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27 novembre 2022

Ricordo dello scrittore abruzzese Ignazio Silone

Ricordo dello scrittore abruzzese Ignazio Silone
di Elisabetta Mancinelli.

Ignazio Silone, pseudonimo di Ignazio Tranquilli, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero, nacque igiorno 1 maggio 1900 a Pescina dei Marsi, comune in provincia dell'Aquila. Una tragedia segna la vita del piccolo Ignazio, la perdita del padre e di cinque fratelli durante il terribile terremoto che scosse la Marsica nel 1915. Rimasto orfano all'età di quattordici anni, interrompe gli studi liceali si dedica all'attività politica, che lo porterà a prendere parte attiva alle lotte contro la guerra e al movimento operaio . Solo e senza famiglia, il giovane scrittore vive nel quartiere più povero del comune dove frequenta il gruppo rivoluzionario "Lega dei contadini". Idealista com’era, in esso trovava pane per i suoi denti assetati di giustizia e uguaglianza. In quegli anni, intanto, l'Italia partecipa alla Prima guerra mondiale. Finito il conflitto , Silone si trasferisce a Roma, dove entra a far parte della Gioventù socialista, opponendosi al fascismo. Come rappresentante del Partito Socialista, prende parte, nel 1921 alla fondazione del Partito Comunista Italiano. L'anno dopo, mentre i fascisti effettuavano la marcia su Roma, Silone diventa direttore del giornale romano "L'avanguardia" e redattore della testata triestina: "Il Lavoratore". Compie varie missioni all'estero, ma poi, a causa delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella clandestinità, collaborando con Gramsci. Nel 1926, dopo l'approvazione da parte del Parlamento delle leggi di difesa del regime, vengono sciolti tutti i partiti politici.
In questi anni, comincia a profilarsi la sua personale crisi d'identità, legata alla revisione delle sue idee comuniste e dopo poco il disagio interiore aumenta tanto che nel 1930 esce dal Partito Comunista.La causa scatenante è la ripulsa che Silone, provava per la politica di Stalin, percepito dai più solo come padre della rivoluzione e illuminato condottiero delle avanguardie socialiste. Per la sua abiura dell'ideologia comunista pagò un prezzo altissimo : la cessazione dei rapporti di quasi tutti i suoi amici di fede comunista i quali, non capendo e non approvando le sue scelte, rinnegarono i rapporti con lui . Oltre alle amarezze derivate dalla politica, si aggiunse per Ignazio un altro dramma, quello del fratello più giovane, ultimo superstite della sua già sfortunata famiglia, arrestato nel 1928 con l'accusa di appartenere al Partito Comunista illegale.
Silone , deluso e amareggiato come uomo , nel suo esilio svizzero, si dedicò alla scrittura e pubblicò lettere di emigrati, articoli e saggi interessanti sul fascismo italiano e il suo romanzo più famoso: "Fontamara", che l’autore descrive come «un antico e oscuro luogo di contadini poveri ‘i cafoni’ situato nella Marsica, a mezza costa tra le colline e la montagna, dove i giorni, come i soprusi, si ripetono sempre uguali.” Dopo pochi anni esce "Vino e pane" che si svolge in : « quella parte della contrada che con lo sguardo poteva abbracciare dalla casa in cui nacqui e che non misura più di trenta o quaranta chilometri in un senso e nell’altro». È un mondo popolato da personaggi umili, rassegnati, che trovano soddisfazione nella vivacità del loro dialetto e nel sapore delle cose semplici, come il pane intinto nel vino.
Nel 1941 lo scrittore pubblica "Il seme sotto la neve" e pochi anni dopo, terminata la seconda guerra mondiale rientra in Italia, dove aderisce al Partito Socialista. Dirige "l'Avanti!", fonda "Europa Socialista” e tenta la fusione delle forze socialiste con l'istituzione di un nuovo partito, ma ottiene solo delusioni, che lo convincono al ritiro della politica. Intensifica la sua attività narrativa e pubblica gli ultimi romanzi : "Una manciata di more", "Il Segreto di Luca" e "La volpe e le camelie".
Il 22 agosto 1978, dopo una lunga malattia, Silone muore in una clinica di Ginevra per un’emorragia celebrale. Viene sepolto a Pescina dei Marsi, nei pressi del vecchio campanile di San Bernardo.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email mancinellielisabetta@gmail.com

Elisabetta Mancinelli, Le feste dell'Avvento in Abruzzo.

Le feste dell'Avvento in Abruzzo
di Elisabetta Mancinelli
l’avvento 2022 quest’anno comincia domenica 27  novembre e termina  giovedì  4 dicembre.

Dopo le varie celebrazioni legate alla commemorazione dei  defunti e alle feste dedicate a San Martino, caratterizzate dappertutto da momenti di spensieratezza, il ciclo dell’anno prosegue con i rituali del periodo dell’Avvento  in un crescendo di usanze, che culminano con la solennità del Natale che in Abruzzo, secondo i più autorevoli antropologi e studiosi del folklore (Finamore, Giancristofaro....) è  la più importante dopo la Pasqua.           
Le “ Tempora di Avvento” è un periodo di quattro settimane  che ha inizio a partire dalla domenica più vicina al 30 novembre. In questo mese, in attesa del tempo ciclico, che il mondo contadino  identifica con il rinnovamento della natura, si celebrano eventi festivi e particolari riti che assumono la funzione di attesa e di purificazione.

 UN SANTO NATALIZIO  SAN   NICOLA
Una  credenza che risale al Medioevo afferma che al nome di San Nicola è legata l'origine di Babbo Natale, figura mitica presente nel folklore di molte culture che distribuisce i doni ai bambini, di solito, la sera della vigilia di Natale.

Il  6 dicembre  si  celebra  a  Pollutri, un paese non  lontano da Vasto, San Nicola di Bari importante in Abruzzo in quanto protettore dei pastori transumanti. Una leggenda vuole che San Nicola sia arrivato in Abruzzo   attraverso il tratturo Magno o del Re (L’Aquila- Foggia).
Secondo un’arcaica tradizione il Santo, durante una terribile carestia, avrebbe salvato la gente di Pollutri, moltiplicando  un pugno di fave riuscendo così a sfamare tutti. Da allora, ogni anno a ricordo dell'avvenimento, la sera del 5 dicembre, data della morte del Santo, vengono allestiti sulla piazza principale del paese grandi calderoni in cui vengono lessate le fave che, al termine del rito della bollitura, vengono distribuite ai convenuti insieme alle ciambelle rituali, preparate nei giorni precedenti la festa.
S. Nicola di Bari, viene festeggiato anche  nella piccola comunità di Cansano e dalla vicina Campo di Giove che, per l'occasione, scendono alla “Pujetta”, cosi chiamata in quanto posta geograficamente più in basso rispetto a Campo di Giove per prendere le pagnotte benedette, che un tempo venivano "ammassate" per questa festa.  Le pagnottelle ancora oggi si ottengono con pasta di pane speziato con semi di anice che anticamente venivano stipate in grossi sacchi e portate nella chiesa di S. Nicola per essere benedette.
Nella chiesa era preparata una bilancia a due piatti sostenuta da una lunga catena pendente dal soffitto.
 Il rito consisteva nel pesare prima la donna che offriva il pane  ma questo doveva pesare più  della donatrice. Dopo la messa le pagnottelle venivano distribuite a tutti i presenti, ai poveri e i malati.   Nei tempi antichi tutti i cansanesi, con la neve e col freddo intenso, salivano sul monte dove era situata la chiesa di S. Nicola per chiedere al Santo l'abbondanza nel raccolto e la protezione da ogni calamità.

 I “Fuochi” e il loro significato
E’ difficile ricostruire il significato originario di alcuni riti delle società arcaiche e uno di questi prevedeva come usanza accendere i fuochi, sia individualmente che in forme collettive.
Nell’antichità i fuochi erano considerati feste di rinnovamento, di buon auspicio e di purificazione per il nuovo ciclo del tempo e l’ Abruzzo conserva, nelle sue tradizioni, molte feste di “fuochi” soprattutto nel Tempo dell’Avvento. Nei secoli, con l’affermarsi del Cristianesimo, le feste popolari presentano una consistenza di elementi pagani e cattolici fusi fra loro e i fuochi della festa pagana, esercitano la loro funzione purificatrice, non solo per ottenere un buon raccolto, ma per mondare la comunità dai peccati, e in questo senso preparare un nuovo anno propizioDiverse sono le festività che si celebrano con “I Fuochi” in Abruzzo  nel periodo dell’Avvento.
                                                 
 FESTA  DEI  FAUGNI  AD  ATRI
All' alba dell' 8 dicembre, ad Atri, in provincia di Teramo, si ripete l’ antichissima tradizione popolare  dei “Faugni” (dal latino "fauni ignis", cioè fuoco di Fauno). Nel paese l' originario rito pagano s'è mescolato a quello della festa cattolica per l' Immacolata Concezione di Maria: i Faugni sono apparsi per la prima volta nei riti religiosi nel 431 d.C. con il Concilio di Efeso”.
Riprendendo simbologie solari delle feste latine, i faugni nascono dalla fusione di una consuetudine pagana e contadina: infatti, un tempo, nelle campagne attorno ad Atri, i contadini accendevano dei fuochi, a fini propiziatori prima del solstizio d'inverno, in onore di Fauno, divinità pagana associata alla fertilità della terra, protettrice di pastori, greggi e agricoltura.
La sera del 7 dicembre il parroco della cattedrale benedice il falò che servirà all'accensione dei faugni all'alba del giorno dopo. Da questo magico rito deriva appunto la tradizione che consiste nell'accendere e portare in processione per la città alti fasci di canne legati da lacci vegetali. Il giro dei faugni per vie e piazze del centro storico di Atri, termina nella  piazza del Duomo, dove i fasci di canne ardenti bruciano in un grande falò.

 

                                                   

 "I favore"  

A  Collelongo (Aq)   vige ancora una antica tradizione, la sera del 7 dicembre, vigilia della festa dell'Immacolata, si accende in piazza un grande falò chiamato "I favore". Nella credenza popolare il falò ricorda  anche qui la luce dei fuochi che guidarono gli angeli che portarono la "Santa Casa" da Nazaret a Loreto. Intorno al falò viene distribuita polenta a tutti i presenti.




                         
Festa dell'Immacolata Concezione 8 dicembre

Un antico detto abruzzese così recita “Santa Maria Cuncette, a Natale diciassette” indicando che la festa dell’Immacolata Concezione da tempi remoti viene solennizzata dagli abruzzesi. In tutta la regione la sera del 7 dicembre si usa accendere grandi fuochi  “li fucaruni” in onore della Madonna che, secondo la tradizione religiosa, servono ad illuminare il cammino degli angeli che trasportano la Santa Casa di Nazareth a Loreto. Secondo le  simbologie consuetudini pagane e contadine i Fuochi  sono propiziatori di buon auspicio per il nuovo anno.





Anche a San Valentino (Pe)  si celebra  l’Immacolata Concezione. La festa si svolge nell' arco della mattinata con la celebrazione di solenni funzioni  nella chiesa di S. Donato dove è la statua della Madonna, segue una solenne processione per le vie del paese.  Nel corteo sfilano la grande Croce Celeste e la bandiera recante al centro un ricamo della corona della Madonna. Alla manifestazione prendono parte i componenti della Congrega dell'Immacolata Concezione e di Sant'Alfonso che per l'occasione indossano una particolare veste bianca e celeste (divisa della congrega). La festa ha termine nel  pomeriggio in piazza dove la banda musicale accompagna il tradizionale Ballo della Pupa: un fantoccio di cartapesta nel cui interno cavo si nasconde un uomo che lo fa camminare e ballare mentre esplodono i numerosi bengala e petardi che reca indosso.

 

                                                            FESTA DI SANTA LUCIA 

Anche Santa Lucia, protettrice della vista, nelle campagne viene celebrata con fuochi notturni rituali chiamati “faugni” che simboleggiano il bisogno umano di illuminare il giorno tradizionalmente considerato il più corto dell’anno prima del solstizio d’inverno. In passato  si accendevano i fuochi  non solo per festeggiare S. Lucia, ma anche  il 4 dicembre per S. Barbara, protettrice dei minatori ed artificieri oltre che per l’Immacolata ConcezioneLa festa cade il 13 Dicembre, data della morte di S. Lucia e  la celebrazione, in un giorno  ritenuto il più corto dell’anno, è dovuta probabilmente alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebravano la luce. Quindi sarebbe privo di fondamento l'episodio di Lucia che si strappa gli occhi, l'emblema degli occhi è invece da collegarsi con la devozione popolare che l'ha sempre invocata protettrice della vista a causa del suo nome, Lucia, da lux, luce.
 A  Prezza  paesino   della  conca Peligna, stazionò per un certo periodo il corpo di S. Lucia in viaggio verso Venezia per ordine del Doge Enrico Dandolo, subito dopo la fine delle crociate, per dare ad essa la definitiva sepoltura. Le spoglie della santa vennero affidate al Vescovo di Corfinio  il quale decise di custodirle nella fortezza prezzana. In paese si diffuse quindi il culto per Lucia e venne edificata nel 1200 circa una cappella votiva per i tanti pellegrini che vi si recavano. Nel  corso degli anni essa fu circondata da mura e venne costituita la nuova parrocchia a lei dedicata.
Oggi la chiesa si trova nel centro del paese e all'interno, in una nicchia, è collocata una preziosa statua lignea della fine del 1400 raffigurante S. Lucia.
Al mattino di ogni anno, il 13 dicembre al suono delle campane, i prezzani si recano prima in chiesa per la messa solenne e poi sfilano in  processione per le viuzze del borgo; le donne portano grandi ceste di ciambelle a forma di occhi da donare ai  portatori della statua di S. Lucia  e ai partecipanti al rito.
 
Anche a Torre de’ Passeri  Il 13 dicembre si celebra Santa Lucia, martire siracusana del Cristianesimo delle origini che  nel paese è venerata da secoli. In questo giorno la cittadina si anima di una serie di  appuntamenti religiosi e civili che ogni anno richiama la curiosità degli abitanti dei paesi limitrofi e di molti torresi emigrati all'estero che anticipano il ritorno in paese per le feste natalizie. Sin dalle cinque del mattino i botti di mortaretti e la musica della banda “Città d’Introdacqua” danno la sveglia a tutti i torresi. Nel pomeriggio una solenne Processione, preceduta dalla Santa Messa,  sfila tra le vie dell’antico centro e la  statua della Santa  viene  portata a spalla da quattro portatori, in un singolare corteo religioso, guidato dal parroco di Torre de’ Passeri, dal sindaco  e numerosi fedeli. Intorno alle 19, la tradizionale “Pupa”,  grande manufatto di cartapesta con le sembianze di donna,  viene fatto ballare da un ballerino che si cela nel suo interno, e, in un valzer di fuochi pirotecnici, si concludono i festeggiamenti.
Il Tempo dell’Avvento  è il tempo dell’Attesa  (dal latino “adventus”) che precede l’arrivo del Messia Salvatore secondo quanto profetizzato nell'Antico Testamento. Per i cattolici  ha un  doppio significato teologico: è  sì il tempo di preparazione al Natale ma anche il tempo  in cui gli spiriti si rivolgono all'attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi, un periodo dunque di speranza e insieme di purificazione.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
email: mancinellielisabetta@gmail.com     

23 novembre 2022

Vittorio Pepe, lo “Strauss d’Abruzzo”.

Vittorio Pepe, lo “Strauss d’Abruzzo”
di Elisabetta Mancinelli


Soprannominato lo “Strauss d’Abruzzo” , Vittorio Pepe musicista e compositore pescarese visse ed operò tra l’800 e il ‘900, e fu molto stimato da Tosti e da D’Annunzio che lo introdusse nel Cenacolo : sodalizio artistico francavillese.
Entrato nella storia e nella ricerca artistica e musicale pescarese e nazionale fu molto noto ed apprezzato tra l’ultimo ventennio dell’800 e il primo ventennio del ‘900.
Musicista prolifico, ma troppo appartato, fu dimenticato dalla critica. Ma una circostanza che ha contribuito in modo decisivo a spingerlo nell’oblio, fu la distruzione dei suoi documenti e delle sue carte persi con il crollo della sua abitazione durante il bombardamento di Pescara.
E’ difficile pertanto ricostruire la sua biografia e anche il catalogo delle sue opere e i pochi documenti che si posseggono solo lettere del Vate e altri carteggi con amici e persone che ebbero modo di conoscerlo e apprezzarlo.
LA VITA
Nacque a Pescara il 23 luglio 1963 da Giuseppe e da Rachele Carabba e fu battezzato nella chiesa di San Cetteo.
La sua abitazione era nei pressi del Circolo Aternino, in Piazza Grande (oggi Piazza Garibaldi) probabilmente al numero civico 28. La sua famiglia era socialmente ed economicamente fra le prime della piccola Pescara, che a quei tempi contava all’incirca poco meno di 4000 abitanti ed era un comune distinto da quello sito nella riva sinistra del fiume, Castellammare Adriatico.
Vittorio era uno dei più amati compagni di Gabriele D’Annunzio, col quale scherzava e giocava sui bastioni dell’Arsenale, sulle sponde del fiume e alla Pineta.
                            la scuola elementare che frequentò con G. D’Annunzio


Aveva mostrato temperamento musicale già durante la frequentazione dell’asilo-scuola delle sorelle Del Gado e il ciclo delle elementari con i maestri Eliseo Morico e Giovanni Sisti. 
Ma terminato il ciclo scolastico, le strade dei due ragazzini si divisero: D’Annunzio partiva per il collegio Cicognini di Prato mentre il dodicenne Pepe, che aveva preso ad esercitarsi con la vecchia spinetta di casa, veniva iscritto al Conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli. Frequentò un ambiente pianistico composto da docenti di chiara fama: Costantino Palumbo per il pianoforte e Nicola D’Arienzo per la composizione.
Si diplomò nell’estate del 1885 e lo stesso D’Annunzio ne dette pubblica notizia sul giornale “La Tribuna” del 12 Agosto inserendo l’evento in una cronaca mondana di Pescara. Entusiastici furono i successivi commenti del Vate sulla sua iniziale produzione artistica, intensa ed apprezzata anche da esperti musicologi.I suoi brani pianistici sono di fattura elegante e squisita e le sue numerose composizioni musicali rivelano originalità, sensibilità, fantasia.
Dell’ ingresso” fra gli eletti” del Cenacolo Michettiano, a fianco di Francesco Paolo Tosti si ha notizia da un articolo pubblicato sulla “Tribuna” del 28 luglio del 1887 in cui l’autore Bottom scrive : “ora egli studia e lavora nel cenacolo di Francavilla , in compagnia di Michetti al cospetto del mare”. La frequentazione del Convento era iniziata quando ancora era studente , e proseguì anche dopo, come testimonia una lettera che Pepe il 6 ottobre 1883 inviò al musicista e pittore Paolo De Cecco in cui appare insofferente dell’ambiente pescarese che “gli fiacca e gli sfibra il cervello” anche se poi finirà con lo scegliere di rimanere proprio lì. 
TRA MILANO E PESCARA
Riguardo il suo soggiorno a Milano si hanno pochi elementi ma sufficienti per affermare che Pepe ebbe rapporti con Ricordi che probabilmente gli fu presentato da Tosti e conobbe e frequentò esponenti del mondo musicale di cui non volle far parte in modo stabile.
Non ci sono testimonianze documentabili che ci dicano della durata del suo soggiorno nella capitale lombarda né i motivi dell’interruzione pare abbastanza repentina dei rapporti con Ricordi.
Probabilmente durò circa un anno poi, preferì “eclissarsi in Abruzzo”.
D’Annunzio, conoscendo bene la natura dell’amico, in questo periodo gli scrisse in una lettera “…Tu, che sei una natura così signorilmente squisita di artista, tu farai molto, andrai molto avanti. Getta via lungi da te tutti i timori, tutte le timidezze, tutte le esitazioni: sii audace, sempre audace, non ti stancare mai di cercare, di tentare di provare. La via dell’arte è lunga e scabra ed erta: per salirla ci vogliono lombi armati di valore. Tu hai una intelligenza fine ed una cultura non comune; ti manca lo spirito irrequieto delle imprese.”

Spirito inquieto il musicista maturò quindi la decisione di lasciare Milano per rifugiarsi in Abruzzo nella tranquillità di una vita prettamente provinciale.
Non possiamo dire con precisione se questa decisione del Pepe sia stata determinata da quella debolezza di carattere che D’Annunzio gli rimprovera quando incita l’amico ad imboccare risolutamente la via della gloria ed a lavorare con perseveranza.

Rinunciò alla professione di concertista e si dedicò all’insegnamento privato di Pianoforte, composizione e armonia a Chieti e a Pescara. Scorre ordinata e tranquilla la sua vita Pescara non solo vi insegna ma frequenta lo studio fotografico del cugino Cetteo e molti amici.
Si racconta anche che si sarebbe fidanzato con una ragazza della città a cui dedica anche una composizione ma la relazione non si concluderà con il matrimonio.
Furono suoi allievi Michele Muzi di cui rimane una “Lady Godiva”e Cristo Sorrentino noto come l’anima musicale delle “Settembrate Abruzzesi” e da lui apprendiamo che Pepe era molto amato dai suoi allievi.
Severo ed esigente chiedeva che il discente si dedicasse tutto alla musica e non ammetteva distrazioni.
LE COMPOSIZIONI
Autore prolifico compose musica sinfonica, musica per orchestra e da camera raffinata tanto gradita a D’Annunzio che aveva dichiarato di odiare la musica bandistica a cui Pepe si dedicò piuttosto intensamente. Rimangono di essa solo tre pezzi superstiti allo stato attuale: una mazurca “Pescara”, una marcia “Defilè alla pineta” e una polka “Sempre carina”.
Le composizioni tecnicamente discutibili secondo la critica, per l’incerta strumentazione non difettano certamente nell’ispirazione musicale. Erano belle, avevano successo e piacevano al pubblico che non si accorgeva di una presunta non raffinata strumentazione.
Una composizione “La Polka del Fezio” ebbe un particolare successo e divenne un classico delle bande : lo conosciamo non dallo spartito che è andato perduto, ma da un articolo pubblicato da un giornale di Chieti “Il Fezio” La natura delle sue composizioni da quel momento si adattò alle esigenze e all’influenza dell’ambiente locale.
Non più sinfonie per grandi orchestre, ma musiche per bande, romanze, serenate e ballabili. Saranno proprio questi ultimi a procurargli la definizione di “Strauss d’Abruzzo”.
Popolarissimi furono il tango “La musica del Parrozzo” e il famoso “Trittico di balli” che aveva entusiasmato tutti come si evince da una cartolina che lo stesso Pepe scrive ad un suo amico di Chieti l’avvocato Rosica. E ancora “Fox trot sensuale “L’One stop della nostalgia” e i valzer per pianoforte “Abruzzo forte e gentile”, “Posillipo” , “Mergellina” e “Zingaresca” che D’Annunzio definisce“ un po’ scarlattiana di fattura elegantissima ... con un vivace ritmo di danza”.
Anche “Duetto d’amore” composizione su tre gavotte: dodici romanze raccolte in un album fu giudicata positivamente dal Vate che la definisce “..meno originale , forse della Zingaresca , ma più affascinante”. Il maestro Antonio Piovano ha recuperato varie composizione pianistiche di Pepe sono da lui ritenute di grande musicalità , e con un certo impegno strumentale. Da questo filone popolaresco e da musiche di carattere pubblicitario, cominciò a trarre una buona fonte di guadagno. 
IL DECLINO
La sua fortuna declinò intorno agli anni trenta perchè ritenuto non più musicista di moda. Sorpassato venne considerato anche il suo metodo d’insegnamento. La critica si dimenticò ben presto del musicista così da rendere difficile anche la ricostruzione del catalogo delle sue opere. A questo bisogna aggiungere che i suoi documenti e le sue carte vennero completamente perse a causa del crollo della sua abitazione rendendo ancora più difficile la redazione precisa della sua biografia.
Ormai isolato nell’ambiente di Pescara, il pianista moriva a 80 anni durante l’ultimo dei bombardamenti della seconda guerra mondiale l’8 dicembre del 1943 nella sua ultima dimora di Via V. Colonna, quando una bomba centrò in pieno la sua casa seppellendolo sotto le macerie. Il suo corpo fu rinvenuto solo un anno dopo con la rimozione delle macerie.
A lui è stata dedicata  la via che costeggia lo stadio della città.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli 
I documenti sono tratti dall’Archivio di Stato di Pescara, da “ Un musicista di Pescara amico di D’Annunzio: Vittorio Pepe” di Mario Lupinetti, le immagini sono tratte dal patrimonio fotografico di Tonino Tucci   






23 giugno 2022

Elisabetta Mancinelli, La magica notte del 24 giugno: il Solstizio d'Estate e la festa di San Giovanni.


La magica notte del 24 giugno: il Solstizio d'Estate e la festa di S. Giovanni
di Elisabetta Mancinelli.


Il 24 giugno si celebra la natività di San Giovanni Battista Santo fra i più popolari in Oriente come in Occidente. Questa data venne stabilita dai cristiani per contrastare le feste pagane.
In questo giorno i babilonesi festeggiavano il matrimonio del il sole (fuoco) con la luna (acqua) e nell’antica Roma si celebrava Fors Fortuna dea della casualità. La figura di San Giovanni Battista ha dunque assorbito in sé molti degli antichi culti del sole da cui gli usi di bruciare i falò e i riti della rugiada e dell'acqua con cui battezzava: simbolo della purificazione e della rinascita.
La festa del Battista è quella che forse più esemplarmente di altre testimonia di quella commistione di pagano e cristiano che è uno dei tratti caratterizzanti la religione popolare .
Nel corso del tempo, c'è stato un mescolarsi di tradizioni antiche, pagane, e ritualità cristiana, che dettero origine a credenze e cerimoniali in uso ancora oggi principalmente nelle aree rurali della nostra regione.
San Giovanni è considerato anche il patrono delle sorgenti e il 24 giugno è usanza consumare lumache, animale posto sotto la Luna. Secondo la tradizione, le corna delle lumache portano discordia, mangiandole e seppellendole nello stomaco la discordia viene scongiurata.


VITA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Giovanni nacque da Zaccaria ed Elisabetta cugina della Vergine. I genitori, osservanti di tutte le leggi del Signore, non avevano avuto figli perché Elisabetta era sterile e ormai avanti negli anni.
Un giorno, mentre Zaccaria offriva l’incenso nel Tempio, gli comparve l’Arcangelo Gabriele che gli disse: "Non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai Giovanni". Quando Maria ricevette l’annuncio dall’Arcangelo Gabriele, venne informata dell’attesa della cugina Elisabetta di un figlio.
Quando Giovanni nacque, il padre Zaccaria che all’annuncio di Gabriele era diventato muto per la sua incredulità, riacquistò la voce; la nascita avvenne ad Ain Karim a circa sette chilometri ad Ovest di Gerusalemme.
Della sua infanzia non si sa nulla solo che, ancora giovane, si ritirò per alcuni anni nel deserto conducendo una vita da asceta e nutrendosi di locuste e miele selvatico. Nell'anno '29 d.C. sotto l’impero di Tiberio, riapparve sul Giordano predicando il battesimo di conversione per il perdono dei peccati e annunziando l'arrivo del Messia da tutta la Giudea, da Gerusalemme e da tutta la regione intorno al Giordano, accorreva ad ascoltarlo tanta gente considerandolo un profeta; e Giovanni in segno di purificazione dai peccati e di nascita a nuova vita, immergeva nelle acque del Giordano, coloro che accoglievano la sua parola, cioè dava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, da ciò il nome di Battista che gli fu dato.
Molti cominciarono a pensare che egli fosse il Messia tanto atteso, ma Giovanni assicurava loro di essere solo il Precursore: “Io vi battezzo con acqua per la conversione, ma colui che viene dopo di me è più importante di me e io non sono degno neanche di sciogliere il legaccio dei sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco".
Anche Gesù si presentò al Giordano per esser battezzato e Giovanni quando se lo vide davanti disse: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!” e a Gesù: “Io ho bisogno di esser battezzato da te e tu vieni da me?" - Giovanni, giudeo osservante e rigoroso, operò senza mai indietreggiare neanche davanti al re d’Israele Erode Antipa, che aveva preso con sé la bella Erodiade, moglie divorziata di suo fratello, si sentì perciò in dovere di protestare verso il re per la sua condotta immorale.


Infuriata Erodiade gli portava rancore, ma non era l’unica; perché il Battesimo che Giovanni amministrava, perdonava i peccati rendendo così inutili i sacrifici espiatori che in quel tempo si facevano al Tempio, e ciò non era gradito ai sacerdoti giudaici.
Il Vangelo di Marco ci racconta che Giovanni venne fatto arrestare da Erode su istigazione di Erodiade.
Un giorno il re diede un banchetto per festeggiare il compleanno di Erodiade, invitando tutta la corte ed i notabili della Galilea.


Alla festa partecipò con una conturbante danza anche Salomè, la figlia di Erodiade e nipote di Erode; la sua esibizione piacque molto al re ed ai commensali, per cui il re disse alla ragazza: “Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”; Salomè chiese consiglio alla madre ed Erodiade le disse di chiedere la testa di Battista.
Erode rimase rattristato da tale richiesta, ma per il giuramento fatto pubblicamente, non volle rifiutare e ordinò di portare la testa di Giovanni, che era nelle prigioni della reggia.
Il Battista fu decapitato, i suoi discepoli saputo del martirio, vennero a recuperare il corpo, deponendolo in un sepolcro; l’uccisione suscitò orrore e accrebbe la fama del Battista. Il suo culto si diffuse in tutto il mondo conosciuto di allora. La festa della Natività di S. Giovanni Battista è celebrata il 24 giugno, sei mesi prima della nascita di Gesù, secondo quanto annunciò l’Arcangelo Gabriele a Maria.

IL SOLSTIZIO D’ESTATE

Il termine Solstizio deriva dal lat. Solstitium: sol 'sole' e sistere 'fermarsi' perché sembra che il sole si fermi e torni indietro sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto.
Il 24 giugno coincide dunque con un momento di grande importanza astronomica: il solstizio d'estate, quando il sole, che ha appena superato il punto solstiziale, comincia a decrescere sull'orizzonte, nell'emisfero boreale si ha il giorno più lungo dell'anno e inizia la stagione calda.

USI POPOLARI LEGATI AL SOLSTIZIO IN ABRUZZO

Molte le usanze e le tradizione della nostra regione legate a questo evento astronomico.

I Fuochi di S. Giovanni

Se molti anni fa’ si avesse avuto la possibilità di sorvolare di notte l'Abruzzo in prossimità di paesi e villaggi si sarebbero visti centinaia di fuochi.
Piccole e grandi comunità erano solite preparare durante i giorni che precedevano la festa enormi mucchi di legna che venivano poi incendiati la notte tra il 23 e il 24 Giugno.
I falò solstiziali accesi nei campi la notte di San Giovanni non solo nella nostra ma anche in molte regioni europee erano considerati propiziatori e gli venivano attribuiti virtù purificatrici e rigenerative: i fuochi, simbolo del sole, scacciavano demoni e streghe e prevenivano le malattie.

                                         

Spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti. In passato era credenza diffusa in Abruzzo e in Molise che si sarebbe sposata entro l' anno la giovane che in questo giorno per prima si fosse rivolta ad est e avesse visto nel sole nascente l' immagine del santo.

La raccolta delle erbe

Un’altra tradizione di questa notte magica era la raccolta delle erbe in quanto si riteneva avessero un potere particolare e potenziato in grado di scacciare ogni malattia.
Le erbe raccolte in questa notte secondo antiche credenze avevano un potere particolare, erano in grado di scacciare ogni malattia e tenere lontano gli spiriti maligni in quanto tutte le loro caratteristiche e proprietà erano esaltate alla massima potenza.
Inoltre, alle prime luci del 24 giugno, i contadini che possedevano alberi di noce dovevano andare a legare una corda di spighe di orzo ed avena intrecciate ai tronchi dei loro alberi.
In questo modo avrebbero poi raccolto frutti buoni e abbondanti. 
In molte località si usava e si usa ancora fare il nocino, un liquore a base di noci non mature.

La raccolta della rugiada

Un altro antico rito consisteva nel raccogliere la rugiada della mattina di San Giovanni, ovviamente legata all'elemento acqua perché si riteneva avesse il potere di curare, di purificare e di fecondare. 
Per raccoglierla si stendeva un panno tra l’erba, strizzandolo poi il mattino successivo, oppure si scavava una piccola buca, in cui si inseriva un bicchiere o un altro contenitore. 


LE TRADIZIONI DI SAN GIOVANNI IN ABRUZZO

La notte compresa tra il 23 ed il 24 era anche la "la notte delle streghe": le streghe che erano tutte in circolazione per partecipare al loro congresso annuale. In Abruzzo c’erano decine di modi diversi per difendersi da loro, come per esempio ritirare i panni stesi dei bambini prima che facesse buio o sistemare dietro la porta di casa una pannocchia di granturco. La notte di San Giovanni veniva ritenuta notte di prodigi.

A Celano le donne usavano raccogliere con un oggetto non metallico la rugiada per curare eventuali problemi agli occhi o, più semplicemente, per essere desiderate.


Si riteneva inoltre che San Giovanni fornisse anche vaticini, e gli abruzzesi un tempo interrogavano l'albume d'uovo o il cardo mariano.
Si versava il bianco di un uovo in un contenitore trasparente e lo si esponeva alla rugiada della notte, ritirandolo prima che sorgesse il sole: il disegno formato dall'albume avrebbe fornito la risposta ad un evento futuro.
Si usava anche, la notte del 23 giugno, raccogliere il cardo mariano in quanto si pensava fornisse notizie sulla vita sentimentale: il ragazzo o la ragazza dopo averlo colto e averne bruciacchiato la corolla lo ponevano in un contenitore d'acqua fuori della finestra.
Se il giorno dopo i petali rinverdivano il desiderio d'amore si sarebbe avverato.

A Pianella e San Salvo ancora oggi si bruciano due cardi, uno si tiene in casa e l'altro fuori della finestra: la ragazza sposerà un forestiero se il cardo fuori della finestra dà segni di ripresa.
In molte località d’Abruzzo, la sera della vigilia le ragazze mettevano sotto il cuscino tre fave: una sbucciata completamente, l'altra solo in parte, la terza con la buccia intatta.
La mattina del 24 giugno la fanciulla prendeva a caso una delle tre fave: se prendeva quella senza buccia avrebbe sposato un uomo povero; se sceglieva la seconda lo sposo non sarebbe stato né ricco né povero, prendendo la terza avrebbe trovato un uomo ricchissimo.

Rito del comparatico.
Un tempo il 24 giugno era il giorno in cui i giovani stringevano tra loro un particolare vincolo di comparatico, una sorta di parentela spirituale, ritenuta indissolubile e sacra forse più di quella fisica.
Questa usanza si rinnova tuttora tra due paesi Trasacco e Bisegna i cui abitanti, per l'occasione si ritrovano sul fiume Giovenco, nei pressi di una antichissima fontana la cui acqua dedicata al Battista, è ritenuta miracolosa.
Dopo essersi bagnati nel fiume, di cui raccolgono l'acqua in bottiglie per utilizzarla per le malattie della pelle, i devoti dei due paesi rinnovano il rito del comparatico, scambiandosi rituali abbracci, mazzetti di fiori ornati con l'immagine sacra di San Giovanni, profumati con rami di basilico, rosmarino e menta.
Dopo aver ascoltato la messa, tra gli spari dei mortaretti e il suono delle bande, danno inizio ad una processione che conduce la statua di San Giovanni fino al paese.

A Civitella Roveto ( AQ), bagnata dal fiume Liri, che si trova all'interno di una riserva naturale, nota, fin dall'antichità, per il miracoloso potere delle sue acque, le donne sterili usavano immergersi nella cascata di Zompo lo Schioppo per curarsi e propiziare la maternità.


La tradizione, legata a San Giovanni, narra che nella notte tra il 23 Giugno ed il 24 le acque del fiume Liri acquisiscono uno speciale potere curativo.
E’ una festa molto sentita nel paese: una grande folla accorre durante la sera del 23 per aspettare il tramonto e bagnarsi nel fiume durante la notte; la mattina del 24 giugno viene poi celebrata una Messa sulle rive del fiume. Segue una solenne e partecipata processione con la statua del Santo.
A Pescosansonesco il santuario del Beato Nunzio Sulpizio accoglie al suo interno la parrocchia di San Giovanni Battista, trasferita in seguito alla frana del 1934 che investì una vasta zona del paese ed in particolare l'area del castello di Pesclum, dov'era situata la vecchia chiesa dedicata al Battista.
I festeggiamenti in onore di questo santo sono qui tradizione antica e radicata. I vecchi del paese ricordano anzi come fino agli anni '50 del secolo scorso ben tre giorni di festa (24-25-26 giugno) allietassero la comunità.
Il giorno 23 c'è invece il “Rinnovo dell' acqua e del fuoco”, rito mai abbandonato dai pescolani. In tale occasione viene benedetta l'acqua che verrà utilizzata per tutto l'anno seguente nei battesimi e viene “saltato il fuoco”: chi compie questo gesto va incontro a una vera e propria purificazione dell'anima.

Ai nostri giorni la notte di San Giovanni: la notte del solstizio e dei fuochi, anche se ai falò sui monti si sono sostituiti i fuochi d'artificio sulle spiagge, non cambia il suo significato magicamente archetipale di una grande e antica festa solare che venne celebrata da poeti e scrittori a cominciare da Shakespeare nella sua “Notte di mezza estate” sino al nostro Gabriele D’annunzio.
Il Vate ricorda l’antica usanza delle ragazze abruzzesi che si svegliavano all’alba per guardare il sorgere del sole, poiché la prima che avesse visto nel disco luminoso e sanguigno il volto di San Giovanni decapitato dopo la danza dei sette veli di Salomè, entro l’anno si sarebbe felicemente maritata.

Ne “ La figlia di Iorio” Ornella così dice ad Aligi:

E domani è Santo Giovanni,

fratel caro: è San Giovanni

Su la Plaia me ne vo’ gire

per vedere il capo mozzo

dentro il Sole all’apparire,

per vedere nel piatto d’oro

tutto il sangue ribollire.
E domani è Santo Giovanni,

fratel caro: è San Giovanni

Su la Plaia me ne vo’ gire

per vedere il capo mozzo

dentro il Sole all’apparire,

per vedere nel piatto d’oro

tutto il sangue ribollire.


Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

6 aprile 2022

Elisabetta Mancinelli: L’Aquila, la signora degli Appennini e la sua suggestiva storia.


L’Aquila, la signora degli Appennini e la sua suggestiva storia
di Elisabetta Mancinelli.

L’Aquila, che si è meritata i prestigiosi appellativi di "Firenze d'Abruzzo" e "Salisburgo d'Italia” per la quantità cospicua di opere d’arte e monumenti molti dei quali sono stati gravemente e irrimediabilmente danneggiati dal sisma, ha una storia singolare e suggestiva.

L’Aquila , situata in un incantevole paesaggio tra montagne e boschi nel  Parco Nazionale ai piedi del Gran Sasso, su un’altura dominante la valle del fiume Aterno, fu fatta costruire dal grande imperatore Federico II il quale le diede il compito di affermarsi come capitale spirituale.

La città ha circa 800 anni, sorse infatti intorno alla metà del XIII secolo sui resti del precedente sito romano di Amiternum. Dopo la distruzione ad opera di Manfredi nel 1259 risorse come libero comune . Contava 99 piazze, e 99 castelli , ognuno dei quali eleggeva il proprio sindaco.

Grazie all'autonomia politica e amministrativa, lo sviluppo economico e territoriale fu rapido. L'Aquila poté battere moneta propria, un vero privilegio dell’epoca medievale, e dare impulso ad attività specifiche, quali l'industria della seta, della lana e dei merletti, e alla coltura dello zafferano, che le fecero assumere il ruolo, seconda solo a Napoli, di centro più importante del Regno Angioino.

Resistette vittoriosamente a Braccio da Montone che il 2 giugno 1424 l'attaccò, ma rimase sopraffatta dalle milizie di Giovanna II comandate da Giacomo Caldora; appoggiò la casa d'Angiò contro Alfonso d'Aragona, e nella seconda metà del 1400 raggiunse l'apogeo della sua potenza.

L'Aquila si trovò coinvolta nelle guerre tra Francia e Spagna, appoggiandosi prima a Carlo VIII e poi all'imperatore Carlo V. Occupata nel 1529 dal viceré Filiberto di Chalon, principe d'Orange, fu saccheggiata e in parte distrutta, subendo anche forti perdite territoriali e gravi imposizioni fiscali da parte del governo imperiale.

Persa così l'autonomia e funestata da una serie di terremoti ed epidemie, fu scenario di continue ribellioni interne fino al XVIII sec. quando salì al trono di Napoli Carlo III, dei Borboni di Spagna, che cercò di risollevarne le condizioni economico-sociali.

Ma nel 1799, L'Aquila subì un nuovo saccheggio da parte francese, e durante il regno di Murat fu privata di considerevoli tesori artistici. Nel periodo risorgimentale, dopo la restaurazione borbonica, partecipò ai moti del 1821, del 1831 e del 1848, e dichiarò la sua annessione al regno d'Italia l'8 settembre 1860, subito dopo l'entrata in Napoli delle truppe garibaldine.

Il 2 febbraio 1703 si verificò un devastante terremoto che causò più di 3.000 vittime.

LA CITTA’ DEI SOGNI DI FEDERICO II

L’imperatore svevo la volle dalla forma simile alla pianta di Gerusalemme : la città Santa che lo aveva ammaliato durante la vittoriosa Crociata, dotandola così del doppio ruolo di capitale e centro spirituale, aveva bisogno in realtà di una nuova capitale nel nord del Regno di Sicilia che facesse da testa di ponte tra esso e il regno pontificio e si avvicendasse a Roma. Federico , come sua consuetudine , mise in moto la sua potente macchina organizzativa con costruttori e astronomi.

Nacque così la più grande città del medioevo con un disegno urbanistico di base semplice dal cui centro si diramano i quattro bracci di una croce quadrata. Le impose il nome Aquila come il sigillo imperiale , obbligò la distruzione di tutti i castelli nelle terre adiacenti , costruì il castello imperiale probabilmente individuabile nell’attuale basilica di Collemaggio.

L’edificazione delle chiese venne disposta per trascrivere a terra la costellazione Aquila che fu scelta in quanto, come riferiva l’astronomo di Federico II , le antiche popolazioni avevano per essa la stessa idolatria riposta nel Sole , perché , dal punto di vista astronomico , si alterna con la costellazione della Lepre , come il Sole con la Luna.

Ogni chiesa aveva la sua stella corrispondente , la città stessa rappresentava il Sole : l’astro intorno a cui tutto ruota. La “costellazione di chiese” venne racchiusa dalle mura fortificate.

Il disegno topografico della città doveva svolgere la duplice funzione di simboleggiare un messaggio celeste e profetico che la indicasse come “città dello spirito e del rinnovamento”.

Per questo fu plasmata in modo tale che nella forma sembrasse un’aquila dalle ali spiegate e ricalcasse la pianta di Gerusalemme nel disegno delle mura perimetrali , ancora oggi visibili.

Se si osserva infatti l’antica mappa di Gerusalemme e la sua cinta muraria è praticamente uguale al centro storico di Aquila : la disposizione delle 12 porte murarie, il corso principale tagliato da via Roma , forma la croce dei 4 cantoni.

Le due città inoltre sorgono entrambe su colline L’ Aquila è a 721 metri e Gerusalemme a 750 metri . Se si confrontano le mappe urbane del XIII secolo e si fanno ruotare entrambe si ottiene una sovrapposizione più o meno precisa.

Altra importante conformità topografica è la disposizione dell’urbanizzazione rispetto ai fiumi Cedron e Aterno che scorrono entrambi fiancheggiando le città e ancora tra il monumento denominato “Piscina di Siloe” di Gerusalemme e l’aquilana “Fontana delle 99 cannelle”, opere di ingegneria idraulica adiacenti a porte murarie nella parte più bassa.

A nord di Gerusalemme svetta il monte del Tempio che corrisponde alla antichissima chiesa di Santa Giusta e il monte degli Ulivi della Città Santa è in relazione con il colle aquilano su cui sorge la basilica di Collemaggio.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli