di
Angelo Iocco
Maranca
partecipò con gli intellettuali del suo quartiere, don Uomobono Bocache,
Ignazio Napolitani, Fioravante Giordano, Antonio Napolitani ai torbidi della
città di Lanciano durante l’occupazione francese del 1799, successivamente nel
1805 e nel 1810, quando i napoleonidi tornarono in Abruzzo, ed ebbe
l’ispirazione per scrivere diverse memorie sulla situazione politica della
città, sull’istituzione della Corte d’Appello in Città presso il palazzo
arcivescovile, con grande risentimento di Chieti, e sui cambiamenti
socio-politici che si intercorsero in questi decenni. Nell’ultimo periodo della
vita, tuttavia, come si rileva dal manoscritto che stiamo per analizzare, il
Maranca rimase sempre fedele ai Borboni, tessendo in sonetti o coronali diverse
lodi a Re Ferdinando II e alla sua consorte, cui dedicava puntualmente le sue
opere, e le sue tragedie e commedie teatrali.
I due sono fratelli, figli di Giove e
Antiope e ambiscono al regno di Tebe, scontrandosi con re Laio. L’argomento è tratto dalla Biblioteca istorica
di Apollodoro d’Atene. Antiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi
conobbe della gravidanza della figlia così si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza
diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che
questi venissero abbandonati sul Monte Citerone dove li
trovò un pastore che e li prese con sé. Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte
di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e
ritornare dai suoi figli.
Divenuti
adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono
Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi
re di Tebe, ma fu Anfione il vero governatore della città. Essi fondarono anche
le mura della città, che fino ad allora aveva solo una rocca, detta Cadmea:
Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira.
Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità
di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva
i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città.
Anfione e Zeto governarono in accordo le due città. Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo ed ebbero quattordici figli, sette maschi e
sette femmine; sua moglie si insuperbì per questo e osò paragonarsi alla
dea Latona, la quale aveva solo due
figli, Artemide ed Apollo, sentendosi superiore ad
essa. Offesa, la dea ordinò ai suoi figli di sterminare la progenie dei
sovrani. A seguito della strage dei suoi amati figli, Anfione impazzì e tentò
di distruggere il tempio di Apollo, venendo ucciso dal dio stesso, mentre Niobe, distrutta dal dolore, fu mutata in pietra, per poi
essere trasportata in Frigia sul
monte Sipilo, dove ancora non cessa di piangere
CESARE E CLEOPATRA: l’argomento è tratto da diverse fonti: Appiano d’Alessandria, Plutarco, e ovviamente Maranca si dovette ispirare alla tragedia di Shakespeare. Cesare, dopo la vittoria su Farsalo, va ad Alessandria in Egitto per riscuotere i tributi dal faraone Tolomeo, e si innamora di sua sorella Cleopatra, la quale, essendo in lotta dinastica con il fratello, si fa introdurre segretamente nelle stanze di Cesare avvolta in un tappeto. I due diventano amanti e scoprono gli intrighi di Tolomeo che minaccia di ucciderla; si arriva alla guerra civile e Cesare trionfa, imponendo Cleopatra al trono.
LA CONFEDERAZIONE
Ecco
il passo di Bocache dal vol. 1 dei Manoscritti:
Per
ordine del Ministro dell’Interno spedito in Napoli il predetto Originale, dopo
varie copie antecedenti calcate in esso. così vi discorre l’abate Romanelli nel
Monitore delle Due Sicilie N. 903, 24 ottobre 1813: “Non ha gran tempo che
scavandosi in Lanciano le fondamenta per un edificio […] si è trovata tra
vecchie fabbriche una lapida marmorea, che quantunque rotta in parti da due
lati, sembra di aver riverberata una luce sfolgorante sullo stato di questa
Antica Regione, invano cercato finora negli storico, ne’ marmi, nelle monete.
In essa non solamente si legge una Greca Epigrafe in caratteri vetusti, ma si
parla di un concilio, o general radunanza sotto l’invocazione di Giove
Eleuterio, dove concorsero tutti i popoli che formavano la Federazione
Frentana, dal fiume FRENTONE all’ATERNO per la riva del mare, e dalla parte dei
monti sino ai Saranti, o gli abitatori dappresso il fiume Saro o Sangro. Tra le
Città comprese nella Federazione, vengono nominati Anxano ed Ansanto, Buca, Romula, Ortona, Istonio,
Aterno, Foranto ossia Ferento, Glit…che potrebbe essere Cliternia, ed i
Saranti, ed i Fentris, coloro che abitavano intorno al Trigno ed il Senal. Qual
nobile monumento poteva trovarsi giammai per risapere non solamente i Nomi dei
Popoli, che sotto il nome di Federazione Frentana erano compresi, ma anche i
confini della Regione! Che fino ad ora sono stati incerti e dubbiosi? Io avrò
il piacere di riprodurla e pubblicarla, e sarà un tesoro inestimabile che io
presento alla Storia ì, alla Geografia antica, e alle ricerche letterarie, e
saranno dileguati alcuni dubbj, che da taluni sono stati formati sulla sua
sincerità. A quest’oggetto io non ho voluto aggiungere né la latina traduzione,
né le osservazioni sulla topografia, che vi è disegnata. Io attendo che i
nostri valenti Grecisti dirigano al Compilatore del Monitore o le loro
difficoltà, o la loro approvazione colla latina traduzione, per vedere se
combiniamo nelle idee. Dietro di queste critiche osservazioni, se ne darà lo
schiarimento.”[1]
Fin qui
il precitato Sig. Romanelli, dopo di aver parlato in lode dell’antichità della
Regione Frentana. Non può negarsi che siam noi tenuti alla sua vigilanza nel
pubblicare i Monumenti antichi che alla nostra Città si appartengono, motivo
per cui in questo primo capitolo si è fatta memoria del suo talento, e si
annette in questo medesimo luogo la di lui Copia in caratteri recenti.
Nei
sue versetti A.B., vi si conosce inesattezza per non essersi separata la prima
lettera N dalla parola seguente TI IALISΩN, e dal verso antecedente le due
lettere -ΩN dalla parola AΥΔΩΝ. Difetto scusabile, perché nell’originale si
trovano unite le due voci ; né facil cosa era di risapere il nome dell’oppidulo
“Andon” indicato. Confesso la mia supina ignoranza sul linguaggio greco, ma se
sia lecito a un consumato collettore de’ Maonumenti Patrii, son di parere che i
nomi degli Oppidi e dei Vichi enunciati nel Marmo siano i seguenti, manifestati
da me a molti de’ miei Concittadini in
casa del Sig. de Cecco, che a sue spese fece intagliare la ramina, cioè:
ANXANO,
PALLANO, ANSANTO, BUCA, ROMULEA, ORTONA, ISTONIO, ATERNO, FORANTO, CLUVIA,
SARANTO, FELTRO, AUDO, GIRULO, FISIO, ROTE, TUTELLIO, SENALO.
Tutti i
prenotati luoghi, vengono enunciati nelle memorie dell’antico Anxano, e nel
decorso di questo Saggio saranno con più distinzione rammentati.
Ci
interessa “Il Tesoro”, dramma ambientato in un paesino della valle
dell’Aventino nell’epoca presenta, ossia la metà del ‘700, epoca delle scoperte
archeologiche redatte da Pietro Pollidori, Domenico Romanelli e più avanti da Francesco
Paolo Ranieri. Scoperte tuttavia, specialmente per quanto concerne le
iscrizioni, da prendere con le pinze, data la fama di falsari dei primi due
storiografi, i quali volevano, sulla base di un passo di Tito Livio, che in
quell’area insistesse la città distrutta di Romulea. Maranca, sulla scorta
delle notizie fornire da Pollidori, dallo zio Antinori, e da Uomobono Bocache,
ha voluto scrivere questo curioso dramma teatrale inedito, di cui ci accingiamo
a mostrare il contenuto. I personaggi sono Delmiro, ricco possidente terriero,
promesso a Eurina, amante di Vildena, Polidetto, Eurina sua sorella, Bimarte,
Cinerta pastore colto, Vildena suo figglio, Fidalma cameriere di Eurina, alcuni
pescatori e contadini.
L’argomento
principale della storia è una presunta lapide, naturalmente ritenuta falsa dal
Mommsen nel CIL vol. IX, di un certo C. Attio Crescente. Di Crescente parla
ampiamente Uomobono Bocache nei primi due volumi dei Manoscritti di Lanciano.
La notizia proviene da una lapide rinvenuta dal Bocache, lungo l’antica strada
consolare, che attesta un restauro eseguito dai tribuni Bennaciario e C. Attio
Crescente; sulla base di questa iscrizione Bocache si affatica a tentare un
collegamento politico tra Anxanum, ossia Lanciano, e Cluviae, ossia Casoli,.
Come una unica entità amministrativa, pur non sapendo con precisone lo stesso
Bocache, stabilire in che punto si trovasse effettivamente Cluviae! E lo stesso
Maranca nell’argumentum del dramma, riporta questa nota, che Cluvia fosse nota
sin dalle testimonianze di Tito Livio, ma che sino a quel momento non era stata
con precisione individuata, a seguire se ne esce con una strampalata idea sul
significato del toponimo: “cluvia” ossia nido, per spiegare una città-fortezza
chiusa da un nido naturale di boschi e selve. Come detto, la scena è in una
cittadina di provincia nella valle dell’Aventino non molto distante da
Lanciano, si ipotizza probabilmente che Maranca avesse scelto Casoli o le sue
limitrofe contrade. Come si può notare, leggendo il manoscritto, Maranca cerca
di riempire la scena con diverse sequenze di ballo e di canto, dal sapore
metastasiano, che però spesso, metricamente, rischiano di cadere nel ridicolo.
Nel canto iniziale il gruppo di pastori loda la bellezza del giorno e la
ricchezza della natura che dà loro il pan della vita; entra Cinerta, pastore al
servizio di Dalmiro, e confessa a sé stesso l’ amore segreto di suo figlio
Vildena per Eurina, promessa sposa a Delmiro, segreto che non può confessare.
In sostanza si è preparato l’intreccio tipico amoroso che si scioglierà alla
fine; alla scena 8 dell’atto 1, il pastore Cinarte comunica di aver trovato una
strana lapide, Delmiro, colto, loda Vildena per aver fatto la fausta scoperta,
segue una scena balletto con canti vari, dove si lodano le memorie patrie, e il
culto dell’antico dei monumenti storici da salvaguardare per conservare
l’identità della comunità, situazioni abbastanza grossolane agli occhi di uno
spettatore dei nostri tempi, ma non all’epoca, non per Maranca, che immaginava
queste scene seduto a tavolino del suo studio nel palazzo di Lanciano!
Nell’atto
2, la scena si sposta in una cantina, dove si sono conservati i reperti
scoperti da poco, la lapide e alcune anfore, i personaggi si interrogano
insieme da dove possano provenire, quale fu l’antica civiltà che li creò e ne
fece uso. In questo momento entra in scena un’altra scoperta che Bocache
riportò nei suoi Manoscritti, e che Maranca ha fatto sua in questo dramma:
l’urna con le ossa di Rimmia, altro importante personaggio, a detta di Bocache,
come si vedrà in appendice a questo scritto, degno di lodata memoria.
Delmiro,
il più colto, legge l’iscrizione della lapide tombale di Attio Crescente, e
segue a proporre una serie di elucubrazioni sul sito dell’antica Cluviae, ma
presto la scena è movimentata, nella seconda parte, dal matrimonio da
celebrarsi con Eurina, finché non si scopre l’intreccio amoroso. Delmiro è
furibondo, ma la dialettica di Cinerta, suo fedele pastore, riesce a far
perdonare la tresca, sicché si ritorna a lodare l’antica Cluviae, a gioire per
la fausta scoperta archeologica, a prospettare per un futuro di sapienza e
cultura sotto l’egida degli antichi Padri Cluviensi di stirpe Greca.
Quanto
a qualità del dramma, siamo nell’ambito puramente locale, specialmente nella
pura fantasia, per quanto concerne le invenzioni dell’antiquaria locale, circa
il ritrovamento dei sepolcri romani e lapidi tra i territori di Lanciano e
Casoli, speculazioni prontamente cassate dal Mommsen, ma che, tuttavia, hanno
affondato per bene le radici nella memoria collettiva locale, tanto che ancora
oggi in libri di storia leggiamo dei ritrovamenti di queste lapidi e
iscrizioni, che puntualmente si dimostrano, allo stato attuale,
irrintracciabili.
In
appendice, proponiamo i passi del Bocache dove sono trattate queste iscrizioni
antiche.
RIMMIA
Dal
Vol. 1 di Bocache
“Dal Piano delle Fiere, doveva seguire la
detta Via lungo il Regio Trattoro, e lasciando a sinistra La Cona di Mascio
Panetta[2],
oggi la Conicella, andava a far punto alla Cona detta “Re di Coppe”[3]. Da
questo sito, ripiegando a sinistra verso il mare, passava al fianco di Villa
Romagnoli, tratto di strada maestra anco oggi, e passando vicino al Sepolcro
antichissimo di Rimmia[4]
correva all’est, dov’era fissata la Colonnetta miliaria insignita dai nomi di
Bennaciario tribuno della Quinta Coorte Pretoriana, e C. Attio Crescente edile
di Anxano, ed edile Quattuorviro giuridundo di Cluvia[5], e
si dirigeva al fiume Saro o Sangro, nel luogo detto “Pontaccio”, cioè del Ponte
di Trajano poco lungi dal mare.[6] Da
questo Ponte saliva all’antica Sarento ossia “Città di Sangro”, drizzava il suo
corso verso il fiume Sento, non per l’odierna via vicino la Foce, ma al di
sopra[7]; nel
luogo mediterraneo dove anc’oggi restano ruderi e avanzi di antico magnifico
Ponte[8]”.
C.
ATTIO CRESCENTE
Dal
vol. 1, trascrizione di Angelo Iocco, note riprese dal Bocache:
“Publio Blavio Subulo della tribù Arniense,
colla dignità di Quattuorviro, insignito del pubblico Cavallo[9];
Cajo Attio Crescente della tribù Arniense, edile in Lanciano, e quattuorviro
giuredicundo di Cluvia. Da questi riferiti irrefragabili riscontri di Cittadini
ascritti alla predetta Tribù romana, e dalle Cariche esercitate da essi, si
comprova quanto più sopra si è cercato.”
“Dopo cotesti lumi, è invitato il
Lettore a riflettere per poco sull’Iscrizione del Tribuno Bennaciario, in dove
questi fa la prima figura, ed interviene con l’edile di Lanciano Cajo Attio
Crescente ad un fatto rimarchevole, di cui se ne eterna la memoria[10].
Non sarebbe notato nel sesto caso qualora non avesse avuto ingerenza nel
governo di detta Città, perché in tutte le Iscrizioni de’ Magistrati, sotto de’
quali si fecero disposizioni vantaggiose a pro di Essa, sempre includesi il
tempo della loro amministrazione, specificandosi il Nome. Se dunque l’antico
Anxanum non era una Colonia, come v’interviene un tribuno militare a ricordarsi
unitamente con l’Edile di Lanciano? Questa è una prova che sembrami concludente
all’assunto.”
“Gens Attia
Questa Famiglia critta duplicato il T, come
dice Panvinio[11],
fu una delle Famiglie Patrizie Romane, a differenza dell’Atia non geminato il
T, che vien riputata famiglia Plebea, come attesta lo stesso Panvinio. Il
nostro Cajo Attio Crescente, che fu edile di Lanciano e di Cluvia, enuncia ed
evidenzia di aver fiorita in detta Città[12].”
“Dal Piano delle Fiere, doveva seguire la
detta Via lungo il Regio Trattoro, e lasciando a sinistra La Cona di Mascio
Panetta[13],
oggi la Conicella, andava a far punto alla Cona detta “Re di Coppe”[14]. Da
questo sito, ripiegando a sinistra verso il mare, passava al fianco di Villa
Romagnoli, tratto di strada maestra anco oggi, e passando vicino al Sepolcro
antichissimo di Rimmia[15]
correva all’est, dov’era fissata la Colonnetta miliaria insignita dai nomi di
Bennaciario tribuno della Quinta Coorte Pretoriana, e C. Attio Crescente edile
di Anxano, ed edile Quattuorviro giuridundo di Cluvia[16], e
si dirigeva al fiume Saro o Sangro, nel luogo detto “Pontaccio”, cioè del Ponte
di Trajano poco lungi dal mare.[17] Da
questo Ponte saliva all’antica Sarento ossia “Città di Sangro”, drizzava il suo
corso verso il fiume Sento, non per l’odierna via vicino la Foce, ma al di
sopra[18];
nel luogo mediterraneo dove anc’oggi restano ruderi e avanzi di antico
magnifico Ponte[19].”
Dal
vol. 2
“La
Iscrizione è monaca di una o più righe nella parte inferiore, come si rileva da
varie tracce di cifre dimezzate, e che a nudo occhio vi si vedono; ciò nulla
ostante dal sesto caso in cui sono registrati i Nomi e le cariche di
Bennaciario tribuno e di C. Attio Crescente edile, si deduce con buona critica
lapidaria non essere questa una Iscrizione dedicatoria e onoraria precisamente
per i prelodati due soggetti, ma piuttosto un pubblico Monumento di un’opera che interessava le Comuni di Lanciano e Cluvia, opera fatta
sotto l’anno di carica dei sue soggetti. Sono state poste in uso le più
scrupolose diligenza nella faccia del luogo
ove la prima volta si rinvenne il Marmo, ma nulla si è trovato di cemento o antico rudere in fuori del sito ove il
contadino inventore, con l’avidità di trovarvi un ricco tesoro, ne aveva dalle
fondamenta spiantato l’asserto pilastro antico.
Ciò
posto, se giova farne congettura sopra la fede del predetto contadino, il quale
candidamente protestò e minutamente descrisse
il sito del pilastro, con mostrare benanche le altre pietre colà dissotterrate,
può dirsi che qui si parli di una via pubblica nuovamente rifatta, oppure in
miglior forma riattata.[20]
Infatti non solo dalla fede di lui riguardo al pilastro e unciato, unico
indizio della via, ma benanche dalle spezzate cifre numerali che nella parte
monca vi si osservano, come pure dal sepolcro di Rimmia, circa 60 passi
distante a Occidente dello stesso Trattojo, e nella stessa contrada; può
dedursi che di Via in effetti si parli.[21]
La
leggenda di questa Lapide è chiarissma, toltone le solite abbreviazioni usate dai Romani, che per favorire i meno
pratici in facoltà, deve leggersi nel modo che siegue:
BENNACIARIO
TRIBVNI COHORTIS QUINTAE PRAETORIAE
CAIO
ATTIO CAII IVLO ARNIENSE CRESCENTI
AEDILE
ANXANI ET CLVVIS AEDILE QVUATTVORVIRO IVRIDICVNDO
Bennaciario
essendo tribuno della Quinta Coorte, ossia la compagnia pretoriana, e Cajo
Attio Crescente della Tribù Arniense, essendo edile di Lanciano ed anche edile
giuridicundo di Cluvie, fu fatta la predetta Opera, ossia pubblica via[22].
Fra Lanciano e il circondario di Cluvie, la quale sarebbe la via che
corrispondeva al Ponte fatto edificare nel Sangro dall’Imperatore M. Ulpio
Trajano, la di cui memoria si ave dall’Iscrizione che si riporterà a seguire
nel num. 8.
Questo
tribuno si nota col semplice nome di Bennaciario, senza nome gentilizio della
tribù per due motivi: o perché era personaggio
cognito, e seco portava tutt il merito, o perché essendo egli militare,
non costumavasi assegnare sempre ad esso il nome gentilizio, come riflette il
Zaccaria[23].”
[2] Vale a dire la chiesetta della
Madonna degli Angeli, detta popolarmente della Conicella, nella località omonima.
N.d.C.
[3] Dalla Conicella fino alla Cona
Re di Coppe, ci sono nei due lati di detta maestosa Via, degli avanzi di ruderi
antichi, che indicano abitazioni di campagna e sepolcri.
[4] Vedi cap. 4 delle Iscrizioni che
appartengono all’antico Anxanum n. 5
[5] Ibidem n. 4
[6] Ibidem n. 11
[7] Vedi il Sig. Liberatore
“Pensieri civili” ecc. f. 65
[8] Il fiume Sento sarebbe l’attuale
Osento che sfocia tra Le Morge di Torino e località Santo Stefano di
Casalbordino; ma non è stato rinvenuto alcun reperto, benché più all’interno,
al fine di garantire i collegamenti tra i due monasteri di Santo Stefano a
Rivomare e San Giovanni in Venere, esisteva un ponte, menzionato in vari
documenti, e la località era detta Fonte dei Monaci. CITA QUALI DOCUMENTI.
N.d.C.
[9] Raccolta Iscrizioni num . 4 e n.
15
[10] Vedi la Raccolta di Iscrizioni,
Anti.quadro, ad vocem
[11]
Panvinio, “De Nom. Rom”, ad
vocem
[12] Raccolta delle Iscrizioni n. 4
[13] Vale a dire la chiesetta della
Madonna degli Angeli, detta popolarmente della Conicella, nella località
omonima. N.d.C.
[14] Dalla Conicella fino alla Cona
Re di Coppe, ci sono nei due lati di detta maestosa Via, degli avanzi di ruderi
antichi, che indicano abitazioni di campagna e sepolcri.
[15] Vedi cap. 4 delle Iscrizioni che
appartengono all’antico Anxanum n. 5
[16] Ibidem n. 4
[17] Ibidem n. 11
[18] Vedi il Sig. Liberatore
“Pensieri civili” ecc. f. 65
[19] Il fiume Sento sarebbe l’attuale
Osento che sfocia tra Le Morge di Torino e località Santo Stefano di
Casalbordino; ma non è stato rinvenuto alcun reperto, benché più all’interno,
al fine di garantire i collegamenti tra i due monasteri di Santo Stefano a
Rivomare e San Giovanni in Venere, esisteva un ponte, menzionato in vari
documenti, e la località era detta Fonte dei Monaci. CITA QUALI DOCUMENTI.
N.d.C.
[20]
Tre abbagli sorsero dalla penna dell’Abbate Romanelli, parlando di questa
Iscrizione: il primo nelle Memorie Frentane dell’Antenori, quando
esempla l’Iscrizione monca con quattro righe l’ultima delle quali prima la
punteggia col vuoto, termina con VIR.I.D., quindi fissa un’altra linea di vuoto
e finalmente un’altra riga punteggiata di vuoto, nel mezzo una T e infine VX.
Inavvertenza colpevole in una monca Iscrizione la di cui esemplazione, non
essendo esattissima, involve il pubblico a formare un giudizio falso. Seguita
nell’abbaglio il Giovine Scrittore, allorché scrive che forse che qualche
carica Bennaciario esercitava, perché deve dirsi che in effetti nella carica
era attualmente. Il secondo abbaglio si è quando egli lo crede, nelle sue Scoverte
Frentane un Monumento eretto dai Lancianesi a Bennaciario, prendendolo in
terzo caso, quantocché deve prendersi per sesto caso, indicante il tempo in cui
la nuova opera pubblica fu eseguita. (Tribunus – tribuni nel terzo caso fa
“tribuno”, non già “tribuni”, dunque è sesto caso! Dunque non a lui si dedica,
ma al tempo del suo governo. Il terzo abbaglio è quando scrive nel suo Quadro
storico di Lanciano che fosse stata ritrovata nella località Castellano,
quandocché fu trovata nel luogo de’ soprannominati Castilli non molto lungi dal
casino dei Brasile Si fa notare al
pubblico che la esemplazione riportata da Romanelli nell’edizione dei MMSS
dell’Antenori sopra la Città di Lanciano f. 19 è mutila nel fine allorché porta
tre righe di vuoto, nella prima VIR. ID…T……VX. È innegabile che il termine
“Bennaciario sia al sesto caso e così altri crescenti al terzo caso, dunque
deve dirsi che sia un ordine imposto a Cajo Attio di presiedere alla strada o
di rifarsi qualche opera pubblica.
[21] I Sepolcri lungo le strade si piantavano, secondo la regola comune degli antichi. Le Colonnette oppure i pilastri: chiari segni di vie pubbliche sempre sono state, ed i numeri nelle lapidi o hanno annunziato l’età oppure le miglia, i piedi o i passi del terreno o delle strade. Dal Zaccaria Inst. An. Lap. F. 208 si rileva che le strade fossero riattate ad interposta autorità del magistrato dei luoghi rispettivi. Siegue e adire: Nelle colonie sia ai Decurioni apparteneva di determinare il riattamento delle strade”; però nell’opera di Fabretti p. 406 n. 316, dicesi che gli Augustali di Fossombronne viam longam P. OO CLXV ex DD sua pecunia petere curaverunt. Riguardo poi alla Colonnetta rulliana che per segnare le miglia, erano poste premettersi il nome dell’Imperatore cogli altri titoli del consolato, da doversi mettere in ablativo, quasi per nota di tempo o nota cronologica. Non è dunque improprio che standovi restata la lapide di Nerva Trajano, restasse il tribuno e l’edile Anxanense in ablativo per nota anche cronologica,
[22]
si aggiunge anche “via”, secondo il supposto di cui sopra.
[23]
Introduz. alla Lapidaria, l. II, c. 1
Fotografie estratte dal libro di Florindo Carabba, "Storia antica di Lanciano. Dall'epoca romana al 1060", Lanciano, 2010.
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