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1 maggio 2023

Antonio Maranca, I suoi manoscritti di drammi teatrali e “Il Tesoro”, un inedito dramma teatrale sull’antica Cluviae.


Antonio Maranca, I suoi manoscritti  di drammi teatrali e “Il Tesoro”, un inedito dramma teatrale  sull’antica Cluviae.

di Angelo Iocco

Antonio Maranca, nacque a Lanciano nel 1773 e morì nel 1858, figlio di Egidia Caterina Antinori, nipote dell’arcivescovo e storico Antonio Ludovico, e di Pompilio Maranca. Nella casa palaziata del rione Civitanova, Maranca ebbe modo di studiare le carte dello zio Arcivescovo, tanto che alcune di esse sono confluite nel volume “Istoria antica dei Frentani”, come ricordato anche in un articolo del IV volume dell’Antinoriana, DASP, L’Aquila 1978; tra le carte, Maranca trovò la “Istoria de’ vescovi e arcivescovi di Lanciano”, che fa parte del corpus in 5 fascicoli della “Istoria critica della Città di Lanciano a uso della famiglia Liberatori, 1788”, confluito nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. Dalle notizie fornite da Giacomo de Crecchio nell’introduzione a “Stato attuale della Città di Lanciano, Metropoli dei Popoli Frentani”, Lanciano 2021, Maranca fece ricopiare le notizie sui vescovi di Lanciano redatte dallo zio, e ne fece consegnare copia all’arcivescovo Mons. Francesco De Luca, dopo che l’abate Domenico Romanelli, per le sue storie delle Antichità storico-critiche sacre e profane dei Frentani, 1790, se ne era sfacciatamente appropriato, pubblicandole parzialmente. Tuttavia Maranca si servì di queste notizie dell’Antinori per comporre il suo dialogo “Storia antica di Lanciano”. Quando il padre Pompilio morì nel 1804, sorsero controversie circa i benefici del testamento, redatto nel 1798 e intestato solamente alla vedova Egidia Caterina; Antonio Maranca fu accusato di circonvenzione nei confronti della madre, e la controversia si risolse con la revoca della donazione intestata a suo nome.

Maranca partecipò con gli intellettuali del suo quartiere, don Uomobono Bocache, Ignazio Napolitani, Fioravante Giordano, Antonio Napolitani ai torbidi della città di Lanciano durante l’occupazione francese del 1799, successivamente nel 1805 e nel 1810, quando i napoleonidi tornarono in Abruzzo, ed ebbe l’ispirazione per scrivere diverse memorie sulla situazione politica della città, sull’istituzione della Corte d’Appello in Città presso il palazzo arcivescovile, con grande risentimento di Chieti, e sui cambiamenti socio-politici che si intercorsero in questi decenni. Nell’ultimo periodo della vita, tuttavia, come si rileva dal manoscritto che stiamo per analizzare, il Maranca rimase sempre fedele ai Borboni, tessendo in sonetti o coronali diverse lodi a Re Ferdinando II e alla sua consorte, cui dedicava puntualmente le sue opere, e le sue tragedie e commedie teatrali.

Il manoscritto che prendiamo in studio è: “Manoscritti e drammi teatrali” di A. Maranca, classific. 1/I/29, presso la biblioteca comunale di Lanciano, e contiene le seguenti opere, tutte in 2 atti: “Anfione e Teio – Cesare e Cleopatra – Le Confederazione – Il Tesoro – L’incontro di Esaù e Giacobbe – Enagora re di Cipro”.

ANFIONE E TEIO

I due sono fratelli, figli di Giove e Antiope e ambiscono al regno di Tebe, scontrandosi con re Laio. L’argomento è tratto dalla Biblioteca istorica di Apollodoro d’Atene. Antiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della gravidanza della figlia così si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone dove li trovò un pastore che e li prese con sé. Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e ritornare dai suoi figli.

Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fu Anfione il vero governatore della città. Essi fondarono anche le mura della città, che fino ad allora aveva solo una rocca, detta Cadmea: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira. Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città. Anfione e Zeto governarono in accordo le due città. Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo ed ebbero quattordici figli, sette maschi e sette femmine; sua moglie si insuperbì per questo e osò paragonarsi alla dea Latona, la quale aveva solo due figli, Artemide ed Apollo, sentendosi superiore ad essa. Offesa, la dea ordinò ai suoi figli di sterminare la progenie dei sovrani. A seguito della strage dei suoi amati figli, Anfione impazzì e tentò di distruggere il tempio di Apollo, venendo ucciso dal dio stesso, mentre Niobe, distrutta dal dolore, fu mutata in pietra, per poi essere trasportata in Frigia sul monte Sipilo, dove ancora non cessa di piangere

CESARE E CLEOPATRA: l’argomento è tratto da diverse fonti: Appiano d’Alessandria, Plutarco, e ovviamente Maranca si dovette ispirare alla tragedia di Shakespeare. Cesare, dopo la vittoria su Farsalo, va ad Alessandria in Egitto per riscuotere i tributi dal faraone Tolomeo, e si innamora di sua sorella Cleopatra, la quale, essendo in lotta dinastica con il fratello, si fa introdurre segretamente nelle stanze di Cesare avvolta in un tappeto. I due diventano amanti e scoprono gli intrighi di Tolomeo che minaccia di ucciderla; si arriva alla guerra civile e Cesare trionfa, imponendo Cleopatra al trono.

LA CONFEDERAZIONE



Maranca immagina, con totale fantasia, la città antica di Anxa ossia Lanciano come sede di una confederazione italica contro lo strapotere di Roma, nei tempi della guerra sociale. Naturalmente questo argomento “storico” è contrapposto al tipico intreccio amoroso che funge da impalcatura-scheletro della scena: Cleonte capo delle truppe, ama Dulcira, contesa con Pallante, suo amico e capo di un’altra confederazione italica che è appena giunta in Anxa. Cleonte è furioso, ma alla fine per amor di patria, decide di cedere all’amore di Dulcira per l’amore della sua causa contro Roma, e sposa Dilitta, sorella dell’amico Policrate, e per suggellare questo patto, ordina di far scolpire un marmo in caratteri greci, che verrà “scoperto” dal solito Bocache presso l’ara dell’antico tempio di Giove Ottimo Massimo dove oggi sorge l’ex monastero di Santa Maria Nuova o Santa Giovina di Lanciano. In tale marmo si parla della confederazione Frentana, con altre tribù sannitiche confinanti.

Ecco il passo di Bocache dal vol. 1 dei Manoscritti:

Per ordine del Ministro dell’Interno spedito in Napoli il predetto Originale, dopo varie copie antecedenti calcate in esso. così vi discorre l’abate Romanelli nel Monitore delle Due Sicilie N. 903, 24 ottobre 1813: “Non ha gran tempo che scavandosi in Lanciano le fondamenta per un edificio […] si è trovata tra vecchie fabbriche una lapida marmorea, che quantunque rotta in parti da due lati, sembra di aver riverberata una luce sfolgorante sullo stato di questa Antica Regione, invano cercato finora negli storico, ne’ marmi, nelle monete. In essa non solamente si legge una Greca Epigrafe in caratteri vetusti, ma si parla di un concilio, o general radunanza sotto l’invocazione di Giove Eleuterio, dove concorsero tutti i popoli che formavano la Federazione Frentana, dal fiume FRENTONE all’ATERNO per la riva del mare, e dalla parte dei monti sino ai Saranti, o gli abitatori dappresso il fiume Saro o Sangro. Tra le Città comprese nella Federazione, vengono nominati Anxano  ed Ansanto, Buca, Romula, Ortona, Istonio, Aterno, Foranto ossia Ferento, Glit…che potrebbe essere Cliternia, ed i Saranti, ed i Fentris, coloro che abitavano intorno al Trigno ed il Senal. Qual nobile monumento poteva trovarsi giammai per risapere non solamente i Nomi dei Popoli, che sotto il nome di Federazione Frentana erano compresi, ma anche i confini della Regione! Che fino ad ora sono stati incerti e dubbiosi? Io avrò il piacere di riprodurla e pubblicarla, e sarà un tesoro inestimabile che io presento alla Storia ì, alla Geografia antica, e alle ricerche letterarie, e saranno dileguati alcuni dubbj, che da taluni sono stati formati sulla sua sincerità. A quest’oggetto io non ho voluto aggiungere né la latina traduzione, né le osservazioni sulla topografia, che vi è disegnata. Io attendo che i nostri valenti Grecisti dirigano al Compilatore del Monitore o le loro difficoltà, o la loro approvazione colla latina traduzione, per vedere se combiniamo nelle idee. Dietro di queste critiche osservazioni, se ne darà lo schiarimento.”[1]

Fin qui il precitato Sig. Romanelli, dopo di aver parlato in lode dell’antichità della Regione Frentana. Non può negarsi che siam noi tenuti alla sua vigilanza nel pubblicare i Monumenti antichi che alla nostra Città si appartengono, motivo per cui in questo primo capitolo si è fatta memoria del suo talento, e si annette in questo medesimo luogo la di lui Copia in caratteri recenti.


Nei sue versetti A.B., vi si conosce inesattezza per non essersi separata la prima lettera N dalla parola seguente TI IALISΩN, e dal verso antecedente le due lettere -ΩN dalla parola AΥΔΩΝ. Difetto scusabile, perché nell’originale si trovano unite le due voci ; né facil cosa era di risapere il nome dell’oppidulo “Andon” indicato. Confesso la mia supina ignoranza sul linguaggio greco, ma se sia lecito a un consumato collettore de’ Maonumenti Patrii, son di parere che i nomi degli Oppidi e dei Vichi enunciati nel Marmo siano i seguenti, manifestati da me a molti de’ miei Concittadini in  casa del Sig. de Cecco, che a sue spese fece intagliare la ramina, cioè:

ANXANO, PALLANO, ANSANTO, BUCA, ROMULEA, ORTONA, ISTONIO, ATERNO, FORANTO, CLUVIA, SARANTO, FELTRO, AUDO, GIRULO, FISIO, ROTE, TUTELLIO, SENALO.

Tutti i prenotati luoghi, vengono enunciati nelle memorie dell’antico Anxano, e nel decorso di questo Saggio saranno con più distinzione rammentati.

Ci interessa “Il Tesoro”, dramma ambientato in un paesino della valle dell’Aventino nell’epoca presenta, ossia la metà del ‘700, epoca delle scoperte archeologiche redatte da Pietro Pollidori, Domenico Romanelli e più avanti da Francesco Paolo Ranieri. Scoperte tuttavia, specialmente per quanto concerne le iscrizioni, da prendere con le pinze, data la fama di falsari dei primi due storiografi, i quali volevano, sulla base di un passo di Tito Livio, che in quell’area insistesse la città distrutta di Romulea. Maranca, sulla scorta delle notizie fornire da Pollidori, dallo zio Antinori, e da Uomobono Bocache, ha voluto scrivere questo curioso dramma teatrale inedito, di cui ci accingiamo a mostrare il contenuto. I personaggi sono Delmiro, ricco possidente terriero, promesso a Eurina, amante di Vildena, Polidetto, Eurina sua sorella, Bimarte, Cinerta pastore colto, Vildena suo figglio, Fidalma cameriere di Eurina, alcuni pescatori e contadini.

L’argomento principale della storia è una presunta lapide, naturalmente ritenuta falsa dal Mommsen nel CIL vol. IX, di un certo C. Attio Crescente. Di Crescente parla ampiamente Uomobono Bocache nei primi due volumi dei Manoscritti di Lanciano. La notizia proviene da una lapide rinvenuta dal Bocache, lungo l’antica strada consolare, che attesta un restauro eseguito dai tribuni Bennaciario e C. Attio Crescente; sulla base di questa iscrizione Bocache si affatica a tentare un collegamento politico tra Anxanum, ossia Lanciano, e Cluviae, ossia Casoli,. Come una unica entità amministrativa, pur non sapendo con precisone lo stesso Bocache, stabilire in che punto si trovasse effettivamente Cluviae! E lo stesso Maranca nell’argumentum del dramma, riporta questa nota, che Cluvia fosse nota sin dalle testimonianze di Tito Livio, ma che sino a quel momento non era stata con precisione individuata, a seguire se ne esce con una strampalata idea sul significato del toponimo: “cluvia” ossia nido, per spiegare una città-fortezza chiusa da un nido naturale di boschi e selve. Come detto, la scena è in una cittadina di provincia nella valle dell’Aventino non molto distante da Lanciano, si ipotizza probabilmente che Maranca avesse scelto Casoli o le sue limitrofe contrade. Come si può notare, leggendo il manoscritto, Maranca cerca di riempire la scena con diverse sequenze di ballo e di canto, dal sapore metastasiano, che però spesso, metricamente, rischiano di cadere nel ridicolo. Nel canto iniziale il gruppo di pastori loda la bellezza del giorno e la ricchezza della natura che dà loro il pan della vita; entra Cinerta, pastore al servizio di Dalmiro, e confessa a sé stesso l’ amore segreto di suo figlio Vildena per Eurina, promessa sposa a Delmiro, segreto che non può confessare. In sostanza si è preparato l’intreccio tipico amoroso che si scioglierà alla fine; alla scena 8 dell’atto 1, il pastore Cinarte comunica di aver trovato una strana lapide, Delmiro, colto, loda Vildena per aver fatto la fausta scoperta, segue una scena balletto con canti vari, dove si lodano le memorie patrie, e il culto dell’antico dei monumenti storici da salvaguardare per conservare l’identità della comunità, situazioni abbastanza grossolane agli occhi di uno spettatore dei nostri tempi, ma non all’epoca, non per Maranca, che immaginava queste scene seduto a tavolino del suo studio nel palazzo di Lanciano!

Nell’atto 2, la scena si sposta in una cantina, dove si sono conservati i reperti scoperti da poco, la lapide e alcune anfore, i personaggi si interrogano insieme da dove possano provenire, quale fu l’antica civiltà che li creò e ne fece uso. In questo momento entra in scena un’altra scoperta che Bocache riportò nei suoi Manoscritti, e che Maranca ha fatto sua in questo dramma: l’urna con le ossa di Rimmia, altro importante personaggio, a detta di Bocache, come si vedrà in appendice a questo scritto, degno di lodata memoria.

Delmiro, il più colto, legge l’iscrizione della lapide tombale di Attio Crescente, e segue a proporre una serie di elucubrazioni sul sito dell’antica Cluviae, ma presto la scena è movimentata, nella seconda parte, dal matrimonio da celebrarsi con Eurina, finché non si scopre l’intreccio amoroso. Delmiro è furibondo, ma la dialettica di Cinerta, suo fedele pastore, riesce a far perdonare la tresca, sicché si ritorna a lodare l’antica Cluviae, a gioire per la fausta scoperta archeologica, a prospettare per un futuro di sapienza e cultura sotto l’egida degli antichi Padri Cluviensi di stirpe Greca.

Quanto a qualità del dramma, siamo nell’ambito puramente locale, specialmente nella pura fantasia, per quanto concerne le invenzioni dell’antiquaria locale, circa il ritrovamento dei sepolcri romani e lapidi tra i territori di Lanciano e Casoli, speculazioni prontamente cassate dal Mommsen, ma che, tuttavia, hanno affondato per bene le radici nella memoria collettiva locale, tanto che ancora oggi in libri di storia leggiamo dei ritrovamenti di queste lapidi e iscrizioni, che puntualmente si dimostrano, allo stato attuale, irrintracciabili.

In appendice, proponiamo i passi del Bocache dove sono trattate queste iscrizioni antiche.

RIMMIA

Dal Vol. 1 di Bocache

“Dal Piano delle Fiere, doveva seguire la detta Via lungo il Regio Trattoro, e lasciando a sinistra La Cona di Mascio Panetta[2], oggi la Conicella, andava a far punto alla Cona detta “Re di Coppe”[3]. Da questo sito, ripiegando a sinistra verso il mare, passava al fianco di Villa Romagnoli, tratto di strada maestra anco oggi, e passando vicino al Sepolcro antichissimo di Rimmia[4] correva all’est, dov’era fissata la Colonnetta miliaria insignita dai nomi di Bennaciario tribuno della Quinta Coorte Pretoriana, e C. Attio Crescente edile di Anxano, ed edile Quattuorviro giuridundo di Cluvia[5], e si dirigeva al fiume Saro o Sangro, nel luogo detto “Pontaccio”, cioè del Ponte di Trajano poco lungi dal mare.[6] Da questo Ponte saliva all’antica Sarento ossia “Città di Sangro”, drizzava il suo corso verso il fiume Sento, non per l’odierna via vicino la Foce, ma al di sopra[7]; nel luogo mediterraneo dove anc’oggi restano ruderi e avanzi di antico magnifico Ponte[8]”.

 

C. ATTIO CRESCENTE

Dal vol. 1, trascrizione di Angelo Iocco, note riprese dal Bocache:

“Publio Blavio Subulo della tribù Arniense, colla dignità di Quattuorviro, insignito del pubblico Cavallo[9]; Cajo Attio Crescente della tribù Arniense, edile in Lanciano, e quattuorviro giuredicundo di Cluvia. Da questi riferiti irrefragabili riscontri di Cittadini ascritti alla predetta Tribù romana, e dalle Cariche esercitate da essi, si comprova quanto più sopra si è cercato.”

Dopo cotesti lumi, è invitato il Lettore a riflettere per poco sull’Iscrizione del Tribuno Bennaciario, in dove questi fa la prima figura, ed interviene con l’edile di Lanciano Cajo Attio Crescente ad un fatto rimarchevole, di cui se ne eterna la memoria[10]. Non sarebbe notato nel sesto caso qualora non avesse avuto ingerenza nel governo di detta Città, perché in tutte le Iscrizioni de’ Magistrati, sotto de’ quali si fecero disposizioni vantaggiose a pro di Essa, sempre includesi il tempo della loro amministrazione, specificandosi il Nome. Se dunque l’antico Anxanum non era una Colonia, come v’interviene un tribuno militare a ricordarsi unitamente con l’Edile di Lanciano? Questa è una prova che sembrami concludente all’assunto.”

“Gens Attia

Questa Famiglia critta duplicato il T, come dice Panvinio[11], fu una delle Famiglie Patrizie Romane, a differenza dell’Atia non geminato il T, che vien riputata famiglia Plebea, come attesta lo stesso Panvinio. Il nostro Cajo Attio Crescente, che fu edile di Lanciano e di Cluvia, enuncia ed evidenzia di aver fiorita in detta Città[12].”

 

“Dal Piano delle Fiere, doveva seguire la detta Via lungo il Regio Trattoro, e lasciando a sinistra La Cona di Mascio Panetta[13], oggi la Conicella, andava a far punto alla Cona detta “Re di Coppe”[14]. Da questo sito, ripiegando a sinistra verso il mare, passava al fianco di Villa Romagnoli, tratto di strada maestra anco oggi, e passando vicino al Sepolcro antichissimo di Rimmia[15] correva all’est, dov’era fissata la Colonnetta miliaria insignita dai nomi di Bennaciario tribuno della Quinta Coorte Pretoriana, e C. Attio Crescente edile di Anxano, ed edile Quattuorviro giuridundo di Cluvia[16], e si dirigeva al fiume Saro o Sangro, nel luogo detto “Pontaccio”, cioè del Ponte di Trajano poco lungi dal mare.[17] Da questo Ponte saliva all’antica Sarento ossia “Città di Sangro”, drizzava il suo corso verso il fiume Sento, non per l’odierna via vicino la Foce, ma al di sopra[18]; nel luogo mediterraneo dove anc’oggi restano ruderi e avanzi di antico magnifico Ponte[19].”

 

Dal vol. 2

“La Iscrizione è monaca di una o più righe nella parte inferiore, come si rileva da varie tracce di cifre dimezzate, e che a nudo occhio vi si vedono; ciò nulla ostante dal sesto caso in cui sono registrati i Nomi e le cariche di Bennaciario tribuno e di C. Attio Crescente edile, si deduce con buona critica lapidaria non essere questa una Iscrizione dedicatoria e onoraria precisamente per i prelodati due soggetti, ma piuttosto un pubblico Monumento  di un’opera che interessava  le Comuni di Lanciano e Cluvia, opera fatta sotto l’anno di carica dei sue soggetti. Sono state poste in uso le più scrupolose diligenza nella faccia del luogo  ove la prima volta si rinvenne il Marmo, ma nulla si è trovato di cemento  o antico rudere in fuori del sito ove il contadino inventore, con l’avidità di trovarvi un ricco tesoro, ne aveva dalle fondamenta spiantato l’asserto pilastro antico.

Ciò posto, se giova farne congettura sopra la fede del predetto contadino, il quale candidamente protestò e minutamente  descrisse il sito del pilastro, con mostrare benanche le altre pietre colà dissotterrate, può dirsi che qui si parli di una via pubblica nuovamente rifatta, oppure in miglior forma riattata.[20] Infatti non solo dalla fede di lui riguardo al pilastro e unciato, unico indizio della via, ma benanche dalle spezzate cifre numerali che nella parte monca vi si osservano, come pure dal sepolcro di Rimmia, circa 60 passi distante a Occidente dello stesso Trattojo, e nella stessa contrada; può dedursi che di Via in effetti si parli.[21]

La leggenda di questa Lapide è chiarissma, toltone le solite abbreviazioni  usate dai Romani, che per favorire i meno pratici in facoltà, deve leggersi nel modo che siegue:

BENNACIARIO TRIBVNI COHORTIS QUINTAE PRAETORIAE

CAIO ATTIO CAII IVLO ARNIENSE CRESCENTI

AEDILE ANXANI ET CLVVIS AEDILE QVUATTVORVIRO IVRIDICVNDO

Bennaciario essendo tribuno della Quinta Coorte, ossia la compagnia pretoriana, e Cajo Attio Crescente della Tribù Arniense, essendo edile di Lanciano ed anche edile giuridicundo di Cluvie, fu fatta la predetta Opera, ossia pubblica via[22]. Fra Lanciano e il circondario di Cluvie, la quale sarebbe la via che corrispondeva al Ponte fatto edificare nel Sangro dall’Imperatore M. Ulpio Trajano, la di cui memoria si ave dall’Iscrizione che si riporterà a seguire nel num. 8.

Questo tribuno si nota col semplice nome di Bennaciario, senza nome gentilizio della tribù per due motivi: o perché era personaggio  cognito, e seco portava tutt il merito, o perché essendo egli militare, non costumavasi assegnare sempre ad esso il nome gentilizio, come riflette il Zaccaria[23].”

 



 

[2] Vale a dire la chiesetta della Madonna degli Angeli, detta popolarmente della Conicella, nella località omonima. N.d.C.

[3] Dalla Conicella fino alla Cona Re di Coppe, ci sono nei due lati di detta maestosa Via, degli avanzi di ruderi antichi, che indicano abitazioni di campagna e sepolcri.

[4] Vedi cap. 4 delle Iscrizioni che appartengono all’antico Anxanum n. 5

[5] Ibidem n. 4

[6] Ibidem n. 11

[7] Vedi il Sig. Liberatore “Pensieri civili” ecc. f. 65

[8] Il fiume Sento sarebbe l’attuale Osento che sfocia tra Le Morge di Torino e località Santo Stefano di Casalbordino; ma non è stato rinvenuto alcun reperto, benché più all’interno, al fine di garantire i collegamenti tra i due monasteri di Santo Stefano a Rivomare e San Giovanni in Venere, esisteva un ponte, menzionato in vari documenti, e la località era detta Fonte dei Monaci. CITA QUALI DOCUMENTI. N.d.C.

[9] Raccolta Iscrizioni num . 4 e n. 15

[10] Vedi la Raccolta di Iscrizioni, Anti.quadro, ad vocem

[11] Panvinio, “De Nom. Rom”, ad vocem

[12] Raccolta delle Iscrizioni n. 4

[13] Vale a dire la chiesetta della Madonna degli Angeli, detta popolarmente della Conicella, nella località omonima. N.d.C.

[14] Dalla Conicella fino alla Cona Re di Coppe, ci sono nei due lati di detta maestosa Via, degli avanzi di ruderi antichi, che indicano abitazioni di campagna e sepolcri.

[15] Vedi cap. 4 delle Iscrizioni che appartengono all’antico Anxanum n. 5

[16] Ibidem n. 4

[17] Ibidem n. 11

[18] Vedi il Sig. Liberatore “Pensieri civili” ecc. f. 65

[19] Il fiume Sento sarebbe l’attuale Osento che sfocia tra Le Morge di Torino e località Santo Stefano di Casalbordino; ma non è stato rinvenuto alcun reperto, benché più all’interno, al fine di garantire i collegamenti tra i due monasteri di Santo Stefano a Rivomare e San Giovanni in Venere, esisteva un ponte, menzionato in vari documenti, e la località era detta Fonte dei Monaci. CITA QUALI DOCUMENTI. N.d.C.

[20] Tre abbagli sorsero dalla penna dell’Abbate Romanelli, parlando di questa Iscrizione: il primo nelle Memorie Frentane dell’Antenori, quando esempla l’Iscrizione monca con quattro righe l’ultima delle quali prima la punteggia col vuoto, termina con VIR.I.D., quindi fissa un’altra linea di vuoto e finalmente un’altra riga punteggiata di vuoto, nel mezzo una T e infine VX. Inavvertenza colpevole in una monca Iscrizione la di cui esemplazione, non essendo esattissima, involve il pubblico a formare un giudizio falso. Seguita nell’abbaglio il Giovine Scrittore, allorché scrive che forse che qualche carica Bennaciario esercitava, perché deve dirsi che in effetti nella carica era attualmente. Il secondo abbaglio si è quando egli lo crede, nelle sue Scoverte Frentane un Monumento eretto dai Lancianesi a Bennaciario, prendendolo in terzo caso, quantocché deve prendersi per sesto caso, indicante il tempo in cui la nuova opera pubblica fu eseguita. (Tribunus – tribuni nel terzo caso fa “tribuno”, non già “tribuni”, dunque è sesto caso! Dunque non a lui si dedica, ma al tempo del suo governo. Il terzo abbaglio è quando scrive nel suo Quadro storico di Lanciano che fosse stata ritrovata nella località Castellano, quandocché fu trovata nel luogo de’ soprannominati Castilli non molto lungi dal casino dei Brasile   Si fa notare al pubblico che la esemplazione riportata da Romanelli nell’edizione dei MMSS dell’Antenori sopra la Città di Lanciano f. 19 è mutila nel fine allorché porta tre righe di vuoto, nella prima VIR. ID…T……VX. È innegabile che il termine “Bennaciario sia al sesto caso e così altri crescenti al terzo caso, dunque deve dirsi che sia un ordine imposto a Cajo Attio di presiedere alla strada o di rifarsi qualche opera pubblica.

[21] I Sepolcri lungo le strade si piantavano, secondo la regola comune degli antichi. Le Colonnette oppure i pilastri: chiari segni  di vie pubbliche sempre sono state, ed i numeri nelle lapidi o hanno annunziato l’età oppure le miglia, i piedi o i passi del terreno o delle strade. Dal Zaccaria Inst. An. Lap. F. 208 si rileva che le strade fossero riattate ad interposta autorità del magistrato dei luoghi rispettivi. Siegue e adire: Nelle colonie sia ai Decurioni apparteneva di determinare il riattamento delle strade”; però nell’opera di Fabretti p. 406 n. 316, dicesi che gli Augustali di Fossombronne viam longam P. OO CLXV ex DD sua pecunia petere curaverunt. Riguardo poi alla Colonnetta rulliana che per segnare le miglia, erano poste premettersi il nome dell’Imperatore cogli altri titoli del consolato, da doversi mettere in ablativo, quasi per nota di tempo o nota cronologica. Non è dunque improprio che standovi restata la lapide di Nerva Trajano, restasse il tribuno  e l’edile Anxanense in ablativo per nota anche cronologica,

[22] si aggiunge anche “via”, secondo il supposto di cui sopra.

[23] Introduz. alla Lapidaria, l. II, c. 1


Fotografie estratte dal libro di Florindo Carabba, "Storia antica di Lanciano. Dall'epoca romana al 1060", Lanciano, 2010.

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