Qualcuno in questi tempi di nuove tecnologie ci ha particolarmente colpiti, in quanto ha chiamato un parente nell’America, lancianese, e ha messo il vivavoce al cellulare, facendo sentire il suono prolungato della Squilla. Come diceva il poeta Cesare Fagiani (1901-1965): “Te na vucetta fine […] Chi saà pecché che lu sone te fa sbatte lu core sole a Natale”. I versi si riferiscono al richiamo mattutino della campanella, che suona dalle ore 8:00 alle ore 8:30, ricordato anche in una poesia dialettale di Giuseppe Rosato, quando ci si deve affrettare per andare a scuola o al lavoro, prima che la campana cessi il suo richiamo. Reminiscenze dei convocamenti ai pubblici parlamenti dell’antica Universitas Frentana!
Della Squilla diversi etnologi si son occupati, Antonio De Nino, Gennaro Finamore, Emiliano Giancristofaro e altri nelle loro opere sulle Tradizioni abruzzesi. Interessanti le prime informazioni che ci danno De Nino e Finamore: De Nino parla del consueto suono della campanella, durante il suono gli esercizi commerciali chiudono, non si vede anima viva per strada, tutti devono festeggiare con i loro familiari il rinnovamento del legame di sangue, i deve fare pace. Si celebra il proprio genitore, padre, nonno o nonna che sia, con il rituale del baciamano; a seguire il caro vegliardo regalava la “paparella”, ossia qualche centesimo per il nipotino o il figlioccio, e tale rito come detto ha valore anche per un padre di famiglia che onora il suo caro vecchio genitore, coi nipotini al fianco. E i genitori che non ci sono più? Naturalmente De Nino precisa che anche per i morti c’è un pensiero speciale, in quel giorno del 23 dicembre, anche loro sono presenti nella casa, a rinsaldare il legame di sangue. Oggi, con l’avvento di internet, e di conseguenza della trattazione troppo “facilona” degli argomenti, Squilla compresa, i lancianesi che ricordano Cesare Fagiani (ammesso che sappiano che scrisse altro a parte la celebre poesia della “Squijje di Natale”), citano le sue liriche famose
La Squije di Natale dure n'ora
eppure quanta bbene ti sumente!
Tè na vucetta fine,
e gna li sente pure lu lancianese che sta fore!
Ti vùsciche di botte entr'a lu core
nu monne ch'à passate, entr'à la mente
ti squaije nu penzere malamente
nche nu ndu-lin-da-li che sa d'amore.
Ve da na campanelle chiù cumune
eppure ti rifà gne nu quatrale,
ti fa pregà di core, 'n ginucchiune.
Ugne matine sone ma nen vale la voce de lu ciele,
pé ugnune, chi sa pecché! ... le té sole a Natale!
(C.Fagiani)
Ma a noi piace citare le liriche di un altro grande poeta locale,
Giulio Sigismondi (1893-1965), che su un giornale lancianese, scrisse una struggente poesie sulla Squilla che fa riferimento anche al rispetto per i propri cari che non ci sono più. Eccola:
Il Corriere Frentano, anno 1925, num. 1
Finamore citò sempre le consuete tradizioni circa la Squilla, parlando della processione, dello stare in famiglia, non cita più quel che annotava De Nino, sullo sparo dei mortaretti al ritorno della campanella, per festeggiare l’avvenimento. Altri poeti si occuparono di questa campanella che tanto fa battere il cuore ai lancianesi: ad esempio Mario Bosco (1923-2011), con la lirica “Lu 23 Dicembre”:
Na luce di fiammelle e di preghiere
porte a Marìe antica tradizione,
n’atte di fede e tanta divuzione,
lu ventitré dicembre, appene è sere.
È lu pellegrinagge di chi spere,
di chi vò’ bene e crede come done,
a la Madonne lasse n’orazione,
‘na lacreme, nu cante e nu pensiere.
Intante sone chela campanelle,
la voce delicate de la Squijje
che arrive pure a chi sta chiù luntane,
E se ne va pe' case e casarelle,
pe' ì a purtà la pace a la famijje
che s'aritrove nghe lu vasciamane.
Mario Bosco
Don Italino Bomba, parroco della
Cattedrale, con le professoresse Masciangelo, De Cecco, De Aloysio. Archivio
Giacomo de Crecchio
Abbiamo dunque intravisto il sentimento classico che ai prova nell’ascoltare la campanella della Squilla….ma l’altra campana che è meno festante, più fioca e soffusa, che suono ha? Vogliamo dire, la Squilla è festeggiata in piazza, è sentimento di giubilo, così come l’essenza stessa del Natale! Ma i poveri, gli ammalati, i derelitti, come la festeggiano? Ecco che un lancianese provò ad analizzare con acuta e precisa introspezione questo lato della Squilla, parliamo di Pietro Polidori (1886-1911), professore e poeta elementare figlio del sindaco lancianese Nicola Polidori (1844-1915), patriota del Risorgimento. Pietro e il fratello Ernesto, come possiamo leggere dalle loro lapidi presso il cimitero comunale di Lanciano, ebbero una vita breve, e scrissero poesie e racconti pubblicate a Lanciano e Casalbordino Di Pietro è venuta fuori la novella pubblicata dalla tipografia Francesco Tommasini di Lanciano, nel 1906. È tratta dal libro “Dalla Maiella al mare”, ove sono raccolte tredici novelle d’Abruzzo che potremmo definire scabrose; tra queste, “La squilla” che invitiamo a leggere, ed anche a commentare.
In quell’anno, Pietro Pollidori avvocato, professore e di lì a poco futuro “dolciniano”, con una scrittura ruvida e diretta racconta storie diverse ma corrispondenti nell’intimo significato. Mentre la Squilla suona a festa per un’ora difilatamente, ecco che la scena si sposta in un lurido postribolo. Dalle iniziali pagine che descrivono il consueto sentimento di festa collettiva nella piazza e nelle case tra il tepore del camino, le luci, la compagnai del Pater familias a cui “devotamente” e non per obbligo, i figli si accostano per il baciamano, ecco che scendiamo nei bassifondi di Lanciano, in una casa umile e sporca, la maestra del postribolo tratta malignamente le tre giovani prostitute derelitte, che non hanno nulla da mangiare. Non è aria di festa, anche il 23 per loro è una giornata di lavoro. Ma il “lavoro” non arriva, anche i vogliosi quel giorno rispettano le tradizioni! Come faranno per mangiare? Mentre si lamentano della serata, ecco che qualcuno bussa alla porta, è la poverella Addolorata che aveva abbandonato tempo fa la casa d’appuntamenti, e che ora, smagrita fino alle ossa, senza più forze, chiede da mangiare. La maestra infuriata la scaccia via, e lei si allontana. Dato che non c’è lavoro quella sera, tutti vanno a dormire, mentre una delle ragazze esce per offrire ad Addolorata un boccone di pane…ma è troppo tardi. E guardando quel cadavere, la ragazza si figura il suo triste futuro, se non deciderà di cambiar vita.
Un novella dunque dal sapore verista, cruda, ricca di descrizioni delle patologie fisiche, densa di sapori visivo uditivi che sono un pugno nello stomaco al lettore, Pietro Polidoro era ben consapevole del materialismo presente nelle storie del Verga, certamente sarà stato influenzato anche dalle novelle abruzzesi “veriste” del D’Annunzio, ma nelle sue storie vediamo di più uno spiraglio di invito a “migliorarsi”, a cambiare condizione, dunque abbiamo una morale finale, un invito a modificare i propri comportamenti, a vedere della speranza di riscatto. La Squilla è solo una voce che accompagna tutta la storia, suona ancora quando termina la nostra storia, è la voce della coscienza che invi9ta la protagonista a guardare in faccia la realtà, e a cambiare immediatamente vita, e scappare da quel postribolo di morte!
Abbiamo svariate altre citazioni di scrittori e poeti dell’area lancianese su questa tradizione che ormai è divenuta un tutt’uno coi Lancianesi. Ad esempio citiamo il medico e poeta Eduardo Di Loreto (1897-1958), che in due liriche in lingua la cita, in “Natale” e “Buon Natale” del 1952: “Nell’aroma di poesia / della Squilla e dell’amore, / tutto il mondo è un ‘armonia” ecc.; poesie che risultano abbastanza tipiche e classiche, al limite dell’aforisma, ma la consuetudine che rischia di esser interpretata come banalità, rasenta invece proprio il fatto che questa Squilla è augurata dai lancianesi, in quanto il vero Natale ormai da secoli è quello del 23 dicembre! Dunque esempi come queste poesia del Di Loreto mostrano gli auguri di buona Squilla al destinatario.
Vincenzo Gagliardi, “La novena”
Come viene raffigurata la Squilla nell’arte lancianese? Diversi autori l’hanno ritratta. Un bel quadro ottocentesco che ci piace rammentare è “La Novena” del lancianese Vincenzo Gagliardi (1864-1904), che esprime, novello Morelli della scuola napoletana, una scena dall’andamento orizzontale da destra verso sinistra, ossia viene ritratta la famiglia che nella sala si inginocchia onorando la statua della Vergine, sotto campana di vetro, per celebrare l’avvento dell’Immacolata Concezione. Le figure sono inginocchiate con le braccia incrociate, poggiate sugli sgabelli delle sedie, bambini e bambine guardano estaticamente la Madonna, una figlia gira indietro lo sguardo, cercando con gli occhi l’amore del padre, che è indietro, con sguardo chino. Un quadro tra i più belli del Gagliardi, dal gusto tipicamente michettiano, se ricordiamo il suo “Voto” per San Pantaleone a Miglianico.
La Squilla di Gildo d’Annunzio
A seguire diversi ritrattisti nei giornali lancianesi hanno rappresentato la Squilla in tutte le salse, soprattutto sul “Donatore” dell’AdoS diretto da Giovanni Nativio, oppure Gildo d’Annunzio, o ancora Peppe Candeloro con il pastello dello Zampognaro che suona sotto le note della campanella della Cattedrale, ecc. ecc.
Fotocomposizione di Matteo Silveri, con lo Zampognaro disegnato da Peppe Candeloro
La chiesa dell’Iconicella mostra un bell’affresco del XVI sec., presso l’altare maggiore, in parte danneggiato, dal sapore ancora “popolare”, che illustra la Madonna col Bambino tra San Sebastiano e San Rocco. Notiamo lo schema piuttosto classico in prospettiva del Rinascimento fiorentino, probabilmente il pittore locale deve aver viaggiato, o deve aver avuto contatti con artisti che praticavano la via degli Abruzzi verso Napoli; ma notiamo tuttavia tutte le limitazioni di questo artista, la Madonna ha ancora quella staticità, quella ieraticità di Mater Theotokos, con gli occhioni neri fissi della tradizione romanica; più vivaci dovrebbero esser le figure laterali del San Sebastiano trafitto dalle frecce e del San Rocco con le vesti di pellegrino, mentre il cane gli porta da mangiare, se la caduta della pittura non ne impedisse la lettura completa. Del resto rimane una testimonianza dell’antica venerazione per questa Cona votiva trasformatasi in chiesa, poiché a Lanciano, con le varie correnti d’arte che la investirono, con i rifacimenti e ammodernamenti specialmente barocchi, le chiese han perduto molto degli antichi affreschi rinascimentali e medievali, e quello della chiesetta della Conicella è una labile testimonianza delle arti figurative della zona! Il pittore utilizza delle caratteristiche simili a un altro pittore di scuola marchigiana che fu attivo a Lanciano nel dipingere una Crocifissione nell’ex chiesa di San Giovanni di Dio (o Santa Maria della Sanità) lungo la salita della Posta, con un caratteristico paesaggio di sottofondo alla grande croce del Cristo, con svettanti campanili e belle chiese in un pittoresco verdeggiante paesaggio; stessa cosa dicasi per un altro pittore che illustrò la Crocifissione per l’ex chiesa di San Mauro dei Carmelitani che si trovava dove oggi sorge il palazzo Galleria Imperiale, affresco staccato negli anni ’30, quando si stava realizzando il cinema Imperiale, e collocato dapprima nei locali dello storico Liceo classico “Vittorio Emanuele” nel palazzo degli Studi al Corso, poi nell’auditorium Diocleziano e infine nel 2022 nel museo diocesano; ricorre sempre il motivo di questo caratteristico paesaggio con una grande chiesa ottagonale, l’artista certamente avrà voluto rappresentare il Tempio di Salomone di Gerusalemme che veniva rovinato da un terremoto dopo che Cristo spirò. Le stesse caratteristiche del paesaggio rinascimentale, mostrato tuttavia in vesti ancora medievaleggianti e rozze, riscontriamo in questo affresco della Conicella, mentre marchigiani appaiono i panneggi delle vesti, specialmente le pieghe falcate della veste della Vergine, e i dettagliati colori dei calzoni ben conservati della veste del San Rocco pellegrino.
Lanciano, chiesa di Maria Santissima dell’Iconicella, la Cona votiva
Veniamo ora alla campanella che dall’alto della Torre campanaria della Cattedrale allieta il risveglio dei Lancianesi ogni mattina, e che fa “vuscicà lu core” solo il 23 dicembre alle ore 18:00. Le iscrizioni del bronzo illustrano che fu rifusa nel 1827 a cura dell’Istitutzione Santa Casa del Ponte, ci sono delle preghiere: AVE MARIA GRATIA PLENA / S.M. A. F. 1827 – D. M(ICHELE) DE GIORGIO – D. G.(IOVANNI) B.(ATTISTA) DE GIORGIO – D. F.(RANCESCO) P.(AOLO) BERENGA, con decorazioni a festoni di angioletti, l’immagine della Croce greca e della Madonna del Ponte. I decurioni che si incaricarono delle spese della rifusione furono personaggi molto importanti nella vita pubblica lancianese, Michele de Giorgio sindaco della città e patriota, che organizzò con il Berenga le celebrazioni dal 1829 al 1833 per l’Incoronazione della statua della Madonna col Bambino tanto venerata nella Basilica cattedrale, il Berenga su citato capo decurioni del comitato feste, nonno del sindaco Gerardo Berenga che tra le opere pubbliche più ricordate, è annoverato il progetto di costruzione del Nuovo Corso, poi Corso Trento e Trieste.
Da qualche anno nel vicino paese di Castel Frentano, il parroco si è interessato a riprodurre il suono della Squilla, dapprima con una libera iniziativa nel 2017, facendo suonare la piccola campane della torre di Santo Stefano, e poi nel 2022 facendo suonare la campanella dell’asilo Antonio e Rosina Caporali. Questo piccolo paese con decreto di Ladislao di Durazzo re di Napoli fu unito come feudo alla libera città di Lanciano, che poi lo vendetta a vari signori, tra cui i Caracciolo, generando discordie infinite, anche per la questione di rifare lo stemma civico, quasi identico a quello lancianese. Che il giorno della Squilla sia di felice auguri per ristabilire le storiche discordie tra questi due paesi? Vi auguriamo un sereno Natale!
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