"Vasto: Zampogna e ciaramella". |
Per lungo tempo ignorati dalla cultura musicale italiana, e abruzzese in particolare, gli zampognari furono considerati e spesso esaltati con un alone di leggenda da scrittori, poeti, pittori e musicisti stranieri. Per coloro che non temevano di avventurarsi in Abruzzo, terra percepita come aspra, con montagne selvagge e pericolosa per la presenza di briganti, era possibile imbattersi nei pifferari – come li chiamavano – a Roma, dove arrivavano da tempo immemorabile nel periodo che precedeva il Natale, come pure a Napoli o in altre città.
Le condizioni dei pastori sono state sempre miserabili. Chi aveva un orecchio musicale, anche se analfabeta, apprendeva dal padre o dal nonno a suonare la zampogna, dando continuità ad un repertorio tramandato di generazione in generazione, cogliendo l’opportunità di integrare le magre entrate con offerte in denaro o in natura. La zampogna era costruita dallo stesso pastore, di cui era malinconica compagna nelle ore di solitudine trascorse nella vigilanza del gregge. Nel 1870 dopo l’acquisizione dello stato pontificio al Regno d’Italia misure di sicurezza impedirono l’accesso a Roma dei pifferari, per il rischio che potessero tra loro nascondersi dei briganti. Negli stessi anni venivano soppresse le leggi che imponevano il pascolo forzato sul Tavoliere. Entrò in crisi l’economia pastorale dell’Abruzzo e di conseguenza anche gli zampognari furono costretti ad emigrare, lasciando i loro paesi. Non a caso una zampogna appartenuta ad un emigrante abruzzese si trova da tempo esposta in un museo della città americana di Pittsburgh. Un vero e proprio esodo, che ha decimato le aree interne.
"Vasto: Zampogna e ciaramella", fine '800. Foto di Giuseppe De Guglielmo (nipote di Filippo Palizzi). |
La letteratura romantica ha costruito l’immagine dello zampognaro vagabondo, musico di piazza, metà pastore, metà mendicante, secondo uno stereotipo consolidato che ancora resiste. Ma, al di là dei luoghi comuni e della oleografia natalizia, oggi, è il caso di chiedersi chi sia lo zampognaro, come viva, e quali siano le motivazioni che lo spingono a utilizzare uno strumento popolare così antico. Innanzi tutto occorre puntualizzare che qualunque sia il livello tecnico raggiunto nell’uso di questo strumento o le ragioni che hanno indotto questa scelta etnomusicale, lo zampognaro è sempre figlio di una cultura popolare precisa che ha espresso, e ancora esprime, i suoi sentimenti attraverso una musica, a torto, ritenuta minore.
La zampogna è formata da delle canne inserite in un otre di pelle che costituisce il serbatoio dell’aria. In quanto strumento di ambiente pastorale, l’otre della zampogna è fatto in genere di pelle di capretto. L'insufflatore permette al suonatore di immettere il fiato dentro l'otre, che lo distribuisce in modo costante nelle altre canne, tramite la pressione che il pastore esercita con l’avambraccio sull'otre stesso. Oggi l'impiego della zampogna e degli zampognari in ambito rurale (per processioni, rituali, feste e balli) è ancora praticato anche in Abruzzo. In ambiente urbano la zampogna da pastori viene associata immediatamente al Natale, perché di fatto la zampogna nei grandi centri urbani si usa solo nel periodo natalizio, quando i pastori della montagna scendono in città, e percorrendo le vie cittadine, in abiti tipici, suonando con le loro zampogne motivi natalizi tradizionali – come “Tu scendi dalle stelle” – per ricevere offerte dai passanti. Generalmente gli zampognari suonano in coppia, uno la zampogna vera e propria ed un altro la ciaramella o altri strumenti a fiato.
La "coppia" di zampognari rappresenta anche una presenza fissa del presepe dove generalmente trova posto nelle immediate vicinanze della "capanna" o "grotta" della Sacra Famiglia.
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