Lanciano e i privilegi regi di Napoli, in un manoscritto di Giuseppe Ravizza del 1735.
di Angelo Iocco
I Ravizza, scrive
Massimiliano Carabba Tettamanti in Quattrocento anni sotto la protezione di
San Filippo Neri a Lanciano, 2008, giunsero in città dalla Lombardia nel
‘600, stabilitisi nel rione Borgo, nel palazzo di famiglia che ancora oggi
guarda verso via Ravizza. Noti per la professione forense, e ricordiamo i
lancianesi Domenico Ravizza, scrittore illustre, e Gennaro Ravizza,
giureconsulto a Chieti, che scrisse diverse opere storiche, di Giuseppe Ravizza
sappiamo che nel 1692 lasciò un legato alla moglie; a Lanciano fu Dottore di
Legge, e mastrogiurato nel 1735, e istituì la Cancelleria presso una sala del
convento di San Francesco dove aveva sede il Municipio, riunendovi tutte le
scritture pubbliche. In quel tempo la figura del mastrogiurato in città era
notevolmente diminuita di prestigio, date le ingerenze e le forti limitazioni
inflitte dal governatore della città per conto del Viceré spagnolo, nonché dei
feudatari di Casa d’Avalos, che ebbero sotto il loro controllo la città sino al
rientro a Napoli di Carlo III di Borbone.
Il Ravizza riunì nel
1735 in un fascicolo, tutte le scritture che era riuscito a rintracciare circa
i privilegi regi di Lanciano, probabilmente per perorare la causa della città
di rientrare nel regio demanio, ma soprattutto per riottenere i privilegi dei
re angioini e aragonesi, e soprattutto i feudi, in particolar modo il Porto di
San Vito, che tanto lustro dette a Lanciano. I privilegi raccolti da Ravizza
sono andati dispersi nel 1944 con l’incendio di Villa Montesano dove si trovava
l’archivio di Stato di Napoli, sicché si possono ricostruire leggendo i
Registri della Cancelleria Angioina compilati da Riccardo Filangieri.
I Privilegi raccolti da
Ravizza si trovavano nella casa del Magnifico Bernardino De Luca, come
attestato nel foglio finale; non sono elencati seguendo un ordine cronologico,
ma sembra che li regestasse in base a quello che trovava; tuttavia un filo
logico lo si ritraccia, anche per quanto riguarda la collocazione temporale,
dato che l’ultimo è del 1608, regnando Filippo II di Spagna, e uno degli ultimi
è quello di Carlo V suo padre. Il fascicolo originale si trova nella Biblioteca
della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, mentre la biblioteca comunale di
Lanciano, sul cui esemplare ho tratto questo studio, ne ha una fotocopia.
Sono interessanti
alcuni privilegi, che permettono di ricostruire i rapporti della città con la
Corte di Napoli, per mezzo del regio giustiziere che risiedeva nel palazzo del
Giustiziere, passato nel 1646 in mano al Marchese Pignatelli giustiziere
d’Abruzzo, e poi al Marchese d’Avalos di Vasto, fino al tempo in cui fu
acquistato dai de Crecchio, su cui edificarono il nuovo palazzo, che affaccia
sulla via dei Frentani in Lancianovecchia. Tuttavia questa documentazione, su
cui fecero gli studi l’Antinori, il Bocache e il Romanelli, e il Maranca,
presenta qua e là dei dubbi. Il primo, il privilegio di Federico II ai
Lancianesi; Loredana Cirulli in suo studio sugli Statuti di Lanciano, edito nel
2001, attacca il precedente studio di Nicola La Morgia del 1979 sugli Statuti
Lancianesi, riporta in fotografia il privilegio federiciano trascritto da
Bocache, e ne attesta l’autenticità,
sostenendo che Lanciano in quel tempo godeva di una certa autonomia, dai tempi
dei Normanni, sebbene non si facciano nel tal privilegio, riferimenti ad altri
ipotetici privilegi o documenti rilasciati dai conti Normanni, che solitamente
sono ricordati tra un privilegio e l’altro, e che non mancano quasi mani nella
successione dei seguenti privilegi raccolti dal Ravizza. A seguire, dando una
rapida letta al testo trascritto del presunto privilegio federiciano, non si fa
riferimento a uno specifico governo della città, ma si loda la fedeltà e la
fiducia dei lancianesi, che mai è venuta meno alla Casa Sveva, sicché in virtù
dei precedenti accordi sul governo libero della città, anche Federico II dà il
suo placet. Una tesi abbastanza debole per affermare che Lanciano fosse sotto
le grazie dello Svevo, occorre sempre procedere con le pinze in queste
situazioni di scarsa documentazione. Tantoché di recente è stato smentito anche
il Privilegio di Federico con cui egli dava autorizzazione alla costruzione di
Aquila, che sarebbe stato piuttosto approvato dal figlio Corrado IV nel 1254.
Un’altra falsificazione, denunciata da Michele Scioli nell’editare i
Manoscritti di Antinori sui Documenti delle Chiese di Lanciano, nel 1995,
riguarda un dispaccio del conte Ugone Malmozzetto di Manoppello, il quale nel
1062 impartiva al “sindaco” di Lanciano di restaurare le mura, ecc. ecc. I
Comuni iniziano a svilupparsi nella metà del XIII secolo, come sappiamo, e in
queste città appaiono anche le figure dei sindaci; nel caso dell’Abruzzo, su
cui spesso incombe il vuoto più totale circa l’amministrazione delle città, sia
libere che infeudate, lascia abbastanza perplessi leggere certe cronache di
storiografi patri, i quali con assoluta certezza esibiscono copie di documenti
che attestano la presenza di questo monumento antico o di quest’altro
privilegio, come nel caso di un sindaco a Lanciano, sotto il controllo di chi,
di quale signore?, durante la tirannia dei Normanni, specialmente dei Conti di
Loritello e del loro scagnozzo Ugone che imperversavano da Chieti a Loritello,
da Penne al Trigno!
Lascia qualche perplessità anche la questione, al tempo di Federico e successori, fino almeno a Carlo II, circa la rivalità secolare tra Chieti e Lanciano, che ha dato adito a tante controversie… e falsificazioni e ricostruzioni storiche!, circa il distaccamento amministrativo di Lanciano e relative pertinenze dalla Contea di Chieti, quasi la città vivesse in una oasi felice a parte dalle vicende dell’Abruzzo chietino, quando proprio Federico II cercava di stroncare tutti quei germogli di autonomie e di governi feudali che potessero frapporsi al suo piano politico accentratore! Lanciano, a detta di certi storiografi patri, per la “sua fedeltà”, non rientrava tra tutti questi altri feudi, ed era un caso isolato….
Notiamo, dalla metà del
‘400, leggendo questi privilegi, come dal tempo di Alfonso d’Aragona, inizi a
parlarsi di Capitoli e Statuti. Dallo studio della Cirulli apprendiamo come i
Capitoli civici di Lanciano abbiano subito diverse traversie; quelli più
antichi del 1541 sono una copia-riassunto fatta dallo storico Uomobono Bocache,
tramandataci dunque grazie a lui, di altri Capitoli precedenti andati dispersi,
per un totale di 27 norme; gli Statuti del 1592 sono 201. Nei primi nel cap. 4
ci sono riferimenti alla facoltà di non pagare la prigionia se un lancianese
venga incarcerato ingiustamente da forestieri, nel cap. 17 si fa riferimento
all’assoluta osservanza, da parte dei cittadini e figure amministrative, di
detti Capitoli.
Negli Statuti del 1592,
più corposi di materiale, vediamo alcune norme circa l’elezione del sindaco:
solamente un cittadino lancianese può essere eletto, al contrario ad esempio di
altri Statuti abruzzesi, come quelli di Teramo, in cui si dà facoltà anche agli
stranieri di esser nominati sindaci; a Lanciano invece, ricorda la Cirulli, da
una norma del 1494 c’era il divieto per tutti i forestieri di assurgere a
cariche politiche, il potere di elezione è attribuito ai quartieri, non al
consiglio amministrativo, e dunque ai capifamiglia gentiluomini di ciascun
rione. Questo è ricordato anche nel manoscritto su Lanciano di Giacomo Fella,
nl cap. “De honorum distributione patrum pobisque” ecc., in cui figuravano 30
decurioni di Lancianovecchia, e aveva gli onori del magistrato, eccetto ogni
quarto semestre, la cui carica passava ai gentiluomini del Borgo, e nel quinto
anno in cui i gentiluomini della Sacca prendevano la carica. Fella ricorda poi
le variazioni del collegio dei magistrati in città, dovuto alle disposizioni
regie, nel 1515 re Ferdinando aumentò a 72 il numero dei senatori, tra patrizi
e plebei, situazione che rimase così sino al 1564, quando ci fu una rivolta da
parte dei tribuni della plebe che accusarono i patrizi di corruzione e
peculato. Nel 1562 Lanciano fu obbligata a pagare le imposte arretrate per
conto del procuratore regio Antonio Piscicelli, poi il re mandò Gaspare
Pincino, e trovò la città indebitata per 22.700 ducati e altri debiti.
Fella successivamente ricorda alcune pratiche civiche di eleggere il magistrato, ogni semestre a centurie, coi voti dei signori e del popolo, e ciò fu messo in discussione nel 1558, quando il numero dei senatori passò a 72; i signori premettero presso il Preside della Provincia d’Abruzzo Citra affinché questa facoltà fosse concessa solamente a loro, senza le interferenze della Regia Corona, sicché nel 1564, il 20 maggio, si arrivò a un compromesso in 16 punti, che Fella elenca nel capitolo detto. Per quanto concerne l’elezione del sindaco, il periodo di rotazione dei quartieri è sessennale: da 15 febbnraio a 14 agosto vengono Lancianovecchia e Civitanova, poi Borgo e Civitanova, Lancianovecchia e Civitanova, Borgo e Civitanova, Lancianovecchia e Sacca, Borgo e Lancianovecchia. La disparità tra i quartieri è evidente, Lancianovecchia cercava di farla da padrona, considerata la maggior presenza di magistrati, e ciò provocava liti e ricorsi; il sindaco aveva facoltà di nominare i giurati (Cap.40), rifare i pesi e le misure ai sensi dei capp. 33 e 35, come ricordato anche nei privilegi di Ferdinando e Giovanna II, in caso di irreperibilità dei catapani, poteva fissare lui stesso il prezzo della carne e del pesce, aveva potere di procedere contro chi sporcava e non smaltiva correttamente i rifiuti; nel cap. 74 il sindaco ha la licenza di vendere il pesce fresco, nel cap. 116 può avere facoltà di fissare il prezzo del vino. I suoi poteri in città sono ordinati dal re, insieme ad altre cariche, quelle del giudice civile, del giudice della bagliva, la cui pratica di baiulazione si trovava anche nei feudi della città, e infine il mastrogiurato, che entrava in carica nel periodo delle Fiere di maggio e agosto.
Questi capitoli hanno somiglianze anche con gli Statuti della bagliva di Orsogna del XIV secolo, specialmente circa la pulizia delle strade, del punire chi bestemmia e chi turba l’ordine pubblico, di “concedere la via a chi non l’avesse”, ossia costituzione coattiva di servitù di passaggio; a seguire abbiamo il cap. 49 della riforma dei molini tra Piazzano e Rizzacorno, cui fa riferimento uno degli ultimi privilegi riportati dal Ravizza, in cui i Lancianesi hanno in proprietà una vasta area tra Piazzano e Monte S. Silvestro, requisiti agli Atessani per ribellione al re, con diritto di pascolo. Nel cap. 60 per immettere vino in città, al di fuori di quel che serve al singolo, occorre l’autorizzazione del sindaco.
Tornando al Mastrogiurato, costui fu istituito per privilegio di re Carlo II nel 1304, dopo un suo privilegio del 1303 in cui riconosceva Lanciano città demaniale, dopo la cacciata di Filippo di Fiandra e di sua moglie Matilde; il mastrogiurato soprintendente delle Fiere, era eletto dal parlamento, gli si consegnavano i sigilli della città, quello grande al sindaco, il piccolo al mastrogiurato, il sindaco poteva utilizzare il sigillo dopo il consenso del parlamento, il mastrogiurato invece dopo aver ricevuto l’autorizzazione del sindaco. Eletto il mastrogiurato, gli si consegnavano le chiavi delle porte della città, si chiudevano con catenaccio alle 2 di notte, il mattino suonata la campanella del palazzo, riportate le dette chiavi all’ufficiale, si riaprivano le dette porte la mattina al suono della campana di San Francesco; tale pratica, ricorda Uomobono Bocache, si svolgeva non nei tempi di Fiera, per non disturbare il regolare flusso dei mercanti che entravano in città; Bocache non specifica quanto tempo durasse la carica del mastrogiurato, se 1 anno, o di meno, fatto sta che era tenuto a collaborare col sindaco per la durata della sua carica.
Il mastrogiurato, al
momento di inaugurare la Fiera, prendeva le bandiere, con il sindaco, partiva
dalla piazza e saliva la strada delle Bandiere a cavallo, attraversando la
strada con le botteghe dei commercianti, per arrivare al termine della strada
dove si ergeva una torre con la dogana, qui issava le due bandiere della Città
e del Regno, e con uno schioppo, la Fiera era inaugurata!
Lanciano attraversava
periodi di turbolenza, i Capitoli del 1592 furono letti e approvati il 22
maggio 1593. Nel 1515, come riportato anche da Fella e dall’Antinori nelle Antichità
storico critiche, 1790, re Ferdinando stabilì i 72 decurioni, ma nel 1562
ci furono le avvisaglie dell’interferenza spagnola nell’amministrazione civica;
furono imposte gabelle sulla farina e sul vino, i lancianesi chiesero spiegazioni,
il re mandò l’ispettore Gaspare Pancino a verificare, e scoprì un buco di oltre
22.000 ducati, fino a una riforma dei Capitoli nel 1592. Ma le ingerenze non si
fermavano, nel 1563 sorse una controversia perché il Capitano regio fece
arrestare un uomo durante il periodo delle Fiere, contravvenendo alle pratiche
e ai privilegi, ammonito dal mastrogiurato anch’esso fu arrestato, e la città
di Lanciano fece sonora rimostranza al viceré, e la cosa si acquetò, ma
nuovamente nel 1601 ci fu una nuova ingerenza del Capitano negli affari delle
Fiere, e il viceré dette a lui ragione, nel 1602 degli sbandati recarono danno
alle colture, e negli anni successivi il Capitano, nominato dal viceré,
continuò a dare lagne al consiglio civico della città, con imposte e tasse, che
ridurranno la città sul lastrico.
Mi sento ancora in dovere di dire qualcosa sui Capitoli di Piazzano. Sono molto brevi e riguardano disposizioni specialmente agricole, circa la Selva di Piazzano, l’allevamento dei porci, dell’introduzioni di animali forestieri, dei cacciatori e agricoltori, ecc. Resta per me in dubbio la genuinità del documento di re Manfredi di Svevia del 1254 citato da Bocache, che donò a Lanciano per fedeltà, seguendo la via del suo avo Federico, i castelli di Sette e Piazzano, seguiti da Rizzacorno nel 1303. Rizzacorno è citata nel Regesto antinoriano delle Pergamene di Santa Maria Maggiore fatto da Corradino Marciani, al n. 2 infatti cita Rizzacorno, in una vendita fatta da Maderio della Scorciosa a Gentile di Bartolomeo di Ursunia: una vicenda in contrada le Piane della Fara, confina con Filippo da una parte e dall’altra i Signori di Rizzacorno, per mezzo di tarini d’oro 23 di picciola e usuale moneta. Marciani nel commentare il documento, attesta che il feudo la Scorciosa faceva parte di Chieti dal 1227, donato da Federico II, e ancor prima dai suoi predecessori normanni, sulla base dei documenti citati dall’Ughelli e da Gennaro Ravizza.
Piazzano era un vasto
latifondo sul Sangro, Lanciano possedeva la parte a nord, e lo vendette con i
territori pertinenti nel 1623 per problemi finanziari
PRIVILEGI DI FELLA
Fella fu il primo a
trascrivere alcuni privilegi regi, che saranno citati dal Ravizza nel suo
manoscritto, a seguire dall’Antinori nei suoi appunti dell’Istoria critica di
Lanciano fasc. 1, ricopiato poi da Romanelli nelle Antichità storico
critiche dei Frentani, edito nel 1790, e più avanti da Antonio Maranca
nella Istoria diplomatica di Lanciano, manoscritto presso la biblioteca
comunale di Lanciano. Riportiamo in maniera riassuntiva il contenuto.
Privilegio di Federico
II del 1212, privilegio di Carlo II del 1302 che libera Lanciano dal governo di
Filippo di Fiandra signore di Chieti, al cui padre Adolfo di Fiandra, l’aveva
infeudata Carlo I nel 1289, essendo, parole di Fella, città libera; privilegio
di Carlo II del 1308 che accorda l’indulto ai lancianesi che commisero
turbolenze nello scacciare Filippo di Fiandra; privilegio di Manfredi di Svevia
che riconosce Lanciano città demaniale, 1259, e che dona alla città i castelli
di Buca, vicino Vasto. Naturalmente il documento è falso.
Re Roberto nel 1312
dona Paglieta a Lanciano, che deve pagare 100 once d’oro per il baglivo;
Ladislao nel 1383 e nel 1405 concede diversi privilegi, che il manoscritto di
Ravizza elenca più dettagliatamente; la regina Giovanna I nel 1383 rende
Lanciano immune dai vettigali, nel 1373 concede a Lanciano di erigere nuove
fortezze; Ladislao nel 1395 concede di costruire il porto di San Vito; re
Ferdinando d’Aragona nel 1458 concede privilegi per le Fiere, basandosi sui
privilegi già concessi da Alfonso nel 1453-57; nel 1480 re Ferdinando concede
altri privilegi sui pesi e le misure.
Divertente notare, come
più avanti nei tempi dell’antiquaria lancianese, don Uomobono Bocache nel vol.
2 dei suoi Manoscritti, sulla scorta della tronfia autocrazia e
autoglorificazione lancianese, inventasse il ritrovamento dei ruderi
dell’antica lapide dei pesi e delle misure, presso la piazza del Mercato. Sulla
base di un’antica tradizione, documentata almeno dai privilegi dei sovrani di
Napoli, Bocache, in quel sentimento di contestazione e rivalità crassa
“antichietina”, non poteva non far risalire addirittura ai tempi di Roma
l’antica costumanza lancianese di fare pesi e misure, riconosciuta dall’Impero.
Riportiamo il passo al
cap. 17:
Della Iscrizione del Macello, dei pesi e delle misure
Parlando di questa Iscrizione, il
chiar.mo Pollidoro[1],
così scrive: Macelli ubi res humano vicui necessariae vendebantur; memoriam
posteritati servavit lapis litteratus, temporum in iuriis malehabilis in
Pomerio Anxani veteris.
Il Romanelli[2]
colla citazione dello stesso Pollidoro dice così:
In una iscrizione letta
da Pollidoro nelle mura di Lanciano vecchio, si racconta come quei cittadini
fossero sopra di ogni altri vigilante, acciò non si commettessero frodi, onde
fecero i pesi e le misure, e per ragion del volto anche del macello. La Lapida
era molto consumata dal tempo , ed appena vi si leggeva ciò che siegue:
M. SATVR.N…. FIL….
…IIII VIR… N.D….
ET ON… BESID…
AEDILES…
MACDLLVM S.P.
RESTITVERVNT
MENSVRAS ET PONDERA
FECERVNT
L’illustrazione di detto scrittore
sopra questo Monumento, apre che dia a divedere che prima di questo tempo non
avessero avuto i Lancianesi né Misure, né Pesi, né Macello, locché sarebbe
contrario alla chiara leggenda della Iscrizione, che porta, che porta
“restituorunt”, e sarebbe un avvilimento vergognoso per la detta Città i edili
IIII Viri, volendola considerare un infelice oppidolo privo di pubblici pesi e
misure, come pure del macello.
L’eruditissimo Marcelli[3],
avendo posto mente a questa Iscrizione da suo pari, decide che questi erano
edili ordinarj di Lanciano ne’ Frentani, i quali rinnovarono le misur eed i pesi, perché ne’ Municipj era
quasi diritto speciali degli edili “judicare”, come dice Giovenale[4]:
“vasa minore frangere et heminas iniquas”, come leggesi in Properzio[5].
Quegli edili adunque, soggiuns
egli, i quali volevano eternare la fama del di loro impiego, e dimostrare la
dissero liberalità, la facevano rifare a proprie spese i predetti pesi e
misure, per evitare qualunque frode. La provia di ciò, riporta egli il
testimonio una Iscrizione di Frascati nella campagna di Roma ove si legge:
“Aediles mensuras et pondera iniqua tolli iusserunt”. Dai lumi di questo gran
letterato in materia, specialmente Lapidaria,
ben si vede non esservi che aggiungere
circa il punto storico e il senso genuino della detta Iscrizione. Resta
solo farvi delle riflessioni sull’infelice Copia che ci si presenta, cciò
l’onesto Lettore non resti perplesso leggendola così deforme e depauperata.
Quando mai si è veduto nelle
antiche Iscrizioni abbreviarsi il nome proprio ossia Gentilizio, come vedesi
nel principio della prima riga di questa Copia? Tutt’altro che il nome vedesi
abbreviato o puntato nelle antiche
e moderne Iscrizioni, acciò si
sapesse con chiarezza il soggetto che si tramanda all’immortale posterità!
Or dopo il prenome M. vi si vede
SATVR, e dopo questo uan M. con lacuna di tre punti “…”; dopo questi si legge
FIL, cui sieguono altri quattro punti “…”
Qualora si tolga il punto dopo
SATVR, e a queste due sillabe si unisca l’M che siegue, divisa, e data per
sincera la lacuna segnata nella Copia, può facilmente suppletarsi con altre due
sillabe -INVS e leggere M. SATVRNINVS; ma poi trovandosi FIL. Immediatamente
vicino, deve credersi una scorsa del copista, per nulla prattico delle antiche
Iscrizioni, perché secondo l’uso antico romano, dopo il nome gentilizio deve
seguire quello della cognazione , come pure fosse segnata in questa Iscrizione.
Qualora quel FIL stesse più distaccato e lontano dalla parola SATVRNINVS, per
dare luogo ad altra lettera puntata, che la preceda, indicativa del nome di
detta cognazione , come sarebbe L. FIL. M. FIL. N. FIL., ecc., un significato
di Lucii filius, Marci filius, Numerii filius ecc. Abbenché nemmeno sarebbe
regolare quel FIL., non trovandosi alla Tavola delle Sigle romane presso gli
eruditi collettori[6]
il FIL., ma F. semplice. Allora potrebbe essere il cognome che seguiva dopo
quello della cognazione, ed in tal caso
dovrebbe molto più distaccarsi dal predetto nome gentilizio SATVRNINVS.
Maggiore deformità si trova nella
seconda riga, allorché dopo cinque punti lontano dal IIII.VIR., si segnano
N.D.. puntati. Questo magistrato composto di quattro personaggi che riattarono il Macello e rifecero misure e
pesi col proprio interesse in Lanciano, non potevano essere altri, come si notò
dal Marcelli sopradetto, che ordinarj edili di detta Città. Dunque qual parola
analoga potrà mai riempire la lacuna o sia vuoto di cinque punti che succedono
a IIII VIR della precedente Copia?
Ecco tutte le note dei
Quatuorviri sgnate dagli Eruditi in
materia lapidaria antica:
IIII VIR AB AERAR = ab aerario
HH I.D.Q. = Quatuorvir iuredicundus
quinquennalis
IIII. VIAR = viarum
IIII. V. I.D. PISTOR = Pistorum
IIII VIR AE. P. = Aedilia potestate
IIII LEG. COR. = Lege Cornelia
IIII. VIR P.L.P. =Per Legem Pompeia
Ma come una sola di queste cariche
può convenire ai predetti edilj ordinarj di detta Città in tale occasione
motivata nel Marmo; cioè quella sola di IIII.VIR. I.D. oppure quello dippiù
IIII.VIR.I.D.O.; Perciò vi resterre anche altro vuoto da riempire, come
apparisce dalla estensione de’ punti.
Dunque sempre bisogna confessare la viziatura di detta Copia!
L’unico mezzo per dare assetto
regolare alla leggenda del Marmo, si è di togliere interamente i punti della lacuna, riunire al IIII VIR le due
lettere puntate N.D. corrette con I.D., e leggere IIII. VIR. N.D., cioè
“Quatuorvir Iuridicundus”, tanto più per la copulativa ET, che immeduatamente
succede, correlativa dell’altro edile enunciato corrottamente . Giacché sarebbe
vero indovino poterne rilevarne i nomi da una esemplazione così erronea!
Riguardo poi alla quarta riga,
nulla è più facile riempire la lacuna quivi segnata coll’addito “Anxani”, leggendo “Aediles
Anxani”, che corrisponde al finale, all’entratura della riga stessa.
Rapporto poi alla quinta riga,
chiaramente si vede essere un solito errore di stampa, che invece deell’E, vi
ha situato D., dovendo dire “macellum”. Ecco adunque quel poco che si è potuto
azzardare su questa Copia, lasciando da parte quel FIL. Insignificante per
qualunque verso e malamente letto,
seppure non fosse stato F.L.I. ovvero E.L.L. in segnificato della tribù Velina,
coll’aggiunta della V corrosa, locché sarebbe regolarità, sguendo appresso nel
vuoto, il cognome relativo a Saturnino della prima riga:
M. SATVRNINVS….
….IIII. VIR.I.D…..
ET ON….BESID….
AEDILES ANXANI
MACELLVM S.P. RESTITVERVNT
MENSVRAS ET PONDERA FECERVNT
Torniamo al riassunto dei
privilegi di Fella; nel 1406 re Ladislao concede a Lanciano il castello di
Castel Nuovo, Sam Venanzio, Crecchio, Vasto inferiore e superiore (si tratta di
una svista di Fella, ricordata anche dall’Antinori nel 1° fasc. del suo
manoscritto “Istoria critica di Lanciano a uso della famiglia Liberatori”, in
cui avverte che Fella ha “sdoppiato” i nomi degli stessi feudi concessi, ad
esempio Castel Nuovo con Vasto inferiore e superiore, che sono la stessa cosa,
ma non si domanda se per puro errore di Fella, o se per falsificazione voluta),
S. Amato, castelli tolti a Napoleone Orsini conte di Manoppello e signore di
Guardiagrele, ribellatosi al re; il quale aveva costruito Castel Nuovo come
fortezza contro i lancianesi. Anche qui non rileviamo riscontro in altri
scritti autorevoli di tale notizia, sicché tale assunto di Fella sembra
appartenere più a una bega campanilistica che a verità storica, e si veda
anche, più avanti nel capitolo della sua “Chronologia Anxani”, l’origine della
rivalità tra lancianesi e castellini con la battaglia del 1470 di Valle Consumo
o Pagana, cioè presso Santa Maria dei Mesi. Re Federico, appresso, nel 1499
accorda l’immunità fiscale a Lanciano e castelli per danni di guerra, conferma
i privilegi dati da Alfonso d’Aragona, e ricorda i castelli di proprietà:
Castel Nuovo, S. Vito con porto, Ari, Treglio, Crecchio, Canosa, Arielli, S.
Apollinare; re Ladislao nel 1391 concede Civitaluparella con la baronia di
Borrello e i castelli di S. Angelo, Quadri, Pizzoferrato, Fallo, Pescopignataro,
Pili, Villa S. Maria. Nel 1396 Lanciano è premiata per aver ridotto Gissi e
Casalbordino all’obbedienza del re; Carlo di Calabria, figlio di re Roberto,
nel 1320 concede a Lanciano di avere una campanella “nola” per convocare
pubblico parlamento; nel 1304 Carlo II concede di eleggere il mastrogiurato per
le Fiere, il giudice civile e altri magistrati; nel 1381 Carlo III dà facoltà
di convocare consiglio senza la presenza del pretore regio, come aveva concesso
re Roberto nel 1321; nel 13732 la regina Giovanna I esonera i padri e i
religiosi dai vettigali; nel 1450 ci fu il famoso privilegio di Alfonso che
vietava di celebrare delle Fiere di maggio e agosto nelle città nel raggio di
30 miglia da Lanciano, e Fella ricorda come nel 1520 Chieti non poté celebrare
la sua Fiera nella valle dell’Aterno; nuovamente Carlo III nel 1321 concesse ai
lancianesi la libertà di non dover pagare il fondaco a Ortona, privilegio
confermato da Giovanna I nel 1368; nel 1499 re Federico ristabilisce i
privilegi confermati ai Lancianesi, che erano stati annullati da re Carlo VIII
di Francia contro la città, e revoca il privilegio carolino accordato agli
Ortonesi circa la fiera di maggio, a discapito di Lanciano; Federico concede un
privilegio, stabilendo che il questore regio deve risiedere a Lanciano, con
l’Exequatur riconosce immune la diocesi Lancianese da quella di Chieti; nel
1503 Ferdinando il Cattolico concede di nominare 4 magistrati in Lanciano, dai
gentiluomini dei quattro quartieri; nel 1443 la Regia Camera concede che le adoe
dei feudi di Paglieta e quelli circonvicini, siano dati ai maggiorenti di
Lanciano; nel 1421 Alfonso e Giovanna II rilasciano che i tributi siano pagati
da Canosa, che fu concessa insieme ad Arielli a Lanciano nel 1401 da re
Ladislao; nel 1392 Ladislao rimette un debito a Lanciano di 152 once; nel 1441
re Alfonso concede 1600 moggia di sale, il cui prezzo doveva servire a erigere
la torre e il porto a San Vito; nel 1489 Ferdinando concede 2000 aurei da
percepire nel quinquennio stabilito per la riparazione delle mura civiche, nel
1463 Ferdinando stabilisce che nessun ortonese può commerciare o dimorare in
Lanciano e sue ville, accorda altri possedimenti delle città ribelle, donati a
Lanciano per la fedeltà; nel 1384 Carlo III concesse i castelli di Frisa, S.
Apollinare, Guastameroli tolti a Raimondo Caldora, ribelle alla corona; nel
1441 re Alfonso stabilisce che Lanciano debba godere della solita libertà nel
regio demanio, e promette a Giacomo de Cilinis di donare 1000 ducati per
risistemare il porto di San Vito, non appena finita la causa tra Lanciano e
Ortona; nel 145 il re concede a Lanciano l’istituzione della Gran corte
criminale per celebrare i processi civili e penali, nonché di redigere gli
Statuti civici, di esigere dai forestieri i vettigali nei passi, nei ponti, nei
fiumi, nei porti; nel 1351 la regina Giovanna I e Ludovico d’Ungheria donano a
Lanciano i feudi di S. Amato, Vasto inferiore e superiore, Gaudo, Castel
Giannazzo, S. Vito; nel 1488 re Ferdinando concesse ai lancianesi di scacciare
gli epiroti e gli schiavoni molesti, così come altre lettere reali sino al
1504, e il Fella elenca dei nominativi di questi schiavoni stanziati nei
rispetti quartieri antichi, notiamo come il num. 36 sia la percentuale maggiore
di stanziati nel rione Lancianovecchia, seguita da quella del Borgo. Segue un
memorandum circa la concessione ai lancianesi del porto di San Vito da parte di
re Ladislao: i lancianesi erano venuti in aiuto di don Giovanni Alando
benedettino di San Giovanni in Venere, costretto a rifugiarsi a Rocca San
Giovanni per l’aggressione di Ugone Orsini della schiatta dei conti di
Manoppello, che aveva attaccato San Vito e Treglio. L’abate allora nel 1383
fece un documento in cui concedeva San Vito a Lanciano per la riconoscenza, e
per lo stesso motivo, che i lancianesi salvarono il monastero di Santo Stefano
in Rivomaris vicino Torino di Sangro, questi ricevettero in dono questo
castelli. Naturalmente questo memorandum fatto da Fella non è citato da nessun
altro scrittore che si occupò seriamente di San Giovanni in Venere e Santo
Stefano, né nel privilegio regio se ne fa menzione, sicché è da supporsi come
altra abile falsificazione del Fella!
Re Carlo d’Angiò
Nel 1471 i maggiorenti lancianesi comprano da Giacomo Cicci per 200 ducati, metà dei castelli diruti di Turri e Modio, nel 1478 da Giambattista Torricella comprano anche la quarta parte del castello Turri, per 100 ducati. Re Ferdinando nel 1476 confermò il patto con Angelo di Buccio di sette parti su Rizzacorno, acquistato da altre parti per 1000 ducati, Fella qui scrive brevemente la storia di questo castello, donato a Lanciano da Carlo III nel 1343 e confermato da Giovanna I, a seguire Fella elenca i nomi dei feudatari. Da qui in poi, Fella non mette più una numerazione progressiva, ma si limita a trascrivere le lettere scritte dai sovrani di Napoli a Lanciano, c’è la lettera di Ferdinando del 1460 che ringrazia i lancianesi per la fedeltà dimostratagli nella guerra contro gli angioini, promettendo ricche ricompense; segue la lettera di Ferdinando del 1464 che esonera i lancianesi dal pagamento dei donativi per le nozze di sua figlia Eleonora d’Aragona con lo Sforza, segue una breve lettera dello stesso che promette di fare visita a Lanciano, un’altra ancora dello stesso del 1470 in cui conferma i privilegi; nel 1487 re Ferdinando dona ai lancianesi sale per valore di 200 ducati da vendere per la riparazione delle mura, segue una lettera del 1498 di Alfonso II (anche se una mano diversa dice di correggere, giustamente, a 1489) in cui si rassicurano i lancianesi di essere esentati e rimborsati per le spese dell’alloggio delle truppe in città; seguono due ultime lettere di re Federico che ringrazia i lancianesi per la loro fedeltà, datate 1500 e 1501 quando fu stipulato il patto di Granata per la spartizione del Regno con il cugino Ferdinando II detto il Cattolico.
Nel formulario del privilegio, il Re di Napoli col solito formulario di tutte le proprietà e titoli vantati, riconosce la delegazione accolta dei cittadini lancianesi per presentare la relativa richiesta, visto e approvato, concede o rimuove la concessione, ma nel caso del Ravizza che doveva produrre documentazione a favore della città, il re “approva sempre”, riconoscente nei confronti dei lancianesi per la fedeltà dimostrata alla Corte, i servizi prestati al Regno, accoglie con benevolenza la supplica e approva (nel privilegio viene riportata la formula solita del placet regi). Il Ravizza a capoverso di ciascun privilegio, per rendere più chiara la lettura, inserisce un breve colophon a indicare l’argomento di cui si tratta nel detto privilegio.
Questi primi privilegi
sono in latino.
1 – FEDERICO II, 5
aprile 1212, riceve una delegazione lancianese, conferma alcuni privilegi in
perpetuo, specialmente riconosce Lanciano città libera nel Reame, distaccata
giuridicamente dalla Contea di Chieti, atto dato in Sicilia dal notaio Giuseppe
di Sulmona.
2 – CARLO III il 12
ottobre 1381 riconosce la fedeltà di Lanciano, l’indulto concesso da Roberto
d’Angiò, a sua volta concesso alla città da Carlo II suo padre agli uomini di
Lanciano e a quelli viventi nelle pertinenze, dopo i torbidi causati dalla
cacciata del feudatario Filippo di Fiandra cadetto di Carlo, e riconosce i
castelli di proprietà di Belvedere e Paglieta, conferma il regio demanio.
3 – ROBERTO D’ANGIO’ il
31 gennaio 1312 riconosce la fedeltà dei lancianesi, conferma i precedenti
privilegi, la patente d’indulto per delitti e violenza commesse quando Filippo
di Fiandra fu scacciato, riconosce la supplica presentata illo tempore a re
Calo II per entrare nel regio demanio, riconosce l’atto d rinuncia di Filippo
di Fiandra a pretendere il controllo su Lanciano, e si ratifica l’accordo per
Lanciano di entrare “in perpetuo” nel regio demanio. In effetti dopo la
cacciata di Filippo, signora di Lanciano era sua moglie Matilde, signora di
Chieti, sicché Lanciano era tornata ad essere, seguendo la falsariga del
diploma di Federico II, includa nel Contado di Chieti. A fine privilegio, sono
confermati in possesso di Lanciano il castello di Belvedere e il castello di
Sette, anticamente sede estiva del Conte di Chieti. Dato da Bartolomeo di Capua
milite e protonotaio.
5- CARLO VIII, 12
ottobre 1381, molto breve, riconferma col solito formulario il regio demanio
per Lanciano, nuovo invito a saldare le 150 once, più 2 once per i baglivi nel
casale di Paglieta. Dato in Napoli dal notaio Gentile di Merolino di Sulmona
6 – GIOVANNA II
D’ANGIO’ nel 1414 riconosce la devozione e fedeltà di Lanciano sulla base delle
concessioni già fatte dai sovrani passati Roberto, Ladislao, Carlo ecc.,
riconosce i privilegi della libera Fiera “oltre il ponte”, e accorda ai
lancianesi l’assenso a costruire il porto di San Vito. Dato in Napoli 9
dicembre 1414 dal notaio Berardino Zecca
Iniziano i privilegi in
volgare, con il formulario iniziale in latino
7 – FERRANTE D’ARAGONA
nel 1488 accoglie i sindaci di Lanciano che presentano i Capitoli dello Statuto
di Lanciano (che come sappiamo, essendo stati pubblicati da Nicola La Morgia
con trascrizione, si sono rivelati essere interpolati e falsi); il re concede
di erigere fortini nei feudi lancianesi, ma che non siano mai infeudati da
parte della città senza l’assenso regio, si riconferma il regio demanio;
qualora Lanciano senza assenso regio vendesse un suo feudo, il regio privilegio
verrà annullato dal re; i castelli confermati in possesso di Lanciano sono
aumentati: Paglieta, San Vito, Porto di San Vito, Frisa, Castel Nuovo, Ari,
Ocrecchio, Canosa, Argelli, S. Apollinare, lo Treglio; i lancianesi e i
castelli sono esentati da qualsiasi tassa da pagare a qualsiasi signore o
pontefice, prelati, ufficiali vari, baroni, marchesi. Si confermano le antiche
franchigie di commercio, si conferma in perpetuo il porto di San Vito a
Lanciano, si riconoscono i Capitoli di Lanciano, si lodano le Fiere per la loro
ricchezza e gli introiti, e vieta a chiunque di fare rappresaglie contro i
Lancianesi, nonché ai Lancianesi stessi, durante lo svolgimento delle Fiere di
maggio e agosto; si concede di introdurre liberamente animali alle Fiere senza
gabelle, c’è la concessione del transito dei mercanti e contadini senza pagare
dazi, nel territorio circoscritto tra il fiume “Asinello” ossia Sinello e il
Foro, con libertà, e con garanzia di incolumità da predoni e violenze. Gli
animali hanno la garanzia di 1 anno alle Fiere nei confronti dei legittimi
proprietari, e durante le Fiere ci saranno guardie speciali per controllare
tali bestie da vendere, se in capo a 1 anno il proprietario non verrà a
riprendere la bestia, questa sarà automaticamente proprietà di Lanciano che
potrà rivenderla come meglio crede. Nel privilegio Ferrante aggiunge l’assenso
alla facoltà civica di riformulare i pesi e le misure durante le Fiere, e
nessuno può opporsi al pagamento di una multa, in caso di scoperta di frodi,
con allegato placet regio.; sono concessi a Lanciano i Capitoli da scrivere
contro città rivali che ostacolano le Fiere, in particolar modo, come sappiamo,
Sulmona, Chieti, Ortona; che i castelli di Lanciano paghino il tributo al
capitano regio, e non altri tributi per il giudice o altri creditori; Ferrante
ricorda il privilegio del suo predecessore Alfonso d’Aragona di nominare a
Lanciano, ogni anno, 3 persone valenti per la gabella della canapa e per la
gabella del pesce ecc.; si raccomanda ai lancianesi di osservare i propri
Capitoli, l’ufficio del capitano regio, magistrati e deputati, senza che vi
siano interferenze tra il lavoro dell’uno e dell’altro, coi proventi e gli
introiti delle Fiere si devono pagare gli ufficiali dell’Università secondo gli
Statuti Lancianesi, placet allegato con firma di Giulio Forte, riconoscimento
in latino del re dei Capitoli. Dato in Capua, 28 giugno 1488 dal protonotaio
Onorato Gaetano.
8 – LADISLAO DI DURAZZO il 9 marzo 1401 conferma il privilegio di Carlo III sul libero demanio, dopo aver accolto la delegazione dei sindaci a Napoli, che hanno portato la supplica con allegate le copie dei precedenti privilegi, affinché si possa dare conferma al nuovo privilegio di Ladislao. Dato in Napoli 9 marzo 1401 dal protonotaio Donato d’Arezzo
9 – RENATO D’ANGIO’ il 22 gennaio 1441 conferma i Capitoli, riconosce il regio demanio, riconosce il feudo di San Vito, riconosce il Lodo di Pace voluto da frate Giovanni da Capestrano per pacificare Lanciano e Ortona nelle annose guerre per San Vito, e riconosce le clausole del Lodo, che riportano naturalmente Lanciano proprietaria del porto sanvitese, intima a Lanciano di pagare 100 ducati per la colletta regia, 10 ducati annui per il feudo di Paglieta, 8 ducati per San Vito, 6 dicati per Ocrecchio, e risolvere il prestito della Regia Corte di 6 ducati per il castello di Ari, e pagare 4 ducati a colletta per i restanti castelli; raccomanda il buon governo alla città, pagare 150 ducati per mantenere la facoltà concessa da re Ladislao, di coniare bolognini in città, pagare un ducato ogni 64 monete, concede la facoltà di immettere in media 1050 salme di sale, intima alle altre città di non aggredire i lancianesi durante le Fiere, rinnova la raccomandazione, per garantire il regio demanio alla città, di vendere arbitrariamente senza assenso regio i castelli di proprietà, riconosce la libera franchigia durante le fiere, e protezione verso i forestieri e i mercanti che giungono alle Fiere stesse, nel raggio tra i fiumi Asinello e Foro; riconosce un indennizzo per dei lancianesi in viaggio, catturati presso il fiume Saline, e impone ai predoni di restituire il maltorto. Dato in Benevento 22 gennaio 1441
10 – FERDINANDO I D’ARAGONA nel 1463 riconosce la fedeltà dei lancianesi, riconosce i Capitoli, concede indulto ai lancianesi per delitti durante le guerre, danni vari commessi, riconosce la franchigia delle Fiere, e il possesso di San Vito, e per i danni subiti dal porto durante queste guerre, Lanciano non deve pagare le collette per 10 anni. I padroni delle bestie alle Fiere possono far alloggiare in città gli animali per 1 anno, con libero transito degli animali, senza tasse, dall’Asinello al Foro; ma se entro 1 anno i padroni non riprendono i propri animali invenduti, la città può rivenderli e il prezzo occorra a consolidare le mura e per altre esigenze della città Concede la facoltà ai sindaci di rifare i piesi e le misure, solamente gli ufficiali preposti devono assolvere il compito, affinché non vi siano frodi, altrimenti la città intera paghi una multa, si ratifica la concessione del Porto di San Vito, la spiaggia, del castello, gli ufficiali esattori come nel caso di Francavilla, Ortona, Vasto devono esigere i tributi secondo le norme regie convenute, e Ortona non deve intromettersi negli affari del Porto di San Vito, il confine con il loro territorio termina in località “la Lora”, indica il privilegio. Conferma a Lanciano i castelli di Crecchio posseduto da Simiduccio di Crecchio, venduto a Lanciano sotto il re Alfonso, nel 1462, VIII indizione; vi è la facoltà a Lanciano di avere soldati a Crecchio per la riscossione dei tributi; vi è la concessione di avere un fondaco di sale; si menzionano in città i Giudei che vivono in un sobborgo, il re si raccomanda che siano ben trattati alla pari dei cittadini cristiani, e che anche loro godano dei privilegi dei lancianesi. A seguire il re menziona una sovvenzione per il lancianese Luca Gargano caduto in disgrazia, prigioniero, esentandolo dal pagamento delle tasse; rinnova alla città il libero demanio e la libera franchigia, si raccomanda che il regio ufficiale non sovverta i privilegi; toglie ad Atessa i castelli di Monte e Castellazzo, confinanti con Paglieta, per darli a Lanciano, dopo delle liti sorte tra lancianesi e atessani per i confini; questi terreni confiscati vengano liberamente usati da lancianesi e sanvitesi per il pascolo, fino al fiume Moro, senza pagare tasse, e senza che Ortona si opponga; per le spese della sistemazione del Porto di San Vito, che vengano esse pagate dal rettore del Castello, e i cittadini sanvitesi possano ricavare gli introiti dalle merci che si caricano al porto con diritto di fondaco; concede la facoltà alle guardie della Torre del Porto di riscuotere denaro, e per questo nuovamente il re Ferdinando, ricordando il privilegio di Alfonso, ricorda agli ortonesi non interferire negli affari di San Vito, c’è la concessione per i feudi di Lanciano di far Capitoli, e concede loro di istituire mercati e di commerciare con Ortona; concede ai cittadini lancianesi di appellarsi a Napoli nel caso i Capitoli non siano rispettati, vi sono indennizzi ai cittadini che hanno subito privazioni, a causa dei predoni di Papagiorgio di Fraine, N. Di Natale e Urbano dello Sciaciro, che sono esiliati dalla città; rinnova le concessioni della Fiera di maggio e agosto, i cittadini sulmonesi e chietini per accedervi devono pagare una tassa, come riportato nell’atto citato del notaio Francesco da Tagliacozzo; c’è una raccomandazione finale di soservare i Capitoli, lo Statuto civico, e che la città sia sempre fedele al Re. Dato in Castel Nuovo di Napoli, dal notaio Honorato Gretaro, 10 marzo 1462, XI indizione.
11- ALFONSO II il 15 marzo 1494 accetta la supplica, scritta in latino, dai lancianesi di ottenere l’esenzione del pagamento delle tasse, di rimanere nel regio demanio, concede i Capitoli e riconosce i privilegi passati Luigi d’Angiò e Giovanna II; nel riunirsi con Ferdinando, Alfonso manda a Lanciano il giustiziere con i segretari, che fa un sopralluogo generale circa l’amministrazione politica in città, e riscontra il mancato pagamento delle tasse, occorre saldarle, altrimenti la città incorrerà in una multa di 1000 ducati. Dato in Castel Nuovo, 16 marzo 1494 dal notaio Andrea Maricordia.
12- FERDINANDO II, il 20 ottobre 1495, in latino, il re ricorda i lancianesi “fideles e dilectissimi”, riconosce il libero demanio, nel testo in latino si ricorda il privilegio di Ferdinando I con la presentazione dei precedenti privilegi regi approvati; a seguire il testo diventa in italiano e il re riconosce il valore e la fedeltà dei lancianesi, che resistettero alle molestie di Carlo VIII durante la guerra contro Ferrandino per il trono; si raccomanda che nel palazzo del giustiziere regio di Lanciano torni la bandiera ragonese; risolve le manomissioni apportate dai francesi alla Fiera di Lanciano per favorire i commerci ortonesi; infatti la Fiera di maggio era stata ridotta a un solo mese, per favorire la Fiera della 1° domenica di maggio a Ortona e la 1° domenica di agosto. Il re accoglie la supplica dei sindaci lancianesi di non far fare a nessuna città, nel raggio di 30 miglia di distanza di Lanciano, alcuna fiera, sia 3 mesi prima che mesi dopo le dette Fiere di maggio e agosto a Lanciano; il re annulla la fiera di maggio a Ortona approvata da Carlo di Francia, ristabilisce la libera entrata alle Fiere senza pagare dazi, si raccomandano alla città i pagamenti fiscali soliti per mantenere i privilegi della città demaniale e per la Fiera, restano da pagare 1000 carlini di debito, ossia 500 per la fiera di Maggio e di Agosto, inoltre il re dona 1 tomolo di sale per ciascun fuoco di Lanciano con privilegio regio perpetuo. Consideriamo che all’epoca la città contava circa 6000 abitanti! Loda il lavoro del magnifico Denno Ricci e suo fratello Giovanni e dona loro i castelli di Francesco de Riccadis di Ortona, specialmente il castello Tollo con libero governo; raccomanda al magistrato di pagare i soliti 9 ducati; a Leone del Conte di Popoli per la sua attività di usurario nei confronti di alcuni lancianesi, il re gli impedisce di avere contatti coi lancianesi, specialmente di fare credito al mastrogiurato Ricci; per la bagliva nei feudi, Lanciano deve pagare 200 ducati annui, ma per il buon governo di Denno Ricci, per il momento la città è esentata dal pagamento; si concede alla città di battere moneta di ferro, rame, oro e argento, si ordina al tesoriere della Provincia d’Abruzzo, residente in Lanciano, di riscuotere i pagamenti e di dotarsi di segretari esclusivamente lancianesi; alla città è concesso il casale di Treglio come sede della Corte criminale per i territori di San Vito, la Scorciosa, dove aveva già sede estiva l’arcivescovo di Chieti; impedisce alla città di poter vendere le cariche degli uffici e del mastrogiurato, anche in tempo di pace, la città deve avere una guarnigione di sicurezza per la città stessa e i feudi; i Lancianesi hanno libera franchigia nell’attraversare tutte le città incluse nel Regio Demanio del Regno, infine normalizza a 5 gli uffici sugli incarichi pubblici: quello del Capitano, del giudice, del castellaro, degli uffici onorevoli ecc.. dato in Sarno 28 ottobre 1495 dal notaio Federico Dandi di Capua.
Segue un memorandum breve di tale privilegio, con elencare i casali di Lanciano: Tollo e Casale della Plana, concede la facoltà ai Lancianesi di riprendersi i castelli che sono stati sottratti da Carlo VIII insieme al bestiame; offre un indennizzo per i castelli danneggiati di Arielli e Crecchio dai condottieri Vitellozzo Vitelli e l’Orsini, quando andarono in Puglia; Lanciano ottiene l’esenzione dal pagamento per 10 anni per i castelli danneggiati, insieme ad altre esenzioni fiscali straordinarie. Dato nella chiesa di Sant’Angelo di Gaeta il 15 ottobre 1495 dal notaio Pisanello Diaz.
13 – Breve di LUIGI II che conferma tutti i privilegi, dalla città libera al regio demanio, alle concessioni sulle gabelle, dazi, Fiere ecc. dato in Castel Nuovo il 20 ottobre 1499 dal notaio Antonio di Razzo e Goffredo Borges
14 – Breve in latino del 2 maggio 1507 di Ferdinando il Cattolico, in cui si riconosce Francesco Fernando d’Avalos D’Aquino marchese di Pescara e Conte di Loreto, e si riconoscono tutti i privilegi per Lanciano. Conferma di un altro privilegio del 29 aprile dello stesso anno.
15 – FERDINANDO IL CATTOLICO il 20 aprile 1507 conferma i Capitol, esenta i lancianesi dal pagamento delle gabelle, la facoltà di commerciare col porto di S. Vito, fa giurare i sindaci sui Capitoli approvati dal re, i processi civili in città debbono celebrarsi alla presenza dell’erario della Città, e durante il processo gli si deve pagare la provvisione in terra, come stabilito dal governatore Pietro Cerviglione nel 1506; si diminuiscono a 4 le cariche pubbliche civiche, tra cui in cima sempre il Capitano regio; si raccomanda alla città di non avere liti col vescovo di Chieti, ma di ospitarlo durante le Sante Visite per garantire la corretta amministrazione dei sacramenti e le celebrazioni religiose; il re da prescrizioni circa il consiglio amministrativo, che deve riunirsi a suon di campana, con gli ufficiali e assenso del Capitano regio dopo dovuta comunicazione. Dato in Castel Nuovo il 20 aprile 1507 dal protonotaio Michele Perez. Segue un breve in latino con la conferma di tutti i privilegi dell’11 maggio 1507.
16 – CARLO V D’ASBURGO l’8 aprile 1533; ricorda in latino brevemente l’assedio di Lanciano del 1528 da parte del Conte di Lautrech durante le violenze francesi; concede i soliti privilegi, riconosce Lanciano nel demanio, l’esenzione dalle tasse, libera franchigia, dono di un tomolo di sale per ciascun fuoco a Lanciano; loda la fortezza dei cittadini lancianesi durante l’assedio francese, ricorda come i lancianesi cercarono di impedire l’entrata di Lautrech, accampatosi nella Fiera, inviando messi a Napoli dal Principe d’Orange Renato, con 200 uomini, e di come costui avesse privato la città di 5 castelli: Paglieta, San Vito, Ari, Arielli, Canosa per darli ai suoi fedelissimi; nel privilegio sono ricordati i sindaci lancinaesi che supplicano Carlo della restituzione dei 5 castelli, il re ricorda quando il Principe d’Orange fece apporre le insegne francesi nel palazzo regio della città, e concede il perdono, e l’esenzione dal pagamento delle tasse per danni di guerra e l’acquartieramento per un anno delle truppe di Lautrech a Lanciano; sono richiesti in conferma, dai lancianesi, i casali di Treglio e la Scorciosa; il re si raccomanda che i lancianesi osservino i Capitoli; raccomanda alla città di organizzare una guarnigione di controllo per tutta la provincia d’Abruzzo, e che non ne alloggiasse altre dalla regione, avendole regolarmente in città da 4 anni; esenta la città dal pagamento delle dogane, concede la franchigia dei commerci su porti, ponti, gabelle, fiumi, riconosce i privilegi antichi delle Fiere, compreso quello di ospitare le bestie per 1 anno, la facoltà di fare i pesi e le misure, il diritto del fondaco del sale, di pagare 100 ducati annui per il suo uso, insieme alla dogana della Fiera. Dato in Civitatis Janue ossia Genova 8 aprile 1533 dal notaio V. De Santis
17 – FILIPPO II DI SPAGNA, nel febbraio 1608 conferma i Capitoli della città, concede il riconoscimento del demanio regio, ricorda i castelli posseduti da Lanciano: Castel Nuovo, Crecchio, Frisa, Villa Treglio, Porto di San Vito, Villa Scorciosa, Rizzacorno, S. Amato, Gaudo e Pantano, ricordano il privilegio di suo padre Carlo del 26 gennaio 1561. Dato in Napoli, 15 febbraio 1608
18 – JUAN ALONSO PRIMENTEL DE HERRERA Viceré di Napoli. Il documento è scritto in spagnolo: per conto di Re Filippo II, il viceré richiede a Lanciano di esibire tutti i precedenti privilegi per un esame, e per avere nuove conferme. Firmato Riccardo Napoletano nella Curia di Benevento, 23 ottobre 1608, alla presenza del notaro Fabrizio Anelli Di Franco di Napoli
[1]
Diss.De Anxano, ms.
[2]
Mem. di Anxano.f. 85 [Vale a dire Antichità storico critiche dei Frentani
ecc.]-N.d.C.
[3]
De Scyl.Iscr.Lat.f 193
[4]
Sat.10, V, v. 102
[5]
Sat.I, V., v. 144
[6] Vedi Ist.Ant.Lap., p. 402.
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