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7 settembre 2022

Tradizioni popolari Lancianesi delle Feste di Settembre - Capitolo II: l’8 settembre giorno della Natività di Maria e il tamorraro.

Tradizioni popolari Lancianesi delle Feste di Settembre - Capitolo II: l’8 settembre giorno della Natività di Maria, e il tamorraro.

di Angelo Iocco

La tradizione delle Feste Lancianesi di Settembre, dopo lo sparo di mezzogiorno del 1 Settembre, continua con le giagulatorie e gli inni a Maria come “Tota pulchra est Maria” o “Salve Regina”, recitati nella Cattedrale sino al termine della Novena il 7 settembre. L’8 settembre, sicuramente tradizione partita dopo l’arrivo delle Corone alla Beata Vergine Maria del 14 settembre 1833, di cui si parlerà nell’ultima puntata, e iniziata ad essere documentata presso i manoscritti dell’ingegnere Nicola Maria Talli e l’architetto Filippo Sargiacomo di Lanciano, è la festa della Natività della Vergine Maria. Occorre non fare confusione con il giorno dell’8 dicembre in cui ricorre l’Immacolata Concezione, ovvero l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria della nascita di Gesù, e l’8 settembre in cui ricorre la Natività di Maria, che a Lanciano rappresenta la gioia per la nascita della Madre dei Cieli, che porta ai contadini fertilità e prosperità nel raccolto dei campi. Questo sottolineavano i folkloristi Antonio De Nino e Gennaro Finamore parlando della festa lancianese dell’8 settembre, detta in dialetto “Lu Done”, in cui le 33 contrade della città, in testa Marcianese, Santa Maria dei Mesi, Santa Liberata, Villa Stanazzo, Sant’Egidio, Santa Giusta, seguite infine dalla contrada Sant’Antonio col Carro del convento, di buon mattino, prima della istituzione della festa vera e propria, le contradaiole e i contradaioli con i loro carri, risalivano le viuzze strette delle gole per arrivare alla piazza della Verdura, e poi la piazza del Mercato oggi del Plebiscito, per omaggiare la Madonna con le loro primizie. Era uno spettacolo solenne, molto semplice e raccolto, i doni venivano affidati alla Santa Casa del Ponte, oppure battuti all’asta nella pubblica piazza, così come ancora oggi si fa la sera dell’8 settembre. Alcune orchestrine e bande improvvisate accompagnavano con canti e lazzi, e inni alla Madonna la processione dei contadini umili verso la loro Mamma.

Le contadine di una volta portavano in testa delle conche con dei fiori oppure delle primizie, pizzelle, pani e canditi, dolci, tarallini, oppure peperoni arrosto in omaggio alla Madonna, procedevano a schiere di due fila lungo il Corso. Ciascun carro porta il nome della contrada di appartenenza e una Sacra Immagine della Madonna del Ponte a segno di eterna protezione. Molte contadine recano mazzi di spighe di grano o di fiori di ogni sorta, che stringono tra le braccia sorridenti, quasi fossero uscite da un quadro di Michetti o Cascella, tutte ben vestite e coperte ai capelli da fazzoletti ricamati, per virgineo pudore, anche se oggi come si può immaginare, la cosa sa quasi di mera rievocazione, senza più l’antico significato.

Ancora oggi questa processione si ripete partendo dal piazzale Sant’Antonio, risalendo la villa comunale, per poi scendere dal Corso Trento e Trieste fino alla Cattedrale, fermandosi nella piazza Garibaldi coi carri e i trattori che trasportano alcuni figuranti di ciascuna contrada, che minano scene di vita quotidiana, della mietitura, del lavoro nei campi o delle faccende domestiche. Oggi però appare più una rievocazione di una vita ormai passata, alcuni carri offrono agli spettatori delle pizze all’olio o al prosciutto, pane e olio, oppure un bicchiere di vino, altri carri dall’aspetto più variopinto, con musiche a palla e sguaiate cercano di attirare l’attenzione; inframmezzano la processione dei gruppi folkloristici che inscenano danze, spallate o saltarelli; alcuni sono locali, spesso in passato si univa anche la “cumpagnie” della Madonna dell’Assunta di Castelfrentano, da qualche anno invece si è aggiunto il Gruppo CATA (Compagnia di Tradizioni Teatine Abruzzesi) del prof. Francesco Maria Stoppa. Ma per chi ama le tradizioni e gli abiti caratteristici, spesso nota oggi, vedendo la processione, che molti gruppi non hanno più nulla di folkloristico,  ci sono molte contaminazioni e confusioni nel riprodurre l’abito tipico, o nell’eseguire le saltarelle, generando una cattiva ed errata immagine dell’antico folklore abruzzese presso il pubblico ignaro.

Mentre i carri a uno a uno si fermano qualche minuto in piazza davanti la Cattedrale, per proseguire successivamente il percorso nella sottostante piazza Garibaldi, dove inscenare altre danze, e anche il ballo del laccio, l’arcivescovo benedice ciascuna contrada lancianese, e invita i fedeli ad entrare in chiesa per la Santa Messa in onore della Madonna. Così, tra canti, balli e feste, riprodotte in bellissimi versi anche dai poeti nostrani quali Alfonso Fagiani, Francesco Brasile e Mario Bosco, il corteo lentamente si scioglie, ciascuna contrada a mezzogiorno inoltrato riparte per la propria zona di appartenenza nel contado lancianese, e ci si prepara, col banditore della festa, alla vendita all’asta serale nella piazza centrale.


Un’altra figura, di cui non si è parlato nella prima puntata di questa rassegna di tradizioni settembrine, è quella del “tamurraro” o “tammorraro” lancianese. Ossia il suonatore di tamburo; ricordano gli storici etnologici di cose frentane, che quando iniziavano le Feste di Settembre, un banditore pubblico, quando non ancora esistevano gli avvisi stampati, i cellulari, le televisioni, le radio, il banditore comunale provvisto i buona voce e di tamburo, faceva il giro delle principali vie della città, suonando delle melodie a marcetta, per richiamare l’attenzione, e urlando a squarciagola l’avvio delle feste. Il suo stile però era originale, come si è potuto anche constatare visionando un filmato in super8 girato da Antonio Falconio storico primario presso l’ospedale Renzetti di Lanciano, negli anni ’60, inquadrando uno degli ultimi storici tamorrari di Lanciano: don Gennaro. Il tamorraro pare avere origine dai banditori francesi che occuparono Lanciano nel 1799, e negli anni a seguire, un tempo membro della banda civica dell’esercito, divenne una figura dell’organigramma delle amministrazioni comunali, e oltre ad avere la carica di banditore, era occupato anche nelle mansioni varie di lampionaio o custode del cimitero. La veste del tamorraro a Lanciano sino agli anni ’60, era semplice, giacchetta nera attillata, camicia bianca, pantaloni lunghi, cappello enorme a cilindro, che si usava nell’800, di derivazione francese, il tamburo della banda, e una voce bella potente da farsi ascoltare a metri di distanza. Nel video di Falconio che è stato girato presso una casa privata dove il tammorraro era stato invitato, notiamo la marcetta iniziale per richiamare l’attenzione, e poi l’annuncio recitato in versi distici, con fare cantilenante, dove si allude alle bellezze e alle caratteristiche peculiari di ideale di Castità e Purità della Madonna, di cui si vanno a decantare le lodi per l’annuncio della festa. All’annuncio della festa, il tamorraro compie un’altra parte della marcetta col tamburo, e poi inizia una danza goffa ma simpatica, cantando un inno a Maria in dialetto, raccomandandole la protezione e la prosperità della famiglia che lo ha ospitato, chiedendo infine un po’ di companatico e un bicchiere di vino per il servizio.

                            

In sostanza il tamorraro lancianese si immette in quella rosa di tradizioni abruzzesi che anni fa si celebravano con l’ausilio di un gruppo di “compagnie”, di questuanti, di allegre brigate insomma che si riunivano nelle feste di Sant’Antonio abate, nel giorno dell’Epifania (la Pasquetta), e della Settimana Santa (Giovedì Santo, e Venerdì Santo) per cantare le lodi del santo, o per raccontare la storia della cattura, flagellazione e Crocifissione di Gesù, chiedendo infine al pubblico un po’ da mangiare per ringraziamento.

Questa tradizione del tamorraro a Lanciano, come detto, non esiste più, già negli anni ’60 sorpassata dai moderni impianti audio della ditta di Lucio Venditti, e successivamente estinta per sempre. Ne restano solo ricordi di persone ormai anziane e qualche fotografia o video, girato con mezzi di fortuna da persone lungimiranti.

Concludiamo questa puntata con una bella poesia sul Dono di Mario Bosco.

Lu done a la Madonne de lu Ponte

Gn'attacche la ciambotte chelu sone

cumenze ccamminà lu Cumitate,

lu Schineche e na morre di scacchiate

che ttè li bandirelle di lu done

Dapò ... Passe dapò la divuzione:

conche di grane cariche 'nfiurate,

figure di Madonne, uve 'ndurate,

quatrine che ha ricotte ugne frazione,

'na voce che mmi cante dentre ancore ...

E mentrre scoppie attorne l'allegrie,

fra bombe, bande e ssone di campane,

la fede che si sbusciche a lu core,

smove le labbre a tante Avemmarie

pè salutà la Mamme di Langiane.



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