Secondo
alcune leggende le origini storiche di Chieti si confondono con la mitologia: una
leggenda racconta che l'odierna Chieti fu fondata nel 1181 a.C. dall'eroe Achille,
che la chiamò Teate in onore di sua madre.
L'eroe omerico è rappresentato nello stemma del comune su un cavallo rampante,
mentre regge una lancia e uno scudo su cui è raffigurata una croce bianca su
campo rosso con quattro chiavi, che rappresentano le quattro porte d'ingresso
della Chieti medievale (Porta Sant'Anna, Porta Santa Maria, Porta Napoli e
Porta Pescara).
Altre
leggende sulle origini di Chieti, riportate da Lucio Camarra,
Nicolino e Niccolò Toppi,
ma anche dal poeta Federico
Valignani, narrano che venne fondata dai Pelasgi in
onore della ninfa Teti (dal
greco Thètis, Θετις).
Secondo
lo scrittore Girolamo Nicolino la nascita di Chieti risalirebbe al 1181 a.C,
mentre secondo Strabone,
la città sarebbe stata fondata dagli Arcadi e
inizialmente denominata Tegeate (Θηγεατη).
L'attuale
Chieti, chiamata dai romani Teate
Marrucinorum, fu riconosciuta da questi come la Capitale del
popolo dei Marrucini,
spostatisi dal villaggio di Touta Marouca presso Rapino (Ch)
nel colle della Civitella, in posizione strategica sulla via del tratturo, sul
mare, e sulla via Tiburtina Valeria. I Marrucini in seguito furono protagonisti
di duri scontri con Roma, conclusi nel 304 a.C. con
un trattato di pace chiesto dai Marrucini e altri alleati italici. Da quel
momento i Marrucini divennero alleati dei Romani, offrendo
loro appoggio militare in numerose battaglie della repubblica contro Pirro, i Galli cisalpini, Perseo di
Macedonia, Annibale e Asdrubale.
Teate
partecipò alla Guerra sociale per
il riconoscimento della cittadinanza romana a tutti gli Italici e dove perse la
vita, sconfitto da Gaio Mario,
il condottiero marrucino Asinio Herio, (la cui stirpe, trasferita a Roma, formò
la gens Asinia); inizialmente Asinio Herio per la sua condotta
antiromana provocò imbarazzo nella gens, riablitata col nipote Asinio Pollione,
e anche a Teate, come ricordano Camarra e Nucolino con la gens dei Vezii, il
cui membro più famoso, Marco Vezio Marcello, costruì i templi e il teatro. Roma
vinse la Guerra sociale ma concesse la cittadinanza a tutti i popoli italici.
Nel 91 a.C. Chieti
entrò definitivamente nell'orbita romana: fu eretta a municipio e urbanizzata,
secondo i canoni romani, divenne così uno dei principali centri economici della
regione, e arrivò a contare oltre 60 000 abitanti,
una popolazione considerevole per l'epoca. Fu arricchita delle strutture
proprie dei municipi romani con un foro, un teatro da cinquemila posti e circa
ottanta metri di diametro avente come sfondo il monte Gran Sasso
d'Italia (visibili tuttora resti di un pezzo di cavea),
un anfiteatro di medie dimensioni (60x40 metri) da quattromila posti
(restaurato, utilizzabile), un acquedotto con relative canalizzazioni anche
sotterranee e le terme, strutture ancora parzialmente visibili in vari stati di
conservazione e dotate di cisterna sotterranea a nove ambienti di grande
capacità e ottimamente conservate.
A
seguito del crollo dell'Impero romano,
Chieti tornò ad avere un ruolo predominante sotto la dominazione dei Longobardi che
la fecero gastaldato di dominio regio, finché
non fu distrutta da Pipino nell'801.
La
definitiva cesura storica fra la città antica e quella medievale, è
rappresentata dal Sacco dell'801, allorché la città, all’epoca prefettura di
castelli longobarda, difesa dal Conte Roselmo, fu data
alle fiamme.[10] In
seguito fu ricostruita, e divenne con i Franchi sede della Contea omonima;
essendo già sede di un "comes" dall'epoca longobarda, con la dinastia
franca degli Attoni, Chieti crebbe di prestigio, e annetté vari feudi e
terreni, formando già il nucleo embrionale dell'attuale provincia.
In
seguito, sotto il controllo dei conti normanni,
la città si risollevò e continuò a far valere il proprio ruolo locale anche
sotto la dominazione sveva,
sempre con il controllo degli Attoni, che si erano uniti nel frattempo ai
Trasmondi, alcuni dei quali anche duchi di Spoleto. Nel 1075 Chieti perse
momentaneamente il proprio potere nella battaglia di Ortona, tra Trasmondo III
conte di Chieti e Roberto il
Guiscardo, signore dei Normanni, sicché la contea di Chieti
passò alla neonata contea di
Loritello, affidata in controllo a Roberto di Bassavilla, conte
di Loretello.
Teate
nel 1084 venne
proclamata da Roberto il
Guiscardo capitale degli Abruzzi e subito consegnata a suo
nipote Drogone. Nell'ottobre
del 1097 papa Urbano II fu
ospite di Teate e vi predicò la crociata,
spronando i crociati alla conquista di Gerusalemme e alla
liberazione del Santo Sepolcro dal
dominio musulmano.[11] L'emblema
più antico di Teate, cioè lo scudo con la croce, come quello della
famiglia Valignani, deriva appunto dalla
consistente partecipazione alle crociate.
Nel 1227 Federico II confermò
al vescovo Bartolomeo il privilegio in perpetuo delle varie donazioni di
possedimenti precedentemente concesse nel 1195 da suo padre Enrico VI alla chiesa
teatina, dell'ampio territorio fluviale e boscoso intorno a Sambuceto, la decima del ponte
e del porto di Aterno,
il castello di Montesilvano e
la villa di Spoltore.
Così la città rimase fedele all'impero anche con Manfredi –
che vi dimorò nel Natale del 1255 salendo da Porta Napoli – e
con Corradino di
Svevia, legato da fraterna amicizia con il condottiero Simone da Chieti,
pure se alla morte di Federico II papa Innocenzo IV la
colmò di benefici per cercare di trarla a sé.[11][12];[13] Con
gli Angioini e
soprattutto con gli Aragonesi,
conobbe un ulteriore periodo di grande sviluppo e fu posta a capo di tutti gli
Abruzzi con diritto di battere moneta propria durante il governo dei
durazzeschi e poi di Alfonso I di Napoli; era stata già proclamata nel 1273
da Carlo I
d'Angiò città metropoli dell'Abruzzo Citeriore, dopo che
col diploma di
Alife il Giustizierato degli Abruzzi era stato
scorporato in due province, separate a nord e sud dal fiume Pescara. La titulatio di
città regia e capoluogo degli Abruzzi, concessa nel 1443 da re Alfonso V
d'Aragona, appare ancora sullo stemma della Città, e
recita: Theate Regia Metropolis utriusque Aprutinae Provinciae Princeps (Chieti
città regia e capoluogo di entrambe le province degli Abruzzi); pertanto Chieti
fu anche dotata di un parlamento, di una sede della regia udienza (che stava
dove si trova l'attuale Palazzo del Tribunale in piazza maggiore), e sede del
camerlengo regio.
Durante
il Medioevo giunse
nell'Abruzzo Citra la
nobile famiglia Valignani (o Valignano), casato di probabile origine normanna,
che acquistò varie micro-signorie nei pressi di Chieti, destinato ad avere un
ruolo di primo piano nel parlamento teatino e a influenzare la politica
cittadina dagli anni quaranta del XVI secolo fino
alla fine del XVII secolo,
anche grazie a un'accorta politica di alleanze con altri ambiziosi gruppi
famigliari insediati a Chieti, come i Tauldino, i Salaia, gli Enrici, i
Petrucci e i Ramignani[14].
Nel Seicento Chieti
assunse la conformazione urbanistica che fondamentalmente ancora oggi la
contraddistingue e che fu favorita dal potere ecclesiastico che in epoca
di Controriforma si
prodigò nella costruzione di imponenti edifici, tra cui il palazzo del
Seminario diocesano, che si aggiunsero ad altre importanti opere erette
principalmente il secolo prima (Torre arcivescovile, ammodernamento della cattedrale di San Giustino).
Nel
1646, a causa dei debiti di Filippo IV di
Spagna nei confronti di Ladislao IV
di Polonia, Chieti fu venduta a Ferdinando Caracciolo, duca di Castel di Sangro,
ma l'oligarchia patrizia
teatina si oppose e nel 1647 la città fu ricomprata e reintegrata nel demanio
regio[14].
Inoltre, a seguito dell'epidemia di peste del 1656,
la città vide ridurre drasticamente i cittadini eletti del Parlamento teatino,
i quali avevano il compito di eleggere il camerlengo e i magistrati, che erano
i principali addetti alla pubblica amministrazione.
Nella
seconda metà del XVIII secolo tornò
a svilupparsi un certo dinamismo, soprattutto culturale, che portò
all'istituzione di scuole e accademie (in questo periodo lo storico e
poeta Federico
Valignani fonda la nota Colonia Tegea) con
conseguente incremento dello sviluppo del patrimonio artistico, si ricorda il
rifacimento quasi totale di molte chiese, iniziato già nella metà del XVII
secolo (chiesa di Santa Chiara, di Santa Maria della Civitella, di San
Giovanni, della Santissima Trinità); dopo il terremoto dell'Aquila del 1703,
ci fu un ulteriore motivo per restaurare palazzi e chiese, e vennero rifatte in
stile barocco, chiamando maestranze lombardo-ticinesi, le chiese della Cattedrale,
di San Francesco al Corso, di San Domenico.
Nell'Ottocento ebbe
inizio l'occupazione francese (1799-1808) e nonostante il popolo teatino avesse
espresso posizioni antifrancesi, nel 1806 i francesi costituiscono la
città in piazzaforte, arricchendola di nuove strutture amministrative,
sconsacrando i principali conventi dei Celestini (allora dei Carmelitani), dei Paolotti,
dei Francescani, delle Clarisse, dei Cappuccini, degli Agostiniani, dei
Domenicani, questo ad esempio divenne sede della Prefettura di Chieti.
Nel
periodo risorgimentale e
in quello immediatamente successivo, molti teatini e abruzzesi (sia dell'Abruzzo Citeriore sia Ulteriore)
si unirono ai gruppi di resistenza agli invasori sabaudi (chiamati poi dai
Savoia "briganti")
e, di contro, altri teatini aderirono al processo per l'unificazione. Nel 1861 il re Vittorio Emanuele II entrò in città
proclamandone l'annessione al Regno d'Italia.
Da
quel momento Chieti seguì la storia dello Stato italiano. Dal momento
dell'unione di Chieti al nuovo regno, iniziò un periodo di lenta decadenza,
iniziato già con la costruzione della linea ferroviaria Pescara-Sulmona-Roma,
il cui tracciato non passava a Chieti alta, ma costeggiava la via Tiburtina
Valeria presso lo Scalo. Inoltre con il passare degli anni, e lo sviluppo
sociale-economico di Pescara,
iniziato con l'arrivo della ferrovia e la demolizione della vecchia fortezza
spagnola, e col conseguente aumento dei traffici commerciali, stando Pescara in
posizione nettamente più strategica, lungo la linea ferroviaria Adriatica,
presso il porto, e in zona pianeggiante per un facile sviluppo edilizio, Chieti
subì sempre di più gli effetti della nuova economica borghese, nonostante dal
punto di vista culturale e amministrativo, fu sempre la città principale
dell'area abruzzese.
Presso
la Corte d'Assise di Chieti, tra il 16 e il 24 marzo del 1926 si tenne il processo
Matteotti in cui vennero giudicati gli esecutori materiali
dell'omicidio del politico socialista Giacomo Matteotti avvenuto
il 10 giugno 1924. È
universalmente ritenuto che tale processo fu fortemente condizionato dalle
pressioni politiche fasciste al
fine di minimizzare le condanne ed evitare di risalire ai mandanti. Da allora
venne descritta come una città che non aveva il coraggio di indignarsi di
fronte alla farsa del processo dal il giornalista emiliano Alberto Maria
Perbellini, che coniò il termine città camomilla, mentre in tutta
Italia si pensò a Chieti come luogo remoto, isolato ed indolente, ideale per
manipolare i processi.
Nel
1927 ci fu la creazione dell'unico comune di Pescara,
unendo la vecchia Portanuova al nuovo centro di Castellammare
Adriatico; fu costituita anche l'omonima provincia, e il
territorio storico di Chieti fu privato di alcuni comuni a sud del tracciato
della via Tiburtina Valeria, fino a Popoli,
che faceva parte del territorio aquilano.
Nel 1940, dal 13 giugno al 10 novembre,
l'edificio dell'asilo infantile Principessa di Piemonte, venne trasformato nel
campo di concentramento di Chieti. Il campo ospitò fino a 29 internati
(prevalentemente francesi, inglesi ed ebrei), che dopo la chiusura vennero
trasferiti nei campi di Montechiarugolo, Casoli e Manfredonia.
Nel
corso della seconda
guerra mondiale Chieti, similmente ad altre città come Parigi, Roma, Firenze e Belgrado,
fu considerata città aperta,
grazie soprattutto alle richieste dell'arcivescovo di Chieti-Vasto Giuseppe Venturi con
la perdita di importanza strategico-militare del sito, con la parte più calda
del fronte spostata sull'asse tirrenico.
La
notte tra il 9 e il 10 settembre del 1943 presso palazzo Mezzanotte,
di fronte alla cattedrale di San Giustino, pernottarono il capo del
Governo Pietro
Badoglio, lo Stato Maggiore delle Forze Armate oltre a nobili
in fuga da Roma insieme con i reali (che però trascorsero la notte nel castello
di Crecchio di proprietà dei duchi di Bovino). Salvo il generale Badoglio
partito nottetempo per Pescara e lì imbarcatosi, tutti gli altri, famiglia
reale compresa di Vittorio
Emanuele III, la regina Elena,
il figlio Umberto II di
Savoia, si diressero il giorno successivo verso il porto di Ortona per
imbarcarsi alla volta della Puglia. I reali avevano optato di imbarcarsi a
Pescara ma la città, essendo stata già bombardata il 31 agosto, non era sicura,
inoltre per evitare disordini per un tal comportamento, si preferì pernottare
al castello ducale di Crecchio,
vicino a Chieti, e poi partire da Ortona.
Nel
1943/44 a Chieti trovarono accoglienza circa 100.000 profughi provenienti da
diverse zone dell'Abruzzo, soprattutto da Pescara, rasa quasi al suolo dai
bombardamenti alleati, da Spoltore, Francavilla
al Mare, Ortona, i
paesetti dell'hinterland teatino, ma anche da Foggia,
anch'essa duramente bombardata (la città contava all'epoca circa 30.000
abitanti, e si trovò in poco tempo completamente satura di sfollati). I
cittadini di Chieti, sebbene vessati da una drammatica situazione sociale,
economica, igienico-sanitaria e sempre con il terrore dei tedeschi a pochi
chilometri, non esitarono a prodigarsi, soprattutto con l’aiuto dei parroci
guidati dalla fervente tenacia dell’Arcivescovo Monsignor Giuseppe Venturi, per
dare asilo nelle proprie case e chiese agli sfollati; con il prolungarsi del
conflitto però si registreranno tensioni in città, e si verificarono episodi di
violenza, come scrisse Corrado Alvaro.
Per
questi fatti la città di Chieti è stata insignita di medaglia d'oro al merito
civile nell'anno 2018, per essere stata tra le “Città aperte” d’Italia e
d’Europa.
In allegato: la storia di Chieti.
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