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4 giugno 2021

Angelo Iocco, La storia di Chieti.

 

LA STORIA DI CHIETI

di Angelo Iocco

Secondo alcune leggende le origini storiche di Chieti si confondono con la mitologia: una leggenda racconta che l'odierna Chieti fu fondata nel 1181 a.C. dall'eroe Achille, che la chiamò Teate in onore di sua madre. L'eroe omerico è rappresentato nello stemma del comune su un cavallo rampante, mentre regge una lancia e uno scudo su cui è raffigurata una croce bianca su campo rosso con quattro chiavi, che rappresentano le quattro porte d'ingresso della Chieti medievale (Porta Sant'Anna, Porta Santa Maria, Porta Napoli e Porta Pescara).

Altre leggende sulle origini di Chieti, riportate da Lucio Camarra, Nicolino e Niccolò Toppi, ma anche dal poeta Federico Valignani, narrano che venne fondata dai Pelasgi in onore della ninfa Teti (dal greco Thètis, Θετις).

Secondo lo scrittore Girolamo Nicolino la nascita di Chieti risalirebbe al 1181 a.C, mentre secondo Strabone, la città sarebbe stata fondata dagli Arcadi e inizialmente denominata Tegeate (Θηγεατη).

L'attuale Chieti, chiamata dai romani Teate Marrucinorum, fu riconosciuta da questi come la Capitale del popolo dei Marrucini, spostatisi dal villaggio di Touta Marouca presso Rapino (Ch) nel colle della Civitella, in posizione strategica sulla via del tratturo, sul mare, e sulla via Tiburtina Valeria. I Marrucini in seguito furono protagonisti di duri scontri con Roma, conclusi nel 304 a.C. con un trattato di pace chiesto dai Marrucini e altri alleati italici. Da quel momento i Marrucini divennero alleati dei Romani, offrendo loro appoggio militare in numerose battaglie della repubblica contro Pirro, i Galli cisalpini, Perseo di MacedoniaAnnibale e Asdrubale.

Teate partecipò alla Guerra sociale per il riconoscimento della cittadinanza romana a tutti gli Italici e dove perse la vita, sconfitto da Gaio Mario, il condottiero marrucino Asinio Herio, (la cui stirpe, trasferita a Roma, formò la gens Asinia); inizialmente Asinio Herio per la sua condotta antiromana provocò imbarazzo nella gens, riablitata col nipote Asinio Pollione, e anche a Teate, come ricordano Camarra e Nucolino con la gens dei Vezii, il cui membro più famoso, Marco Vezio Marcello, costruì i templi e il teatro. Roma vinse la Guerra sociale ma concesse la cittadinanza a tutti i popoli italici. Nel 91 a.C. Chieti entrò definitivamente nell'orbita romana: fu eretta a municipio e urbanizzata, secondo i canoni romani, divenne così uno dei principali centri economici della regione, e arrivò a contare oltre 60 000 abitanti, una popolazione considerevole per l'epoca. Fu arricchita delle strutture proprie dei municipi romani con un foro, un teatro da cinquemila posti e circa ottanta metri di diametro avente come sfondo il monte Gran Sasso d'Italia (visibili tuttora resti di un pezzo di cavea), un anfiteatro di medie dimensioni (60x40 metri) da quattromila posti (restaurato, utilizzabile), un acquedotto con relative canalizzazioni anche sotterranee e le terme, strutture ancora parzialmente visibili in vari stati di conservazione e dotate di cisterna sotterranea a nove ambienti di grande capacità e ottimamente conservate.

A seguito del crollo dell'Impero romano, Chieti tornò ad avere un ruolo predominante sotto la dominazione dei Longobardi che la fecero gastaldato di dominio regio, finché non fu distrutta da Pipino nell'801.

La definitiva cesura storica fra la città antica e quella medievale, è rappresentata dal Sacco dell'801, allorché la città, all’epoca prefettura di castelli longobarda, difesa dal Conte Roselmo, fu data alle fiamme.[10] In seguito fu ricostruita, e divenne con i Franchi sede della Contea omonima; essendo già sede di un "comes" dall'epoca longobarda, con la dinastia franca degli Attoni, Chieti crebbe di prestigio, e annetté vari feudi e terreni, formando già il nucleo embrionale dell'attuale provincia.

In seguito, sotto il controllo dei conti normanni, la città si risollevò e continuò a far valere il proprio ruolo locale anche sotto la dominazione sveva, sempre con il controllo degli Attoni, che si erano uniti nel frattempo ai Trasmondi, alcuni dei quali anche duchi di Spoleto. Nel 1075 Chieti perse momentaneamente il proprio potere nella battaglia di Ortona, tra Trasmondo III conte di Chieti e Roberto il Guiscardo, signore dei Normanni, sicché la contea di Chieti passò alla neonata contea di Loritello, affidata in controllo a Roberto di Bassavilla, conte di Loretello.

Teate nel 1084 venne proclamata da Roberto il Guiscardo capitale degli Abruzzi e subito consegnata a suo nipote Drogone. Nell'ottobre del 1097 papa Urbano II fu ospite di Teate e vi predicò la crociata, spronando i crociati alla conquista di Gerusalemme e alla liberazione del Santo Sepolcro dal dominio musulmano.[11] L'emblema più antico di Teate, cioè lo scudo con la croce, come quello della famiglia Valignani, deriva appunto dalla consistente partecipazione alle crociate.

Nel 1227 Federico II confermò al vescovo Bartolomeo il privilegio in perpetuo delle varie donazioni di possedimenti precedentemente concesse nel 1195 da suo padre Enrico VI alla chiesa teatina, dell'ampio territorio fluviale e boscoso intorno a Sambuceto, la decima del ponte e del porto di Aterno, il castello di Montesilvano e la villa di Spoltore. Così la città rimase fedele all'impero anche con Manfredi – che vi dimorò nel Natale del 1255 salendo da Porta Napoli – e con Corradino di Svevia, legato da fraterna amicizia con il condottiero Simone da Chieti, pure se alla morte di Federico II papa Innocenzo IV la colmò di benefici per cercare di trarla a sé.[11][12];[13] Con gli Angioini e soprattutto con gli Aragonesi, conobbe un ulteriore periodo di grande sviluppo e fu posta a capo di tutti gli Abruzzi con diritto di battere moneta propria durante il governo dei durazzeschi e poi di Alfonso I di Napoli; era stata già proclamata nel 1273 da Carlo I d'Angiò città metropoli dell'Abruzzo Citeriore, dopo che col diploma di Alife il Giustizierato degli Abruzzi era stato scorporato in due province, separate a nord e sud dal fiume Pescara. La titulatio di città regia e capoluogo degli Abruzzi, concessa nel 1443 da re Alfonso V d'Aragona, appare ancora sullo stemma della Città, e recita: Theate Regia Metropolis utriusque Aprutinae Provinciae Princeps (Chieti città regia e capoluogo di entrambe le province degli Abruzzi); pertanto Chieti fu anche dotata di un parlamento, di una sede della regia udienza (che stava dove si trova l'attuale Palazzo del Tribunale in piazza maggiore), e sede del camerlengo regio.

Durante il Medioevo giunse nell'Abruzzo Citra la nobile famiglia Valignani (o Valignano), casato di probabile origine normanna, che acquistò varie micro-signorie nei pressi di Chieti, destinato ad avere un ruolo di primo piano nel parlamento teatino e a influenzare la politica cittadina dagli anni quaranta del XVI secolo fino alla fine del XVII secolo, anche grazie a un'accorta politica di alleanze con altri ambiziosi gruppi famigliari insediati a Chieti, come i Tauldino, i Salaia, gli Enrici, i Petrucci e i Ramignani[14].

Nel Seicento Chieti assunse la conformazione urbanistica che fondamentalmente ancora oggi la contraddistingue e che fu favorita dal potere ecclesiastico che in epoca di Controriforma si prodigò nella costruzione di imponenti edifici, tra cui il palazzo del Seminario diocesano, che si aggiunsero ad altre importanti opere erette principalmente il secolo prima (Torre arcivescovile, ammodernamento della cattedrale di San Giustino).

Nel 1646, a causa dei debiti di Filippo IV di Spagna nei confronti di Ladislao IV di Polonia, Chieti fu venduta a Ferdinando Caracciolo, duca di Castel di Sangro, ma l'oligarchia patrizia teatina si oppose e nel 1647 la città fu ricomprata e reintegrata nel demanio regio[14]. Inoltre, a seguito dell'epidemia di peste del 1656, la città vide ridurre drasticamente i cittadini eletti del Parlamento teatino, i quali avevano il compito di eleggere il camerlengo e i magistrati, che erano i principali addetti alla pubblica amministrazione.

Nella seconda metà del XVIII secolo tornò a svilupparsi un certo dinamismo, soprattutto culturale, che portò all'istituzione di scuole e accademie (in questo periodo lo storico e poeta Federico Valignani fonda la nota Colonia Tegea) con conseguente incremento dello sviluppo del patrimonio artistico, si ricorda il rifacimento quasi totale di molte chiese, iniziato già nella metà del XVII secolo (chiesa di Santa Chiara, di Santa Maria della Civitella, di San Giovanni, della Santissima Trinità); dopo il terremoto dell'Aquila del 1703, ci fu un ulteriore motivo per restaurare palazzi e chiese, e vennero rifatte in stile barocco, chiamando maestranze lombardo-ticinesi, le chiese della Cattedrale, di San Francesco al Corso, di San Domenico.

Nell'Ottocento ebbe inizio l'occupazione francese (1799-1808) e nonostante il popolo teatino avesse espresso posizioni antifrancesi, nel 1806 i francesi costituiscono la città in piazzaforte, arricchendola di nuove strutture amministrative, sconsacrando i principali conventi dei Celestini (allora dei Carmelitani), dei Paolotti, dei Francescani, delle Clarisse, dei Cappuccini, degli Agostiniani, dei Domenicani, questo ad esempio divenne sede della Prefettura di Chieti.

Nel periodo risorgimentale e in quello immediatamente successivo, molti teatini e abruzzesi (sia dell'Abruzzo Citeriore sia Ulteriore) si unirono ai gruppi di resistenza agli invasori sabaudi (chiamati poi dai Savoia "briganti") e, di contro, altri teatini aderirono al processo per l'unificazione. Nel 1861 il re Vittorio Emanuele II entrò in città proclamandone l'annessione al Regno d'Italia.

Da quel momento Chieti seguì la storia dello Stato italiano. Dal momento dell'unione di Chieti al nuovo regno, iniziò un periodo di lenta decadenza, iniziato già con la costruzione della linea ferroviaria Pescara-Sulmona-Roma, il cui tracciato non passava a Chieti alta, ma costeggiava la via Tiburtina Valeria presso lo Scalo. Inoltre con il passare degli anni, e lo sviluppo sociale-economico di Pescara, iniziato con l'arrivo della ferrovia e la demolizione della vecchia fortezza spagnola, e col conseguente aumento dei traffici commerciali, stando Pescara in posizione nettamente più strategica, lungo la linea ferroviaria Adriatica, presso il porto, e in zona pianeggiante per un facile sviluppo edilizio, Chieti subì sempre di più gli effetti della nuova economica borghese, nonostante dal punto di vista culturale e amministrativo, fu sempre la città principale dell'area abruzzese.

Presso la Corte d'Assise di Chieti, tra il 16 e il 24 marzo del 1926 si tenne il processo Matteotti in cui vennero giudicati gli esecutori materiali dell'omicidio del politico socialista Giacomo Matteotti avvenuto il 10 giugno 1924. È universalmente ritenuto che tale processo fu fortemente condizionato dalle pressioni politiche fasciste al fine di minimizzare le condanne ed evitare di risalire ai mandanti. Da allora venne descritta come una città che non aveva il coraggio di indignarsi di fronte alla farsa del processo dal il giornalista emiliano Alberto Maria Perbellini, che coniò il termine città camomilla, mentre in tutta Italia si pensò a Chieti come luogo remoto, isolato ed indolente, ideale per manipolare i processi.

Nel 1927 ci fu la creazione dell'unico comune di Pescara, unendo la vecchia Portanuova al nuovo centro di Castellammare Adriatico; fu costituita anche l'omonima provincia, e il territorio storico di Chieti fu privato di alcuni comuni a sud del tracciato della via Tiburtina Valeria, fino a Popoli, che faceva parte del territorio aquilano.

Nel 1940, dal 13 giugno al 10 novembre, l'edificio dell'asilo infantile Principessa di Piemonte, venne trasformato nel campo di concentramento di Chieti. Il campo ospitò fino a 29 internati (prevalentemente francesi, inglesi ed ebrei), che dopo la chiusura vennero trasferiti nei campi di MontechiarugoloCasoli e Manfredonia.

Nel corso della seconda guerra mondiale Chieti, similmente ad altre città come ParigiRomaFirenze e Belgrado, fu considerata città aperta, grazie soprattutto alle richieste dell'arcivescovo di Chieti-Vasto Giuseppe Venturi con la perdita di importanza strategico-militare del sito, con la parte più calda del fronte spostata sull'asse tirrenico.

La notte tra il 9 e il 10 settembre del 1943 presso palazzo Mezzanotte, di fronte alla cattedrale di San Giustino, pernottarono il capo del Governo Pietro Badoglio, lo Stato Maggiore delle Forze Armate oltre a nobili in fuga da Roma insieme con i reali (che però trascorsero la notte nel castello di Crecchio di proprietà dei duchi di Bovino). Salvo il generale Badoglio partito nottetempo per Pescara e lì imbarcatosi, tutti gli altri, famiglia reale compresa di Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il figlio Umberto II di Savoia, si diressero il giorno successivo verso il porto di Ortona per imbarcarsi alla volta della Puglia. I reali avevano optato di imbarcarsi a Pescara ma la città, essendo stata già bombardata il 31 agosto, non era sicura, inoltre per evitare disordini per un tal comportamento, si preferì pernottare al castello ducale di Crecchio, vicino a Chieti, e poi partire da Ortona.

Nel 1943/44 a Chieti trovarono accoglienza circa 100.000 profughi provenienti da diverse zone dell'Abruzzo, soprattutto da Pescara, rasa quasi al suolo dai bombardamenti alleati, da SpoltoreFrancavilla al MareOrtona, i paesetti dell'hinterland teatino, ma anche da Foggia, anch'essa duramente bombardata (la città contava all'epoca circa 30.000 abitanti, e si trovò in poco tempo completamente satura di sfollati). I cittadini di Chieti, sebbene vessati da una drammatica situazione sociale, economica, igienico-sanitaria e sempre con il terrore dei tedeschi a pochi chilometri, non esitarono a prodigarsi, soprattutto con l’aiuto dei parroci guidati dalla fervente tenacia dell’Arcivescovo Monsignor Giuseppe Venturi, per dare asilo nelle proprie case e chiese agli sfollati; con il prolungarsi del conflitto però si registreranno tensioni in città, e si verificarono episodi di violenza, come scrisse Corrado Alvaro.

Per questi fatti la città di Chieti è stata insignita di medaglia d'oro al merito civile nell'anno 2018, per essere stata tra le “Città aperte” d’Italia e d’Europa.

 

In allegato: la storia di Chieti.


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