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27 novembre 2022

Antonio Mezzanotte, La leggenda di San Leucio e il drago.

La leggenda di San Leucio e il drago

di Antonio Mezzanotte

Si dice e si racconta che un tempo, lì dove oggi si stende l'altura a forma di mezzaluna di Atessa (CH), si trovavano due villaggi: Ate, sorto intorno alla chiesa di San Michele, dalla parte del colle che guarda verso oriente e il mare, e Tixa, dalle parti di Santa Croce, sulla rupe che si affaccia verso occidente e le montagne. I due paesi erano separati dalla valle paludosa e mefitica del Rio Falco, tra i fiumi Osente e Pianello (oggi Osento e Sangro) nella quale dimorava, all’interno di una grotta da cui si poteva raggiugere ogni luogo d’Abruzzo, un feroce drago. Questa bestia non solo impediva la riunificazione dei due abitati, ma si satollava anche di carne umana, uccidendo tutti coloro che si avventuravano nella palude (almeno un cristiano al giorno).
Giunse allora Leucio (il cui nome, dal greco Leukios, vuol dire luce bianca, pura), egiziano di Alessandria, ma da qualche tempo santo vescovo di Brindisi, località pugliese dalla quale aveva scacciato un mostro simile a quello che pasceva tra Ate e Tixa. Egli raggiunse la tana del drago, lo nutrì per tre giorni di carne rendendolo sazio, lo incatenò e dopo sette giorni di preghiere lo uccise con la spada. Ne conservò il sangue, utilizzato per la popolazione a scopo terapeutico, e una costola, consegnata agli abitanti di questi luoghi perché serbassero memoria dell'accaduto. Altre versioni della leggenda vogliono che avvenne un combattimento tra Leucio e il drago.
Com’è e come non è, il fosso venne colmato permettendo l'unione dei due paesi dai quali nacque la città di Atessa e lì dove prima viveva il mostro venne eretta la Cattedrale, la quale conserva ancora oggi in una teca un osso di animale preistorico, lungo circa due metri.
La chiesa di San Leucio (definita cattedrale poiché un tempo prepositura nullius diocesis, ossia dipendente direttamente dalla Santa Sede) è davvero notevole: vi si accede tramite una imponente scalinata; la facciata con articolati portali ogivali, il pregiato rosone del 1312 ricco di arcate, trafori, colonnine radiali e decori, attribuito a Francesco Perrini di Lanciano (o a qualche altro architetto a lui vicino), autore anche del grande portale con San Leucio, l’Agnello crucifero e i simboli degli Evangelisti. L’interno è straordinario: cinque navate, tutte rivestite di stucchi e decorazioni barocche, dai colori dorati e rosso bruno, con altari e numerosi dipinti votivi di pregio e, tra l'altro, un ostensorio in argento del 1418, opera di Nicola da Guardiagrele.
Una curiosità: salendo verso Atessa dalla Val di Sangro, si incontra la località Monte Marcone, un tempo detta Monte San Silvestro. Papa Silvestro fu il primo santo non martire e si racconta che a Roma riuscì ad ammansire un drago feroce dall’alito pestilenziale che viveva in una grotta sul Palatino. La leggenda dice che San Silvestro passò da queste parti durante un viaggio verso le Calabrie. Chissà se pure a Monte San Silvestro viveva un dragone...
Storie di draghi e di santi, che narrano, a chi le sa interpretare, le vicende del paziente lavoro di bonifica del territorio, della prima evangelizzazione di questa comunità, della lenta e progressiva urbanizzazione del contado, fino alla crescita di una delle cittadine più caratteristiche, operose e vitali d'Abruzzo.
(Nella foto: la cattedrale di San Leucio in Atessa - CH)

Da: https://www.facebook.com/groups/1375662556004456/user/1257557049/

8 novembre 2022

Immagini d'Abruzzo nei canti del M°Antonio Di Jorio, 12 canzoni abruzzesi eseguite dal Coro di Poggiofiorito.


Modesto Della Porta, Matrimonie d'amore, da Ta-pu' lu trumbone d'accumpagnamente.


21 ottobre 2022

Gabriele, Michele e Giacomo Falcucci, la dinastia degli scultori e pittori Atessani dell’800.

Giacomo Falcucci, Santa Filomena (1837), chiesa di Santa Maria del Popolo, Altino 

 
Gabriele, Michele e Giacomo Falcucci, la dinastia degli scultori e pittori Atessani dell’800
di Angelo Iocco

Giacomo Falcucci nacque in Atessa il 14 dicembre 1807 da Maria Rosa D’Onofrio e Pasquale; ebbe due figli, Michele Falcucci, nato nel 1831 (di cui si ignora la data di morte), e Gabriele Olivio Falcucci (1838-1895), nato con un grave difetto fisico, che lo lasciò a vita sordo-muto; Giacomo stesso nelle sue opere, si firmava così, facendo del suo difetto, allora considerato una vera e propria sciagura, una eccezione che lo rese il grande scultore che fu. Non si conosce come Giacomo Falcucci studiò disegno, forse andò a Napoli, prese a ispirazione dei modelli della Capitale del Regno, e una volta appresa l’arte e aperta una bottega in Atessa, insegnò disegno ai figli Michele e Gabriele, quest’ultimo supererà il padre nella maestria e seppe ben esercitare l’arte dell’affresco e lo scultore e pittore delle statue. Giacomo uscì dai confini dell’area chietina, e si spinse sino in Molise. Il Molise dell’area isernina era una zona di passaggio della via vecchia per Castiglione Messer Marino, onde arrivare a Napoli, e la sua fama si sparse per questi paesetti di montagna; una prima committenza a Giacomo la vediamo nella chiesa madre di Montenero di Bisaccia, la Madonna del Carmine, datata e firmata 1837. A seguire il Falcucci realizzò una statua del Santissimo Redentore benedicente per la chiesa madre di Tavenna, ben lodata dal parroco don Francesco Batescia.

Giacomo Falcucci, Madonna del Carmine (1837), chiesa omonima, Montenero di Bisaccia (CB)

Michele Pasquale nel descrivere le fattezze della statua, nota come Giacomo si fosse ispirato a un modello del paese, il rilievo della Madonna in trono col Bambino presso la campane della chiesa stessa di Montenero. A seguire realizzò un San Michele che configge il Demonio per la chiesa madre di Lucito; le due statue di Giacomo sono ben modellate, anche se soffrono ancora di un aspetto troppo rigido e poco fluido. Nel 1837 Giacomo realizzò la statua di Santa Filomena per la parrocchiale di Altino, non molto distante da Atessa. Anche qui notiamo con la cura del dettaglio per la statua sia abbastanza buono, il volto con l’espressione meditabonda e concentrata è ben riconoscibile, ormai Giacomo ha creato la sua scuola coi suoi modelli, ma ugualmente si denotano degli atteggiamenti di schematismo e rigidità nella postura eretta, e nelle braccia lievemente piegate in atteggiamenti di benedizione. Il panneggio con il suo colore toccante tuttavia rende la statua molto piacevole a vedersi, peccato per gli angioletti laterali con i simboli del martirio, ancora rozzi e ancorati a una tradizione popolaresca abruzzese, che non si curava troppo di decorare i due puttini. Per la chiesa madre di Fraine, sempre nell’area chietina, Falcucci realizzò un Sant’Alfonso dei Liguori. Altre sue importanti opere si trovano nelle chiese di Atessa, specialmente in quella di San Domenico o della Congrega del Rosario: una statua di Santa Lucia firmata e datata coi simboli del martirio, un San Sebastiano, un Sant’Antonio di Padova con il cartiglio: “A devozione di Angelo Damiani, 1853”, statua purtroppo scialbata dal restauro di Pasquale Bravo di Atessa. Un artista locale che imperversò per le chiese atessane e dei paesi circonvicini, fino a Bomba e Orsogna, ristrutturando statue “laccandole a lucido”, rendendole irriconoscibili e gommose, e realizzando soffitti moderni in stile falso soffitto barocco a cassettoni lignei dipinti, con ghirigori e fioroni dipinti di gusto falso manierista (evidentissimi i soffitti con bassorilievi di angeli e simboli del Tetramorfo “a didò e plastilina”) delle chiese di Santa Croce e del convento di San Pasquale in Atessa, con incassate le tele del cugino Ennio Bravo, e del santuario di San Mauro in Bomba. In questo santuario, il Falcucci realizzò una bella statua di San Mauro, molto venerato anche in Atessa, di cui esiste una bella statua nella chiesetta di Sant’Antonio, scolpita come reca il cartiglio, da Pasquale Giuliani di Atessa nel 1898 per conto del sacerdote Vittorio de Ritiis. Brevi cenni sul Giuliani, era atessano e forse si formò presso la bottega dei Falcucci, e ne fu in un certo senso il continuatore, anche se non con la stessa fama dei maestri, tanto che è censito principalmente in Atessa e nei dintorni; ad esempio nella vicina Paglieta gli fu commissionata come reca il cartiglio, una statua di San Nicola vescovo per la parrocchia. In Atessa invece abbellì la suddetta chiesetta di Sant’Antonio con la statua di S. Mauro, e nel cappellone dell’Addolorata, con la statua della Vergine dei Dolori e con la statua del Santo di Padova, firmate e datate. Benché tal Giuliani non ebbe modo di farsi conoscere assai, la sua arte dimostra come Atessa fosse, alla pari di Guardiagrele e Orsogna, terra di artigiani, i quali erano abbastanza quotati e coscienti del proprio mestiere da far scrivere il loro nome nelle loro opere, a testimonianza per una memoria futura.

16 ottobre 2022

Le pitture dei Bravo di Atessa.

Ettore Bravo, Incredulità di San Tommaso, chiesa madre di Perano
 
Le pitture dei Bravo di Atessa

di Angelo Iocco

Dopo il periodo glorioso dei Falcucci, scultori di statue per le chiese e congreghe attivi tra ‘800 e primo decennio del ‘900, Atessa ebbe un’altra bottega, certamente minore, e forse anche in vari aspetti scadente, ma che ebbe successo presso le parrocchie dei piccoli paesi del chietino. 
Il capostipite fu Pasquale Bravo, attivo tra fine ‘800 e primi anni del ‘900, restauratore di statue, e costruttore di nuovi simulacri per devozione popolare, e per commissione. Come artigiano è riconoscibile per il suo gusto kitch, per usare un eufemismo; nell’area tra le contrade di Atessa, Paglieta, Casalanguida, vediamo statuette di San Vincenzo Ferrere e Sant’Antonio abate realizzate per devozione popolare, datate tra il 1910 e il 1911. C’è veramente poco da dire sulla realizzazione plastica, sul volto rotondo come una palla da ping pong, sugli occhietti appena accennati, oscuri e anonimi come le oscure sfere dei buchi oculari di un pescecane! Il problema di Pasquale Bravo senior, come è stato rilevato, fu che venne chiamato a ristrutturare delle statue antiche, oltre a costruirne di nuove, e alcune le rovinò irrimediabilmente, come nel caso delle statue della chiesetta dei Santi Vincenzo e Silvestro in contrada Montemarcone di Atessa. Restaurò anche delle belle statue dei Falcucci, grattandone via il colore, oppure massacrando con del beverone di stucco la statua della Beata Vergine Maria della Selva nel santuario dell’Assunta di Castel Frentano, risalente al XIV sec. Statua fortunatamente restaurata di recente. 
Ennio Bravo, cugino di Gennaro, figlio di Pasquale, continuò l’attività, dedicandosi soprattutto alla pittura per le chiese, a realizzare quadri o pitture murali, o anche nell’ultima fase, negli anni ’80, statue intagliate da Gennaro. 
Pasquale Bravo, se è considerato bocciato nella scultura, nell’ultima fase della vita, quando dipinse negli anni ’30 e ’40, raggiunse un livello almeno mediocre. I suoi soggetti erano ispirati al gusto neoclassico, ma un neoclassicismo esageratamente illuminato, tipicamente tardo ottocentesco, delle stampe devozionali che andavano girando per i santuari. I dettagli non sono molto precisi, le figure sembrano statiche e senza tridimensionalità, gli occhi noiosamente rivolti sempre verso l’alto in contemplazione, senza originalità. Non c’è chiesa di Atessa che non abbia qualche suo quadro, la chiesa dell’Addolorata, il Duomo, secondo altare di sinistra nella terza navata, frutto dell’ampliamento ottocentesco dell’impianto, la chiesa di Santa Croce, la chiesa della Madonna della Cintura, la chiesa di San Rocco, con una brutta copia del quadro seicentesco di Felice Ciccarelli atessano, della Beata Vergine del Carmelo. E anche nei dintorni di Atessa Pasquale dipinse, ora a Perano per la chiesa madre, producendo altre due tele devozionali per i lati dell’altare maggiore, ad Archi, a Montazzoli, a Tornareccio, e si spinse anche in qualche altro paese della media valle del Sangro, come Bomba o Villa Santa Maria. 
I figli Pasquale ed Ettore Bravo, attivi negli anni ’20 e ’50, continuarono l’attività paterna, estendendo il campo alla pittura murale, a volte riempiendo letteralmente la chiesa di loro opere. Non si scostarono molto dal soggetto di scene bibliche corali, dalle tinte molto chiare, di quell’inconfondibile gusto roseo, quasi da chiesa Mormonista, ossia uno stile falso-antico, che in Abruzzo continuava ad essere riproposto anche in epoca di trasformazioni artistiche nel secondo dopoguerra (si vedano i cantieri religiosi di Pescara, si vedano le pitture di Peppe Candeloro a Lanciano, in cui lui “trasponeva il classico nel contemporaneo” sulla base del modello di Michelangelo), e che verrà spazzato via qualche decennio dopo. I fratelli Bravo furono attivi in quelle chiese che o erano prive di arredi sacri a causa della povertà, o che erano state appena ricostruite dopo le distruzioni belliche. La loro opera più interessante è il cantiere della chiesa madre di San Nicola di Orsogna, appena rinata dalle ceneri della furia devastatrice dei cannoni e dei mortai. La chiesa è un tipico esempio di ricostruzione ex novo del Genio Civile di Chieti, un falso antico, completata nel 1952, come recita una iscrizione appena entrati, a monito e memoria. 

Orsogna, chiesa di S.Nicola, catino absidale con dipinti dei Fratelli Bravo, 1952 c.

I Bravo furono chiamati a indorare il catino absidale, mostrando la scena dell’Agnus Dei, di Cristo che è l’Alfa e l’Omega, con il Sacrificio dell’Agnello, e sullo sfondo la città di Gerusalemme. Anche la seconda delle due cupole della navata unica, fu dipinta dai Bravo, con scene bibliche dell’Antico e Nuovo Testamento, e ai quattro pennacchi, il solito Tetramorfo degli Evangelisti; un lavoro però realizzato abbastanza bene, che verrà ricordato. 
Ennio Bravo, che lavorò in proprio, è il migliore della famiglia nel disegno, è l’unico che fa assumere espressione e gravità ai suoi soggetti, tra i più belli, il San Tommaso della chiesa matrice di Perano. 
Gennaro continuò l’attività dei Bravo, scolpendo e dipingendo statue, di fattura appena sufficiente, e sarà lui il maestro del pittore di Atessa che attualmente la rappresenta, il prof. Gaetano Minale di Agnone.

Mosè e il vitello d’oro, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna

Caino uccide Abele, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Il sogno di Giacobbe, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna



Mosè  e i 10 Comandamenti, Fratelli Bravo, chiesa di San Nicola, Orsogna


La bottega Bravo di Atessa
Da: Abruzzo Forte e Gentile 95

8 settembre 2022

Domenico Ciampoli, Fra le selve - novelle, 1890.

Domenico Ciampoli, Fra le selve - novelle, 1890.
Da: GoogleLibri



Domenico Ciampoli
Domenico Ciampoli (Atessa, 23 agosto 1852 – Roma, 21 marzo 1929) fece i primi studi ad Atessa, poi a Vasto e a Lanciano, concludendo il liceo a L'Aquila. 
Laureatosi in Lettere all'Università di Napoli, dal 1881 insegnò in diversi licei finché, trasferitosi a Roma e ottenuta la libera docenza in Lingua italiana e Letterature slave, dal 1884 insegnò nell'Università di Sassari e dal 1887 al 1891 in quella di Catania. 
Intanto aveva scritto diverse raccolte di novelle popolari d'impronta verista: Bianca del Sangro (1878), Fiori di monte (1878), Fiabe abruzzesi (1880), Racconti abruzzesi (1880), Trecce nere (1882), Cicuta (1884), Fra le selve (1891), alle quali seguirono, dal 1884 al 1897, cinque romanzi influenzati dal D'Annunzio: Diana, Roccamarina, Il Pinturicchio, L'invisibile e Il Barone di S. Giorgio. 
Oltre a curare diverse traduzioni di canti epici e popolari slavi e di racconti e romanzi di classici russi dell'Ottocento (di autori come Tolstoj, Gogol', Puškin, Lermontov e Turgenev), nel 1891 pubblicò gli Studi letterari e le Letterature slave, nel 1896 una ricerca erudita sull'opera poetica dell'Aleardi, Plagi aleardiani, e nel 1904 i Saggi critici di letterature straniere. 
Nel 1892 lasciò l'insegnamento per passare alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma e poi alla Marciana di Venezia. 
Dal 1899 diresse diverse Biblioteche italiane: la Biblioteca Universitaria di Sassari, ancora la Biblioteca Nazionale di Roma, poi dal 1907 la Biblioteca Casanatense, la Biblioteca Lancisiana, l'Angelica e infine, dal 1918 ancora la Lancisiana: quest'attività gli consentì di studiare, tradurre e pubblicare diversi codici. 
Pensionato nel 1923, morì a Roma nel 1929.

7 settembre 2022

Canti d'Abruzzo di Antonio Di Jorio, I vecchi cantori di Raiano. Dirige Ottaviano Giannangeli, 1978.


Da: Abruzzo Forte e Gentile 95


Registrazione 1978 Dirige Ottaviano Giannangeli
Lato A
AMORE CHE SE NE VA di Luigi Illuminati, Antonio Di Jorio, 1921
OILI...OILA' di Cesare de Titta, Antonio Di Jorio, 1921
CHI VA...CHI VE' di Evandro Marcolongo, Antonio Di Jorio, 1924
A NE RUSCIGNEUJE di Umberto Postiglione, Antonio Di Jorio, 1925
I' E TTE di R. Sabelli, A. Di Jorio, 1926
GLI UOCCHIE DE LA REGGINELLE di N. D'Eramo, A. Di Jorio, 1927
LU PARROZZE di A. Di Jorio, 1926 Lato B
TERESINE di Cesare de Titta, A. Di Jorio, 1928

LA CANZONE DE LU GRANE di Nicola Mattucci, A. Di Jorio, 1929
AMORE ME di C. De Titta, A. Di Jorio, 1930
PAESE ME di A. Di Jorio, 1949
LA BUSTARELLE di O. Giannangeli, A. Di Jorio, 1951

ADDIE ADDIE MUNTAGNE di O. Giannangeli, A. Di Jorio, 1971.

20 agosto 2022

Antonio Di Jorio - Nino Saraceni: Mi te' sete, A lu cannete.


Due canzoni abruzzesi di Nino Saraceni di Fossacesia (1894-1970), A LU CANNETE - MI TE' SETE, musiche di Antonio Di Jorio, esecuzione di Fernando D'Onofrio col Coro Camillo De Nardis di Pescara, 1965.

17 agosto 2022

N'ci pinzà, canzoni abruzzesi. Coro Giovani voci Dijoriane di Atessa.


Luigi Illuminati e Antonio Di Jorio, Canzoni abruzzesi.



Luigi Illuminati fu prete e professore di latino e Lettere di Atri, con l'amico Antonio Di Jorio scrisse varie canzoni per le Maggiolate e non solo, comprese le romanze e canzoni da camera.
Qui riproponiamo il repertorio classico abruzzese con
- Ciel'e mmare (VI Maggiolata, 1925)
- Luntane cchiù luntane (1923)
- E gire e vvole (1927)
- Lu piante de li staggiune (1929)
- A la fonte (1922)
- Core ferite (XXII Maggiolata, 1955).

19 maggio 2022

CANTI D'ABRUZZO - Le più belle canzoni abruzzesi.


Raccolta in cd di 18 canzoni folkloristiche abruzzesi - Coro di Atessa - Coro Cantori di Ortona, Coro di Lettomanoppello, Coro Sant'Andrea di Pescara

1 - ALL'ORTE
2 - VOLA VOLA VOLA (Dommarco-Albanese)
3 - A CORE A CORE (Di Loreto-Liberati)
4 -  ME TE SETE (Saraceni-Di Jorio)
5 - DIN DON CAMPANELLE (De Titta-Di Jorio)
6 - LA CANZONE DE LU GRANE (Mattucci-Di Jorio)
7 - L'AMORE ME' CHE VO (Spensieri-Tabasso)
8 - 'NZI PINZA' (A. Di Jorio)
9 - LA CAMPAGNOLA
10 - LU SANT'ANTONIE
11 - SERENATA SPASSOSE (Marcolongo-Di Jorio)
12 - LA CANZONE DE LU LETTE (De Rentis-Iezzi)
13 - QUANDE LA FIJA ME'
14  - VIVA L'AMORE (Ferrara-Polsi)
15 - A LU CANNETE (Saraceni -Di Jorio)
16 - MARE NOSTRE (Illuminati-Di Jorio)
17 - TANTE SALUTE (Di Lorenzo-Olivieri)
18 - PAESE ME' (A. Di Jorio)

Da: Angelo Iocco

29 novembre 2021

Domenico Ciampoli, Favole e Novelle abruzzesi.

 



Domenico Ciampoli
Domenico Ciampoli (Atessa, 23 agosto 1852 – Roma, 21 marzo 1929) fece i primi studi ad Atessa, poi a Vasto e a Lanciano, concludendo il liceo a L'Aquila. 
Laureatosi in Lettere all'Università di Napoli, dal 1881 insegnò in diversi licei finché, trasferitosi a Roma e ottenuta la libera docenza in Lingua italiana e Letterature slave, dal 1884 insegnò nell'Università di Sassari e dal 1887 al 1891 in quella di Catania. 
Intanto aveva scritto diverse raccolte di novelle popolari d'impronta verista: Bianca del Sangro (1878), Fiori di monte (1878), Fiabe abruzzesi (1880), Racconti abruzzesi (1880), Trecce nere (1882), Cicuta (1884), Fra le selve (1891), alle quali seguirono, dal 1884 al 1897, cinque romanzi influenzati dal D'Annunzio: Diana, Roccamarina, Il Pinturicchio, L'invisibile e Il Barone di S. Giorgio. 
Oltre a curare diverse traduzioni di canti epici e popolari slavi e di racconti e romanzi di classici russi dell'Ottocento (di autori come Tolstoj, Gogol', Puškin, Lermontov e Turgenev), nel 1891 pubblicò gli Studi letterari e le Letterature slave, nel 1896 una ricerca erudita sull'opera poetica dell'Aleardi, Plagi aleardiani, e nel 1904 i Saggi critici di letterature straniere. 
Nel 1892 lasciò l'insegnamento per passare alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma e poi alla Marciana di Venezia. 
Dal 1899 diresse diverse Biblioteche italiane: la Biblioteca Universitaria di Sassari, ancora la Biblioteca Nazionale di Roma, poi dal 1907 la Biblioteca Casanatense, la Biblioteca Lancisiana, l'Angelica e infine, dal 1918 ancora la Lancisiana: quest'attività gli consentì di studiare, tradurre e pubblicare diversi codici. 
Pensionato nel 1923, morì a Roma nel 1929.


 
                                   Il poema di Corradino di Svevia




25 novembre 2021

Angelo Iocco, Felice Ciccarelli dell’Atessa, pittore abruzzese del manierismo.

Madonna col Bambino, chiesa di San Rocco, Atessa
 
Felice Ciccarelli dell’Atessa, pittore abruzzese del manierismo
di Angelo Iocco

Di Felice Ciccarelli nato in Atessa in Abruzzo Citeriore, vissuto tra la seconda metà del '500 e la prima del '600, si conservano opere sempre datate e firmate, anche in latino, a Rapino, in Atessa, ad Archi, a Loreto Aprutino.
Pittore insigne del tardo manierismo, e originale nel territorio chietino, con sfondi molto vivaci e colorati. 

San Vitale, chiesa madre di Archi

Per Atessa realizzò in onore della Congrega del Santissimo Rosario presso la chiesa omonima, detta anche di san Rocco, la pala d'altare laterale della Madonna col Bambino con Dio Padre che la Benedice, firmata e datata 1601; a seguire per il vicino paese di Archi per la parrocchia di Santa Maria dell'Olmo realizzò la pala di San Vitale martire e patrono di Archi, infine per la chiesa madre di San Giovanni a Rapino, realizzò il quadro principale della Madonna col Bambino tra Angeli e San Giovanni con la pelle di peli di cammello e San Michele che schiaccia il Demonio, firmata e datata 1607. Vincenzo Bindi segnalava negli "Artisti abruzzesi" anche una pala della Madonna del Rosario nel convento di San Domenico di Atessa, perduta però già agli inizi dell'800.

Madonna col Bambino tra San Giovanni e San Michele che schiaccia il demonio,
chiesa madre di San Giovanni, Rapino

Non sappiamo di altre opere firmate da Felice Ciccarelli, fatto sta che insieme a Tommaso Alessandrino da Ortona e Polidoro da Lanciano fu uno dei principali rappresentati di questa fascia d'Abruzzo del tardo manierismo.

San Vitale, chiesa madre di Archi

3 maggio 2021

Elisabetta Mancinelli, Maggio in Abruzzo: feste e tradizioni popolari.

Elisabetta Mancinelli, Maggio in Abruzzo.


Per la civiltà agro-pastorale, che è alla base della cultura abruzzese, maggio era considerato un mese determinante per il contadino che, alla fine dell’inverno, ha esaurito le sue scorte e sa che la sopravvivenza della propria famiglia è legata all’esito dei raccolti successivi.
La “costa” di maggio che significa ripida salita, stretto passaggio, allude proprio alla lunghe e faticose giornate di lavoro nei campi, ma anche alla difficoltà di superare certi momenti di precarietà economica prima di arrivare al nuovo raccolto. E’ un mese di transizione, difficile, tra le provviste ormai esaurite dell’anno precedente ed il nuovo raccolto, che si annuncia, ma potrebbe anche andare male e in cui, più che in altri periodi, si invocano le piogge: “l’acqua di maggio” particolarmente benefiche per il raccolto che va maturando.
Questo mese viene perciò festeggiato con diversi riti dal sapore mitico, antico in cui il ritorno della primavera viene invocato, scongiurato. Una stagione impropizia, avara di pioggia ed è la fame.
Negli ultimi anni si assiste in Abruzzo ad un rinnovato interesse per le tradizioni e le celebrazioni e le usanze tradizionali sono numerose e particolarmente suggestive soprattutto nel mese di maggio.

Le Virtù teramane


La ricetta delle “Virtù” ha la sua data di origine intorno al 1800. la preparazione di questo piatto veniva collocata il primo Maggio, poiché oltre ad indicare la fine del periodo freddo, aveva valore benaugurale per i raccolti estivi.
Si tratta di un piatto rituale con funzione propiziatoria. In questa occasione venivano preparate un gran numero di pignatte contenenti le “Virtù” e poi distribuite alle famiglie più povere, in segno di solidarietà della comunità con i meno fortunati.
Sono virtù perché la base di partenza sono gli avanzi rimasti nella dispensa dopo l'inverno: legumi secchi, pasta di varie tipologie, resti del maiale che la donna doveva essere brava a recuperare, riutilizzare e unire alle primizie che la nuova stagione aveva cominciato a produrre negli orti. Una leggenda narra che le Virtù dovessero contenere sette tipi di legumi, sette tipi di pasta, sette tipi di erbe, che il tutto dovesse essere cucinato da sette vergini per ben sette ore,  sette proprio come le virtù cristiane..
Questo ricco minestrone, a secondo delle località, riceve nomi diversi.

Festa del Narciso a Rocca di Mezzo


Nell’ultima domenica di maggio si celebra la profumata e colorata Festa del Narciso a Rocca di Mezzo (Aq) che vede sfilare per le vie della città, da più di sessant'anni, carri allegorici interamente realizzati con i narcisi, fiori di cui il territorio è ricco.
“Sfilate delle Rose” di Pasadena in California, da cui alcuni emigranti riportarono l'idea, la sfilata onora il Narciso, fiore tipico dell'altopiano delle Rocche, ed è ormai una tradizione aspettata e intensamente vissuta dal paese. Per tutto il mese di Maggio i giovani si dedicano alla realizzazione dei carri, e , nell'ultima settimana, in particolare le ragazze alla raccolta dei fiori.
Durante l'ultima notte prima della sfilata , il momento più emozionante, si procede alla decorazione con i narcisi dei carri. E' molto curata la realizzazione di questi che sfilano e partecipano ad un concorso che premia il più bello, giudicato secondo tre parametri: “infioratura”, struttura e scenografia. I carri propongono spesso temi legati al folclore e alle tradizioni abruzzesi o ad eventi particolarmente sentiti sulla vita sociale del territorio.

Rito dei Serpari a Cocullo

Il primo giovedì di maggio a Cocullo, nell’aquilano, si festeggia San Domenico e, come per altre usanze in cui il rito pagano si intreccia con la devozione cristiana, così accade anche in questa occasione, in cui la devozione per San Domenico, protettore dal morso dei serpenti, si intreccia con il rito arcaico dei “serpari”, manipolatori dei serpenti, nel suggestivo quanto unico Rito dei Serpari.

Per la festa la statua del santo viene portata in processione, addobbata con serpenti aggrovigliati, innocui e particolarmente conosciuti sui monti attorno al paese: Saettoni, Cervoni, e Bisce che i cosidetti serpari raccolgono nei monti attorno al paese nella stagione fredda, durante il loro letargo. Prima della processione sono questi uomini a mostrare i serpenti ai visitatori, permettendo loro di toccarli e maneggiarli, mentre si intonano canti popolari per le vie del paesino.
Dopo la messa, la statua del santo viene ricoperta dai serpenti e la processione ha inizio.
Il corteo si allunga per le strette vie di Cucullo trasmettendo agli astanti immagini suggestive ed emozionanti. L’incontro con i serpari, la possibilità di accarezzare un serpente e superare le paure, accalcarsi dietro la statua del santo chiedendo soccorso per la salute, o restare semplicemente spettatore di fronte a un evento così particolare, suscita intense emozioni.

La festa del Majo a san Giovanni Lipioni


C’è una comunità in Abruzzo che il primo maggio si raccoglie tutta intorno all’arcaica celebrazione del “majo”, in un’ atmosfera di grande gioia collettiva: San Giovanni Lipioni (Chieti) posto su uno sperone che si protende verso il medio Trigno.
Fra paganesimo e cristianesimo, qui la festa del majo sopravvive con tutto il suo carico di simboli e di significati antichi e si inserisce nei festeggiamenti di Santa Liberata e di San Giovanni, le cui statue vengono portate in processione e trasferite dalla Chiesa principale di Santa Maria delle Grazie alla Cappella di Santa Liberata.
Il majo: intelaiatura con un cerchio, rivestita da centinaia di mazzetti di fiori, viene benedetto e, preceduto dalla banda, portato in giro per il paese da un’allegra comitiva per la questua.
Avanti a tutti un giovane con il majo ed in testa una ghirlanda di fiori, con spighe di orzo, baccelli di grano ed altre primizie. Fra canti e danze, in cambio di fiori, con cui si porta l’augurio di buona annata, si ricevono doni : uova, dolci, vino, soldi.
Con le uova raccolte, la sera si fa una gran frittata che viene servita in piazza a tutti i partecipanti alla festa, accompagnata da un bicchiere di vino. Per “cantare maggio” molti emigranti tornano ogni anno in questa occasione a San Giovanni Lipioni.

Carciofo in festa a Cupello



Cupello, piccolo centro collinare a pochi chilometri da Vasto, ogni anno la seconda domenica di maggio festeggia il carciofo.
Degustazioni, convegni, musica in onore di un prezioso prodotto che in questo paese offre una delle migliori qualità, e che si sposa con la sapiente e fantasiosa cucina tradizionale. In tutti i ristoranti del paese, per quattro giorni dal giovedì alla domenica, si gustano i carciofi in tutte le svariate forme e delicati e intensi sapori: dalla pizza, alla pasta, dall’antipasto al dolce, in numerosi menu rigorosamente a base di questa varietà ricercata di carciofo di Cupello.

Festa dei Banderesi a Bucchianico



Nel paese di Bucchianico, il 22, 24, 25 e 26 maggio si svolge la Festa dei Banderesi, una rievocazione storica in costume della vittoria che gli abitanti della cittadina riportarono sui soldati della vicina Chieti, dopo un lungo assedio, al tempo delle lotte comunali.
Giochi di destrezza e riti cavallereschi animano la festa che, tra i molti significati, ha anche quello di rafforzare l’amicizia e la solidarietà tra città e campagna, la stessa che permise, nel XIII secolo, di resistere all’assedio. Altamente coreografica è la sfilata che, muovendo dalle contrade, raggiunge il centro del paese.
Le donne recano canestri di fiori, sfarzosamente decorati; un bue precede il corteo, seguito da carri addobbati. Uno dei momenti più suggestivi dell’evento è la danza della ‘ciammaichella’ singolare movimento a spirale che rievoca lo stratagemma con il quale, nel corso dell’assedio, gli abitanti trassero in inganno i nemici facendo loro credere che in città vi fosse un esercito numeroso.

“Lu Lope” a Pretoro

 


La ricorrenza di San Domenico abate viene festeggiata a Pretoro, in provincia di Chieti, la prima domenica di maggio, con la rappresentazione del miracolo de “Lu lope”, una tra le più antiche manifestazioni sacre abruzzesi che si tramanda di padre in figlio.
Come avviene per la festa di Cocullo, anche nella celebrazione di Pretoro, ricorre la presenza dei serpari che, nei giorni precedenti, cercano di catturare serpenti ai quali strappano i denti, per renderli innocui. Il giorno della festa serviranno per adornare la statua del santo portata in processione per le vie del paese.
Ai serpari è dedicata la mattinata della domenica con un concorso per il serpente più grande e più bello trovato nei dintorni di Pretoro. In quest’occasione si possono vedere serpenti che , ammansiti dal Santo, si arrotolano alle mani dei fedeli che hanno legato al polso “ lu laccette de S. Dumeneche”.
La cattura dei rettili ha una valenza prettamente simbolica, liberare il territorio dal pericolo che deriva dalla loro presenza. Nel pomeriggio, dopo la celebrazione liturgica, si giunge al momento culminante della festa: la rappresentazione del miracolo di San Domenico e del lupo. Gli attori sono, secondo la tradizione, tutti uomini anche la madre. Il bambino, che è l’ultimo nato del paese, è ornato di fiocchi rossi contro il malocchio per esorcizzare il male.

“ Le ‘Ndorce” ad Atessa



Ad Atessa, in onore di San Martino la prima, la terza e la quarta domenica di maggio si svolge la processione delle ’ndorce (torce di cera vergine d’api) caratterizzata da gesti propiziatori fatti con le pietre , che vengono prelevate dai campi per curare le coliche, oppure da riti di strofinamento sulle rocce a scopo terapeutico.
Per tre volte, nel mese più scarso di precipitazioni, i contadini di Atessa organizzano una processione propiziatoria per invocare da San Martino eremita la caduta della pioggia. Il pellegrinaggio nasce da una antica leggenda secondo cui una statua del santo situata a San Salvatore a Maiella rotolò fino al fiume in seguito ad una tempesta di vento.
Da qui, galleggiando sull’acqua, arrivò intatta, vicino ad Atessa, dove gli abitanti del paese la collocarono nella loro chiesa principale. Dopo solenni festeggiamenti, indetti in onore del Santo, la statua scomparve. Fu ritrovata di nuovo a Fara San Martino e dopo aver tentato per tre volte di riportarla ad Atessa, fu deciso di lasciare la statua sul posto e di andarvi ogni anno in pellegrinaggio, portando in dono le primizie dei campi e una grande torcia votiva, la ’ndorcia appunto, ottenuta legando intorno ad un grosso cero, quattro candele minori.
Dopo aver assistito alla messa i pellegrini della ’Ndorcia escono devotamente dalla chiesa di San Leucio e si avviano verso la montagna. Dopo ore di marcia, risalendo le valli del Sangro e dell’Aventino, i pellegrini giungono a Fara San Martino dove visitano la chiesa di San Pietro e vi lasciano due fasci di spighe e due candele. Quindi , giunti tra i resti dell’antico monastero, depongono le altre due ’ndorce nella grotta in cui visse in penitenza il Santo.