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9 giugno 2023

10 aprile 2023

Francesco Paolo Michetti, “Chieti: La processione del Venerdì Santo”, 1895.

Francesco Paolo Michetti, “La processione del Venerdì Santo”, 1895,
 Museo di Capodimonte, Napoli.


 

Francesco Paolo Michetti, (Tocco da Casauria, 2 ottobre 1851 – Francavilla al Mare, 5 marzo 1929)
“La processione del Venerdì Santo”, 1895
Museo di Capodimonte, Napoli.

23 novembre 2022

Vittorio Pepe, lo “Strauss d’Abruzzo”.

Vittorio Pepe, lo “Strauss d’Abruzzo”
di Elisabetta Mancinelli


Soprannominato lo “Strauss d’Abruzzo” , Vittorio Pepe musicista e compositore pescarese visse ed operò tra l’800 e il ‘900, e fu molto stimato da Tosti e da D’Annunzio che lo introdusse nel Cenacolo : sodalizio artistico francavillese.
Entrato nella storia e nella ricerca artistica e musicale pescarese e nazionale fu molto noto ed apprezzato tra l’ultimo ventennio dell’800 e il primo ventennio del ‘900.
Musicista prolifico, ma troppo appartato, fu dimenticato dalla critica. Ma una circostanza che ha contribuito in modo decisivo a spingerlo nell’oblio, fu la distruzione dei suoi documenti e delle sue carte persi con il crollo della sua abitazione durante il bombardamento di Pescara.
E’ difficile pertanto ricostruire la sua biografia e anche il catalogo delle sue opere e i pochi documenti che si posseggono solo lettere del Vate e altri carteggi con amici e persone che ebbero modo di conoscerlo e apprezzarlo.
LA VITA
Nacque a Pescara il 23 luglio 1963 da Giuseppe e da Rachele Carabba e fu battezzato nella chiesa di San Cetteo.
La sua abitazione era nei pressi del Circolo Aternino, in Piazza Grande (oggi Piazza Garibaldi) probabilmente al numero civico 28. La sua famiglia era socialmente ed economicamente fra le prime della piccola Pescara, che a quei tempi contava all’incirca poco meno di 4000 abitanti ed era un comune distinto da quello sito nella riva sinistra del fiume, Castellammare Adriatico.
Vittorio era uno dei più amati compagni di Gabriele D’Annunzio, col quale scherzava e giocava sui bastioni dell’Arsenale, sulle sponde del fiume e alla Pineta.
                            la scuola elementare che frequentò con G. D’Annunzio


Aveva mostrato temperamento musicale già durante la frequentazione dell’asilo-scuola delle sorelle Del Gado e il ciclo delle elementari con i maestri Eliseo Morico e Giovanni Sisti. 
Ma terminato il ciclo scolastico, le strade dei due ragazzini si divisero: D’Annunzio partiva per il collegio Cicognini di Prato mentre il dodicenne Pepe, che aveva preso ad esercitarsi con la vecchia spinetta di casa, veniva iscritto al Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli. Frequentò un ambiente pianistico composto da docenti di chiara fama: Costantino Palumbo per il pianoforte e Nicola D’Arienzo per la composizione.
Si diplomò nell’estate del 1885 e lo stesso D’Annunzio ne dette pubblica notizia sul giornale “La Tribuna” del 12 Agosto inserendo l’evento in una cronaca mondana di Pescara. Entusiastici furono i successivi commenti del Vate sulla sua iniziale produzione artistica, intensa ed apprezzata anche da esperti musicologi.I suoi brani pianistici sono di fattura elegante e squisita e le sue numerose composizioni musicali rivelano originalità, sensibilità, fantasia.
Dell’ ingresso” fra gli eletti” del Cenacolo Michettiano, a fianco di Francesco Paolo Tosti si ha notizia da un articolo pubblicato sulla “Tribuna” del 28 luglio del 1887 in cui l’autore Bottom scrive : “ora egli studia e lavora nel cenacolo di Francavilla , in compagnia di Michetti al cospetto del mare”. La frequentazione del Convento era iniziata quando ancora era studente , e proseguì anche dopo, come testimonia una lettera che Pepe il 6 ottobre 1883 inviò al musicista e pittore Paolo De Cecco in cui appare insofferente dell’ambiente pescarese che “gli fiacca e gli sfibra il cervello” anche se poi finirà con lo scegliere di rimanere proprio lì. 
TRA MILANO E PESCARA
Riguardo il suo soggiorno a Milano si hanno pochi elementi ma sufficienti per affermare che Pepe ebbe rapporti con Ricordi che probabilmente gli fu presentato da Tosti e conobbe e frequentò esponenti del mondo musicale di cui non volle far parte in modo stabile.
Non ci sono testimonianze documentabili che ci dicano della durata del suo soggiorno nella capitale lombarda né i motivi dell’interruzione pare abbastanza repentina dei rapporti con Ricordi.
Probabilmente durò circa un anno poi, preferì “eclissarsi in Abruzzo”.
D’Annunzio, conoscendo bene la natura dell’amico, in questo periodo gli scrisse in una lettera “…Tu, che sei una natura così signorilmente squisita di artista, tu farai molto, andrai molto avanti. Getta via lungi da te tutti i timori, tutte le timidezze, tutte le esitazioni: sii audace, sempre audace, non ti stancare mai di cercare, di tentare di provare. La via dell’arte è lunga e scabra ed erta: per salirla ci vogliono lombi armati di valore. Tu hai una intelligenza fine ed una cultura non comune; ti manca lo spirito irrequieto delle imprese.”

Spirito inquieto il musicista maturò quindi la decisione di lasciare Milano per rifugiarsi in Abruzzo nella tranquillità di una vita prettamente provinciale.
Non possiamo dire con precisione se questa decisione del Pepe sia stata determinata da quella debolezza di carattere che D’Annunzio gli rimprovera quando incita l’amico ad imboccare risolutamente la via della gloria ed a lavorare con perseveranza.

Rinunciò alla professione di concertista e si dedicò all’insegnamento privato di Pianoforte, composizione e armonia a Chieti e a Pescara. Scorre ordinata e tranquilla la sua vita Pescara non solo vi insegna ma frequenta lo studio fotografico del cugino Cetteo e molti amici.
Si racconta anche che si sarebbe fidanzato con una ragazza della città a cui dedica anche una composizione ma la relazione non si concluderà con il matrimonio.
Furono suoi allievi Michele Muzi di cui rimane una “Lady Godiva”e Cristo Sorrentino noto come l’anima musicale delle “Settembrate Abruzzesi” e da lui apprendiamo che Pepe era molto amato dai suoi allievi.
Severo ed esigente chiedeva che il discente si dedicasse tutto alla musica e non ammetteva distrazioni.
LE COMPOSIZIONI
Autore prolifico compose musica sinfonica, musica per orchestra e da camera raffinata tanto gradita a D’Annunzio che aveva dichiarato di odiare la musica bandistica a cui Pepe si dedicò piuttosto intensamente. Rimangono di essa solo tre pezzi superstiti allo stato attuale: una mazurca “Pescara”, una marcia “Defilè alla pineta” e una polka “Sempre carina”.
Le composizioni tecnicamente discutibili secondo la critica, per l’incerta strumentazione non difettano certamente nell’ispirazione musicale. Erano belle, avevano successo e piacevano al pubblico che non si accorgeva di una presunta non raffinata strumentazione.
Una composizione “La Polka del Fezio” ebbe un particolare successo e divenne un classico delle bande : lo conosciamo non dallo spartito che è andato perduto, ma da un articolo pubblicato da un giornale di Chieti “Il Fezio” La natura delle sue composizioni da quel momento si adattò alle esigenze e all’influenza dell’ambiente locale.
Non più sinfonie per grandi orchestre, ma musiche per bande, romanze, serenate e ballabili. Saranno proprio questi ultimi a procurargli la definizione di “Strauss d’Abruzzo”.
Popolarissimi furono il tango “La musica del Parrozzo” e il famoso “Trittico di balli” che aveva entusiasmato tutti come si evince da una cartolina che lo stesso Pepe scrive ad un suo amico di Chieti l’avvocato Rosica. E ancora “Fox trot sensuale “L’One stop della nostalgia” e i valzer per pianoforte “Abruzzo forte e gentile”, “Posillipo” , “Mergellina” e “Zingaresca” che D’Annunzio definisce“ un po’ scarlattiana di fattura elegantissima ... con un vivace ritmo di danza”.
Anche “Duetto d’amore” composizione su tre gavotte: dodici romanze raccolte in un album fu giudicata positivamente dal Vate che la definisce “..meno originale , forse della Zingaresca , ma più affascinante”. Il maestro Antonio Piovano ha recuperato varie composizione pianistiche di Pepe sono da lui ritenute di grande musicalità , e con un certo impegno strumentale. Da questo filone popolaresco e da musiche di carattere pubblicitario, cominciò a trarre una buona fonte di guadagno. 
IL DECLINO
La sua fortuna declinò intorno agli anni trenta perchè ritenuto non più musicista di moda. Sorpassato venne considerato anche il suo metodo d’insegnamento. La critica si dimenticò ben presto del musicista così da rendere difficile anche la ricostruzione del catalogo delle sue opere. A questo bisogna aggiungere che i suoi documenti e le sue carte vennero completamente perse a causa del crollo della sua abitazione rendendo ancora più difficile la redazione precisa della sua biografia.
Ormai isolato nell’ambiente di Pescara, il pianista moriva a 80 anni durante l’ultimo dei bombardamenti della seconda guerra mondiale l’8 dicembre del 1943 nella sua ultima dimora di Via V. Colonna, quando una bomba centrò in pieno la sua casa seppellendolo sotto le macerie. Il suo corpo fu rinvenuto solo un anno dopo con la rimozione delle macerie.
A lui è stata dedicata  la via che costeggia lo stadio della città.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato di Pescara, da “ Un musicista di Pescara amico di D’Annunzio: Vittorio Pepe” di Mario Lupinetti, le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci   






9 novembre 2022

Francesco Paolo Michetti, Il voto, 1881-83.

Francesco Paolo Michetti,“Il voto”.












Francesco Paolo Michetti, (Tocco da Casauria, 1851 – Francavilla al Mare, 1929)
“Il voto”, (1881-83)
Olio su tela, 
cm 245 x 695 
Galleria Nazionale d' Arte Moderna – Palazzo delle Belle Arti, Roma.


Il voto, celeberrima e imponente tela (7 metri di lunghezza per 2.50 di altezza) fu eseguita da Michetti fra il 1881 e il 1883, anno in cui fu presentata all'Esposizione internazionale di Belle Arti di Roma. Raffigura la processione di San Pantaleone, patrono del paese di Miglianico in Abruzzo, in occasione della festa dedicata al santo il 27 luglio. Qui i fedeli, all'interno della chiesa, assistevano al rituale voto penitenziale che consisteva nel leccare il pavimento dal sagrato fino alla statua del santo. Il pittore crea la rappresentazione di una scena d'interno altamente drammatica, in cui raffigura, tra il fumo degli incensi, i costumi variopinti dei fedeli, in una grande varietà di gesti e di espressioni, concentrandosi sui particolari dei pellegrini striscianti verso il busto del Santo. L'artista abruzzese affrontava ora in un formato monumentale da vero e proprio 'quadro di storia' un soggetto di fanatismo religioso popolare, improntato a un crudo realismo e allineato alle tendenze letterarie e figurative del movimento verista che in quegli anni si veniva affermando in Italia con Verga, Patini e D'Orsi, superando gli "idilli pastorali" cui fino ad allora si era dedicato con successo. La tela suscitò un vivace dibattito fra gli artisti e i critici per l'elemento di reale novità nel panorama artistico contemporaneo, ancora dominato da un'arte accademica ufficiale. Tra i detrattori che accusavano Michetti di tradire gli ideali del verismo c'erano Cecioni in primis, ma anche, più moderatamente, Nino Costa per il 'non finito' (scritta vergata sulla tela da Michetti, ora non più visibile), e Camillo Boito, mentre dall'altro lato il dipinto suscitava l'entusiasmo del giovane Sartorio, di D'Annunzio (D'Annunzio 1883) e del critico Netti che subiva la potente fascinazione del tema 'barbarico' (" dei contadini e delle contadine, per sciogliere un voto fatto, leccano il pavimento sporco di polvere e fango, strisciando come rettili fino al busto d'argento del santo") e insieme della pittura "rude che sente il terriccio del paesetto (…) senza concessione alle grazie e nessuna adulazione di pubblico" (Netti 1883, in Netti 1980, p. 218). Si elogiava dunque proprio la capacità di fusione del pittore degli aspetti più propriamente realistici e popolari con un idealismo religioso e sentimentale che in certo modo continuava e completava l'opera della natura. Che Michetti fosse sinceramente interessato a rendere in modo analitico e realistico il "vero" lo prova l'attento studio del soggetto realizzato con un'approfondita ricerca documentaria e l'ausilio della macchina fotografica (Miraglia 1975). L'amico D'Annunzio, verosimilmente suo compagno di viaggio durante quei sopralluoghi, dedicò all'opera un lungo articolo sul "Fanfulla della Domenica", e si ispirò al medesimo tema per il racconto San Pantaleone (1886), incluso nelle Novelle della Pescara con il titolo "Gli idolatri" (Sillani 1932, p. 72). Nonostante le polemiche, il successo ottenuto alla mostra romana consente al pittore di vendere Il voto al ministero della Pubblica Istruzione per ben 40.000 lire. Grazie alla cospicua somma Michetti acquista un antico convento quattrocentesco a Francavilla a Mare, dove stabilisce la sua residenza creandovi un vero e proprio cenacolo con un gruppo di giovani artisti attratti dalla sua carismatica personalita', tra cui lo scultore Costantino Barbella, il compositore Francesco Paolo Tosti e il giovane Gabriele D'Annunzio. Il dipinto - fra le acquisizioni di maggior rilievo, seppure non priva di contestazioni, nel primo nucleo costitutivo delle raccolte museali del 1883 (Piantoni 1990b) - rappresenta una delle opere principali nell'ambito delle collezioni del secondo Ottocento della Galleria. Dodici pastelli misti a tempera - entrati nelle collezioni di grafica della Galleria soltanto nel 1922, sebbene ne fosse stato proposto l'acquisto già nel 1883 addirittura privilegiando questi studi rispetto allo stesso dipinto - documentano il lungo e impegnativo studio svolto dall'artista sul vero per la realizzazione del Voto.

6 novembre 2022

Nino Saraceni, un cantore frizzante delle Maggiolate ortonesi.

Canti nel disco 45 giri

Nino Saraceni, un cantore frizzante delle Maggiolate ortonesi

di Angelo Iocco

Il Saraceni nacque a Fossacesia nel 1894 e vi morì nel 1970. Giovanissimo si appassionò all’attività poetica, e colse l’occasione, come molti altri poeti della zona, per concorrere alle gare canore della Maggiolata di Ortona, nata nel 1920. Saraceni vi iniziò a partecipare nel biennio 1922-23, rimanendo un ospite fisso per quasi tutte le edizioni, salvo la parentesi della seconda guerra mondiale, fino alla morte. La passione per il verso facile, scherzoso, gioco, come non dimenticare i suoi due capolavori A lu cannete e Mi te’ sete su musica di Antonio Di Jorio. 

A lu cannete

Il Poeta riuscirà a vedere inoltre queste due canzoni registrate su 45 giri dal M° Fernando d’Onofrio di Pescara con il suo Coro De Nardis, nel 1965, e qualche anno dopo eseguì la canzone A li culle di Piscare, ancora oggi cantata con festosità nelle Settembrate abruzzesi pescaresi, per cui la canzone stessa fu composta. Tornando alle Maggiolate, Saraceni strinse un forte sodalizio con due musicisti di fiducia, Attilio Fuggetta di Sulmona, che fu trasferito a Lanciano come capostazione, e Ettore Montanaro di Francavilla al mare, l’immortale raccoglitore dei Canti popolari d’Abruzzo in 2 volumi, e compositore di varie e arie e canzoni, anche in lingua. Ancora oggi risuonano le note de Lu ‘ndruvarelle, talmente veloci che pare di guardare e ascoltare il rumore del fuso della signora che tesse, oppure la melanconica Vaje luntane ovvero L’emigrante, scritta per la Maggiolata del 1930 con musica del Montanaro, oppure l’andante e briosa A lu colle di San Giuvanne sempre con musica di Montanaro, dove si invita il turista ad ammirare le bellezze paesaggistiche del belvedere di San Giovanni in Venere. Fossacesia oltre a Saraceni, che ne fu anche sindaco nel dopoguerra, ricostruendo moralmente e nei fatti la città martoriata, ebbe anche Antonio Fantini, altro poeta e scrittore di commedie teatrali, nonché di canzoni, molte delle quali musicate da Pasquale De Rosa e da Giuseppe Di Pasquale, e campione dei festival del Trabocco d’Oro. Saraceni scrisse anche alcune commedie teatrali, le poesie furono raccolte  in un volume Abruzze me’, a cura di Fantini. In questa raccolta ci sono anche poesie assai struggenti, come quella in cui si paragona il campanile della chiesetta di Santa Maria Imbaro a un tronco di albero distrutto, a un corpo martoriato di uomo, nel voler esprimere la ferocia della guerra nella sua cruda nudità e inutilità! Dato il carattere schivo e riservato di Saraceni, gli ultimi anni li passò isolato nei suoi ricordi nella casa di Fossacesia, dove morì. Fece in tempo però a vedere le sue canzoni ancora felicemente cantate nelle Maggiolate degli anni ’50, tanto che in un breve frammento pubblicitario dell’Istituto Luce della Maggiolata del 1955, si sente in sottofondo il ritornello di A lu cannete. Il Saraceni ebbe un’altra soddisfazione, la sua canzone Vaje luntane fu eseguita da un’attrice in uno dei primi film sonori italiani, Vele ammainate precedentemente noto come Mare, della produzione Cines di Roma, per la regia del Bragaglia, distribuito nel 1931; anche se lo scrivente fino ad ora non è riuscito a trovare una copia per poter ascoltare la musica. Negli ultimi anni Saraceni partecipò alla nuova rassegna canora delle Settembrate di Pescara, nate negli anni ’50, con alcune canzoni musicate soprattutto da Cristo Sorrentino pescarese, che si alternava con le ultime composizioni dell’anziano Luigi Dommarco, il creatore delle Maggiolate ortonesi e della celebre Vola vola vola con l’Albanese. Oggi il comune di Fossacesia ha intitolato a Saraceni il teatro comunale. Occorrerebbe, come auspica ad esempio Pasquale De Rosa, una raccolta di tutte le canzoni da lui scritte. Onde non far perdere la tradizione dei suoi successi.

Mi te sete

























7 settembre 2022

XIX Festival della canzone abruzzese La Viuletta d'Oro di Francavilla al mare, 2000.


 
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95


XIX Rassegna di canzoni abruzzesi de "La Viuletta d'Oro" di Francavilla al mare, 2000, con il Coro "La Figlia di Jorio" di Orsogna, diretta dal M° Mario Tenaglia CHE SSI COJJE? di Mario Bosco, Aldo Marincola LA FORZA DELL'AMORE di Ulderina e Bruno Manzitti AURORE A LU MARE di I. Marino, Francesco Paolo Santacroce BENEDETTE CHELA MAMME CHE T'HA FATTE di Vincenzo De Luca, Panfilo de Laurentiis E' L'AMORE A CHIAMA' di Camillo e Vincenzo Coccione CANTE PE' TTE di Ermani Catena CASETT'ANTICHE di Vincenzo Polidoro SUNNE D'AMORE di Concetta Tritapepe, P. Santini L'UTEME CELLUCCE di Emanuele Talone, V.P. Lavorante LU VENTE, canzone vincitrice, di Luciano Flamminio, Alberto Garzia LA LUNTANANZE di Mario La Selva, L. Piastrelloni LU VENTE bis ABRUZZESELLA di Luciano Flamminio e Alberto Garzia.

29 aprile 2022

Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900.

Francesco Paolo Michetti, Le serpi, 1900

Oggetto: Dipinto

Materia e Tecnica di esecuzione: tempera su tela

Dimensioni: h 380 cm - l 970 cm

Datazione: 1900

Autore: Francesco Paolo Michetti (1851-1929)

L’ispirazione per “Le Serpi” nasce da una gita con gli amici più cari dell’artista a Cocullo (Aq) nel maggio del 1884, in occasione dei festeggiamenti in onore di San Domenico dove assiste al rito delle serpi con la processione del Santo protettore dalla rabbia, dal morso dei serpenti e dal mal di denti. E’ l’antropologo peligno Antonio De Nino a raccontare di questo episodio. Da questa gita Michetti portò a casa un vasto repertorio di immagini fotografiche che utilizzò proprio per realizzare questa grande tela.

Il taglio orizzontale del dipinto agevola ed accentua l’andamento del corteo processionale e conferisce alla scena un ritmo temporale simile a quella di una sequenza cinematografica, con le figure raggruppate in quadri distinti.

Singolare la storia del dipinto: nel marzo 1900 Michetti inviò quattro sue opere,  fra cui Le Serpi Gli Storpi,  all’Esposizione Universale di Parigi, la più grande rassegna pittorica sino allora organizzata al mondo

Michetti aveva nutrito per questi due dipinti, di dimensioni veramente notevoli, progetti ambiziosi, prefigurando uno strepitoso successo. Non andò così: le due tele finirono nella generale disattenzione forse perché troppo legate ad un aspetto folcloristico che non rispondeva ai canoni del gusto d’avanguardia. eppure, al di là di una patina superficialmente aneddotica, nelle migliori opere di Michetti si respira la spiritualità quasi pagana dell’intero mondo contadino resa con mirabile “realismo visionario”, spettacolarmente sensuale e profondamente intimo al tempo stesso, in bilico sul confine che separa la più viva rappresentazione naturalistica dall’astrazione più meditata (G. Simoncini).

Le due opere non ebbero alcuna richiesta, l’artista le arrotolò e le tenne in disparte concedendo di vederle solo a qualche amico.

Nel 1927 però furono esposte a Roma presso la Galleria nazionale d’Arte Moderna che le acquistò.

Tornarono a Francavilla grazie a D’Annunzio per essere collocate nel Museo Michettiano nello Studio al Mare. Furono portate poi nel Convento francavillese (già sede dello storico Cenacolo michettiano) e così scamparono alla distruzione del Museo ad opera dei tedeschi. Nel 1994 furono trasportate a Roma per un restauro e nel 1997, tra numerose polemiche, tornarono a Francavilla per essere collocate al MuMi dove tuttora è possibile ammirarle.

Da: Portale Cultura Regione Abruzzo