Peppe Candeloro: il pittore e scultore di Lanciano
di Angelo Iocco
Peppe Candeloro |
Dopo gli studi d’arte da privatista, grazie anche all’amicizia con un architetto noto di Pescara, Candeloro potette diplomarsi e, negli anni ’60, insegnando preso il paese di Villa Santa Maria, per poi trasferirsi a Lanciano dove risiede tutt’ora, tentacolare cittadina della provincia di Chieti. È proprio a Villa Santa Maria che Candeloro sperimenta la sua arte pittorica, usando la tempera, dipingendo l’ex stazione ferroviaria, poi un trittico dedicato a Sant’Antonio abate per la parrocchia di San Nicola, poi trasferito nella chiesetta di Sant’Antonio, e successivamente a Lanciano le tele e gli affreschi soprattutto si susseguono l’uno dopo l’altro, alla ricerca di una identità, di un messaggio da fornire. Dal “Giudizio di Paride” al “Signor Rossi fa toilette” al “Grand Prix” al “Il mio Novecento”, l’evoluzione è sempre costante, e si percepisce immediatamente il rapporto del pittore con il soggetto o l’oggetto ritratto. Il classicismo è penetrante, evocativo, sempre presente, soprattutto da quando le figure iniziano ad avere quel tratto michelangiolesco indistinguibile; poiché Candeloro dichiarerà che la sua folgorazione con Michelangelo avvenne durante una visita alla Cappella Sistina, così come il pittore ebbe uno scatto a perfezionare la sua tecnica dell’affresco, dei volumi delle figure, dell’uso sapiente della prospettiva, guardando il cantiere dei nuovi affreschi sul transetto del convento di Sant’Antonio a Lanciano, che si stavano realizzando nella metà degli anni ’70. Vedendo una posa apparentemente normale, un santo posto di schiena, con il corpo leggermente curvato, ecco quell’immagine, quel dettaglio, aperse le porte al mondo al Maestro Peppe, lo riempì di energia creativa, sicché oggi le sue opere più impegnative riguardano il tema della Religione.
Come mai il tema della
Religione in un’epoca in cui sembra non esserci più spazio per la Fede, per la
noiosa, pedante, bacchettona e vecchia Chiesa? Proprio perché Candeloro con le
sue opere ha voluto ritornare come novello San Francesco alla radice della
questione, delle Sacre Scritture, all’asciuttezza e semplicità del messaggio da
comunicare. In una sua recente riflessione sul suo “Discorso della Montagna”,
che fece per la parrocchia di San Pietro a Lanciano, Candeloro afferma di
averlo sognato, e di aver riletto la Bibbia in maniera analitica. Parole
conosciutissime: “Beati Voi ecce cc”, eppure queste parole, se pronunciate,
lentamente, se ascoltate attentamente, con la mente sgombra, e senza il
pregiudizio che raffrena l’apertura delle orecchie e degli occhi, si capirà,
come Candeloro stesso ha sostenuto, che applicando questi consigli di Gesù,
puri e chiari, metà dei problemi del mondo svanirebbero con uno schiocco di
dita, nella concordia e nella felicità reciproca. E la potenza immensa,
portentosa, travolgente e così chiara, limpida e calda, lucente appunto, la si
vede nel Discorso della Montagna che Candeloro realizzò presso l’abside della
chiesa nuova del rione Cappuccini a Lanciano; un Cristo attorniato dalla luce,
che fluttua nello spazio dell’abside, lo l’ambiente non c’è, né la montagna, né
il suolo dove poggiare i piedi, l’attenzione è sull’essenziale, e l’essenziale
è Dio stesso fattosi in Cristo Signore, attorniato dagli Apostoli e dalla
fiumana di fedeli ai Suoi piedi, tra i quali anche alcuni amici confratelli del
Convento dei Cappuccini di San Bartolomeo, tra cui il caro Padre Lorenzo
Polidoro, da pochi anni trasferito presso il convento dei Cappuccini di
“Materdomini” a Chieti; e tra questi fedeli sono riconoscibili i tratti del
Candeloro, che in ogni pennellata, in ogni sguardo, tendono non un omaggio, ma
più che altro un dialogo di continuità al di fuori della critica e del tempo
con il suo caro Michelangelo, ora Michelangelo lo vediamo in un torso ruotato,
in un braccio sollevato, ora vediamo l’amore di Peppe Candeloro per il
rivoluzionario Papa Giovanni Paolo II presente nell’affresco, ora negli occhi
di un fedele vissuto 50 anni fa nel rione, immortalati oggi nel bellissimo
affresco. Candeloro del Discorso della Montagna realizzerà tante altre copie.
Sembra proprio che la
parrocchia di San Pietro sia la sua prediletta, visto che nel 2005 la abbellì
con altre opere, ossia due grandi piastre bronzee lavorate alla Pontificia
Fonderia Marinelli di Agnone, con del rame impiegato per i tratti sporgenti dei
soggetti rappresentati, ad esempio per le palpebre e gli zigomi, al fine di
risaltare meglio la luce, quando il sole di mattino bacia gli Apostoli di
Cristo, dato che tali piastre rettangolari, disposte ai lati del portale,
ritraggono la “Consegna delle Chiavi del Paradiso” e “La predica di San Paolo
ai fedeli”.
Questa chiesa fa parte
di un cosiddetto “percorso d’arte sacra Lancianese”, che inizia dal centro
storico, dalla chiesa di Santa Chiara e San Filippo Neri, e termina con la
nuova Parrocchia di Maria SSma delle Grazie di contrada Marcianese, seguendo la
direttrice del viale Cappuccini. Nella chiesa di Santa Chiara Candeloro fece un
omaggio alla secolare Processione del Giovedì e del Venerdì Santo, organizzata
dall’Arciconfraternita Morte e Orazione, esistente dal 1608, con la sfilata dei
confratelli incappucciati di nero e del Cireneo che porta a piedi scalzi la
croce di Cristo; in queste due tele collocate l’una di fronte all’altra, in
dialogo tra loro, in un tessuto connettivo “ombelicale” quasi come fece un
altro Michelangelo per la chiesa di Santa Maria del Popolo nella cappella
Cerasi, con la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo sulla
via di Damasco; qui abbiamo la Processione del Giovedì Santo con gli
Incappucciati neri per le vie di Lanciano, caratterizzate dalle torri
campanarie medievali, e la Processione dl Cristo morto con le Tre Marie dolenti.
Percorrendo la via dei
Cappuccini, incontriamo la chiesa di San Pietro con le opere citate, poi la
chiesa dei Cappuccini con una copia della Consegna delle Chiavi in terracotta.
Nella chiesa di San Pietro Candeloro realizzò anche le suggestive vetrate
policrome e tre affreschi per la cantoria, con il Diluvio Universale, la
Cacciata dal Paradiso, e la Natività, interesse qui notare la figura sgomenta
di San Giuseppe, stile “L’Urlo” di Munch, perché San Giuseppe già sapeva delle
atroci pene che avrebbe sofferto suo Figlio, e della triste morte dolorosa cui
sarebbe andato incontro per salvarci dal peccato. Qui sta tutta la potenza di
Candeloro, non nel voler sconvolgere gli schemi della Chiesa Cattolica con
l’affresco o con la terracotta, ma il voler
mostrare la Verità del Verbo così come è, senza pudore, e senza
inibizione, poiché come dicono le Sacre Scritture stesse, il messaggio non va
accomodato o ingentilito, ma la Parola di Dio per mezzo di Gesù va applicata e
ripetuta così come è. E l’arte per Candeloro in questo contesto è ciò, parlare
al popolo, ma schiettamente, tanto che spesso Candeloro si è domandato su come
mai la potenza evocativa del Discorso della Montagna, spesso nelle omelie e
nelle prediche in chiesa, non venisse adeguatamente approfondita o citata.
Forse appunto per la sua schiettezza, e per il fatto che come disse Cristo “chi
è senza peccato scagli la prima pietra”?
Andando avanti in
contrada Marcianese abbiamo la chiesetta ottocentesca della Madonna delle
Grazie, interamente affrescata negli interni con scene del Nuovo Testamento e
della Vita di Cristo, opera sempre commissionata al Candeloro dall’amico Padre
Lorenzo, e infine la nuova parrocchia di Marcianese, con il grande e potente
affresco della “Ianua Coeli”, la Madonna ritratta quasi in forme bizantine, in
termini di “theotokos”, assunta in Cielo, Regina dei Cieli e dunque anche dello
spazio del dipinto e dei fedeli ai suoi piedi e ai suoi fianchi, ma una
“theotokos” non inibitoria e sovrana come nell’arte antica bizantina e
romanica, piuttosto una grandezza benefica, che ti avvolge, come in una
“candida rosa”.
Il Maestro oltre a
essere un artista era soprattutto un uomo, un uomo che aveva la visione di una
scuola semplice, e una scuola volta soprattutto al fare, piuttosto che essere
veicolata all’immagazzinar nozioni nelle menti dei ragazzi; e i risultati si
sono visti, oltre a promuovere visite e valorizzazioni culturali nel centro
storico di Lanciano, che proprio negli anni ’70 vedeva il suo declino per lo
sviluppo di nuovi quartieri residenziali, Candeloro fece esperimentare a gruppi
di classi della scuola media “Umberto I” la tecnica della pittura murale,
suddividendo le classi in gruppi, facendoli salire su impalcature, e facendo
pittare loro, con disegni a scelta, che ispirassero le loro menti e i loro
animi, l’intera parete laterale della scuola media, che ancora oggi si può
ammirare, con i disegni della Colomba dello Spirito Santo, del Discobolo di
Mirone, della Cattedrale della Madonna del Ponte con i donativi delle contrade,
insomma scene varie, che esprimessero le sensazioni e i sentimenti dei
fanciulli; e il Maestro tenne nella sua carriera diversi laboratori d’arte,
facendo esperimentare i ragazzi la tecnica della scultura, dell’affresco,
dell’intaglio ecc. Il percorso figurativo degli affreschi dell’Umberto I
rappresentano un itinerario di viaggio nella storia e nel centro antico di
Lanciano, da Porta San Biagio, passando il rione Lanciano vecchio,
attraversando la piazza con la Cattedrale fino a risalire il rione Borgo per il
viale Cappuccini; non a caso Candeloro fece lavorare i ragazzi delle scuole medie
ad altri progetti di valorizzazione del patrimonio storico lancianese,
disegnando delle guide per i turisti e i visitatori occasionali, in modo da far
conoscere molto di più della città oltre al già noto Miracolo eucaristico.
Così come Candeloro si
appassionò assi alla scultura figulina e all’arte del presepio, che vanta una
lunga tradizione in Abruzzo, e soprattutto a Lanciano e dintorni, basta solo
guardare il quartiere Lancianovecchio sulla via Panoramica per rendersi conto
di avere un presepe solamente da imitare o da reinterpretare con l’arte della
mano!
L’amore enorme del
Maestro Candeloro per l’arte ha ottenuto il giusto compenso, con una bellissima
recensione nel 1988 di uno sconosciuto critico d’arte dal nickname “Marpanoza”,
che solo dopo la sua recente scomparsa nel 2020 si scoprirà essere niente di
meno che il famoso Philippe Daverio! Daverio aveva notato la bravura e
l’originalità, quel quid essenziale, in Peppe Candeloro, e lo aveva scritto in
una recensione bellissima, riportata nel libro “Peppe Candeloro. L’arte, la mia
vita”, Nuova Gutemberg, Lanciano 2019.
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