di Elisabetta Mancinelli
L’11 novembre si festeggia San Martino ma l’origine del suo culto mostra aspetti ancora misteriosi e complessi. Nella tradizione pagana Martino non ha niente a che fare con il Santo vescovo di Tours , venerato dalla chiesa buono e generoso che fece dono di un pezzo del suo mantello ad un mendicante nudo, ma è una figura che ricalca antiche divinità carracine, Ercole e Bacco che nella mitologia classica venne ucciso e dalla sua bocca spuntò una vite.
La commistione tra pagano e cristiano ha portato dunque a una tradizione che celebra le gesta miracolose di Martino, ma non disdegna la sua natura precedente che lo vuole protettore dell’abbondanza delle messi e del vino. Ecco perché alle feste di novembre a lui dedicate spesso si associano veri e propri baccanali che affondano le radici negli antichi culti pagani della fertilità.
Le leggende di San Martino
Diverse sono le leggende che riguardano la figura di San Martino. Una delle leggende pagane narra che Martino, prima di essere un santo fosse un ubriacone. Una sera in cui aveva bevuto più del solito e faceva molto freddo, decise di non svegliare la moglie incinta e di coricarsi in cantina. Qui però morì a causa del gelo. Il Signore ebbe pietà di quell’anima che aveva fatto quel gesto di cortesia verso la moglie e decise di farlo santo. Nel frattempo la moglie, che non aveva avuto più notizie del marito, si accorse che in una delle botti in cantina il vino si moltiplicava anche dopo essere stato spillato. Chiamato il parroco, scoprì il corpo del marito e una vite che gli usciva dalla bocca ed entrava nella botte.
La vite che produceva l’uva e il vino fu decretata miracolosa e Martino divenne il santo patrono del vino. Ma vi è un’altra leggenda analoga che racconta di un Martino , soldato romano , che inseguito dai nemici, venne nascosto da un contadino in una botte vuota della sua cantina , dove, essendo scesi gli sbirri a cercarlo, avvenne il miracolo. Le botti che erano tutte vuote risultarono piene e gli inseguitori bevvero fino ad accasciarsi al terreno dando modo a Martino di fuggire tranquillamente.
Queste leggende spiegherebbero perché il santo è protettore del vino e nel giorno della sua festa si spillano le botti. La leggenda classica, legata alla cristianità, narra invece che, in un freddo giorno d'inverno, un ufficiale romano mentre attraversa, ritto sul suo cavallo, la porta della città di Amiens, vede un mendicante e si impressiona molto perché questi era nudo. Nessuno fino ad allora aveva avuto pietà di lui, nessuno gli aveva dato qualcosa con cui potesse difendersi dal freddo. Il cavaliere pensò tra sé e sé: se questo povero sta seduto proprio qui ora, non è un caso. Io passo di qui proprio adesso per poterlo aiutare.
E Martino, così si chiamava l'ufficiale, decise subito, prese la spada e dato che non aveva null'altro, tagliò in due il suo mantello e ne diede una metà all'uomo che stava gelando. Poi si riavvolse nella metà che gli rimaneva e rapidamente riprese la sua strada. Ma nella notte successiva fece un sogno: gli apparve Gesù vestito con un pezzo del mantello che lui aveva donato al mendicante. La visione non lo abbandona e trasforma la sua vita. Il giorno dopo, nel suo diciottesimo anno, egli chiede il battesimo e diventa cristiano. Subito abbandona definitivamente il servizio delle armi e dedica la sua vita all'amore di Cristo.
Così Martino si fece monaco nei pressi della città di Tours e da allora si adoperò per la propagazione del Cristianesimo nella popolazione delle Gallie, facendo molti viaggi per predicarlo nella Francia centrale ed occidentale, soprattutto nelle aree rurali. Nel corso di questa opera egli divenne estremamente popolare, e nel 371 d.C. fu nominato vescovo di Tours. Qui la leggenda racconta che dapprima egli, modesto come era, era riluttante a assumere questa carica, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche. Ma il rumore fatto da queste rivelò il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando per farlo vescovo. Pare che da questo fatto sia venuta l’usanza, molto diffusa anche nella nostra campagna, di festeggiare la ricorrenza di San Martino l’11 novembre con un pranzo a base di arrosto di oca.
Feste in onore di San Martino
PROCESSIONE DELLE ‘NDORCE’ ad Atessa
Ad Atessa, dove ebbe i natali san Martino eremita; il suo culto è ancora molto sentito e nella Chiesa di San Leucio si conserva una costola del Santo. La festa in suo onore si celebra con la tipica “processione delle ‘ndorce’” (torce di cera vergine d’api) caratterizzata da gesti propiziatori fatti con le pietre, che vengono prelevate dai campi per curare le coliche, oppure da riti di strofinamento sulle rocce, sempre a scopo terapeutico.
Per tre volte nel mese più scarso di precipitazioni, i contadini di Atessa organizzano una processione propiziatoria per invocare da San Martino eremita la caduta della pioggia. Il pellegrinaggio nasce da una antica leggenda secondo cui una statua del santo, situata a San Salvatore a Maiella, rotolò fino al fiume in seguito ad una tempesta di vento. Da qui, galleggiando sull’acqua, arrivò intatta, vicino ad Atessa, dove gli abitanti del paese la collocarono nella loro chiesa principale. Dopo solenni festeggiamenti, indetti in onore del Santo, la statua scomparve.
Fu ritrovata di nuovo a Fara San Martino e dopo aver tentato per tre volte di riportarla ad Atessa, fu deciso di lasciare la statua sul posto e di andarvi ogni anno in pellegrinaggio, portando in dono le primizie dei campi e una grande torcia votiva, la’ ndorcia per l’appunto, ottenuta legando intorno ad un grosso cero, quattro candele minori. Dopo aver assistito alla messa i pellegrini della ’Ndorcia’ escono devotamente dalla chiesa di San Leucio e si avviano verso la montagna. Dopo ore di marcia, risalendo le valli del Sangro, dell’Aventino e poi del Verde, i pellegrini della ’Ndorcia giungono a Fara San Martino dove visitano la chiesa di San Pietro e vi lasciano due fasci di spighe e due candele. Quindi risalgono verso lo stretto e una volta giunti tra i resti dell’antico monastero depongono le altre due ’ndorce’ nella grotta in cui visse in penitenza il Santo.
“LA PROCESSIONE DEI CORNUTI” a San Valentino
L’origine di questa festa è sicuramente molto antica, le testimonianze, fino ad oggi reperite, sono sicuramente antecedenti alla metà del 1800. Tuttavia un’ analisi antropologica della cerimonia e una serie di leggende tramandate, presuppongono radici molto più arcaiche. La sua festa , nel Calendario della Chiesa Cattolica, cadeva nel periodo in cui anticamente si svolgevano rituali tesi a propiziare l'abbondanza e la fertilità. La sera del dieci novembre, vigilia della Festa di San Martino, a S. Valentino in Abruzzo Citeriore si svolge una particolarissima cerimonia chiamata “Processione dei Cornuti”. Gli elementi caratterizzanti di questa “Processione” sono due: le Corna e la così detta “Reliquia”. Le corna sono rappresentate sotto varie forme che vanno dai classici due peperoncini rossi, alle corna di animali, di vacca, di capra, di cervo.
La Reliquia invece, che è il simbolo portante della cerimonia, consiste in un “Fallo” di legno coperto da un velo. Ad una certa ora la sera sfila la processione i cui partecipanti sfoggiano varie “corna” portate sul cappello, o montate su aste e addobbate in vari modi, nel caso delle corna di animali. L’ultimo degli sposati dell’anno precedente porta la “Reliquia” accompagnato da candele accese e campane. Il corteo parte dalla piazza di San Nicola nel centro storico dell’antica “ Castrum Petrae” ed entra nel paese fra vicoli stretti arrivati a Piazza avviene la “Consegna”. Questo è il momento culminante e caratteristico della festa che non trova riscontri in nessun altra località. Il corteo percorre tutto il paese accompagnato da suonatori di organetto, tamburi, tamburello e strumenti vari, si cantano canzoni e fino a non molti anni fa erano previste anche varie soste davanti alle case di coloro che avevano la fama di essere “cornuti”.
Le Glorie di San Martino a Scanno (AQ)
Sembra che la festa cristiana di San Martino si sia sviluppata a partire da retaggi culturali remotissimi, che potrebbero risalire ai Celti. Originariamente la festa si svolgeva solo sulle alture di Cardella, soprattutto dinanzi alla grotta di San Martino, in contrada Decontra luogo in cui, secondo la leggenda, si veri ficarono presenze miracolose del Santo che si sarebbe rifugiato nelle cavità della montagna.
L’11 novembre il paese, già dalle prime ore del pomeriggio, si anima di raccoglitori di legna che viene accatastata e stretta in alti "palanconi" che superano spesso i 20 metri. L’ usanza delle glorie, enormi “fuochi” che caratterizzano la festa scannese, si vuole collegata a un episodio locale del 1423 , anno in cui giunse a Scanno San Bernardino da Siena che riuscì a far cessare le accese rivalità della cittadina con i paesi vicini; come simbolo di pace venne acceso un grande falò di fronte alla chiesa di San Rocco. Attorno alle Glorie si vive un’atmosfera di grande allegria. Si improvvisano canti, balli, abbondanti libagioni.
I rioni gareggiano cercando di far ardere meglio e più a lungo degli altri la propria Gloria. Appositi inneschi fanno in modo che il fuoco avvolga simultaneamente l’intera struttura; ne risultano falò così luminosi da rischiarare a distanza il paese. I ragazzi si tingono il viso con il nero della fuliggine prima di iniziare a ballare e cantare intorno al fuoco agitando grossi campanacci . La tradizione voleva che, terminata la grande baldoria, il "palancone" bruciato venisse consegnato alla sposa novella in cambio di vino e dolci.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli
e-mail: mancinellielisabetta@gmail.com
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato, le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci
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