare perché non trovava la sua brocca!

Fotografia con don Filippo Ferrari (al centro), Modesto Della Porta (a destra) e un amico, anni ’20. Foto Elia Iezzi

Altro aneddoto, piccante, riportato da Palmerio, forse il più famoso. Presso il vespasiano di un vicoletto del Corso, Modesto “si faceva i fatti suoi”, ma ecco che lo raggiunge uno dei vari usurai con cui, si dice, Modesto aveva debiti, e gli fa:

“O Modè, lu chiudeve stu cunte?”

“Zitte, ca proprie mo’ tenghe n’affare grosse tra le mani. Lu prime busce ca chiude è lu te’!”

 

Modesto e alcuni amici della politica

Se Modesto ebbe avversari politici, tra cui l’ex amico Orlando e il podestà Cristini, che spesso derise, come documenta Palmerio, in diverse sue liriche (Lu pallune, la Maschere, L’acque, La Novena di Natale), il Nostro ebbe anche amici, ad es. l’eroe di Pola On. Raffaele Paolucci di Orsogna, con cui presenziò all’inaugurazione della Sagra della Majella a Bocca di Valle, e con cui ebbe fitta corrispondenza, per il lavoro, per i problemi con la politica (Modesto rischiava addirittura di essere mandato al confino); e con l’On. Raffaele Caporali di Castelfrentano. A lui in un pranzo conviviale del 1915, Modesto dedica la lirica N’avetra canzune, in cui gli ricorda di non dimenticare il suo Abruzzo, questa regione bella e felice, ma malandata, dimenticata dalla politica, sofferente, che ha bisogno di servizi di comunicazione (es. la ferrovia), istituzioni, lavoro. In effetti Caporali, rivale di Paolucci, si adoperò molto per la sua regione, facendo realizzare l’ospedale di Lanciano, proponendo l’unificazione delle due province Chieti-Pescara, e di creare la provincia di Lanciano, progetto caro anche al Paolucci, nelle sue riunioni al Parlamento diverse volte citò il suo “Abruzzo” malato da curare.

Monumento a Modesto finanziato dagli emigranti, Guardiagrele


Conclusioni

Una delle ultime foto di Modesto, con evidenti i segni della malattia. Ente Mostra Artigianato Abruzzese. Guardiagrele

Il tempo passa, ma Modesto è ancora vivo tra i guardiesi, che ne hanno fatto il loro mito. Modesto è Guardiagrele, i guardiesi hanno utilizzato la sua fraseologia, interi suoi versi come motti e massime di vita, Modesto è diventato l’aedo di Guardiagrele. Si spera che la sua casa natale in via Cavalieri, un domani, possa essere ristrutturata e utilizzata come cenacolo culturale.

A Modesto è intitolato un longevo Premio di poesia di Guardiagrele. Tra i vari disegnatori che hanno illustrato la sua opera, ricordiamo G. Vitacolonna e Luciano Primavera.

Statua di Modesto Della Porta a Guardiagrele, di Michele Montanaro

Lu tempe passe e l'anne sempr'accòjje,

nen m'aricorde cchiù l'età che àjje,

perciò vojje lassà' pinzìre e guajje...

(Modesto Della Porta)  



1 commento:

  1. Con buona pace di Wikipedia "Enciclopedia libera", questo saggio è basato su fonti, se soddusfa i "loro requisiti " di enciclopedicità!! Adios

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