Pagine

8 agosto 2023

Amelio Pezzetta, La Chiesa, lo Stato, la vita sociale e religiosa in Abruzzo durante la Restaurazione.

Abruzzo Ulteriore I, Ulteriore II e Citra

La chiesa, lo stato, la vita sociale e religiosa in Abruzzo durante la Restaurazione.

di Amelio Pezzetta


1.     L’iniziale Restaurazione

Nel 1815 dopo la definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte a Waterloo, il Congresso di Vienna, la battaglia di Tolentino che portò alla sconfitta di Gioacchino Murat e il trattato di Casalanza, Ferdinando IV di Borbone rientrò a Napoli nel mese di giugno, riunì in un unico stato i regni di Napoli e Sicilia e assunse il nome di Ferdinando I.

Egli avviò il suo progetto di restaurazione inteso ad annullare le innovazioni introdotte tra il 1806 e il 1815. Tuttavia questo progetto reazionario non fu materialmente possibile e di conseguenza non portò al ritorno puro e semplice alla situazione precedente al Decennio Napoleonico. Un ostacolo in tal senso lo posero le forze vincitrici che memori della tremenda repressione seguita all'abbattimento della Repubblica Partenopea del 1799, imposero a Ferdinando IV di non reprimere coloro che avevano collaborato con i francesi e di non annullare alcune loro leggi, come quella eversiva della feudalità. Inoltre un'eventuale repressione non poteva cancellare tutte le aspirazioni, gli ideali e gli interessi, ecc. che prima l'ondata rivoluzionaria di dine XVIII secolo e poi Napoleone avevano contribuito a risvegliare. Di conseguenza Ferdinando IV, nonostante la sua tempra reazionaria, non annullò molte riforme napoleoniche, non mise in atto le dure repressioni che nel 1799 seguirono la fine della Repubblica Partenopea e cercò di portare avanti un progetto politico conservatore teso ad evitare che nel suo Regno emergessero forze d'opposizione capaci di compromettere la sua presenza al trono. Un particolare esempio in tal senso è costituito dal Codice napoleonico del Regno delle due Sicilie che rimase in vigore sino al 1819. In seguito fu approvato e sostituito da un Nuovo codice legislativo molto simile che s’ispirava ad esso ed escludeva gli articoli sul divorzio che fu abolito.



2.      La Chiesa e i suoi rapporti con lo Stato.

Agli inizi del periodo della Restaurazione, nella corte borbonica aleggiava la convinzione che la religione cristiana e le istituzioni ecclesiastiche erano dei mezzi molto efficaci per la conservazione del potere, far assimilare ai regnicoli il senso del dovere e la sottomissione alla Chiesa, allo Stato e ai loro rappresentanti. Da parte sua la Chiesa fu profondamente scossa dalla Rivoluzione francese e dalla successiva ondata napoleonica e aspirava anch’essa a una restaurazione delle condizioni preesistenti poiché era portatrice di principi antirivoluzionari e conservatori tra cui la volontà di riaffermare il potere teocratico. Alla base dell’atteggiamento reazionario della Chiesa c’era anche la volontà di combattere l'anticlericalismo affermatosi con la Rivoluzione francese di cui il liberalismo era considerato una tipica espressione.

Gli interessi convergenti della monarchia borbonica e della Chiesa e la reciproca volontà di riaffermare in un clima di collaborazione e conciliazione gli ambiti dei propri poteri evitando ogni possibile forma di contrasto, trovarono il punto d'incontro nel Concordato di Terracina che fu sottoscritto dalle due parti il 16 febbraio 1818, era composto da 35 articoli e fu predisposto dal cardinale segretario di Stato Ercole Consalvi e da Luigi dè Medici, segretario di Stato e ministro delle finanze del Regno delle due Sicilie. Con tale accordo si realizzò l'alleanza tra la Chiesa e il potere statale borbonico sintetizzata nella formula "Alleanza tra il trono e l'altare". La Chiesa tornò ad occupare un ruolo di primo piano nella vita civile, riaffermò la sua autonomia dal potere politico e la subordinazione del clero al papa. Dall'analisi di alcuni articoli che in questa sede saranno trattati emergono gli obiettivi che le due parti volevano perseguire.

L'articolo 1 riconosceva la religione cattolica apostolica, romana come la sola religione del Regno delle due Sicilie. Con l'intesa delle due parti essa "sarà sempre conservata con tutti i diritti e prerogative che le competono, secondo l'ordinazione di Dio e le sanzioni canoniche". Questa tesi con una formulazione giuridica molto simile fu riportata anche nella Costituzione del Regno promulgata nel 1848. Inoltre la notevole importanza attribuita alla religione nel nuovo contesto politico fu ribadita nel Codice del Regno delle due Sicilie che entrò in vigore nello stesso anno del Concordato e minacciava pene severe contro tutti coloro che attentavano ad essa. Infatti nel titolo I “Dè reati contro il rispetto dovuto alla religione” è scritto: "Chiunque nell'empio fine di far onta alla religione cattolica apostolica romana incendia o distrugge un tempio al culto divino consacrato, sarà punito col primo grado di pubblico esempio. Chiunque nello stesso fine incendia, disperde o distrugge il corpo di Gesù Cristo, sarà punito di morte con laccio sulle forche, e col quarto grado di pubblico esempio. La bestemmia, o sia l'empia esecrazione del nome di Dio o de' santi profferita in chiese aperte al pubblico o in altri luoghi nell'atto di sacre o pubbliche funzioni sarà punito col terzo grado di prigionia. Senza le dette circostanze la bestemmia in luogo pubblico è punita col primo grado di prigionia o confino"[1].

L'articolo 2 prescriveva che nelle scuole pubbliche e private, Università e collegi, l'insegnamento si conformasse alla religione cattolica. In base a questa disposizione agli ecclesiastici era concesso d’interferire nell'attività didattica statale.

L'articolo 3 imponeva di procedere a una riforma distributiva delle diocesi dei “domini al di qua del faro”, la parte continentale del Regno delle due Sicilie. In seguito all'applicazione di tale norma, il numero delle circoscrizioni diocesane fu ridotto da 130 a 84[2]. Lo scopo era di rafforzare le mense vescovili e promuovere attraverso gli ordinari diocesani una maggiore presenza della gerarchia cattolica nella vita religiosa, economica e politica del Mezzogiorno.

Con l'articolo 7 si disponeva che tutti i parroci che non avessero un’adeguata congrua avrebbero avuto in dotazione un suo supplemento secondo le seguenti modalità: i parroci a capo di parrocchie con meno di 2000 fedeli avrebbero percepito una congrua non inferiore a 100 ducati annui, quelli con meno di 5000 fedeli 150 ducati annui e quelli con oltre 5000 fedeli non meno di 200 ducati annui.

L'articolo 8 affidava ai Comuni il compito di provvedere al mantenimento dei parroci, del viceparroco e dei chierici parrocchiali qualora non c'erano altre rendite destinate a tal fine.

L'articolo 11 affidava agli ordinari diocesani il diritto di nomina dei parroci delle sedi vacanti scegliendoli tra i soggetti che ritenevano più degni.

L'articolo 12 ordinava che tutti i beni degli enti ecclesiastici soppressi, ancora amministrati dal demanio fossero restituiti alla Chiesa.

L'articolo 14 imponeva il ripristino di tutte le case religiose, ordini e monasteri soppressi durante il Decennio francese. Tuttavia ciò non avvenne completamente. Infatti: 1) alcuni ordini religiosi preesistenti non furono rifondati e scomparvero in modo definitivo[3]; 2) nel 1820, la popolazione del clero regolare costituita da 5732 frati e 11340 monache era la metà di quella esistente prima dell’adozione delle misure repressive adottate dai Napoleonidi[4].

L'articolo 15 concedeva a tutte le istituzioni ecclesiastiche la facoltà di acquistare nuovi beni.

L'articolo 20 riconosceva agli ordinari diocesani la libertà d'esercizio del proprio ministero pastorale nel rispetto delle leggi canoniche. Inoltre, nel rispetto del canone 12 del Concilio di Trento restituiva ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione in materia matrimoniale, abolendo il matrimonio civile e divorzio.

L'articolo 21 riconosceva il diritto dei vescovi di ordinare sacerdoti senza restrizioni numeriche ma con le sole limitazioni previste dal decreto del papa Gregorio XV del I luglio 1623 e dal capitolo IV del Concordato del 1741 che riguardavano i requisiti dei promovendi agli ordini sacri.

L'articolo 23 riconosceva la libertà di comunicazione in materia spirituale senza alcuna limitazione tra i vescovi, la Santa Sede, il clero e i fedeli.

L'articolo 24 attribuiva agli ordinari diocesani il diritto di censura su tutti i libri introdotti o stampati nel Regno. Da parte loro le autorità civili nel rispetto di tale diritto si impegnavano a non permettere la divulgazione delle pubblicazioni che i vescovi ritenevano contenessero elementi contrari alla dottrina cattolica.

Con l'articolo 28, il Papa accordò ai sovrani napoletani l'indulto per la nomina degli ordinari diocesani che prima di prendere possesso della loro dovevano essere presentati alla Santa Sede al fine di ottenere l'istituzione canonica.

L'articolo 29 ordinava che i vescovi nell'atto della loro nomina dovevano giurare fedeltà al re utilizzando la seguente formula: "Io giuro e prometto sopra i Santi Evangeli, obbedienza e fedeltà alla reale Maestà. Parimenti, prometto che io non avrò alcuna comunicazione, nè interverrò ad alcuna adunanza, nè conserverò dentro e fuori del Regno alcuna sospetta unione, che noccia alla pubblica tranquillità. E se, tanto nella mia diocesi che altrove, saprò che alcuna cosa si tratta in danno dello Stato lo riferirò a Sua Maestà" [5].Come si può osservare dalla formula di giuramento è prescritto che i vescovi dovevano assolvere anche a compiti di polizia poiché avevano giurato di riferire al re tutte le notizie riguardanti riunioni sospette ed attività antistatali di cui venivano a conoscenza. Anche i parroci dopo la Restaurazione furono obbligati a prestare giuramento di fedeltà al re, al momento della loro nomina.

Dall'esame di tutti gli articoli del Concordato emerge che non c'è nessun accenno alla formazione degli aspiranti sacerdoti, mentre molti di essi riguardano i diritti e doveri degli ecclesiastici, i beni della Chiesa, il numero delle sedi vescovili e la dotazione economica dei parroci. Da quanto trattato emerge una Chiesa conservatrice, interessata ai beni materiali e apparentemente poco preoccupata della pastorale alla cui realizzazione efficace poteva contribuire solo un clero con una forte preparazione culturale. A tal scopo va tenuto conto che il ritorno dei Borboni fu caratterizzato anche dall’annullamento di tutte le disposizioni emanate durante il Decennio che riguardavano i requisiti culturali degli aspiranti parroci.

Durante la Restaurazione, ad avviso di Cestaro, le parrocchie ebbero un ridimensionamento di beni e rendite, estesero le loro strutture inglobando altre chiese e persero diverse istituzioni collaterali che avevano in assegnazione in precedenza: Monti Frumentari, la beneficenza, etc.[6]. In questo periodo i doveri e funzioni dei parroci si estero e cambiarono. Essi non potevano acquistare ricevere beni e tantomeno venderli in quanto la loro sussistenza doveva essere assicurata esclusivamente dalle rendite del patrimonio sacro e dai benefici ecclesiastici. Oltre ad occuparsi della "cura animarum" erano obbligati a: 1) tenere in perfetto ordine i registri parrocchiali; 2) rilasciare gli attestati di povertà, a uso leva e d’idoneità fisica alle donne che volevano far da balia pur non avendo perso la propria prole; 3) partecipare come membri attivi all'amministrazione dei Monti Frumentari ed alle commissioni di beneficenza comunali che distribuivano generi ai poveri onde prevenire eventuali abusi; 4) dimostrare di essere fedeli alla monarchia borbonica accettando obblighi di carattere poliziesco, in particolare il controllo della morale pubblica. Quest'ultimo compito lo ebbero in assegnazione con una circolare del Ministero di Polizia del 4 settembre 1822 che chiedeva a tutti i prelati del Regno la collaborazione al fine di avere ogni 15 giorni un rapporto particolareggiato sulla religiosità della popolazione e il suo attaccamento al sovrano. La vita dei parroci non fu facile poiché erano oppressi da mille impegni; spesso erano malvisti in quanto considerati funzionari di polizia che potevano rivelare eventuali segreti appresi in confessione; erano condizionati dalle autorità civili per la manutenzione delle chiese, l'organizzazione delle feste, la riscossione della congrua e la nomina del predicatore quaresimale. A ciò talvolta si accompagnava un'attività pastorale da realizzare in parrocchie che comprendevano fedeli dispersi in casolari raggiungibili solo attraverso piccole mulattiere. In armonia con le finalità di repressione reazionaria le ordinazioni sacerdotali potevano avvenire solo se gli aspiranti sacerdoti godevano di una buona reputazione politica e l’attestato era rilasciato dai parroci. Spesso i parroci e gli altri sacerdoti furono utilizzati anche come maestri nelle scuole elementari a causa della poca disponibilità di maestri laici. Quelli che dal 1815 al 1860 furono deputati all'insegnamento controllavano che l'istruzione impartita non fosse contraria ai principi cristiani e periodicamente informavano il vescovo sui risultati della loro attività.

Oltre ai problemi dei parroci, durante la Restaurazione altri di natura più prettamente politica investirono la vita religiosa: le misure repressive, l'assoluta chiusura a tutte le novità e l'uso strumentale della religione per la conservazione del potere.

Il 5 maggio 1824 il papa Leone XII fece pubblicare l’enciclica “Ubi primum” in cui espresse una decisa condanna delle tendenze liberali della società e la sua più completa disapprovazione   del "tollerantismo e l'indifferentismo" che a suo dire, in nome della libertà e della pietà insegnavano che Dio con la creazione aveva dato all'uomo completa libertà, sicché ognuno senza preoccuparsi della salvezza eterna poteva abbracciare qualsiasi ideologia.

Nel 1846 fu eletto papa il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti con il nome di Pio IX. Gli ambienti liberali dell’epoca travisarono il suo pensiero politico e accolsero con favore la sua elezione. In seguito il pontefice mostrò il suo vero volto, affermò il suo spirito reazionario e condannò in modo deciso le nuove tendenze e ideologie che andavano diffondendosi. In particolare, nel 1849 con l’enciclica “Nostis et Nobiscum”, Pio IX espresse una dura condanna il comunismo, il diritto al lavoro e l'uguaglianza indefinita che considerava bestemmie contro la dottrina cattolica della misericordia fraterna. Inoltre ad avviso del Sommo Pontefice: 1) il socialismo e il comunismo avevano tentato di confondere i fedeli con nuove dottrine; molti complotti e cospirazioni rivoluzionarie erano da condannare poiché avevano il fine esclusivo di rovesciare il potere temporale della Chiesa cattolica; 3) poiché solo il cristianesimo persegue la vera libertà e l'uguaglianza, tutte le altre rivoluzioni sono inutili. Di conseguenza invitò tutti i cattolici all'obbedienza alle legittime autorità politiche. L'enciclica "Nostis et Nobiscum" alimentò nel Regno di Napoli le tendenze conservatrici ma ebbe pochissimi riflessi sull'attività pastorale. Su quest’ultima in particolare fu molto più incisivo e per certi aspetti preoccupante l'atteggiamento reazionario che assunse la gerarchia cattolica fedele alla corona. Essa infatti con l'assolvimento dei compiti di polizia a cui fu delegata provocò forti riflessi negativi sulla religiosità popolare e sull'opinione comune riguardante gli ecclesiastici. Innanzitutto le idee conservatrici e reazionarie degli ecclesiastici contribuirono ad alimentare le diffidenze sul sacramento della confessione che da pura e semplice manifestazione di fede e di devozione poteva diventare un mezzo con cui venire a conoscenza di eventuali attività sovversive antistatali e segnalarle alle autorità di polizia. Per fortuna non tutti i chierici furono perfetti e fedeli collaboratori della monarchia borbonica. Alcuni sacerdoti cercarono di limitare la loro attività solo alle competenze pastorali evitando di assumere compiti più strettamente politici e polizieschi; altri accettarono le idee liberali e lottarono contro la reazione e l'assolutismo monarchico. La consapevolezza dell’esistenza di una parte del mondo ecclesiastico poco devota alla monarchia borbonica alimentò un’atmosfera di sospetto che nel 1834 portò i rappresentanti del Regno delle due Sicilie e dello Stato Pontificio a stipulare un accordo riguardante le immunità personali dei soggetti che indossavano la veste talare. In questo caso le due parti pattuirono che innanzitutto andava sempre tutelata la dignità delle funzioni sacre a cui erano delegati gli ecclesiastici. Di conseguenza se erano responsabili di qualche delitto e quindi passibili dell'arresto dovevano essere adottate nei loro confronti opportune misure di polizia. In particolare i chierici dovevano essere condotti in carcere solo di notte, coperti di mantello per nascondere il loro abito, non potevano essere arrestati durante l'esercizio del servizio divino e non potevano essere condotti in carceri comuni.

Nel 1847 le forze liberali pubblicarono clandestinamente un opuscolo in cui manifestarono la loro opinione sulla vita socio-religiosa nel Regno di Napoli e sugli ecclesiastici che appoggiavano la politica reazionaria dei Borboni. In esso si affermava: "Per colpa di re Ferdinando gli italiani delle due Sicilie han perduta la pupilla degli occhi, la cara religione cattolica e son diventati atei, o superstiziosi. Pochissimi preti sono buoni e santi e degni che altri mettan la faccia dove essi metton le piante: gli altri moltissimi svergognatori del sacerdozio, ignoranti e più ipocriti e malvagi li nomina parroci ed affida loro la cura delle anime, l'istruzione, la polizia della diocesi e la vigilanza sulla coscienza di tutti. Onde i vescovi sono potenti spie agli intendenti, a' sottointendenti, e tutti i magistrati civili e militari ed ai ministri stessi"[7]. Parole durissime rivolte contro il clero. La conclusione dell'opuscolo non è molto diversa da quanto scritto. Infatti vi si faceva presente che "I frati sono quali furono sempre, alcuni buoni, alcuni tristi, pochissimi dotti. Ma tra i frati sono gli infernali gesuiti, peste di tutta la cristianità e specialmente nel nostro Regno. Così i preti ed i frati facendosi aiutatori delle infamie del governo, predicatori di false massime, insegnatori d'ignoranza e d'errore hanno guastato la religione, hanno turbato tutte le coscienze e son smisuratamente odiati e disprezzati" [8]. Le frasi dell'opuscolo che sono state riportate evidenziano un forte atteggiamento anticlericale ma non ateismo nè irriguardosità della religione cattolica. Il suo fine era di denunciare gli effetti negativi causati dalla collaborazione tra clero e monarchia.


3. I moti rivoluzionari antiborbonici, la carboneria e la reazione

Durante la restaurazione gli ideali liberali e i principi di rinnovamento affermatisi con l’illuminismo, la rivoluzione francese e il decennio napoleonico furono considerati dai Borboni e altri governi dell’epoca una minaccia all’ordine costituito. Di conseguenza essi misero in atto una profonda attività repressiva e una censura che impedisse la circolazione delle idee, le libertà di pensiero e di stampa. Nonostante questo non fu possibile reprimere tutti gli ideali, le aspirazioni e gli interessi dei ceti progressisti in forte ascesa economica e sociale. Nel caso in esame l’insoddisfazione per il regime borbonico e il desiderio di rinnovamento che da essa scaturiva fomentarono il nascere di una forma opposizione al potere dominante che all’epoca si espresse con la diffusione di società segrete finalizzate a scatenare rivolte per spingere la casa reale a riconoscere le libertà individuali e concedere una carta costituzionale.

La principale e più importante setta segreta che operò nel napoletano fu la carboneria che raccolse adepti nell’esercito, la borghesia, l’aristocrazia illuminata, gli studenti, gli intellettuali e il clero che a sua volta s’iscrisse a sette carbonare, protesse i rivoluzionari compagni di ventura dalle autorità di polizia e partecipò ad alcune sommosse. Le autorità borboniche dell’epoca vennero a conoscenza dell'esistenza dei preti carbonari, com’è dimostrato dalle inchieste di polizia che nel periodo 1821-1859 furono avviate nei confronti degli ecclesiastici sospettati di non essere devoti alla monarchia. Per combatterla si ricorse a ogni mezzo, tra cui anche la fondazione di sette opposte reazionarie e filogovernative. Una di esse fu quella dei Calderai fondata dal Principe di Canosa.

Nel napoletano gli iscritti alla carboneria perseguivano: diritti e ideali romantici di libertà, rinnovamento e uguaglianza; la volontà di ottenere la concessione di una carta costituzionale che assicurasse tali diritti a tutti i cittadini e il passaggio da un regime di assolutismo regio a quello democratico rappresentativo.

In pochi anni i carbonari passarono dall’associazionismo segreto alla lotta armata e la prima importante occasione in tal senso si ebbe a Nola durante la notte tra il 1° ed il 2 luglio 1820 quando due ufficiali di cavalleria (i sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati) capeggiarono una rivolta di circa 150 militari che era finalizzata esclusivamente a ottenere una carta costituzionale ma non a rovesciare la monarchia borbonica. Inizialmente la rivolta di Morelli e Silvati trovò l’appoggio di don Luigi Minichini, un sacerdote con principi considerati anarcoidi che cercava di coinvolgere nella sollevazione i contadini anziché l'esercito e la borghesia. In seguito la cospirazione si estese anche in altre province del Regno; ai rivoltosi iniziali si aggiunsero altri militari rivoluzionari e cospiratori civili; il gruppo raggiunse circa 20000 unità e il suo comando fu assunto dal generale Guglielmo Pepe. Il 7 luglio 1820, il Re Ferdinando I quando prese atto che non era possibile soffocare la rivolta concesse una Costituzione simile a quella spagnola del 1812 e il 13 luglio giurò sul Vangelo di volerla difendere. Nel mese di marzo del 1821, dopo le ingerenze austriache e la sconfitta del generale Pepe la costituzione fu sospesa. In seguito iniziò una feroce attività repressiva che portò a 13 ergastoli, 30 condanne a morte e altre minori. Alle iniziative governative il 13 settembre 1821 si aggiunse la bolla papale Ecclesiam a Jesu con cui condannava tutte le società segrete, in particolare la Carboneria e la Massoneria. In particolare nell’enciclica il Pontefice scrisse che la Carboneria fomentava ribellioni e spogliava i re e i prìncipi del loro potere. Pertanto comminava la scomunica a tutti gli iscritti alle sette carbonare. Il 13 marzo 1825 il Papa Leone XII con la bolla Quo graviora ribadì la condanna a tali associazioni.

Le misure repressive attuate dal governo borbonico per il mantenimento dello status quo contro i liberali e i carbonari, furono ritenute inadeguate e carenti da parte di alcuni elementi reazionari. Tra questi il sacerdote gesuita Gioacchino Ventura e Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa, un laico conservatore ed antiliberale che dopo i moti del 1820-21 nel Regno di Napoli, fondarono la rivista "L'Enciclopedia ecclesiastica e morale" al fine di combattere le aspirazioni liberali anche sul piano ideologico e religioso.

I moti carbonari del 1821 furono seguiti nelle varie province del Regno da altre rivolte antiborboniche e liberali che in diversi anni si succedettero sino alla conquista garibaldina del 1860 (1833, 1837, 1841, 1848-49). Tra esse le più importanti scoppiarono nel 1848. In quell’anno la prima scintilla rivoluzionaria si accese il 12 gennaio a Palermo, quando i siciliani insorsero chiedendo riforme politiche, una costituzione, più giustizia sociale e l'indipendenza della Sicilia. Ad essa il 27 gennaio seguì un’insurrezione e a Napoli. Ferdinando II di Borbone, che a quel tempo reggeva il Regno promise una costituzione che entrò in vigore il 10 febbraio. Il 15 maggio, con un voltafaccia Ferdinando prese pretesto da una sommossa popolare per revocarla, mettere in atto la reazione, sciogliere il Parlamento e la guardia nazionale, nominare un nuovo governo e proclamare lo stato d'assedio. La feroce repressione che ne seguì causò circa 500 morti.

Dopo gli eventi rivoluzionari del 1848 Ferdinando II di Borbone accentuò le forme repressive, le misure poliziesche e ricorse in modo più deciso all’appoggio della chiesa al fine di assicurarsi un maggior supporto al suo regime reazionario e conservatore in evidente crisi. A tal fine nominò 51 nuovi ordinari diocesani, estese l’affidamento degli istituti scolastici agli ordini religiosi, nel 1850 espulse dal Regno i gesuiti che avevano fondato la rivista “Civiltà Cattolica” non particolarmente accondiscendente con il regime borbonico[9]. Inoltre il 6 luglio 1849 assegnò ai vescovi funzioni ispettive nelle scuole non solo per gli aspetti morali e religiosi ma anche per quelli disciplinari e scientifici. Di conseguenza agli ordinari diocesani fu consentito d'interferire nei programmi d'insegnamento scolastici e di considerare blasfemi, contrari alla religione e allo Stato tutte le attività didattiche da loro presunte tali.



4. La religiosità durante la Restaurazione.

A inizio di questo capitolo va fatto presente che nel periodo in esame si assiste anche a un tentativo di reintrodurre o meglio riproporre vecchie consuetudini e forme di religiosità post-tridentine che erano cadute in disuso o rese nulle dalle leggi napoleoniche.

Ferdinando I con la legge n. 655 “Per la costruzione de’ campisanti in ogni comune di qua del Farodell’11 marzo 1817 ordinò la costruzione dei cimiteri fuori dai centri abitati, mettendo fine all’abitudine secolare di seppellirei morti all’interno e nelle vicinanze delle chiese. Questa normativa portò a diversi cambiamenti negli atteggiamenti e credenze religiose[10]. Innanzitutto Ad avviso di Sacciarelli, il nuovo cimitero, concepito su basi razionalistiche che confinava il defunto in un ambito anonimo e uniforme spezzava l’antico legame “tra morte pacificata, celebrazione dell’orgoglio famigliare e rapporto coi vivi, un compito che i cimiteri parrocchiali assolvevano alla meglio[11]. Molte confraternite che si occupavano della sepoltura dei defunti furono costrette ad adeguare le loro attività alla nuova situazione. I cimiteri extraurbani divennero luoghi di memoria che innescarono nuove tradizioni, consuetudini e forme di religiosità. Essi si contrapposero e portarono all’abbandono delle antiche credenze popolari abbastanza diffuse che di solito consideravano gli ambiti posti fuori dal centro abitato luoghi di paura frequentati da esseri sovrannaturali, malvagi e antitetici alla vita.

Durante la Quaresima in ogni Comune s’invitavano i predicatori quaresimali per preparare alla Pasqua i fedeli delle varie parrocchie. Molto spesso insieme a loro svolgevano un'attività di propaganda religiosa i missionari con il fine di raccogliere fondi per sovvenzionare le missioni nei paesi considerati infedeli. Talvolta i predicatori e missionari eccedevano durante le loro prediche, spaventavano i fedeli e diffondevano ideologie reazionarie filogovernative.

La prima metà del XIX secolo vide l’esplosione nel Regno di Napoli di varie calamità naturali e morbi epidemici che da certi settori furono considerati un castigo divino contro i liberali e i moti rivoluzionari. In questi casi si accentuarono le preghiere d’invocazione d’interventi soprannaturali per l’allontanamento del male. Pertanto, le inspiegabili guarigioni e il fatto che le collettività non erano toccate dai morbi erano considerati eventi miracolosi attribuiti all’intervento soprannaturale dei santi protettori. In diverse località del Regno sono sorte numerose leggende e fatti dimostrativi di quanto scritto.

All’epoca le festose ricorrenze civili, le nascite, i compleanni e gli onomastici dei familiari della casa reale erano celebrati in ogni parrocchia con solenne funzioni religiose e Te Deum di ringraziamento. Questi riti legittimavano e il potere politico e l’ordine esistente; rafforzavano lo stretto legame esistente tra il potere civile e la religione; diffondevano l’immagine di un re paterno e magnanimo che amava i suoi sudditi e organizzava feste per farli divertire, un insieme di fatti che accresceva la devozione alla monarchia.

Le feste laiche erano accompagnate da sfilate militari al suono dei tamburi, illuminazioni notturne, giochi pirotecnici, alberi della cuccagna e altro. La stessa ritualità seguivano anche le più importanti feste religiose e patronali che si celebravano nei vari Comuni del Regno. In tali occasioni le autorità civili contribuivano con propri fondi a realizzarle e durante le processioni solenni occupavano posizioni di rilievo dietro la statua dei santi, una consuetudine che in molti casi è ancora attuale. Spesso le feste patronali erano accompagnate anche da fiere e mercati che incentivavano il commercio e le attività produttive locali e quindi nel loro complesso fornivano l’occasione a certi personaggi e categorie sociali di mettersi in mostra, acquisire prestigio comunitario e anche di accrescere il proprio reddito.

Per quanto riguarda altri aspetti della religiosità e spiritualità in questo periodo si pone l'accento sui temi dominanti nella predicazione e cioè: l'orrore del peccato; la necessità della salvezza eterna; il collegamento tra collera divina eventi catastrofici e l'invocazione alla misericordia di Dio come mezzo per alleviarli; la necessità di accostarsi con più frequenza ai sacramenti; un'accentuazione della devozione alla Madonna ed al Cuore di Gesù.

Nel 1820, con nuova normativa riguardante l’amministrazione degli stabilimenti di beneficenza e dei luoghi pii laicali del Regno tra cui le confraternite e le cappelle laicali, si osserva una diversa parziale destinazione delle loro rendite. Infatti buona parte dei cespiti che in passato erano destinati alla celebrazione di messe si dovevano utilizzare per il mantenimento dei poveri e le istituzioni benefiche fondate nel Regno di Napoli. Questi cambiamenti più che evidenziare una diversa religiosità degli amministratori dei luoghi pii, sono il risultato della politica governativa che con opportuni provvedimenti legislativi iniziò ad occuparsi del sociale e impose che nei bilanci delle istituzioni suddette fossero comprese uscite per le attività assistenziali. I contributi ai poveri non potevano essere arbitrari; infatti l'articolo 42 del "Regolamento degli stabilimenti di beneficenza e dei luoghi pii laicali, loro tutela ed amministrazione" del 1820 prescriveva che i contributi ai poveri potevano essere effettuati solo a favore di quelli del proprio Comune ed in possesso di un attestato di povertà rilasciato dal parroco.

A conclusione di questo capitolo per evidenziare altre forme in cui si manifestò la religiosità nel periodo storico in esame si riportano le particolari forme di devozione e di testimonianza di fede cristiana che sono emerse dalla consultazione di vari testamenti.

Vari rogiti del 1816-1817 riportano la seguente invocazione religiosa: "Raccomando l'anima al Sommo Dio affinché per i meriti di Gesù Cristo abbia a perdonarmi tutte le colpe commesse". Altri riportano formule di invocazione religiosa diverse che cambiano da notaio a notaio ed esse, nonostante la diversa formulazione rappresentano in ogni caso la volontà del testatore di chiedere l'intervento di Dio e dei santi per le sorti della propria anima. In alcuni rogiti il testatore lasciava agli eredi una grossa cifra con cui celebrare messe a suffragio dell'anima del defunto per un periodo variabile da uno a quattro anni. In altri si dispose che gli eredi dei vari beni organizzassero un decente funerale ed inoltre donassero qualcosa al Real Albergo di Napoli, una istituzione laica di beneficenza. Nei rogiti notarili successivi al 1816-1817 che sono stati consultati non si autorizzarono donazioni a favore del Real Albergo di Napoli. Inoltre si ridussero le donazioni a favore degli enti ecclesiastici, un fatto dimostrativo che l'atteggiamento religioso era cambiato rispetto al passato.


5.      L’Abruzzo durante la Restaurazione.

        5.1 La carboneria regionale, l’atteggiamento antiborbonico e le rivolte.

Le prime sette carbonare in Abruzzo iniziarono a essere fondate durante il decennio napoleonico e proseguirono nella Restaurazione. Ad avviso di Pansa, “durante l’occupazione francese di Giuseppe Napoleone, allo scopo di educare i popolo e di distruggere l’influenza del regime borbonico, si radicò in Abruzzo la setta della Carboneria, ritenuta generalmente una riforma del massonismo[12].

Ad avviso di Di Giovanni tra il 1819 e il 1820 in quasi tutti i paesi dell’Abruzzo esistevano vendite carbonare[13]. Nonostante che la Carboneria raccolse un discreto numero di adepti, nel complesso non riuscì a organizzare grandi moti rivoluzionari e la Regione fu interessata solo da rivolte più o meno sporadiche.

Gli avvenimenti e i moti rivoluzionari di altre località del Regno, quando furono conosciuti dai carbonari regionali e dagli altri soggetti contrari alla monarchia borbonica, furono accolti con entusiasmo, simpatia e in qualche caso accompagnati da alcuni tentativi d’imitazione insurrezionale. Costantini scrisse che in Abruzzo: “Non si faceva altro che imitare ciò che si operava in altri centri; attendevamo gli ordini che ci potevano venire da altrove. Nessuna iniziativa, insomma, nessun movimento senza l'altrui impulso[14].

A L’Aquila, nel 1813 il marchese Giacinto Dragonetti fondò la prima vendita carbonara[15]. Nel 1821, quando in città giunsero le notizie sulle vicende rivoluzionarie organizzate nel Regno di Napoli si registrò un aumento degli iscritti alla Carboneria e furono organizzate manifestazioni di giubilo con Te Deum di ringraziamento, un gran ballo e altro [16]. Anche a Chieti e Provincia tra il 1820 e il 1821 aumentarono le iscrizioni alla Carboneria che nel complesso annoverò parecchie migliaia d’iscritti. È tuttavia da presumere che tutte queste iscrizioni più che essere dettate da vera fede politica, in realtà fossero ispirate dalla volontà di cavalcare il carro dei vincitori.

La Carboneria abruzzese operò anche a Teramo ove si diffuse anche tra gli ecclesiastici, come dimostrano i seguenti passi di una lettera del vescovo di Penne inviata al ministero degli affari ecclesiastici di Napoli: “Su dodici canonici solo uno non era con certezza carbonaro: degli altri undici, due sospetti e nove sicuramente affiliati[17]. In questa città nel 1820 furono affissi manifesti con cui si annunciava che il re Ferdinando I aveva concesso la Costituzione. In seguito le iscrizioni alla Carboneria aumentarono[18].

Oltre che la carboneria anche Giovine Italia raccolse dei proseliti in Regione e favorì alcune insorgenze.

Dopo i moti carbonari del 1820-21. nel Regno delle due Sicilie fu eletto un nuovo parlamento in cui fecero parte varie personalità abruzzesi tra cui Michelangelo Castagna, Michele Coletta e Melchiorre Delfico.

In Abruzzo le manifestazioni di apprezzamento per i moti carbonari del 1821, qualche anno dopo furono seguite anche da alcune sommosse popolari. Una di esse si ebbe a L’Aquila su iniziativa di Luigi Falconi ma fu immediatamente soffocata. Nella stessa città nel 1833 fu organizzata una repressione anti-liberale che portò a numerosi arresti.

Un altro moto insurrezionale antiborbonico scoppiò a Penne il 23 luglio 1837 e coinvolse anche gli abitanti di alcuni Comuni vicini: Cappelle, Farindola, Moscufo e Spoltore[19]. Ad avviso di Costantini i rivoltosi furono guidati da membri iscritti alla Giovine Italia[20]. Dopo alcuni giorni la rivolta fu domata, furono eseguiti numerosi arresti, 12 insurrezionalisti furono condannati a varie pene detentive e per otto di essi ci fu la condanna a morte e la fucilazione che avvenne a Teramo il 21 settembre.

Attorno al 1840 al fine di prevenire e soffocare ogni tentativo di sommossa in Abruzzo, il governo borbonico rinforzò gli organici militari e della Gendarmeria reale che era composta da oltre 10000 uomini[21].

Un’altra rivolta antiborbonica scoppiò a L’Aquila l’8 settembre 1841 e fu capeggiata dal barone Vittorio Ciampella che all’epoca ricopriva la carica di sindaco. Nello stesso anno in città circolava il giornale "Riforma della Giovine Italia" che s’ispirava ai principi mazziniani.

Si arriva così al 1848, l’anno delle numerose e grandi rivoluzioni europee. In Abruzzo in quell’anno scoppiarono varie sommosse di tenore avverso (anche reazionarie) in varie località regionali: Caramanico, Lettomanoppello, Pratola Peligna e Teramo. Le rivolte del 1848, ad avviso di Del Villano & Di Tillio videro la partecipazione attiva di varie personalità democratiche e liberali e a Penne fecero ritorno alcuni rivoluzionari[22]. Ad avviso di Brancaccio, in Abruzzo la diffusione della notizia che Ferdinando II aveva concesso la costituzione “diede origine a opposte manifestazioni. Mentre a Tocco Casauria si leggevano i giornali provenienti da Napoli e si commentavano favorevolmente le informazioni sul mutato clima politico che dominava la capitale, si scrivevano poesie impregnate di patriottismo, le si declamavano in pubblico e si applaudivano le guardie nazionali, a L’Aquila, invece, ci fu un tentativo controrivoluzionario, che fu subito stroncato dai protagonisti del moto del 1841, che sostennero la causa della monarchia costituzionale[23]. A Teramo nel 1848 ci furono scene d’entusiasmo accompagnate da un fatto di sangue. A Chieti non si registrarono atti di violenza e le vicende rivoluzionarie furono seguite con entusiasmo, interesse e partecipazione da alcuni membri della Giovine Italia, altri simpatizzanti liberali e i frequentatori di vari circoli intellettuali.

A seguito dei moti del 1848 e della concessione della Costituzione, il Re Ferdinando II inviò un proprio esercito che partecipò alla I° Guerra d’Indipendenza. Esso comprendeva il 10° Reggimento di Fanteria di Linea Abruzzo che era composto da soldati originari delle tre provincie regionali e andò a rinforzare una divisione di volontari proveniente dalla Toscana[24].

La reazione anche in Abruzzo portò ad arresti e condanne. Infatti, tra il 1848 e il 1855 circa un migliaio di persone fu processata per reati politici vari tra cui "attentato e cospirazione a oggetto di distruggere e cambiare la forma di governo e a eccitare i sudditi del Regno contro l'autorità reale". Ai processi seguirono numerose condanne.

  


6. La Chiesa abruzzese durante la Restaurazione.

    6.1 Le sedi vescovili e i vescovi abruzzesi durante la restaurazione

In seguito all’applicazione delle norme concordatarie tra la Santa Sede e il Regno di Napoli e della bolla “De utiliori (27 giugno 1818) del Papa Pio VII fu attuata una riforma delle circoscrizioni ecclesiastiche e i Comuni che ora appartengono all’Abruzzo furono ripartiti in otto diocesi. Le diocesi di Cittaducale, Campli e Ortona scomparvero e furono accorpate a L’Aquila, Teramo e Lanciano. Negli anni successivi sino all’Unità, furono messi in atto altri provvedimenti di riorganizzazione ecclesiastico-amministrativa riguardanti le diocesi regionali che saranno trattati in seguito.

Fatte queste premesse di carattere generale veniamo ora ad analizzare i principali fatti riguardanti le otto diocesi abruzzesi e la cronotassi dei loro vescovi nel periodo in esame.

 

Arcidiocesi di Chieti-Vasto.

A seguito della riforma delle circoscrizioni ecclesiastiche del 1818 l’arcidiocesi di Chieti restò senza suffraganee mentre alcune Chiese nullius dioecesis furono soppresse e riunite alla sede arcivescovile. Nel 1853 il papa Pio IX con la bolla In apostolica omnium ecclesiarum eresse la diocesi di Vasto che fu affidata in amministrazione all'arcivescovo di Chieti. Tra il 1815 e il 1860 la diocesi fu amministrata ai seguenti presuli: Francesco Saverio Bassi (18 dicembre 1797 - 26 marzo 1821); Carlo Maria Cernelli (19 aprile 1822 - 18 maggio 1837), Giosuè Maria Saggese (17 settembre 1838 - 24 aprile 1852), Michele Manzo (27 settembre 1852 -7 marzo 1856), Luigi Maria de Marinis (18 settembre 1856 - 27 agosto 1877).

 

Arcidiocesi di Lanciano e amministratori apostolici di Ortona.

L'arcidiocesi di Lanciano-Ortona attualmente è una suffraganea dell'arcidiocesi di Chieti-Vasto[25]. Dopo il concordato del1818 e la bolla De utiliori la diocesi di Ortona e Campli fu soppressa e il distretto di Ortona fu annesso a Lanciano. il 19 febbraio 1834, il papa Gregorio XVI con la bolla Ecclesiarum omnium ripristinò la diocesi di Ortona e l’assegnò in amministrazione perpetua al vescovo di Lanciano. I presuli che nel periodo in considerazione diressero l’arcidiocesi furono: Francesco Maria De Luca (6 aprile 1818 -13 gennaio 1839), Ludovico Rizzuti (23 dicembre 1839 - 4 agosto 1848), Giacomo De Vincentiis (22 dicembre 1848 - 5 maggio 1866).

 

Arcidiocesi de L’aquila.

L’Arcidiocesi de L’Aquila è una sede metropolitana che ora ha come suffraganee le diocesi di Avezzano e Sulmona-Valva.

Nel 1818 fu soppressa la diocesi di Cittaducale e il suo territorio fu annesso alla sede aquilana. Nel 1836 il papa Gregorio XVI  ordinò l’annessione alla diocesi di alcuni centri abitati su cui in precedenza gli abati di Farfa esercitavano la giurisdizione ecclesiastica. I presuli che la diressero furono i seguenti: Francesco Saverio Gualtieri (26 marzo 1792 - 6 aprile 1818), Girolamo Manieri (6 aprile 1818  -12 novembre 1844), Michele Navazio (20 gennaio 1845 - 26 aprile 1852); Luigi Filippi (7 marzo 1853 - 28 gennaio 1881).


Diocesi di Avezzano.

Nel periodo in esame il territorio diocesano non subì alcuna modifica. I presuli che l’amministrarono furono i seguenti: Camillo Giovanni Rossi (26 giugno 1805 - 26 giugno 1818), Saverio Durini (21 dicembre 1818 - 17 novembre 1823);Giuseppe Segna (3 maggio 1824 - 8 marzo 1840), Michelangelo Sorrentino (19 giugno 1843 - 17 aprile 1863).

 

Diocesi di Sulmona-Valva.

Nel 1818 la diocesi di Sulmona-Valva estese la sua circoscrizione con l'annessione dei territori di Pratola e San Benedetto in Perillis che in precedenza appartenevano all’abbazia celestiniana di Santo Spirito al Morrone. Per quanto riguarda la cronotassi vescovile c’è da dire che dal1799 al 1818 la diocesi rimase vacante e rischiò la soppressione. In seguito ciò fu evitato e i presuli che la diressero furono i seguenti: Felice Tiberi (6 aprile 1818 - 22 aprile 1829), Giuseppe Maria Deletto (27 luglio 1829 - 10 novembre 1839); Mario Giuseppe Mirone (27 aprile 1840 - 27 giugno 1853); Giovanni Sabatini (27 giugno 1853 - 10 marzo 1861).

 

Diocesi di Teramo

La diocesi di Teramo esisteva da lunga data. Nel 1818 si ampliò con l’acquisizione del territorio della diocesi di Campli che fu soppressa. I vescovi che nel periodo in esame la diressero furono i seguenti: Francesco Antonio Nanni (26 giugno 1805 - 8 marzo 1822), Giuseppe Maria Pezzella (24 novembre 1823 - 18 giugno 1828), Alessandro Berrettini (5 luglio 1830 - 29 ottobre 1849), Pasquale Taccone (30 settembre1850 - 20 ottobre 1856), Michele Milella, (20 giugno 1859 - 2 aprile 1888).

 

Diocesi di Penne e Atri.

La diocesi di Penne ed Atri fu fondata nel 1252 e scomparve nel 1949 quando il suo territorio fu ripartito tra varie circoscrizioni diocesane. Dal 1815 al 1818 fu sede vacante mentre in seguito fu occupata da due presuli con un lungo di episcopato: Domenico Ricciardone (1818-1845) e Vincenzo D'Alfonso (1847-1880).

 

Diocesi di Trivento

La diocesi di Trivento è una suffraganea dell'arcidiocesi di Campobasso-Boiano che comprende Comuni molisani e quelli abruzzesi di BorrelloCastelguidoneCastiglione Messer MarinoCelenza sul Trigno, Roio del SangroRoselloSan Giovanni LipioniSchiavi di Abruzzo e Torrebruna. Nel periodo storico in esame fu retta dai seguenti vescovi: Luca Nicola De Luca (26 marzo 1792 - 7 giugno 1819), Bernardino Avolio, (21 febbraio 1820 - 18 luglio 1821), Giovanni De Simone (19 aprile 1822 - 3 luglio 1826), Michele Arcangelo Del Forno (9 aprile 1827 - 18 marzo 1830), Antonio Perchiacca (2 luglio 1832 - 26 novembre 1836), Benedetto Terenzio (19 maggio 1837  -27 gennaio 1854) e Luigi Agazio (23 giugno 1854 - 1º febbraio 1887).

 

 6.2  Il clero regionale, la carboneria, i moti rivoluzionari e la reazione.

Anche il clero abruzzese non assunse un atteggiamento univoco nei confronti della carboneria. Una sua componente più conservatrice si oppose ai suoi programmi e ideali. A questa categoria appartengono: i preti e frati reazionari e filogovernativi che fornivano agli organi di polizia notizie sulle persone sospettate di essere liberali e arrivarono ad accusare anche loro confratelli; i sacerdoti incaricati delle missioni che anziché predicare il Vangelo diffondevano ideologie controrivoluzionarie. Tra essi i preti dell'Ordine del preziosissimo sangue di N.S. Gesù Cristo che nel 1822 furono chiamati a predicare nel  teramano per convertire gli uomini della “provincia più carbonara del Regno di Napoli”.

Un’altra componente assunse una posizione d’indifferenza o si schierò apertamente dalla parte dei rivoluzionari, appoggiandoli direttamente, iscrivendosi alle vendite e partecipando alle sommosse. A tal proposito Costantini riporta un elenco di carbonari di vari Comuni della Provincia di Chieti che comprende 28 preti [26]. A essi si aggiungono 12 frati che furono sospettati di essere liberali [27]. Inoltre altri frati e preti ebbero un ruolo di sostegno e appoggio più o meno rilevante nel corso di varie sommosse.

Nel 1837 il vescovo Domenico Ricciardone riuscì a sedare un tumulto che scoppiò a Penne quando si diffuse la voce che il Governo avesse avvelenato i pozzi per diffondere il colera: il presule placò la sommossa interponendosi tra gli insorti e i gendarmi.

Nel 1848 a Chieti il convento dei cappuccini fu trasformato in una sorta di “asilo” per i simpatizzanti del movimento liberale[28].

Per quanto riguarda i vescovi, va ricordato che essi erano di nomina regia e giuravano fedeltà al re; quindi erano legati alla corona e alla sua volontà discrezionale anche se l’atteggiamento di sudditanza cambiava da persona a persona. Un presule che nel 1848 appoggiò la reazione fu l’arcivescovo di Chieti Giosuè Maria Saggese. Ad avviso di Costantini l’arcivescovo “Era un suddito rigidamente fedele al suo re ed amico; combatteva i liberali perché, secondo lui minavano il trono e sconvolgevano la pubblica tranquillità”[29].

Inoltre un Costantini scrisse che Mons. Saggese: “s' avvalse di tutti i mezzi per soffocare ogni idea di libertà, coadiuvò efficacemente i magistrati e la gendarmeria nella scoperta dei reati politici[30].

Brancaccio a sua volta fa presente che mons. Saggese in una pastorale del 17 febbraio 1848 affermò che le concessioni costituzionali erano «conformi all’attuale incivilimento» e di conseguenza invitò i diocesani al rispetto delle nuove autorità governative. Nello stesso tempo, nei vari Comuni della diocesi promosse le missioni dei Gesuiti che per garantirsi il controllo dell’opinione pubblica ricorrevano a ogni mezzo[31]. In considerazione di questi fatti, una commissione di liberali impose a Mons. Saggese di ritirare i padri missionari che in occasione della Quaresima con le loro prediche spaventarono la popolazione con metodi poco religiosi.

La reazione che seguì i fermenti rivoluzionari del 1848 portò a misure restrittive anche nei confronti del clero. Numerosi sacerdoti regionali furono sottoposti ad inchieste di polizia poiché sospettati di aver aderito ai movimenti rivoluzionari o per avere adeguate garanzie sui loro requisiti morali e politici nel caso dovessero ricoprire incarichi molto delicati e particolari. Alcuni di essi furono condannati e dopo la condanna delle autorità civili arrivava anche quella della delle autorità religiose che li obbligava a ritirarsi per un certo periodo di tempo in monasteri isolati per dedicarsi a esercizi spirituali, preghiera e contemplazione.

  

      6.3  La religiosità. 

In conseguenza dei vari fermenti politico-rivoluzionari del periodo, le nuove normative e ideologie che iniziarono a circolare, il modo di manifestarsi del sentimento religioso iniziò a modificarsi per cui anche in Abruzzo accanto ad antichi modelli arcaici che continuavano a sopravvivere, si assiste alla diffusione di altri riguardanti atteggiamenti religiosi quotidiani, credenze, feste da celebrare, etc.

Per la comprensione della religiosità del periodo in esame si inizierà l’analisi con un commento al sinodo diocesano teatino che l'Arcivescovo Mons. Bassi tenne dal 10 al 12 ottobre 1815. Esso fu convocato circa 150 anni dopo l'ultimo sinodo teatino e in un momento di chiara necessità al fine di riconfermare i vecchi dogmi e metodi della Chiesa, riproporre valori cristiani universali e vecchi modelli religiosi in alternativa a forme ritenute dissacranti e soprattutto ordine in una realtà socio-religiosa sconvolta dalle vicissitudini politiche del decennio napoleonico.

Nel I capitolo delle costituzioni sinodali si prescrissero norme riguardanti la condotta del clero. In particolare si vietò ai sacerdoti di assistere a giochi e spettacoli proibiti, di tenere in casa donne consanguinee e domestiche non inferiori all'età di 45 anni, indossare abiti e portare acconciature non prescritte per l'ufficio ecclesiastico. Le autorità diocesane erano convinte che il Decennio francese fu caratterizzato da un certo libertinaggio e pertanto tali norme riguardanti la condotta dei preti dovevano servire a ridare loro la giusta dignità.

Il II capitolo prescrisse che ogni sacerdote potesse disporre di vari testi da utilizzare nell'esercizio del ministero pastorale tra cui: la sacra scrittura, il catechismo romano e qualche autore di teologia morale.

Il III capitolo si dispose che la domenica, durante la Quaresima e in tutti gli altri giorni festivi, ogni parroco con l'aiuto di altri sacerdoti era tenuto ad insegnare il catechismo ai fanciulli. Per gli adulti si esortavano i sacerdoti a tenere la catechesi durante la celebrazione delle messe.

Il IV capitolo prescrisse cogni parroco durante la celebrazione delle messe domenicali e delle feste solenni doveva spiegare ai fedeli le principali virtù da praticare ed i vizi da evitare per condurre una corretta vita cristiana. Inoltre raccomandò loro che all'avvicinarsi della Quaresima dovevano tenere un corso di predicazione quaresimale con almeno otto giorni di esercizi spirituali.

Il I capitolo della seconda sessione prescrisse che ogni parroco era tenuto a battezzare quanto prima i neonati e a persuadere i genitori a imporre ai propri discendenti, nomi di santi e non pagani o osceni.

Nel III capitolo si fece presente che con la confessione non si potevano assolvere gli usurai che non promettevano di riparare ai loro mali e coloro che ignoravano la dottrina cristiana.

Il VI capitolo prescrisse che la messa doveva avere una durata non inferiore a 20 minuti, non superiore a mezz'ora e si doveva celebrare seguendo le norme dettate dal papa Benedetto XIV.

Nel VII capitolo si fece presente che durante i giorni festivi tutti dovevano astenersi da qualsiasi attività lavorativa, dovevano ascoltare la messa e la predica, non ubriacarsi, non partecipare a giochi proibiti e infine fare opere buone di qualsiasi genere.

Nel XV capitolo si fece presente che solo il vescovo poteva sollevare dalla sanzione di scomunica: 1) chi si serviva dell'Eucarestia, del Crisma, dell'Olio santo e da qualsiasi altra cosa consacrata per stregonerie e sortilegi; 2) gli aspiranti sacerdoti che documentavano un falso patrimonio sacro; 3) i sacerdoti che sul libro delle messe annotavano funzioni religiose mai celebrate; 4) coloro che durante i processi civili e penali testimoniavano il falso; 5) coloro che scrivevano lettere anonime contro qualsiasi ecclesiastico; 6) le coppie che prima di contrarre il matrimonio in chiesa avevano rapporti sessuali; 7) coloro che commettevano incesto.

Molto decreti sinodali del 1815 sono molto simili e ripropongono altri analoghi promulgati durante i   sinodi organizzati nel XVI secolo. Essi condizionarono il comportamento religioso nella diocesi fissando a tal proposito precise norme.

All’epoca anche in Abruzzo era diffusa la convinzione che l’intercessione miracolosa di santi e beati poteva contribuire a liberare la popolazione da gravi malattie e morbi epidemici. Gli esempi in tal senso sono numerosi e di essi se ne riportano alcuni. Tra il 1817 e il 1818 i vastesi attribuirono la salvezza da un’epidemia di peste all’intervento miracoloso dell'Arcangelo Michele la cui statua si conservava nella chiesa di San Giuseppe. Nel 1837 Vasto fu colpita da una nuova epidemia di colera. In quest’occasione la statua dell'Arcangelo Michele fu portata in processione sino all'altura dove sorge la cappella attuale. In seguito il colera non si diffuse all’interno delle mura della città; il fatto fu attribuito all’intercessione miracolosa dell’Arcangelo e in segno di ringraziamento i vastesi fecero costruire un nuovo elmo per la sua corazza da guerra e ricostruirono il santuario. Nel 1854 Lama dei Peligni fu colpita dal colera che provocò nel paese solo 6 vittime. Poiché rispetto ad altri comuni il morbo causò danni più limitati, la popolazione locale ritenne che ciò fu dovuto alla protezione sovrannaturale accordata dal Santo Bambino che nel luogo è molto venerato. Questi esempi dimostrano che la religiosità popolare ha un carattere strumentale ed i santi in genere sono ritenuti dei numi tutelari. In particolare attraverso la devozione ai santi protettori, gli individui dell’universo agro-pastorale abruzzese manifestavano la volontà di superare il negativo, di sperare nel l’aiuto di tali entità soprannaturali per assicurarsi un'esistenza migliore che fosse meno condizionata da eventi infausti e da condizioni sociali subalterne.

Un altro aspetto della religiosità dell’epoca è costituito dalle predicazioni quaresimali che si affidavano a compagnie di padri missionari al fine di preparare i fedeli alla Pasqua. Non sempre l’attività di predicazione perseguiva finalità esclusivamente religiose. Infatti l’attività missionaria organizzata nel 1827 nella diocesi di Teramo ebbe lo scopo di convertire gli uomini di quella che fu dichiarata la provincia più carbonara del Regno di Napoli. A Questo delicato compito furono delegati i sacerdoti dell'Ordine del preziosissimo sangue di N.S. Gesù Cristo, guidati da Gaspare del Bufalo, proclamato poi santo dalla Chiesa cattolica.

Il 12 novembre 1831 l'Intendenza di Chieti fece diffondere in tutti i Comuni della Provincia il seguente regolamento da osservarsi per le spese occorrenti per la Santa Missione che in quell’anno fu eseguita dai padri della Congregazione del Santissimo Redentore o Liquorini: "Art. 1: l'importo delle spese di vetture e cibari da Aquila a Chieti, ed indi per simili spese nel ritorno sarà ratizzato sopra tutt'i Comuni che riceveranno a S. Missione; Art. 2: Le spese di transito da un Comune all'altro saranno a carico sempre del Comune cui si reca la Compagnia de' Missionari. All'oggetto i Sindaci saranno preventivamente avvisati della mossa dal P. Superiore; Art. 3: In ciascun Comune de' suaccennati appena giungerà il presente si riuniranno in Commissione il parroco e 'l Sindaco con uno de' principali del Paese e di loro scelta, ma che si distingua per religione e pietà e provvederanno che sia pronta l'occorrente tanto riguardo ai mezzi di trasporto, quanto al decente alloggio e trattamento della suscritta Compagnia; Art. 4: Nell'insufficienza de' fondi comunali destinati all'uopo, e derivanti dai residuali onorarii dei Predicatori quaresimali del 1828 e 1830 sarà a cura della mentovata Commessione provveduto al manchevole coi mezzi che la pietà de' fedeli e divoti benestanti fornirà ad un'opera tanto utile pel miglioramento spirituale delle popolazioni. Chieti, 12 novembre 1831" [32]. Talvolta i predicatori quaresimali si facevano portatori di idee e valori non del tutto in linea con il messaggio cristiano, rimproveravano e terrorizzavano i fedeli minacciando castighi divini. A tal proposito Colapietra (1990) scrisse che a Chieti e Provincia nel 1848 i Gesuiti durante le prediche, incutevano lo spavento delle popolazioni con metodi meno che religiosi "allo scopo di guadagnarsi preliminarmente, negli sconquassi dell’epoca, il controllo di un’opinione pubblica inquieta e distratta”.[33]

Nel periodo in esame molte famiglie di possidenti abruzzesi e non, in considerazione della maggior disponibilità di beni e della propria fede chiesero e ottennero l'autorizzazione a costruire un oratorio privato nella loro abitazione principale al fine di soddisfare esigenze di pratica religiosa strettamente private. Tali richieste accentuavano le differenze di classe e riaffermavano il prestigio sociale dei ceti dominanti. Questo gruppo, oltre che con gli oratori privati esprimeva il proprio prestigio anche utilizzando le seguenti forme che la religione metteva a loro disposizione: la fondazione di cappelle laicali, la costituzione dei patrimoni sacri con cui avviavano i loro membri al sacerdozio, le opere di beneficenza, le targhe ricordo, i sepolcri famigliari e i posti riservati in chiesa, l’iscrizione e la direzione di confraternite, i lasciti per celebrazione di messe e suffragio dei defunti. In base a questi fatti sembrerebbe che anche il paradiso è classista e non è aperto ai ceti meno abbienti che non avevano i mezzi per far celebrare 50 e più messe all'anno per l'anima dei propri defunti, chiedere l'indulto per l'oratorio privato o assegnare una rendita per l'erezione di una cappella laicale ed altro. Sembra che le famose parole del Vangelo "Beati i poveri di spirito" anziché essere espresse dal figlio di Dio erano uscite dalla bocca di un eretico. Tuttavia i ceti meno abbienti dell’Abruzzo, rivelano la loro profonda adesione ai principi del cristianesimo nei suoi aspetti più genuini e semplici e non per questo secondari alle forme di devozione delle classi dominanti attraverso v tratti della loro cultura religiosa: la pia devozione di tanti loro uomini e donne, l’attaccamento ai valori famigliari e cristiani, la partecipazione alle funzioni religiose e via dicendo.

Durante la Restaurazione anche nei Comuni dell’Abruzzo ebbe inizio la costruzione dei cimiteri comunali all’esterno dei centri abitati.

Nel 1848 la celebrazione dell’onomastico del Re (30 maggio) in varie località regionali incontrò seri ostacoli e non fu celebrato. Inoltre all’epoca la partecipazione alle funzioni religiose era quasi un obbligo, come dimostra Costantini con i seguenti passi: “Guai a colui che voleva pensarla a suo modo; e peggio ancora se mancava due volte di seguito alla messa, se dimenticava di comunicarsi ogni mese, di assistere ad una processione senza cero, o d' illuminare la propria casa in tutte le feste di Cort! Era segnato nella terribile lista degli attcndibili[34].

Una circolare del 26 dicembre 1854 ordinava che il giorno in cui la regina avesse partorito ci sarebbe stato l’annuncio in ogni Comune del Regno, si dovevano organizzare tre giorni di festa, celebrare il Te Deum di ringraziamento, sparare le consuete salve di cannone, la sera illuminare tutti i locali pubblici e distribuire beni di prima necessità ai poveri. Il 22 gennaio 1855 l'Intendente di Chieti inviò ai sindaci della provincia una circolare con cui comunicava che la regina aveva generato una bambina e pertanto invitò tutte le autorità locali civili e religiose a organizzare i festeggiamenti previsti. Altrettanto avvenne nelle altre provincie della Regione.

Nello stesso anno in occasione della proclamazione e definizione del dogma della Immacolata Concezione, in ogni Comune della Regione fu organizzata una festa.

 

6.4  I santi e i beati abruzzesi vissuti durante la Restaurazione.

Nel periodo in esame in Abruzzo vissero anche due personaggi che condussero una vita cristiana esemplare e dopo la loro morte furono elevati al trono degli altari.

Il primo di essi è Nunzio Sulprizio che nacque il 13 aprile 1817 a Pescosansonesco e morì diciannovenne a Napoli il 5 maggio 1836. Nel 1859 fu dichiarato venerabile da Pio IX e il 1° dicembre 1963 il  papa Paolo VI lo beatificò durante una sessione del Concilio.

Il secondo è Gabriele dell’Addolorata (al secolo Francesco Possenti), un abruzzese di adozione che nacque ad Assisi il primo marzo 1838 e concluse la sua vita all’età di 24 anni a Isola del Gran Sasso il 27 febbraio 1862. Nel 1856, all'età di 16 anni entrò nei Passionisti e cambiò il suo nome di battesimo in quello di Gabriele. Nel 1920 fu dichiarato santo da Benedetto XV e nel 1959 patrono dell’Abruzzo da Giovanni XXIII. Il culto di San Gabriele in Abruzzo si diffuse per iniziativa dei padri passionisti che sino ad alcuni decenni fa, con molta frequenza erano nominati predicatori quaresimali per preparare i fedeli alla Pasqua.

 


7. Bibliografia consultata


ACTON H., I Borboni di Napoli (1734-1825). Firenze, Giunti Martello,1974.

Bigi A., Confraternite d'Abruzzo, origini, storia, attualità. Verdone editore, Castelli (Te), 2017.

BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, Biblion Edizioni, Milano, 2019.

Brancaccio G., Il Molise e gli Abruzzi dal 1799 al 1861. In: Mascilli Migliorini L., Da Sud. Le radici meridionali dell'Unità nazionale. p. 1-384, Silvana Editoriale Roma, 2011.

CANOSA R., Storia dell’Abruzzo nell’età della Restaurazione e del Risorgimento. Ed. Menabò, Ortona (Ch), 2020.

Cestaro A., Per una definizione tipologica e funzionale della parrocchia nel Mezzogiorno nell’età moderna e contemporanea. In La parrocchia nel Mezzogiorno d’Italia dal Medioevo all’età moderna. Atti del I° convegno di Maratea (17-18 maggio 1977). Ed. Dehoniane, Napoli, 1980, pp.165-189.

Codice per lo Regno delle due Sicilie. Parte seconda. Leggi penali. Real Tipografia del Ministero di Stato della Cancelleria Generale, Napoli, 1819.

Colapietra R., Abruzzo. Un profilo storico. Ed. Carabba, Lanciano, 1977.

Colapietra R., Società, istituzioni e politica dagli angioini all’unità d’Italia. In: AA. VV., Chieti e la sua Provincia. Amministrazione Provinciale, anno 1990, pp. 353-396

COLLETTA P., Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825. Capolago, 1834.

Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello chietino, dal 1848 al 1870. Di Sciullo, Chieti, 1092.

Costantini B., I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero. Stab. poligraf. edit. Amoroso, Pescara, 1960.

De Lucia G., Abruzzo borbonico. Cultura, società, economia tra Sette e Ottocento, Cannarsa, Vasto, 1984

Del Villano W. & DI Tillio Z., Abruzzo nel tempo. Didattica Costantini, Pescara, 1978.

Di Cicco P., La pubblica beneficenza nel Mezzogiorno. Dalle Opere pie all’Ente comunale di assistenza, La Capitanata, XXV-XXX (1988-1993), 1, pp.73-74.

DI GIOVANNI L. 200 anni di Carboneria in Abruzzo.

https://www.academia.edu/44029037/200_ANNI_DI_CARBONERIA_IN_ABRUZZO, 2014.
FILIPPONE G. ed EPIRO, Istruzioni per l'amministrazione degli stabilimenti di beneficenza e dei luoghi pii laicali del Regno delle due Sicilie emanate nel 1820 da S. E. il Segretario di Stato Ministro degli Affari Interni seguite da una collezione di reali decreti, rescritti, e ministeriali dal 1741 a tutto il 1846, Stamperia Giovanni Pedone, Palermbe,1847.

Lepre A., Storia del Mezzogiorno d'Italia, Vol. I-II. Liguori, Napoli, 1986.

Menozzi D., I Vescovi dalla Rivoluzione all’Unità tra impegno politico e preoccupazioni sociali, in ROSA M. (a cura), Clero e società nell’Italia Contemporanea, Ed. Laterza, Bari, 1992, pp. 125-179.

Mercati A., Raccolta di Concordati su materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le autorità civili (1098-1954), vol. I. Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma, 1954.

Pansa G., I sigilli segreti della Carboneria abruzzese. Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere e Arti, Anno XXVII, Fasc. VIII, 1912, pp. 405-413.

PROCACCI A., Storia militare dell’Abruzzo borbonico. Tipografia La Moderna, Sulmona, 1990.

RUSSO L., L' Intendenza di Terra di Lavoro dalla seconda restaurazione borbonica al periodo rivoluzionario (1815-1821). Rivista di Terra di Lavoro, anno 2019, n° 2, pp. 92-109.
Scaduto F., Stato e Chiesa nelle due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri (sec. XI-XIX). Andrea Amenta Ed., Palermo, 1887.

SACCIARELLI A.M., …in pulverem reverteris Personaggi e luoghi del riposo eterno a Cerchio (AQ). Edizioni Kirke, Cerchio-Avezzano, 2021.

Serpentini E. S. & Di Giovanni L. Storia della Massoneria e della Carboneria in Abruzzo. Artemia Nova Editrice, Teramo, 2019.

Traniello F., Chiesa, Mezzogiorno e Risorgimento. In GALASSO G., Mezzogiorno, Risorgimento e Unità d’Italia, Atti del convegno Roma, 18, 19 e 20 maggio 2011, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2014, pp.83-96.

Trinchese S., Potere politico e Curia a Chieti tra le rivoluzioni (1798-1848). Itinerari, 1992, n. 2, pp. 73-93.




8. Note

[1] Codice per lo Regno delle due Sicilie. Parte seconda. Leggi penali, pag. 24.

[2] BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, pag. 454.

[3] Tra gli ordini religiosi non rifondati che scomparvero ci fu quello dei Celestini.

[4] BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, pag. 455.

[5] Mercati A., Raccolta di Concordati su materie ecclesiastiche tra la Santa Sede e le autorità civili (1098-1954), vol. I, pag.635.

[6] Cestaro A., Per una definizione tipologica e funzionale della parrocchia nel Mezzogiorno nell’età moderna e contemporanea, pag.179.

[7] Scaduto G., Stato e Chiesa nelle Due Sicilie, vol. I, pp. 60-63.

[8] Scaduto G., Stato e Chiesa nelle Due Sicilie, vol. op. cit., pag. 64.

[9] Traniello F., Chiesa, Mezzogiorno e Risorgimento, pag.92.

[10] Altre leggi e decreti d’epoca successiva consentivano in alcuni casi la sepoltura dei defunti dentro le chiese. Infatti, gli articoli 14 e 15 del Real Decreto del 12 dicembre 1828 autorizzavano coloro che già possedevano tombe all’interno delle chiese di poter continuare a seppellirvi i propri cari e nel 1857 Ferdinando II emanò decreto che consentiva la sepoltura in chiesa a tutti gli ecclesiastici.

[11] SACCIARELLI A.M., …in pulverem reverteris Personaggi e luoghi del riposo eterno a Cerchio (AQ), pag.91.

[12] Pansa G., I sigilli segreti della Carboneria abruzzese, pag. 406.

[13] DI GIOVANNI L. 200 anni di Carboneria in Abruzzo, pag. 7.

[14] Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi…, pag. 11.

[15] DI GIOVANNI L. 200 anni di Carboneria in Abruzzo, pag. 8.

[16] CANOSA R., Storia dell’Abruzzo nell’età della Restaurazione e del Risorgimento.

[17] DI GIOVANNI L. 200 anni di Carboneria in Abruzzo, pag. 13.

[18] Serpentini E. S. & Di Giovanni L. Storia della Massoneria e della Carboneria in Abruzzo.

[19] Del Villano W. & DI Tillio Z., Abruzzo nel tempo, pag.150.

[20] Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi…, pag. 12.

[21] PROCACCI A., Storia militare dell’Abruzzo borbonico, pag. 302.

[22] Del Villano W. & DI Tillio Z., Abruzzo nel tempo, pag.152.

[23] BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, pag. 449.

[24] PROCACCI A., Storia militare dell’Abruzzo borbonico, pag. 304-305.

[25] Una diocesi suffraganea, nell'organizzazione territoriale della Chiesa cattolica, è una diocesi o un'arcidiocesi retta da un vescovo suffraganeo e legata a una sede metropolitana, guidata da un arcivescovo. dopo il Concilio Vaticano II, il rapporto tra diocesi suffraganee e metropolitane è principalmente formale, testimone, di un legame storico che ha legato tra loro le varie sedi vescovili.

[26] Costantini B., I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, pp.170-199.

[27] Costantini B., I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, pp.111-112.

[28] BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, pag. 450.

[29] Costantini B., I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, pag.78.

[30] Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi…, pag. 21.

[31] BRANCACCIO G., Gli Abruzzi nella storia del Mezzogiorno Moderno, pag. 470.

[32]Archivio di Stato di Chieti, Affari ecclesiastici, busta n. 2, fasc. 30.

[33] Colapietra R., Società, istituzioni e politica dagli angioini all’unità d’Italia, pag, 395.

[34] Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi…, pag. 63.

Nessun commento:

Posta un commento